In quei giorni di pace, una mattina Andromeda potè accompagnare Isabel, Pegasus e Cristal a trovare i bambini orfani del collegio St. Charles (vedi Note). In quell'occasione il ragazzo conobbe Daisy, una delle assistenti del collegio, e passò una piacevole mattinata in compagnia dei vivaci bambini. La pace però fu di breve durata, il giorno dopo Isabel scomparve ed i cavalieri ricevettero un messaggio di sfida, firmato da Discordia, divinità della contesa appena tornata a nuova vita. Intuito il pericolo, Sirio condusse i compagni, eccetto l'assente Phoenix, nelle vicinanze del Tempio della Dea. I cavalieri avvertirono il cosmo di Atena diminuire e compresero di avere solo poche ore per salvarla, così si separarono. Dopo aver scalato delle rocce grazie alla sua catena, Andromeda si ritrovò tra delle rovine, nelle quali incontrò un nemico: Orfeo, antico musico e cavaliere d'argento della Lira, riportato in vita dai poteri di Discordia, che lo aveva poi asservito alla sua volontà (vedi Note).
Inesperto nell'affrontare avversari che usavano la musica come arma ed ammaliato dalle melodie del nemico, Andromeda si ritrovò completamente impreparato all'attacco di Orfeo e venne imprigionato tra le corde della sua lira prima ancora di poter usare le catene. Incapace di liberarsi, Andromeda rischiò la vita, ma in suo soccorso venne Phoenix, che riuscì a liberarlo ed a sconfiggere il nemico. Phoenix però dovette lasciare il fratello per correre in aiuto di Pegasus ed Atena, ed Andromeda, indebolito dalle ferite riportate, cercò di trascinarsi da solo verso il tempio di Discordia. Anche se non presente fisicamente comunque, il ragazzo usò il suo cosmo per sostenere ed incitare Pegasus quando quest'ultimo si trovò impegnato nello scontro finale, ed assistette quando l'amico indossò l'armatura d'oro del Sagittario e sconfisse la divinità nemica. In seguito alla sconfitta di Discordia, Andromeda rischiò di restare sepolto nel crollo del suo tempio, ma riuscì a salvarsi insieme agli altri compagni.
La quiete tuttavia durò poco. Cristal, tornato in Siberia per recuperare le forze, era misteriosamente scomparso dopo aver mandato un messaggio d'aiuto, in cui diceva di aver soccorso un uomo di Asgard, la città di Odino, il Dio del Nord (vedi Note). Preoccupati per lui, Andromeda, Sirio e Pegasus accompagnarono Isabel ad investigare. Per farlo i tre indossarono le loro armature, apparentemente intatte ma in realtà ancora gravemente danneggiate per le battaglie del Grande Tempio. Le ricerche li condussero ad una fortezza chiamata Valhalla, governata da Balder, sedicente sacerdote di Odino. L'uomo, pur garantendo ospitalità ai quattro viaggiatori, negò di aver mai sentito parlare di Cristal. Pur non convinti, Isabel ed i cavalieri accettarono la sua parola e quella del suo cavaliere Loki e lasciarono il palazzo, ma non prima che Freyr, principe del luogo, e sua sorella Freya li portassero in una sorta di giro turistico della cittadella. Durante la passeggiata, i cavalieri si imbatterono in altre tre seguaci di Balder, Rummìr, Midgard ed Uru. Qust'ultimo in particolare si dimostrò da subito velatamente ostile verso Andromeda, e con la sua spada fece finta di bloccargli il passo. Non volendo iniziare uno scontro, Andromeda lo ignorò e proseguì il cammino.
Quella notte, i cavalieri ed Isabel si sistemarono in una locanda ai piedi della cittadella. Nella speranza di trovare tracce di Cristal, Sirio e Pegasus uscirono a cercarlo, affidando Isabel ad Andromeda. Poco dopo però un messaggero di Balder convocò Isabel a palazzo ed Andromeda dovette lasciarla andare da sola.
Circa un quarto d'ora più tardi, il cavaliere avvertì il cosmo della fanciulla spegnersi. Incapace di capire cosa stesse succedendo ed in colpa per aver lasciato Isabel da sola, Andromeda indossò l'armatura e corse alla ricerca della fanciulla. Ben presto, correndo sul costone di una montagna, riuscì a vederla, imprigionata come una polena ad un antico vascello e priva di sensi. Subito il cavaliere corse verso di lei, ma venne fermato da Uru, desideroso di battersi contro di lui. Non avendo scelta, Andromeda si preparò alla battaglia e dispose le catene a difesa attorno a se. La spada di cui Uru era armato si rivelò però capace di frantumare con facilità la catena e poi l'armatura del cavaliere, che crollò a terra ferito ed incapace di reagire. Sarebbe stata la fine per Andromeda se in suo soccorso non fosse improvvisamente arrivato Phoenix, che approfittando dell'elemento sorpresa sconfisse Uru con un colpo solo. Andromeda ringraziò il fratello per l'aiuto, ma la loro riunione venne interrotta dal sopraggiungere di Rummìr, i cui affilatissimi boomerang fecero cadere il ragazzo in un crepaccio. Usando la catena di attacco, ancora intatta, Andromeda si aggrappò ad una roccia, in modo da dare a Phoenix il tempo di affrontare il nuovo nemico. Il cavaliere della Fenice ottenne la vittoria anche stavolta, ma venne colpito a tradimento da Rummìr e precipitò a sua volta nel crepaccio. Andromeda riuscì a salvare il fratello ma poi la fatica ebbe il sopravvento ed il ragazzo perse i sensi.
Più tardi, ripresosi, Andromeda accompagnò Phoenix fino alla piazza dove Pegasus stava affrontando Balder. Grazie alla catena, il ragazzo salvò l'amico da un attacco del sacerdote, ma così facendo si rese vulnerabile al successivo assalto del nemico, che lo atterrò con un colpo solo, frantumando quel che restava della sua armatura. Oramai troppo debole per continuare la lotta, Andromeda potè solo assistere al resto della battaglia, che si concluse quando Pegasus, indossata l'armatura di Sagitter, lanciò la freccia d'oro contro Balder, trapassandolo al cuore. Contemporaneamente, Isabel venne salvata grazie al sacrificio di Freyr. Ritrovato anche Cristal, che, sottoposto al lavaggio del cervello aveva combattuto per Balder nei panni di Midgard, i cavalieri poterono finalmente tornare ad Atene.
Più di ogni altra cosa, la battaglia del Valhalla aveva mostrato che ormai dopo la battaglia del Grande Tempio le armature di bronzo erano troppo malridotte per poter assistere i cavalieri in eventuali battaglie future (vedi Note). I cavalieri d'oro, consapevoli che in ultima istanza la distruzione delle armature di bronzo era stata causata da loro, decisero di onorare i cinque ragazzi ricostruendo e potenziando le loro armature, e per farlo usarono il loro stesso sangue. Andromeda e gli altri osservarono sbalorditi e preoccupati i cinque cavalieri d'oro tagliarsi i polsi e versare il loro sangue sui frammenti delle armature di bronzo. In particolare, fu Toro ad occuparsi della corazza di Andromeda. Alla fine, dopo minuti che parvero ore ai ragazzi, preoccupati che gli amici rischiassero troppo, la riparazione fu compiuta, e cinque nuove armature comparvero dalle ceneri delle precedenti. In un lampo di luce, Andromeda indossò la sua nuova corazza, chiamata Andromeda la Notte. L'energia e la vitalità sprigionate dalla nuova corazza sbalordirono il ragazzo, che provò un sentimento di profonda gratitudine nei confronti di Toro e gli altri cavalieri d'oro.
Forti delle nuove armature, ma anche desiderosi di pace, i cavalieri tornarono a Nuova Luxor. Scherzando con Pegasus, Andromeda disse che forse non avrebbero mai avuto modo di provare le nuove armature, ignaro che invece l'occasione sarebbe giunta molto presto. Poche settimane dopo infatti, Isabel venne attaccata da Mizar, cavaliere di Asgard agli ordini di Ilda di Polaris, celebrante di Odino. A differenza del Valhalla, che era solo un avamposto di periferia, Ilda viveva nella capitale e governava l'intero regno. Per motivi sconosciuti, Mizar era stato inviato ad uccidere Isabel, ma Andromeda e Pegasus giunsero in tempo per fermarlo. La nuova catena del ragazzo bloccò con facilità il polso del sorpreso Mizar, che poi ingaggiò battaglia contro Pegasus. Mizar tuttavia si rivelò un guerriero di notevole valore, e fu Pegasus ad uscire sconfitto dal primo scontro. Volendo proteggere l'amico, Andromeda decise di combattere al suo posto ed affrontò Mizar, che, conoscendo la fama della catena del nemico, spostò il campo di battaglia nella foresta antistante la villa di Isabel, terreno a lui decisamente congeniale. Fiducioso nelle capacità della sua nuova armatura, Andromeda non si oppose ed inseguì Mizar nella foresta.
Pur essendo al loro primo scontro, le nuove catene si dimostrarono fornidabili almeno quanto le vecchie e riuscirono a seguire le tracce dell'agilissimo Mizar, che fuggiva saltando di ramo in ramo. L'inseguimento portò Andromeda in una radura nella quale Mizar si era nascosto. Facendo nuovamente affidamento sulle catene, Andromeda trovò il nascondiglio del nemico e lo attaccò, ma la troppa sicurezza lo rese imprudente e non si accorse di avere il sole di faccia finché non fu troppo tardi. Abbagliato, proprio come Mizar aveva previsto, il ragazzo abbassò per un attimo le difese, permettendo al cavaliere di colpirlo in pieno. In difficoltà, Andromeda rischiò di essere finito dal nemico, ma Phoenix arrivò giusto in tempo per salvarlo, allontanandolo dagli attacchi di Mizar. Poco più tardi anche Pegasus ritornò, seguito a breve da Sirio e Cristal, e la presenza contemporanea di tutti e cinque i cavalieri costrinse Mizar a ritirarsi senza aver compiuto la missione. Nonostante la vittoria però, l'attacco di Mizar indicava chiaramente che la situazione ad Asgard era instabile e, cosa peggiore, segnava l'inizio di una nuova guerra. La prospettiva rattristò profondamente Andromeda, che aveva tanto confidato nella pace, ma questo comunque non lo fece venire meno ai suoi doveri di cavaliere, e così pochi giorni dopo il ragazzo seguì Isabel e Pegasus ad Asgard, dove già si trovava Cristal, partito in avanscoperta. Poco dopo esseri arrivati nel gelido regno del Nord, completamente coperto da neve e ghiaccio, i tre incontrarono Cristal e Flare, sorella di Ilda. La ragazza raccontò loro che Ilda era improvvisamente cambiata e, senza motivi apparenti, stava preparando una guerra per conquistare le terre fertili del sud. Per di più l'atteggiamento di Ilda, già pericoloso di per se, rischiava di portare a conseguenze catastrofiche perché la fanciulla aveva smesso di pregare Odino, e questo stava causando un lento ma costante scioglimento dei ghiacci polari, che a sua volta avrebbe ben presto causato una terribile inondazione delle terre emerse.
Compreso il pericolo, Isabel decise di andare a parlare con Ilda, ed ovviamente i cavalieri si prepararono ad accompagnarla. La cosa però venne troncata sul nascere dalla comparsa di otto potenti cosmi, segno dell'arrivo di Ilda e dei suoi sette cavalieri, tra i quali vi era anche Mizar. Ben presto la tensione tra i due gruppi portò ad una serie di scontri individuali, basati più sulle emanazioni del cosmo che su veri attacchi. Non potendo proteggere tutti gli altri con la catena, Andromeda fronteggiò uno dei cavalieri nemici, che aveva come arma una cetra con la quale creava una dolce ma pericolosa melodia. I duelli comunque durarono solo pochi minuti, poi Ilda ed Isabel richiamarono i gruppi all'ordine. Osservando la celebrante, Isabel si accorse che al suo dito vi era un anello d'oro, l'Anello del Nibelungo, tristemente noto per i suoi nefasti ed oscuri poteri. Comprendendo che l'anello aveva assoggettato Ilda, Isabel disse ai cavalieri che sfilarglielo dal dito era l'unica speranza per porre fine alla sua minaccia, ma aggiunse che avrebbero dovuto cavarsela da soli perché lei avrebbe dovuto impedire lo scioglimento dei ghiacci pregando Odino al posto della celebrante. Andromeda osservò smarrito Isabel recarsi su uno scoglio a picco sul mare e frantumare la roccia alle sue spalle per impedire a chiunque altro di seguirla. Thor, uno dei cavalieri di Ilda armato di un'enorme ascia, provò lo stesso a fermare la ragazza lanciandole contro la sua arma, che riuscì persino a respingere la catena di Andromeda quando il cavaliere cercò di fermarla. Fortunatamente comunque il cosmo di Isabel respinse l'ascia, facendo desistere gli altri cavalieri di Ilda dal provare a fermarla. Ad ogni modo Ilda non si preoccupò, ed anzi avvisò che il freddo di Asgard avrebbe ucciso Isabel entro sera.
Non avendo alternative, Pegasus guidò Andromeda e Cristal verso Ilda, che a sua volta ripiegò al proprio palazzo con i suoi cavalieri, ordinando loro di affrontare singolarmente i nemici. La corsa dei tre eroi comunque non durò a lungo, dopo solo pochi minuti Thor sbarrò loro la strada, determinato a sconfiggerli. La catena di Andromeda, avvertendo la presenza del nemico, permise ai cavalieri di schivare il suo primo assalto e di partire a loro volta all'attacco, ma Thor si rivelò da subito un potente guerriero ed Andromeda fu il primo a cadere a causa di una scarica di energia trasmessa attraverso la catena. Intontito, il ragazzo si rialzò subito, ma l'ostacolo di Thor sembrava insormontabile. Per permettere agli amici di proseguire, Pegasus attaccò da solo il nemico, ma il piano funzionò solo in parte. Cristal e Andromeda infatti riuscirono si a superare Thor, ma si trovarono impreparati di fronte ad un suo attacco a sorpresa e vennero travolti dalle asce.
Andromeda rimase privo di sensi per circa un'ora, finché Sirio, appena arrivato ad Asgard, non soccorse lui e Cristal. Nel farlo, Dragone spiegò loro che la situazione era persino più complicata di quanto sembrava. Per togliere l'anello ad Ilda era infatti necessaria Balmung, la leggendaria spada di Odino, ottenibile solo mettendo insieme i sette zaffiri del Nord, incastonati nelle armature dei sette cavalieri di Asgard. In altre parole era necessario sconfiggere ciascun cavaliere ed ottenere il suo zaffiro per poter fermare lo scioglimento dei ghiacci e salvare Isabel. Ora consapevole del suo obiettivo, Andromeda riprese la corsa con Sirio e Cristal. Ben presto i tre vennero fermati nuovamente da Thor, ma Pegasus, ripresosi da una fase sfavorevole dello scontro, giunse in tempo per concludere la battaglia contro il nemico. Andromeda assistette come semplice spettatore alle fasi finali del duello, in cui Pegasus portò al massimo il suo cosmo e sconfisse il nemico, conquistando il suo zaffiro e promettendo di salvare Ilda.
La tragica morte di Thor fece anche comprendere ad Andromeda che purtroppo era tornato il tempo di combattere fino alla morte, propria o del nemico. Con questa triste consapevolezza nel cuore, il ragazzo riprese il cammino con gli amici, fino alla fine della strada, dove i quattro si separarono. Ora da solo, Andromeda corse a lungo su sentieri innevati verso il palazzo di Ilda, alla ricerca di un nemico. Nel corso del cammino avvertì il cosmo di Sirio indebolirsi pericolosamente, segno che Dragone era impegnato in una dura battaglia, ma, seppur a malincuore, dovette accettare l'idea di non poter correre in suo aiuto.
Alla fine, Andromeda giunse ad alcune rovine, dove venne accolto da una musica melodiosa. La catena di difesa tuttavia non segnalò alcun nemico e così il ragazzo avanzò, fino a trovarsi davanti al cavaliere del nord che aveva fronteggiato al suo arrivo ad Asgard. L'uomo si presentò come Mime ed esordì invitando il nemico a ritirarsi, dal momento che non c'era aggressività nel suo cuore. Non potendo tirarsi indietro, Andromeda fu costretto a rifiutare ed attaccò con la catena, ma l'arma per qualche motivo non vedeva in Mime un nemico e cadde a terra priva di forza. Libero di agire, Mime attaccò con una pioggia di colpi alla velocità della luce, capaci alla fine di superare persino la catena di difesa e travolgere il cavaliere. Il colpo subito non fece demordere Andromeda, che riuscì a rialzarsi ed attaccare di nuovo, ma stavolta Mime usò la musica della cetra per moltiplicare la propria immagine, ingannando persino la catena, i cui assalti raggiunsero solo le copie illusorie. Come già nella precedente occasione, Mime approfittò dell'occasione per atterrare il nemico.
Invece di continuare l'attacco però, Mime si fermò e chiese al cavaliere cosa lo spingesse a combattere. Quando il ragazzo rispose di lottare per la pace degli uomini, Mime gli fece notare che sono stati loro ad invadere Asgard, e prima ancora il Grande Tempio di Atene, e che quindi sono portatori di guerra e non di pace. Questa affermazione colpì profondamente Andromeda, facendolo dubitare delle proprie azioni passate e della sua missione di cavaliere. Il ragazzo, stanco di battaglie, dolore e morte, arrivò persino a crollare in ginocchio ed a pensare di abbandonare la battaglia. Mime, percependo il suo tormento interiore, decise di porre fine alle sue sofferenze e togliergli la vita. Improvvisamente però il cosmo di Phoenix raggiunse telepaticamente Andromeda e gli diede conforto, esortandolo ad immaginare un mondo governato da tiranni in cui non brilla la luce della giustizia. Phoenix, pur ammettendo che la guerra è la peggiore delle ipotesi, fece notare al fratello che a volte è necessaria per portare alla tanto sospirata pace. Convintosi della necessità di combattere, Andromeda si rialzò e bruciò il suo cosmo, pronto a riprendere lo scontro.
Come già era successo prima, la catena di Andromeda si dimostrò incapace di distinguere il vero Mime dalle illusioni create con la cetra ed il ragazzo subì di nuovo i colpi del nemico. Andromeda non riusciva a capire perché la catena non percepisse in Mime un nemico neanche ora che lo attaccava apertamente, ma alla fine ipotizzò che la musica della cetra in qualche modo plagiasse la sua mente, ingannandolo e quindi impedendogli di usare efficacemente la catena. La soluzione al problema venne nelle vesti di un raggio di sole, che, riflettendo l'ombra del vero Mime, indicò ad Andromeda dove colpire. Il successo comunque durò solo un attimo, poi la catena cadde di nuovo al suolo priva di ogni tensione. Mime infatti disse che Andromeda, nel profondo del suo animo, non vedeva in lui un nemico, non per via della musica ma per via della sua nobiltà d'animo, ed era questo a fermare la catena. Comprendendo che Mime aveva ragione, Andromeda decise di abbandonare la catena e ricorrere alla Nebulosa. Prima di farlo però si tolse l'armatura, principalmente per dare una speranza al nemico. Il dolore per la morte di Fish infatti era ancora forte in lui ed il ragazzo sperava ancora di non dover lasciare altre vittime sul suo cammino.
Sperando di evitare lo scontro, Andromeda chiese a Mime cosa lo spingesse a combattere, dal momento che anche il suo animo era nobile e rifuggiava la violenza. Anzichè rispondere, Mime negò le affermazioni del ragazzo e si preparò ad attaccare, ma Andromeda fu più veloce ed iniziò gradatamente a scatenare la Nebulosa. In pochi secondi la corrente fu abbastanza forte da paralizzare Mime, che rimase stupito dalla vitalità del suo nemico. Come già alla dodicesima casa, prima di scatenare tutta la sua forza Andromeda chiese a Mime di arrendersi e consegnargli il suo zaffiro. Mime tuttavia rifiutò, obbligando Andromeda a scatenare la Nebulosa alla massima forza di cui era capace nonostante le ferite. L'energia del colpo segreto esplose in tutta la sua potenza, travolgendo in pieno Mime, che sembrò essere spazzato via. Osservando la devastazione provocata dal suo attacco, Andromeda venne assalito dalla tristezza, consapevole che ancora una volta, nonostante i suoi buoni propositi, aveva provocato la morte di un uomo. Rassegnato, il ragazzo iniziò a cercare il corpo di Mime per raccogliere lo zaffiro, ma all'improvviso scoprì che l'avversario era tutt'altro che sconfitto.
Mime infatti aveva usato le corde della cetra per ancorarsi ad una roccia, e questo gli aveva permesso di superare senza troppe difficoltà il potere della Nebulosa. Tornato a terra, Mime sfoderò la sua arma migliore, la "Melodia delle Tenebre". Le corde della cetra avvolsero Andromeda in una stretta mortale, che diventava più forte man mano che Mime suonava la sua melodia. Le corde iniziarono a penetrare sempre più in profondità nelle carni del ragazzo, causandogli profondi tagli su tutto il corpo, specie alla gola. Completamente bloccato, Andromeda non aveva modo di liberarsi, ma persino in una situazione così disperata la sua catena restava immobile al suolo senza intervenire. Alla fine, Mime avvisò Andromeda che, quando l'ultima nota sarebbe stata suonata, le corde lo avrebbero ucciso. Il colpo di grazia venne però fermato da delle piume metalliche, che tagliarono le corde della cetra, liberando il cavaliere. Le piume appartenevano all'armatura di Phoenix, giunto sul campo di battaglia per aiutare ancora una volta il fratello.
Stanco e ferito, Andromeda potè solo assistere allo scontro tra il fratello e Mime, incapace di capire il motivo per cui la sua catena non reagisse neanche quando il cavaliere del nord era apertamente aggressivo. Nel corso del combattimento, Phoenix colpì Mime col suo Fantasma Diabolico obbligandolo a raccontare la sua storia e l'assassino del suo patrigno Folken. Tale confessione però fece anche emergere l'odio che Mime covava in fondo al cuore, ed infatti per la prima volta la catena lo considerò un nemico e si tese verso di lui.
La rabbia per essere stato costretto a ricordare spinse Mime a combattere con tutte le sue forze, arrivando a mettere in difficoltà persino Phoenix, che si ritrovò intrappolato nella Melodia delle Tenebre. Vedendo il fratello in pericolo, Andromeda trovò la forza di indossare di nuovo il bracciale dell'armatura e lanciare la catena contro Mime, bloccandogli il polso appena in tempo. Come già contro Virgo però Phoenix chiese al fratello di non intromettersi, convincendolo a ritirare la catena. A malincuore Andromeda obbedì, ma anche da solo Phoenix riuscì alla fine a vincere lo scontro, a far pentire Mime delle sue azioni passate ed a conquistare lo zaffiro, che Andromeda raccolse. Il ragazzo fu addolorato della morte di Mime, ma Phoenix gli disse di non esitare e correre verso il palazzo di Ilda, senza mai voltarsi indietro. Obbedendo, Andromeda indossò di nuovo l'armatura e corse via con lo zaffiro in pugno. Pochi attimi dopo avvertì il cosmo di Phoenix indebolirsi di molto, ma, benché tentato, ebbe fiducia in lui e non tornò indietro a sincerarsi delle condizioni del fratello.
La corsa di Andromeda continuò senza interruzioni fino al palazzo di Ilda, ed anzi il ragazzo fu il primo dei cavalieri ad arrivare. All'interno tuttavia trovò un nuovo nemico ad attenderlo, Mizar, con cui si era già scontrato a Nuova Luxor. Senza molti preamboli i due iniziarono un nuovo duello, e stavolta Mizar si mostrò capace di schivare con facilità la catena e di mettere a segno colpi precisi. Andromeda rischiò di cadere al primo assalto del nemico, ma il combattimento venne temporaneamente interrotto dall'arrivo di Pegasus e Cristal, malconci per le varie battaglie sostenute. Vedendo l'amico in difficoltà, Pegasus si preparò a prendere il suo posto contro Mizar, ma Andromeda gli chiese di lasciarlo continuare a combattere, anche perché tra loro lui era senz'altro quello in condizioni migliori. Cristal e Pegasus ebbero fiducia in lui e gli affidarono la battaglia prima di continuare la loro corsa verso la sala del trono della celebrante di Odino.
Dopo aver permesso ai compagni di superare Mizar indenni distraendolo con la catena, Andromeda riprese il combattimento, ma nessuno dei suoi assalti sembrò andare a buon fine. Ben presto, il ragazzo si rese conto che per qualche motivo la sua catena non era veloce come a Nuova Luxor, e Mizar confermò la cosa, spiegando che era il suo gelido cosmo a rendere meno efficace l'arma del cavaliere. Per provare le sue parole, Mizar congelò completamente la catena di attacco, bloccandola a mezz'aria. Usando il calore del suo cosmo, Andromeda riuscì a liberare l'arma, ma il gelo l'aveva comunque resa più fragile e Mizar ne frantumò con facilità l'estremità. Subito dopo, il guerriero del Nord scagliò il suo colpo segreto, i Bianchi Artigli della Tigre, mettendo fuori combattimento Andromeda. Ora che il nemico era a terra, Mizar rivelò che presto anche Pegasus e Cristal sarebbero morti, perché nel corridoio per la sala di Ilda entrava la gelida aria di Asgard alla quale i due di certo non sarebbero sopravvissuti. Mizar poi usò il suo cosmo per intrappolare Andromeda nel ghiaccio, in modo da finirlo.
Privo di sensi e prossimo alla fine, Andromeda contemplò la resa, ma in suo soccorso giunse ancora una volta la voce di Phoenix. Il cavaliere lo esortò a credere in se stesso ed a raggiungere il settimo senso, come già aveva fatto alla dodicesima casa. Queste parole spronarono Andromeda, motivato anche dal non voler gettare al vento il dono dei cavalieri d'oro, l'armatura Andromeda la Notte. Bruciando il suo cosmo il ragazzo si rialzò, deciso ad usare di nuovo la Nebulosa. Come già contro Mime, Andromeda si tolse l'armatura per dare una speranza di salvezza a Mizar, poi cominciò a generare il vento che preludeva al suo colpo segreto.
Inizialmente Mizar sottovalutò la promessa tempesta, considerandola solo un leggero vento, ma poi si rese conto che l'intensità del colpo aumentava di secondo in secondo. Ora preoccupato, Mizar cercò di generare aria gelida per spossare il già malconcio Andromeda, e per qualche attimo sembrò riuscire, ma poi il ragazzo seppe usare il suo cosmo per placare l'aria fredda di Asgard. Messo alle strette, Mizar usò la sua seconda tecnica segreta, i Ghiacci di Asgard, ma Andromeda rispose scatenando in pieno la Nebulosa, il cui potere annientò la tecnica di Mizar. Ad insaputa di entrambi, qualcuno lanciò un attacco verso Andromeda, ma qualcun altro lo intercettò salvando il ragazzo. Intanto, la Nebulosa raggiunse il livello massimo e si abbattè su Mizar, travolgendolo in pieno. Addolorato per la sconfitta del nemico, Andromeda si fece lo stesso forza e raccolse il suo zaffiro. Fu solo allora che il cavaliere si accorse di Tisifone, ferita alle braccia. La donna, da tempo ormai alleata dei cavalieri per amore di Pegasus, gli disse di proseguire il più rapidamente possibile perché insieme a Mizar vi era un misterioso cavaliere ombra, che lo assisteva in battaglia. Confuso, Andromeda iniziò ad allontanarsi, ma il passo gli venne sbarrato dal succitato cavaliere, che lo atterrò con un colpo solo.
Vedendo Andromeda in difficoltà, Tisifone cercò di aiutarlo contro il nemico, ma ben presto si ritrovò anche lei a mal partito. Per proteggerla, Andromeda le fece da scudo col suo corpo, ma essendo privo dell'armatura venne travolto in pieno ed atterrato. Il nuovo nemico, il cui nome era Alcor, cavaliere ombra di Mizar, si preparò ad uccidere i due, ma il colpo di grazia venne fermato dall'apparizione di Phoenix, appena ripresosi dalla battaglia con Mime.
Il combattimento che seguì si combattè tanto sul piano fisico quanto su quello delle parole. Alcor venne rivelato essere il fratello gemello di Mizar, ma l'odio che nutriva per il consanguineo, che tra l'altro ignorava la sua esistenza, rendeva la sua situazione simile e nel contempo opposta a quella di Phoenix ed Andromeda. Le parole di Phoenix, incentrate sull'amore fraterno, commossero Andromeda, che per due volte cercò di alzarsi ed aiutare il fratello, ma in entrambi i casi con scarsi risultati a causa della terribile forza di Alcor. Nel corso della battaglia Andromeda perse persino gli zaffiri di Mime e Mizar, ma alla fine Alcor si arrese, convinto da un misto di forza fisica e discorsi sull'affetto fraterno. Recuperati gli zaffiri, Andromeda indossò di nuovo l'armatura e corse insieme a Phoenix verso la sala di Ilda. Lungo la corsa i due soccorsero anche Cristal, esausto dopo aver salvato la vita a Pegasus.
Con la vittoria ormai ad un passo, Andromeda e gli altri si trovarono davanti il più potente tra i cavalieri di Asgard, Orion, che sconfisse con facilità prima Pegasus e poi Phoenix. Vedendo che Cristal era esausto al punto da non reggersi in piedi, Andromeda preferì la difesa all'offesa e dispose la catena difensiva attorno a se ed all'amico. All'inizio l'arma sembrò capace di respingere gli assalti di Orion, ma in breve il guerriero trovò il punto debole della difesa e la sfondò con la sua tecnica segreta "Spada di Asgard". Travolto in pieno, Andromeda crollò al suolo e perse i sensi.
Al suo risveglio, Orion era stato quasi sconfitto dagli sforzi congiunti di Sirio e Pegasus, ma sul campo di battaglia erano giunti anche Ilda e Syria, un cavaliere suonatore di flauto agli ordini di Nettuno, Dio dei sette mari. Syria spiegò che era stato Nettuno a dare ad Ilda l'anello del Nibelungo come parte di un complesso schema contro Atena. Nell'udire queste parole Orion, che già dubitava delle recenti azioni di Ilda, si scagliò contro Syria, sacrificandosi per sconfiggerlo. Troppo debole per intervenire, Andromeda potè solo assistere alla fine del valorioso guerriero del Nord, che salì verso il cielo insieme a Syria per bruciare con lui nel fuoco cosmico.
L'unico ostacolo alla salvezza di Isabel e dell'umanità era ora Ilda stessa. La donna, completamente soggiogata dall'anello, cercò con tutte le sue forze di eliminare gli esausti cavalieri. Per permettere a Pegasus di raggiungere la statua di Odino ed ottenere Balmung, Andromeda seguì gli esempi di Cristal e Sirio e gli fece da scudo intercettando i colpi nemici col proprio corpo. Crollato al suolo ferito, il ragazzo non ebbe la forza di intervenire ulteriormente, e potè solo osservare il resto dello scontro, che si concluse quando Pegasus, indossata l'armatura di Odino ed impugnata Balmung, riuscì finalmente a spezzare l'anello del Nibelungo.
Per interminabili secondi, ad Andromeda ed agli altri sembrò che, insieme all'anello, Pegasus avesse spezzato anche la vita di Ilda, mettendo dunque fine ad ogni speranza di salvezza, ma poi la donna si alzò nuovamente in piedi. Temendo che fosse ancora a loro ostile, i cavalieri si rialzarono e prepararono le difese, ma Ilda li ignorò e, raggiunta Balmung, ora conficcata al suolo, iniziò a piangere per chiedere perdono ad Odino.
Compreso che finalmente la battaglia era finita, Andromeda e gli altri si incamminarono in silenzio per tornare da Lady Isabel. Raggiunto di nuovo il picco ghiacciato, gli eroi furono shoccati nel vedere che la fanciulla aveva ceduto al freddo ed era crollata. Temendo per la sua vita, Andromeda non potè fare altro che guardare con gli occhi sbarrati, ma alla fine Isabel diede un segno di vita e riuscì a rialzarsi, esausta ma viva. I cavalieri poterono così gioire della vittoria, ma i sorrisi e le lacrime di felicità furono di breve durata. Un'onda gigantesca ed improvvisa infatti si abbattè sul picco, travolgendoli tutti. Al risveglio, Atena era scomparsa.
La sparizione di Isabel gettò i cavalieri nello sconforto. Intuendo immediatamente che vi era Nettuno dietro il rapimento, Andromeda e Pegasus restarono ad Asgard a cercare l'ingresso per il regno del Dio, mentre gli altri si separarono per cercare informazioni. Per giorni i due amici continuarono invano a cercare, ma tutto sembrava vano, ed ogni fallimento non faceva altro che aumentare il loro smarrimento. Per di più, per motivi ancora sconosciuti, sul mondo avevano incominciato ad abbattersi violenti ed interminabili diluvi, che stavano facendo salire pericolosamente il livello del mare e causando inondazioni e vittime.
In quest'ora buia, l'unico aiuto arrivò da parte di Flare ed Ilda, finalmente tornata in se, che trovarono un vecchio libro in cui era spiegato come raggiungere il regno di Nettuno. Ricaricati dall'aver finalmente una pista da seguire, Andromeda e Pegasus trovarono l'ingresso, un mulinello apparentemente senza fondo, e, ringraziate Ilda e Flare, vi entrarono di slancio. La discesa nell'abisso fece perdere loro i sensi, ma al risveglio gli amici si trovarono in un luogo incredibile, composto per lo più da rocce e coralli, ed in cui il cielo era formato dal mare, apparentemente sospeso nel nulla. Lo spettacolo era da togliere il fiato, e per qualche secondo Andromeda ne fu rapito. A riportarlo alla realtà fu un canto melodioso, proveniente da una figura in lontananza. Attirato da quella voce soave, Andromeda avanzò verso la fonte, ma Pegasus lo trattenne, ricordandogli Syria. La fonte del canto si rivelò essere Titis, cavaliere sirena di Nettuno, la quale, indossata la sua armatura rosso scarlatto, sfidò i ragazzi a seguirla e corse via velocissima. Non avendo altre vie da seguire, Andromeda e Pegasus corsero dietro la fanciulla, che riuscì persino a schivare con apparente facilità la catena del cavaliere. Alla fine, Titis decise di porre fine al gioco ed attaccò i due con il suo colpo segreto, la Sottile Trama Corallina, con cui imprigionava le sue vittime in soffocanti coralli. Gli eroi furono inizialmente in difficoltà, ma poi Pegasus riuscì a liberarsi bruciando il suo cosmo, ed Andromeda seguì l'esempio dell'amico.
Il combattimento con Titis venne però interrotto dall'arrivo di Dragone del Mare, sedicente generale di Nettuno. L'uomo, dopo aver mostrato la sua potenza atterrando i due nemici con un colpo solo, ordinò ad un plotone di soldati di liberarsi di loro. Nonostante le ferite degli scontri di Asgard stessero appena cominciando a guarire, Andromeda e Pegasus si liberarono con facilità dei nemici inferiori, mostrando di non avere alcuna intenzione di andarsene senza Isabel. La tensione del momento venne spezzata dall'arrivo di un soldato degli abissi, venuto a comunicare qualcosa a Dragone del Mare. Ricevuta la notizia, il generale ordinò a Titis di comunicarla ai due cavalieri. Pur riluttante, la donna obbedì e spiegò che Isabel era appena stata imprigionata da Nettuno nella cosiddetta Colonna Portante. Il regno sottomarino in cui tutti loro si trovavano si reggeva infatti su sette colonne, una per ciascuno dei sette mari, ai quali si aggiungeva poi la Colonna Portante di Nettuno. Per abbattere la colonna e liberare Isabel, i cavalieri avrebbero prima dovuto abbattere le altre sette, ma ciascuna di loro era protetta da un Generale degli Abissi, uomini tra i più potenti del mondo. Per di più, anche il tempo era loro nemico. Nella Colonna Portante infatti Isabel sarebbe ben presto annegata, sommersa dalle stesse acque che Nettuno stava scatenando sulla terra sottoforma di piogge e diluvi, allo scopo di sommergere le terre emerse.
Compresa la gravità della situazione, Andromeda e Pegasus non vollero perdere altro tempo in chiacchiere e scattarono verso le prime due colonne, sperando che anche Sirio, Cristal e Phoenix li avrebbero raggiunti presto. Dopo una lunga corsa, Andromeda arrivò alla sua prima colonna, quella dell'Oceano Pacifico del Sud, e la trovò apparentemente indifesa. Improvvisamente però la catena segnalò una minaccia e dal nulla di fronte a lui comparve una figura. Il cavaliere scagliò la catena, ma fermò l'attacco quando scoprì che si trattava di una fanciulla inginocchiata in preghiera. Dopo un attimo l'immagine scomparve ed una voce derise il cavaliere, rimproverandolo di non aver portato a termine l'assalto. Subito dopo la fanciulla riapparve, ma stavolta le sue sembianze cambiarono all'improvviso, diventando quelle di un mostro orribile dal cui corpo scaturivano delle bestie demoniache. Anche se preso di sorpresa, Andromeda ebbe la prontezza di usare la catena difensiva, che lo protesse dall'assalto, ma all'improvviso le bestie scomparvero e davanti al ragazzo comparve il vero nemico: il generale Kira.
Incerto sul da farsi, Andromeda rimase per qualche secondo immobile ad osservare l'avversario. A richiamarlo alla realtà fu un piccolo terremoto proveniente dal territorio del Pacifico del Nord, segno che Pegasus aveva sconfitto il suo nemico ed abbattuto la prima colonna. Compreso che era arrivato il momento per lui di fare lo stesso, Andromeda si preparò alla battaglia, ma prima che lo scontro iniziasse, Kira volle rivelargli il suo nome completo, Kira di Scilla. Ciò fece ricordare ad Andromeda il mito di Scilla, mostro marino che abitava nello stretto di Messina, e spiegò anche il senso della trasformazione della fanciulla, visto che Scilla aveva appunto la parte superiore del corpo a forma di donna. Comprendere il segreto del nemico per un attimo spaventò Andromeda, incapace ora di aspettarsi che razza di nemico si sarebbe trovato di fronte. Approfittando del momento, Kira volle dargli una dimostrazione della propria forza e scatenò il suo colpo segreto "Volo dell'Aquila Possente". Istintivamente Andromeda sollevò la catena di difesa, ma Kira, avendola già vista in azione, seppe evitarla e ferire il ragazzo al fianco.
Le brutte sorprese però per Andromeda non erano ancora finite. Kira infatti aveva altri colpi nel suo arco, uno per ciascuna delle bestie di Scilla. Dopo l'aquila fu la volta del Lupo, e poi della Libellula. Comprendendo la mortale forza del nemico, Andromeda tentò di difendersi con la catena, ma tutto fu vano, e ciascuna delle bestie seppe colpirlo in pieno. Ferito e sanguinante, l'eroe subì le due bestie successive, il Serpente, che lo intrappolò in una stretta mortale, ed il Vampiro, che lo morse alla gola succhiandogli il sangue. Oramai svuotato ed incapace di reagire, Andromeda subì anche l'ultima bestia, la più potente, l'Orso bruno, che lo investì in pieno con la sua potenza mortale, scagliandolo fino al cielo. Kira tuttavia non aveva messo nelle bestie la massima forza di cui era capace, in modo che Andromeda potesse sopravvivere abbastanza a lungo da scegliere quale lo avrebbe finito. Allo stremo delle forze, Andromeda comprese che un nuovo attacco lo avrebbe ucciso, ma nonostante tutto non volle arrendersi e rifiutò di scegliere una qualsiasi delle bestie.
Scegliendo per lui, Kira lanciò la libellula, ma il ragazzo aveva stavolta avuto modo di approntare una difesa, basata sulla lunga conoscenza che aveva della sua catena di difesa. A suo comando infatti, l'arma cambiò disposizione e formò un'intricata ragnatela, la difesa perfetta per bloccare una libellula. Con enorme stupore di Kira, la libellula venne intrappolata e non riuscì a raggiungere il bersaglio. Trionfante, Andromeda spiegò che la sua catena aveva la capacità di adattarsi alle tecniche del nemico, ed ora che conosceva tutte le bestie di Scilla, nessuna sarebbe più riuscita a raggiungerlo. Per di più, la catena non era capace solo di difendere, ma anche di attaccare, e dell'attacco Kira non conosceva nulla. Per provare le sue parole, Andromeda lanciò la catena di attacco, distruggendo la libellula e parte dell'armatura di Kira. Non convinto, il generale attaccò di nuovo, stavolta con l'aquila, ma Andromeda, sicuro di se come rare volte in passato, seppe erigere una nuova difesa, stavolta a forma di rete di cacciatore, che intrappolò il rapace. Come già con la libellula, la catena di attacco distrusse la bestia, ed un altro pezzo dell'armatura di Scilla, mostrando anche che era la corazza a dare vita a ciascuna delle sei creature, e che una volta distrutto il pezzo corrispondente, la bestia non poteva essere richiamata.
Nemmeno vedere la caduta dell'aquila fece desistere Kira, che ora provò ad usare il serpente, solo per vederlo ingoiato da una spirale formata dalla catena difensiva. Anche la terza bestia così venne distrutta, segno inequivocabile che l'esito del duello volgeva a favore di Andromeda. Il ragazzo tuttavia non voleva uccidere il nemico e sperò che vista la situazione per lui disperata si arrendesse. Non condividendo per nulla questa tesi, Kira lanciò il vampiro, contando sul grande numero dei pipistrelli, ma la catena divenne un boomerang, capace di abbattere i volatili. Sperando che una tale dimostrazione di strategia convincesse finalmente Kira ad abbandonare la battaglia, Andromeda gli consigliò di nuovo la resa. In tutta risposta, Kira lanciò il lupo, che però venne abbattuto quando la catena prese la forma di una tagliola. Con l'armatura ora quasi completamente in pezzi, Kira tentò il tutto per tutto ed usò il colpo dell'Orso, ma anche la più selvaggia delle bestie venne intrappolata dalla catena, che si avvolse intorno a lui, frantumando quel che restava della corazza di Scilla.
Ottenuta finalmente la vittoria, Andromeda non volle infierire e, fedele ai suoi principi sulla vita, promise a Kira che lo avrebbe lasciato libero non appena abbattuta la colonna. Con suo enorme stupore però la catena sembrò incapace di danneggiare l'enorme pilastro. Ridendo, Kira spiegò che abbattere quel che Nettuno aveva edificato non era possibile, e per di più il loro scontro non era finito. Il generale infatti frantumò la catena che lo intrappolava, mostrando che la sua forza non risiedeva solo nelle bestie della sua armatura, e poi scatenò la sua tecnica più potente, il Gorgo di Scilla.
Un terribile vortice travolse Andromeda, scaraventandolo al suolo. Nonostante il dolore, il ragazzo si rialzò, ma ormai la colonna era l'unica cosa che gli importava, e così ignorò Kira per attaccare di nuovo il pilastro, purtroppo senza fortuna. Per altre due volte Kira lanciò il Gorgo, e per altre due volte Andromeda sopravvisse, sorretto dalla fede per la giustizia e dal desiderio di salvare Atena. Al quarto assalto di Kira però, il ragazzo comprese di dover reagire e bruciò il suo cosmo al massimo, come mai prima d'ora. Il risultato fu sorprendente, Kira venne nuovamente intrappolato, ma stavolta da catene d'oro, e per di più la trasformazione non riguardava solo l'arma, ma l'intera armatura del cavaliere. Ora infatti il cosmo di Andromeda aveva raggiunto il livello dei cavalieri d'oro, e ciò aveva permesso alla corazza, che era stata riparata col sangue d'oro, di trasformarsi e raggiungere uno stadio superiore. Il prodigio non durò che pochi secondi, ma fu subito chiaro ad entrambi che Andromeda non era più un cavaliere comune.
Rassegnato alla superiorità del nemico ed incapace di liberarsi di nuovo, Kira smise di combattere, ma la sua resa non cambiava la realtà dei fatti, la colonna era ancora troppo resistente, persino ora che Andromeda aveva raggiunto il livello dei cavalieri d'oro. Consapevole di ciò, Andromeda decise di rischiare il tutto per tutto e di lanciarsi contro la colonna bruciando al massimo il suo cosmo, sperando che questo sacrificio abbattesse il pilastro. Kira tentò di convincerlo a desistere, affermando che la sua morte non avrebbe comunque ottenuto nulla, ma Andromeda ignorò le sue parole, pronto a dare la vita pur di salvare la giustizia. A salvarlo giunse inaspettato l'arrivo di Kiki, che portava con se lo scrigno d'oro della Bilancia, dono di Libra. Era stato usando le armi di Libra che Pegasus aveva abbattuto la prima colonna, ed era con quelle stesse armi che ora Andromeda avrebbe abbattuto il Pacifico del Sud. Grato a Libra per il suo aiuto, ed a Kiki per il suo tempestivo arrivo, Andromeda impugnò una delle armi, le barre gemellari, e mostrò subito di saperle usare con innata maestria, sbalordendo sia il bambino che Kira.
Finalmente nelle condizioni di abbattere la colonna, Andromeda lanciò contro di essa le barre gemellari, incurante delle parole di Kira che gli urlava di fermarsi. Non potendo fare altro, il generale cercò di proteggere la colonna col proprio corpo, ma il suo sacrificio fu vano e l'arma d'oro lo trapassò e raggiunse il pilastro, abbattendolo. L'inutile fine di Kira però riempì d'amarezza Andromeda, che aveva cercato in tutti i modi di impedire la morte del nemico. Avvicinatosi a lui, Andromeda gli chiese il perché del suo gesto, ma Kira rispose esortandolo a non cercare il sacrificio per salvare Atena. Con queste parole, il generale si spense tra le braccia di Andromeda, al quale non rimase altro che separarsi da Kiki e correre verso una nuova colonna ed una nuova battaglia.
L'obiettivo di Andromeda era ora la colonna dell'Oceano Atlantico del Sud, dal momento che poteva percepire il cosmo di Sirio all'Oceano Indiano, ed immaginava che Cristal si sarebbe occupato dei mari polari. Stranamente però, alla fine di una breve corsa, il ragazzo si ritrovò alla colonna dell'Antartico. Confuso, Andromeda iniziò a guardarsi attorno, e quasi subito trovò i corpi privi di sensi di Pegasus e Cristal, sconfitti ma privi di molte ferite recenti, come se fossero stati abbattuti da un solo colpo.
Incerto su cosa fare, Andromeda restò per qualche secondo chinato sui corpi degli amici, quando improvvisamente avvertì un cosmo potentissimo alle sue spalle. Pronto alla lotta, il ragazzo si voltò, ma dietro di lui non vide un nemico ma Phoenix, scomparso dopo la battaglia di Asgard per cercare Atena. Felice di rivedere il fratello, e rassicurato dal fatto che la catena non avvertiva più presenze nemiche, Andromeda si rilassò, ma all'improvviso Phoenix lo attaccò senza motivo con una mossa improvvisa. L'attacco fu così fulmineo che Andromeda non ebbe il tempo di reagire, ma per fortuna la catena scattò in sua difesa, parando il colpo di Phoenix, che comunque contava più sull'effetto sorpresa che sulla forza. Quell'inspiegabile gesto e la luce sinistra negli occhi del cavaliere permise ad Andromeda di capire subito che quello non era veramente Phoenix, ed in effetti, come per prodigio, i lineamenti dell'uomo cambiarono, rivelando Lemuri, generale di Nettuno. Riconoscendo il nome di Lemuri come quello di alcuni esseri mitologici capaci di cambiare aspetto, Andromeda capì la tecnica di lotta del nemico, che non ebbe problemi a confermare, ed a raccontare di aver sconfitto Pegasus e Cristal prendendo l'aspetto di Patricia ed Acquarius, due persone a loro molto care.
Disgustato dalla crudeltà di Lemuri, che non esitava a calpestare i sentimenti dei suoi nemici pur di vincere, Andromeda pianse lacrime di rabbia e giurò di sconfiggerlo. La sua catena si rivelò subito in grado di raggiungere e ferire il nemico, ed infatti Lemuri fu ben presto in difficoltà. Pronto a finirlo, Andromeda lo bloccò con la catena di difesa. Lemuri tuttavia aveva subito percepito la grande sensibilità del suo nemico e per sfruttarla prese di nuovo l'aspetto di Phoenix e chiese al ragazzo di liberarlo. Andromeda fu sbalordito dall'abilità di Lemuri, capace di copiare non solo l'aspetto fisico, ma anche la voce, le movenze e la personalità di chiunque volesse. Per evitare ulteriori dubbi, Andromeda lanciò la catena di attacco, forte del fatto che era quasi impossibile fermarla a mezz'aria, ma Lemuri, nei panni di Phoenix, continuò a supplicargli di salvarlo. Pur consapevole della vera identità del nemico, Andromeda scoprì di non avere la forza di attaccare qualcuno col volto del suo amato fratello e, scoppiando in lacrime, fermò la catena di attacco, ferendosi alla sua stessa mano. Oramai privo di ogni desiderio di lottare, Andromeda crollò in ginocchio e liberò Lemuri che, ripreso il suo vero aspetto, lo attaccò col suo colpo segreto Occhi della Salamandra. Caduto nello sconforto, Andromeda non provò nemmeno a difendersi e venne travolto in pieno, perdendo i sensi.
Nel periodo di incoscienza, Andromeda potè comunque avvertire il cosmo del vero Phoenix arrivare sul campo di battaglia e sconfiggere Lemuri. Ripresi i sensi, il ragazzo comprese di dover essere più deciso e sicuro in battaglia e, nonostante le ferite e la stanchezza, corse verso il suo obiettivo originario, la colonna dell'Oceano Atlantico del Sud. Raggiuntala, l'eroe fu sbalordito nel trovarsi davanti Syria, il generale che aveva già visto ad Asgard, e che credeva caduto insieme ad Orion. L'uomo, accolto il nemico alla sua colonna, rivelò di essersi salvato all'ultimo momento grazie alla musica del suo flauto, poi si preparò a combattere. Vedendo le condizioni in cui versava Andromeda però, Syria lo esortò ad andarsene, promettendo che gli avrebbe salvato la vita. Memore di quanto Phoenix gli aveva indirettamente insegnato alla colonna dell'oceano Antartico, Andromeda decise di non considerare neppure l'offerta del nemico e passò subito all'attacco.
Purtroppo per lui, Syria era ben in grado di fermare i suoi stanchi attacchi, e ben presto il generale reagì ed iniziò a suonare il flauto. Come già contro Mime, Andromeda si ritrovò indifeso, neppure tapparsi i timpani lo proteggeva dalla malia del flauto. Quando oramai la sua mente stava per cedere però, il canto di Atena, proveniente dalla Colonna Portante e colmo di tristezza si diffuse nel regno sottomarino, distraendo Syria che interruppe l'attacco.
La tregua non durò che pochi secondi, ma fu abbastanza da permettere ad Andromeda di rialzarsi. Syria però sembrava un nemico imbattibile per l'esausto eroe, che non riusciva a difendersi dai suoi colpi. Tentando il tutto per tutto, Andromeda formò un mulinello con la catena, sperando che questo impedisse all'aria, e quindi al suono, di raggiungerlo, ma anche questo stratagemma fu vano perché la musica di Syria era capace di raggiungere direttamente la mente della vittima. Per di più, il potere del generale aumentava continuamente, al punto che la musica mandò in pezzi sia le catene che Andromeda la Notte. Ora del tutto privo di difese, Andromeda comprese di dover ricorrere ancora una volta alla Nebulosa per cambiare l'esito dello scontro. Non avendo alternative, l'eroe iniziò quindi a generare il vento che era preludio del suo colpo più potente, ma come già con Mizar e Fish lo fece gradatamente, per dare a Syria una possibilità di arrendersi e vivere.
Pur di convincerlo a farsi da parte, e quindi a salvargli la vita, Andromeda arrivò ad aprirsi con Syria come mai aveva fatto con nessun altro, spiegandogli che la forza selvaggia della Nebulosa rinchiudeva tutto se stesso, tutta la forza e la determinazione mai dimostrate in battaglia. Per di più, Andromeda poteva avvertire in Syria la stessa sensibilità che vi era in Mime, e questo gli fece intuire che il cavaliere di Asgard era stato allievo del generale, e che quest'ultimo non era realmente malvagio. Le parole di Andromeda colpirono Syria, cui nessuno aveva mai parlato così, ma alla fine il generale decise di combattere comunque. Non avendo scelta, Andromeda scatenò la Nebulosa, travolgendo in pieno il nemico, che venne sbalzato contro la sua stessa colonna prima di precipitare a terra, sconfitto. Questa volta però, Andromeda era riuscito a controllare la violenza della Nebulosa, ed infatti Syria era ferito ma ancora vivo. Per di più, il generale si era finalmente convinto, e non oppose ulteriori resistenze. Felice di essere finalmente riuscito a vincere una battaglia senza distruggere una vita umana, Andromeda si fece porgere da Kiki, appena arrivato, una delle armi della Bilancia ed abbattè la Colonna dell'Oceano Atlantico Meridionale. Fatto ciò, e con una sola colonna ancora in piedi, Andromeda lasciò Kiki con Syria, sulla cui bontà d'animo non aveva dubbi, e corse con le poche forze che gli restavano verso il Tempio di Nettuno, dal quale sentiva provenire non solo il cosmo del Dio, ma anche quelli di Pegasus, Sirio e Cristal, segno che la battaglia finale era incominciata.
Arrivato, Andromeda vide che Pegasus aveva indossato l'armatura del Sagittario, ma notò anche che la corazza era stata danneggiata all'altezza del cuore. Davanti a Pegasus vi erano Tisifone, che aveva seguito i cavalieri nel regno sottomarino, Sirio e Cristal, intenti a fargli da scudo. Dalle parole di Sirio, Andromeda comprese che i suoi amici stavano cercando di proteggere Pegasus per permettergli di colpire Nettuno con la freccia di Sagitter, anche mettendo a repentaglio le loro vite. Senza esitare, il ragazzo si unì a loro, felice di combattere insieme ai suoi amici in quella che sperava essere la loro ultima battaglia. Insieme a Sirio e Cristal, Andromeda porse all'incerto Pegasus la freccia d'oro, esortandolo a colpire senza pensare a loro. Convinto dalle parole dei compagni, Pegasus accettò il rischio e tese l'arco contro Nettuno. Andromeda si chinò davanti a lui, pronto a proteggerlo, ed al tempo stesso bruciò il suo cosmo per sostenerlo. Alla fine, la freccia che avrebbe deciso il destino del mondo fu scoccata e, protetta dai cosmi ardenti dei cinque cavalieri, riuscì per la prima volta a superare le difese del Dio ed a ferirlo, anche se solo superficialmente, alla fronte.
Ritrovata la speranza, i cavalieri superarono di slancio Nettuno e corsero verso la Colonna Portante, per abbatterla e salvare Atena. Contrariamente a quanto credevano però, Nettuno era tutt'altro che sconfitto. Quella ferita infatti aveva risvegliato lo spirito del Dio, fino a quel momento ancora assopito nel suo corpo mortale, ed il cosmo di Nettuno si manifestò in tutta la sua devastante potenza. Impugnato il suo leggendario tridente, il Dio si voltò per riprendere lo scontro con i cavalieri. Andromeda fece appena in tempo a sentire il rumore provocato dal crollo della settima colonna, evidentemente abbattuta da Phoenix, che un colpo del tridente lo travolse insieme agli altri, facendogli perdere i sensi.
Al risveglio, pochi minuti più tardi, Andromeda vide che Sirio e Cristal avevano indossato le armature d'oro della Bilancia e dell'Acquario, e stavano affrontando Nettuno insieme a Pegasus. Deciso ad aiutarli, il ragazzo bruciò al massimo il suo cosmo, raggiungendo il settimo senso e rigenerando persino la sua armatura distrutta, che divenne d'oro, proprio come successo contro Kira. Prima che il ragazzo potesse unirsi alla battaglia però, Phoenix sopraggiunse, e per qualche secondo bloccò Nettuno, permettendo a Pegasus e gli altri di concentrarsi sulla Colonna Portante. In pochi secondi, Phoenix venne travolto, e nel vedere il fratello in pericolo Andromeda corse in suo aiuto, salvandolo da un colpo mortale. Il potere di Nettuno comunque era superiore, ed alla fine i due vennero travolti, così come Sirio e Cristal, che prima di cadere però ebbero il tempo di lanciare Pegasus contro la Colonna Portante, spingendolo con i loro colpi segreti. Accorgendosi che a mezz'aria Pegasus era un facile bersaglio, i quattro amici unirono i loro cosmi d'oro e crearono una barriera a sua difesa. Il loro gesto ebbe effetto, Pegasus frantumò la Colonna Portante, provocandone il crollo, ed emerse dalle macerie insieme a Lady Isabel, svenuta ma viva.
Mentre il regno sottomarino, privo delle otto colonne che lo sorreggevano, veniva rapidamente sommerso dalle acque, Andromeda osservò allo scontro tra le due divinità, troppo debole per intervenire. Alla fine Atena ebbe la meglio e riuscì ad imprigionare di nuovo lo spirito di Nettuno nell'anfora che lo aveva intrappolato per secoli. Attimi dopo, anche il tempio del Dio venne sommerso, ed i cavalieri furono travolti dall'acqua. Il cosmo di Atena però giunse in loro soccorso e li portò sani e salvi in superficie, insieme a Kiki e Tisifone. Con la sconfitta di Nettuno le piogge cessarono e le acque si ritirarono, scongiurando il pericolo di ulteriori inondazioni. Finalmente in pace, i cavalieri poterono ammirare insieme il tramonto, senza il timore di nuove battaglia all'orizzonte.
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