Questa volta il periodo di pace fu più lungo dei precedenti. I Cavalieri ebbero modo di rimettersi dalle loro ferite e finalmente poterono passare del tempo in tranquillità. Per prudenza comunque i ragazzi fecero riparare le armature dal Grande Mur, anche se tutti loro speravano di non doverle più indossare. Anche questa volta, Phoenix scomparve, salvo dover fare frettolosamente ritorno dopo aver saputo che lady Isabel era misteriosamente passata dalla parte di Febo Apollo, Dio del Sole, venuto a riprendersi sua sorella prima di distruggere la terra con terremoti ed eruzioni. Insieme ad Apollo vi erano i suoi tre Cavalieri, Atlas, Jao e Berenice, ed incredibilmente anche Gemini, Capricorn, Fish, Acquarius e Cancer, resuscitati dai poteri del Dio e con indosso armature esteticamente identiche a quelle d'oro originali. Il tradimento di Isabel, in realtà un tentativo di affrontare e sconfiggere da sola il fratello, non andò a buon fine, gettando i Cavalieri nello sconforto al pensiero della sua morte.
Spinti a reagire dall'improvvisa partenza di Pegasus, i ragazzi si trovarono ad affrontare i Cavalieri d'Oro redivivi, con Andromeda che stavolta rischiò seriamente la sconfitta per mano di Fish e ricevette una rosa bianca nel cuore. A salvarlo, fu l'intervento provvidenziale di Phoenix, che tolse la rosa dal petto del fratello, e dopo averlo rassicurato circa la situazione di Atena, che poteva ancora essere salvata, affrontò Fish in una breve battaglia, sconvolgendolo con il Fantasma Diabolico per poi travolgerlo con le Ali della Fenice. Ironicamente, il vento del suo attacco fece conficcare la rosa bianca nel petto di Fish stesso, uccidendolo con le sue stesse armi. Notando che Andromeda era troppo debole per camminare, Phoenix lo prese per portarlo in spalla, ma dopo pochi passi i due vennero attaccati improvvisamente da Atlas. Per proteggere Andromeda, Phoenix lo gettò a terra e subì in pieno la furia del suo colpo segreto, crollando privo di sensi e con l'armatura a pezzi.
Ore più tardi, quando ormai era calata la notte, Andromeda si riprese e si incamminò verso il tempio di Apollo trascinando con se Phoenix, troppo malridotto per camminare da solo. I due arrivarono giusto in tempo per salvare Cristal da Atlas, ma non poterono niente contro la forza del Cavaliere di Apollo, che atterrò facilmente entrambi. Oramai completamente esausto, il ragazzo potè solo assistere al resto della battaglia, alla quale si unirono anche Sirio e Pegasus. Fu proprio la ritrovata determinazione di quest'ultimo a dare ai Cavalieri la forza di non arrendersi e di raggiungere il settimo senso, che fece comparire le armature d'oro. Come già contro Nettuno, Phoenix non indossò alcuna corazza dorata, ma rimase a guardare mentre Pegasus, Sirio e Cristal abbattevano Atlas e si lanciavano contro Apollo.
Contro il Dio del Sole nemmeno la forza dei nuovi Cavalieri d'oro sembrava bastare, ma alla fine Phoenix e gli altri unirono i loro cosmi a quello di Pegasus, permettendogli di riportare in vita Lady Isabel, la cui anima era in procinto di entrare in Ade. Risollevato dall'avere di nuovo Isabel accanto, Pegasus seppe persino trovare la forza di sconfiggere Apollo con la freccia di Sagitter. Vittoriosi anche contro questa minaccia, i Cavalieri poterono tornare a sorridere ed a guardare al futuro con una speranza. D'altra parte, quell'esperienza aveva mostrato la necessità di essere sempre pronti a combattere, e così ancora una volta gli eroi fecero riparare le loro corazze da Mur.
Una nuova minaccia non tardò ad arrivare, stavolta nei panni di Lucifero, l'angelo decaduto che, dopo essere stato condannato a secoli di prigionia da Atena ed altre divinità, era tornato per vendicarsi insieme ai suoi quattro demoni. Per testimoniare la sua venuta Lucifero fece sconfiggere i Cavalieri d'Oro di Atene superstiti e decapitò una delle statue della Dea presenti al Grande Tempio. Ovviamente, Isabel venne ad investigare insieme a Pegasus, Cristal ed Andromeda, incontrando così l'angelo decaduto, che rivelò di avere in sé i poteri di Apollo, Nettuno e Discordia e di essere pronto a distruggere l'umanità se Atena non si fosse consegnata a lui. Dopo una prima sconfitta dei tre ragazzi del suo seguito, la fanciulla accettò, ma ben presto i Cavalieri le corsero dietro, affrontando in dure battaglie i demoni di Lucifero.
Come sempre, Phoenix arrivò in campo dopo la sconfitta di Andromeda, stavolta per mano di Eligor, e si liberò agevolmente dell'avversario con il Fantasma Diabolico. A differenza del passato però, stavolta non rincuorò il fratello dopo la sconfitta, ma anzi lo criticò duramente, rifiutandosi di aiutarlo e correndo da solo verso Lucifero. Le sue ragioni erano semplici: troppe volte Andromeda aveva avuto bisogno di essere soccorso, ed era ormai ora che iniziasse a camminare sulle sue gambe e a combattere sul serio senza fare inconsciamente affidamento sul suo aiuto. Ironicamente, anche la corsa di Phoenix però durò poco: raggiunto e superato Pegasus, vide Isabel torturata da rovi spinosi e cercò di aiutarla, ma venne bloccato a sua volta e sconfitto da Lucifero con un dito solo. Alla fine, come già contro Apollo, fu l'unione dei ragazzi a sconfiggere il nemico, donando i loro cosmi a Pegasus per permettergli di invocare l'armatura del Sagittario, con la quale l'eroe salvò Isabel e sconfisse Lucifero.
Dopo questa nuova vittoria, i Cavalieri sperarono davvero di non dover più combattere, e per questo decisero di non far neanche riparare le armature, che quindi rimasero piene di crepe e spaccature. In realtà, era tutto un piano di Lady Isabel, consapevole che il momento della guerra contro Hades, il suo più antico nemico, era ormai arrivato. Non volendo coinvolgere di nuovo Pegasus e gli altri ragazzi, la donna si recò da sola al Grande Tempio e ordinò ai Cavalieri d'Oro di non lasciarli avvicinare, pena la morte. A differenza degli amici, all'oscuro di tutto, Phoenix scoprì rapidamente la verità e accettò l'ordine, comprendendo che in realtà Isabel era spinta dall'affetto per tutti loro e voleva solo proteggerli. Purtroppo però, ben presto la comparsa di cosmi malefici e il ritorno alla vita di Cavalieri già sconfitti in passato spinse Pegasus e gli altri a raggiungere la Grecia per investigare, mettendoli in rotta non solo con i nuovi nemici - tra i quali Gemini e gli altri - ma anche con Mur e i Cavalieri d'Oro che intendevano far rispettare l'ordine della Dea.
Dopo aver visto Pegasus venire sconfitto e teletrasportato via da Mur, Phoenix scese in campo di persona per intercettare Sirio. Prima cercò di convincerlo a parole, dicendogli che la loro presenza in quella guerra sarebbe stata solo d'intralcio e che nessuno aveva ordinato loro di intervenire, poi passò addirittura alla forza, colpendolo più volte. Alla fine però Dragone rimase inamovibile e anzi iniziò a bruciare più intensamente il suo cosmo, minacciando un vero combattimento. Ammettendo di voler solo proteggerlo, Phoenix si rassegnò e gli disse dove avrebbe potuto trovare Pegasus, confermando però che lui non avrebbe preso parte a quella battaglia. Poco dopo, vide da lontano l'incontro dei due amici e ne ascoltò le parole, chiedendosi se anche Andromeda sarebbe venuto al Grande Tempio, attirato dal legame che unisce tutti loro.
Nelle ore successive, i Cavalieri d'Oro e di Bronzo affrontarono gli Spectre di Hades e i loro ex compagni ritornati in vita, in una serie di scontri che raggiunsero il loro apice con l'apparente morte di Virgo alla sesta casa, per mano di Gemini, Aquarius e Capricorn. Colpito da questa piega degli eventi, Phoenix si recò lì, trovando le ceneri di Virgo e stringendole nel pugno in un gesto di frustrazione, che si mutò in sconforto quando, proprio in quel momento, anche il cosmo di Atena scomparve: Isabel era morta, incredibilmente suicida.
In realtà, la situazione era ben più complicata di così: proprio come Virgo, la donna aveva risvegliato e utilizzato l'ottavo senso per poter raggiungere l'Ade con il corpo, in modo da portare la battaglia direttamente contro Hades. Nella fretta però, aveva lasciato indietro la sua armatura, nascosta con le sembianze della grande statua del Santuario, e ora Pegasus, Sirio, Andromeda e Cristal avevano il compito di riportargliela. Con indosso nuove armature ottenute grazie al sangue divino, i quattro raggiunsero prima il castello di Hades in Germania e poi gli inferi stessi, riuscendo a risvegliare a loro volta l'ottavo senso, ma si trovarono ad affrontare le orde degli Spectre. Phoenix li seguì e, bruciando al massimo il suo cosmo, riuscì non solo a risvegliare anche lui l'ottavo senso, ma anche a far evolvere l'armatura della Fenice pur senza aver ricevuto il sangue divino.
Raggiunti gli inferi, il Cavaliere iniziò la marcia verso la Giudecca, residenza di Hades, ma dovette scendere in campo alla quinta prigione per salvare Kanon. Il suo antico nemico, nel frattempo pentitosi e diventato Cavaliere di Gemini, era infatti in enorme difficoltà contro i tre Comandanti di Ade: Radamante, Minosse ed Eaco. Salvatolo dai fili del secondo, Phoenix ironizzò sul fatto che avesse finito per aiutare proprio lui, ma Kanon lo sorprese dicendogli quanto appena appreso dai nemici: nel corso della battaglia, Andromeda si era rivelato essere l'incarnazione di Hades, e adesso sedeva sul trono della Giudecca. Inizialmente Phoenix ridette a quell'affermazione, ma poi sentire il nome di Pandora riportò alla luce i ricordi sopiti di quel giorno di tanti anni prima, facendogli capire che la situazione era reale e gravissima. Prima di tutti gli altri infatti, la Fenice intuì che Andromeda si era fatto possedere di proposito per fermare Hades, ed era persino disposto a morire pur di porre fine alla guerra.
Desideroso di correre in suo aiuto, Phoenix dovette però prima affrontare Eaco di Garuda, venendo inizialmente messo in difficoltà dalla sua velocità e dai suoi colpi segreti Ali di Garuda e Illusione Galattica. Ripetutamente travolto e spazzato via, riuscì sempre a rialzarsi e reagire, prima spaccando la Surplice del nemico, poi colpendolo con il Fantasma Diabolico. Lontani erano adesso i giorni delle prediche a Mime e Alcor o dei tentativi di pace: contro Eaco, Phoenix usò il Fantasma al massimo, facendogli vivere un orribile incubo, e poi lo annientò senza pietà con le Ali della Fenice, per lo stupore di Radamante e Minosse. Il Cavaliere avrebbe voluto affrontare anche loro subito dopo, ma venne improvvisamente teletrasportato alla Giudecca da Pandora per ordine di Andromeda, che aveva percepito il cosmo aggressivo e ardente come il fuoco del fratello.
Nel vedere il fratellino - i cui capelli ora avevano cambiato colore - e Pandora, Phoenix riacquistò gli ultimi ricordi di quanto era successo anni prima e comprese che il ciondolo a forma di stella aveva legato Andromeda ad Hades. Sperando di liberarlo, Phoenix frantumò il ciondolo e schiaffeggiò via Pandora, avvertendola che lui di solito non aveva pietà con le donne. Poi prese ripetutamente a schiaffi Andromeda, che all'inizio non reagì minimamente. In quel momento infatti la personalità di Hades era prevalente, e al Dio non interessava particolarmente se il corpo di Andromeda era ferito superficialmente. Per evitare danni più gravi comunque Hades allontanò Phoenix da Andromeda, e poi, sorridendo, gli spiegò il suo piano: grazie ai suoi poteri divini stava allineando i pianeti del sistema solare, in modo da creare un'enorme ed eterna eclisse, che avrebbe oscurato il sole per sempre, causando una nuova era glaciale e gettando la Terra nell'oscurità. Inorridito, Phoenix cercò di scuotere il fratello, ma neppure le Ali della Fenice sortirono alcun risultato. Atterrato dai colpi progressivamente sempre più forti del Dio, il Cavaliere rischiò di essere annientato, ma improvvisamente Andromeda riuscì a riprendere il controllo almeno parziale del suo corpo e si strinse una mano alla gola per strangolarsi.
Davanti agli occhi esterrefatti di Phoenix, lo spirito di Andromeda comparve dietro il suo corpo e con un sorriso chiese al fratello di ucciderlo per salvare l'umanità dai piani di Hades. Andromeda infatti si era accorto del cosmo di Hades che cercava di possederlo, e non aveva opposto resistenza per poter dare agli altri Cavalieri una possibilità di vittoria, anche se questo avrebbe significato la sua morte. Fedele a se stesso ed ai suoi principi, il ragazzo preferiva morire piuttosto che causare anche indirettamente la morte di altre persone, ed al tempo stesso voleva proteggere i suoi amici da una pericolosa battaglia contro Hades. Felice perché il suo sacrificio sarebbe servito a qualcosa, Andromeda esortò Phoenix a ucciderlo senza esitare, anche perché l'anima di Hades stava cercando con sempre maggior forza di riprendere possesso del suo corpo. Per permettere al fratello di colpire senza problemi, telepaticamente ordinò persino alla catena difensiva di proteggerlo dagli attacchi di Pandora. Dopo quest'ultimo sforzo il suo spirito iniziò a venir meno, ma Phoenix, compresa la generosa volontà del fratello e memore di tutte le difficoltà che avevano incontrato lungo il loro cammino di fratelli e Cavalieri, accettò di ucciderlo e sferrò il colpo fatale.
Per una volta però, la sua caratteristica freddezza venne meno: non riuscendo a uccidere proprio Andromeda, arrestò all'ultimo secondo il pugno, ferendosi alla mano pur di non fargli del male e cedendo alle lacrime. Questa esitazione si rivelò fatale perché permise allo spirito di Hades di riprendere completamente il sopravvento, cosa evidente quando i capelli di Andromeda mutarono di nuovo colore diventando nero corvino. Impotente di fronte alla forza divina, Phoenix venne sconfitto con un colpo solo. Pandora ordinò poi allo Spectre Valentino di seppellire il suo corpo nel Cocito, l'inferno di ghiaccio dove erano imprigionati i nemici di Hades, e in pochi minuti il Cavaliere finì insieme a Pegasus, Mur, Ioria e Scorpio, già rinchiusi lì in precedenza.
La prigionia del Cavaliere però durò poco: lo scontro tra Atena e Hades alla Giudecca permise al cosmo della Dea di pervadere il Cocito, risvegliando Phoenix e permettendogli di liberarsi dai ghiacci e allontanarsi da solo, mentre Ioria, Mur e Scorpio affrontavano alcuni soldati nemici. Nonostante la vicinanza, Phoenix fu però l'ultimo (vedi Note) a raggiungere la Giudecca, dove nel frattempo le cose erano molto cambiate: Isabel aveva liberato Andromeda, ma era stata rapita dallo spirito di Hades e portata all'Elisio, per raggiungere il quale era necessario oltrepassare l'indistruttibile Muro del Pianto. Dopo aver invano provato con le armi della Bilancia, i Cavalieri d'Oro superstiti - Mur, Ioria, Virgo, Doko e Scorpio - avevano unito le forze con gli spiriti temporaneamente risorti dei loro sette compagni, riuscendo finalmente ad aprire una breccia a costo della vita. Pegasus, Sirio, Cristal e Andromeda si erano così gettati all'inseguimento, finendo però in uno spazio distorto chiamato Iperdimensione, al quale erano sopravvissuti solo grazie al sangue divino di Atena che aveva in precedenza bagnato le loro armature. Phoenix arrivò alla breccia poco dopo la partenza di Sirio e Cristal, ma la sua armatura, non avendo ricevuto il sangue di Atena, non gli avrebbe permesso di sopravvivere all'ingresso nell'Iperdimensione.
Disposto a tutto, il ragazzo aveva deciso di rischiare comunque quando in suo arrivo venne, inaspettatamente, Pandora, che gli donò un braccialetto in grado di fargli attraversare incolume quello spazio distorto, chiedendogli in cambio di vendicarla. La donna, scossa dal vibrante calore del cosmo di Phoenix, dal suo coraggio e dalla sua determinazione, aveva infatti deciso di ribellarsi ad Hades, responsabile anni prima della morte della sua famiglia. Consapevole che i seguaci più fedeli del Dio non le avrebbero perdonato quel tradimento, narrò a Phoenix la sua storia e lo mise in guardia contro Hypnos, divinità del sonno, e Thanatos, divinità della morte, i più potenti subalterni di Hades. Come previsto, questo atto le costò la vita, recisa a distanza da Thanatos, ma Phoenix, annientati gli ultimi Spectre, rimase tanto colpito da accettare la sua missione di vendetta e si recò nei Campi Elisi, dove nel frattempo gli altri Cavalieri stavano affrontando proprio l'invincibile Dio della morte.
L'orgoglioso Thanatos però si rivelò troppo potente anche per lui, al punto che la furia delle Ali della Fenice non riuscì che a spezzargli la maschera. Adirato da quell'affronto, il Dio scatenò parte del suo potere e annientò totalmente Phoenix, disintegrando l'armatura della Fenice, per poi fare lo stesso con le corazze di Pegasus, Sirio, Cristal e Andromeda. Allo stremo delle forze, Phoenix pensò fosse giunta la fine, ma improvvisamente cinque armature d'oro giunsero in difesa sua e degli altri e si scomposero per essere indossate. Per la prima volta, anche Phoenix indossò un'armatura d'oro, quella della costellazione del Leone. Orgoglioso di ciò e desideroso di mostrarsi degno di portare le vestigia dei Cavalieri d'oro, l'eroe riprese la battaglia e unì il proprio colpo segreto a quello dei compagni. Thanatos tuttavia non temeva minimamente le corazze dorate, e per dimostrarlo le distrusse con un colpo solo. Sbalordito e senza più forze, Phoenix ricadde a terra, ormai quasi rassegnato alla fine. A riaccendere le sue speranze fu Pegasus che, sostenuto da Atena, bruciò il suo cosmo come mai prima e fece evolvere i frammenti della sua armatura di bronzo in armatura divina, la più potente tra le corazze. Ora quasi invulnerabile e sorretto da nuove energie, Pegasus si dimostrò superiore a Thanatos e lo uccise con facilità. Per cercare di fermarlo, in campo scese Hypnos, ma Phoenix si frappose tra i due, in modo da permettere a Pegasus di correre da Atena, intrappolata in una giara nel mausoleo di Hades.
Privo di armatura, il Cavaliere sarebbe stato ucciso con facilità se non fosse stato per Andromeda che, vedendolo in pericolo, bruciò al massimo il suo cosmo e ottenne a sua volta l'armatura divina. Ora pronto ad affrontare il Dio ad armi pari, convinse Phoenix a correre ad aiutare Pegasus al tempio di Hades. Raggiunto l'amico, il Cavaliere lo trovò impegnato a cercare vanamente di distruggere la giara in cui Isabel stava lentamente morendo dissanguata, solo per essere deriso dallo spirito di Hades. Adirato, Phoenix attaccò direttamente quest'ultimo, ma le Ali della Fenice vennero facilmente respinte, anche perché il Cavaliere non riusciva a esprimersi al meglio senza armatura. Proprio in quel momento, il contatto con il sangue di Atena che si trovava ai piedi della giara compì il miracolo, permettendo anche a Phoenix di invocare la corazza divina e rialzarsi. Con la giara indistruttibile anche di fronte ai loro assalti congiunti, i due decisero di provare ad attaccare direttamente il mausoleo, per distruggere il corpo mitologico di Hades. Questo gesto ruppe la fase di stallo, ma con conseguenze inaspettate, visto che Hades si ridestò all'interno del suo corpo mitologico per distruggerli per sempre.
In enorme difficoltà contro la potenza del Dio, Pegasus e Phoenix fecero del loro meglio per aiutarsi a vicenda e proteggere l'indifesa Isabel, con la Fenice che saltò addirittura davanti a lei per farle da scudo con il proprio corpo contro un fendente della spada nemica. Fortunatamente, in loro soccorso arrivarono anche Andromeda, Cristal e Sirio - ora tutti in armatura divina - e i cinque poterono unire le forze in un ultimo, disperato attacco.
Bruciando al massimo i loro cosmi in nome della giustizia e delle persone amate, i Cavalieri scagliarono insieme i loro colpi segreti e travolsero il nemico, che a sua volta reagì con una violenta scarica di energia. L'attacco di Hades fu tale da danneggiare le armature divine, ma il colpo congiunto dei Cavalieri riuscì comunque a ferire il Nume, che per la prima volta dopo secoli sanguinò. Hades tuttavia poteva ancora gioire, l'Eterna Eclisse era infatti completa e, una volta eliminati i Cavalieri, il mondo sarebbe stato suo. Quasi privo di forze, Phoenix non riuscì a rialzarsi e rimase a terra mentre Hades attaccava Pegasus, l'unico ancora in grado di combattere. In soccorso del Cavaliere giunse però il cosmo di Atena, e nello stesso momento Phoenix si accorse di essere protetto da una sfera luminosa, proprio come quella che tanto tempo prima lo aveva salvato dall'inabissarsi dell'Isola della Regina Nera. La sfera era opera di Isabel che, liberatasi dall'urna in cui era imprigionata, voleva usarla per portare Phoenix e gli altri in salvo sulla Terra.
Indossata finalmente la sua armatura, Atena attaccò Hades, ma il Dio dell'aldilà, forte dell'usare il suo vero corpo, si rivelò più potente e riuscì ad atterrarla. Dalla sua sfera, Phoenix vide Hades sollevare la spada per finire la nemica, poi Pegasus saltare verso la fanciulla per proteggerla ed infine il Dio volare via per la potenza del colpo subito. La gioia per una possibile vittoria tuttavia venne sostituita in pochi attimi da una visione terribile, Pegasus era infatti stato trafitto al cuore dalla spada di Hades. Sconvolto, per una volta anche Phoenix pianse disperato e contemporaneamente avvertì il cosmo di Pegasus che svaniva. Furioso e deciso a vendicare l'amico, Phoenix frantumò la sfera che lo proteggeva e insieme agli altri si lanciò contro Hades, unendo il suo cosmo a quello di Isabel. Grazie al loro potere, Atena riuscì a superare l'energia di Hades ed a trafiggerlo col suo scettro.
Sconfitto, il Dio scomparve nel nulla, affermando però che anche l'aldilà sarebbe stato distrutto in seguito alla sua caduta. Ignorandolo, Phoenix, oramai completamente prosciugato, dedicò la vittoria a Pegasus, poi lui e gli altri si raccolsero accanto ad Isabel, che usando il suo cosmo li riportò sulla Terra.
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