IORIA DI LEO
(LEO AIOLIA)
ETA': 14 anni (Episode G), 20 anni (serie classica)
ALTEZZA: 1.85 M
PESO: 85 Kg
OCCHI: Verdi
CAPELLI: Biondi, tinti castani (vedi Note)
DATA DI NASCITA: 16 Agosto
LUOGO DI NASCITA: Grecia
GRUPPO SANGUIGNO: 0
SEGNI PARTICOLARI: Nessuno.
PARENTI CONOSCIUTI: Micene di Sagitter, fratello maggiore.
COSTELLAZIONE / SIMBOLO: Leone, quinta costellazione dello zodiaco.
ARMATURA / ARMI: Armatura d'oro del Leone. L'armatura di Ioria non ha caratteristiche particolari, ma come tutte le armature d'oro è pressochè indistruttibile e congela solo allo zero assoluto (- 273.16 °C). Viene gravemente danneggiata nel corso del primo combattimento con Iperione e quasi muore, prima di essere riparata con il sangue di Mur dell’Ariete. In seguito, subisce leggeri danni contro Ceo e Ponto. Anni dopo, viene danneggiata da Radamante al castello di Hades, ma si rigenera da sola nel Cocito. Indossata anche da Phoenix, viene distrutta da Thanatos nell’Elisio.
STIRPE: Cavaliere d'oro di Atene, protettore della quinta casa del Grande Tempio.
PRIMA APPARIZIONE: Episodio 16, "L’attacco di Docrates" (anime), Saint Seiya N° 1, 1° capitolo (manga).
EPISODI (SAGA): 16, 26, 36-38, 41, 51-54, 59, 63, 73 (saga del Grande Tempio), 83 (saga di Asgard), 111, 113-114 (saga di Nettuno), OAV 4 (Lucifero), 117, 119, 122-127, 137-139 (saga di Hades), OAV 5 (Tenkai). Saint Seiya Soul of Gold 1-13.
NUMERI DEL MANGA: 1, 7-10, 13-14, 17-18, 20-22, 26, Episode G.
COLPI SEGRETI / POTERI: Ioria possiede un cosmo molto potente, con una particolare affinità per il fulmine, o Keraunos, che lo accomuna, in termini di tipologia, all’aura del sommo Zeus. Essendo il fulmine l’unico elemento che gli altri Dei non possono controllare, nonché quello in grado di causare loro i danni più gravi, il cosmo di Ioria viene spesso definito deicida. Questo cosmo si manifesta con quattro attacchi, il più comune dei quali è il Sacro Leo. Sollevando il pugno, Ioria scatena un fittissimo reticolato con migliaia, a volte anche milioni di colpi alla velocità della luce, che, a causa dell’enorme velocità, possono fungere anche da difesa. Il reticolato non segue uno schema fisso ma è in costante movimento, anche se gli spazi tra i colpi sono tali che è possibile evitarli se si è dotati di sufficente agilità. Pur trattandosi di colpi sottili, i fasci del Sacro Leo sono in grado di danneggiare gravemente o anche frantumare un’armatura, mentre il loro numero permette al Cavaliere di Leo di colpire anche decine e decine di nemici contemporaneamente. In caso di bisogno, Ioria può rallentare la velocità o ridurre il numero di colpi, di solito per far lentamente crescere la potenza del cosmo e poi liberarla di scatto. Nel corso del loro primo duello, Iperione spiega che il Sacro Leo agisce perché i pugni di Ioria, mossi alla velocità della luce, fendono l’aria e credono un corridoio di vuoto, all’interno del quale si inserisce la tensione creata dal cosmo. Siccome la luce è più veloce nel vuoto che nell’atmosfera, il Sacro Leo è tra le tecniche più rapide esistenti. Di solito, quando Ioria la usa, alle sue spalle compare un leone ruggente, che però è solo una semplice manifestazione del suo cosmo. Di solito, Ioria utilizza il Sacro Leo sia contro gruppi di nemici che contro avversari individuali, puntando sul numero e sulla velocità dei pugni più che sulla potenza pura. In caso di bisogno però, può concentrare i fasci in un colpo solo, la Zanna del Leone (occasionalmente chiamata anche lei erroneamente Sacro Leo). Questa tecnica è un po’ quello che la Meteora è per Pegasus, ovvero un’arma più forte ma anche a raggio ridotto, che il Cavaliere sferra con il pugno o, riducendone la potenza, con la punta del dito. Corrisponde in pratica ad un singolo pugno ad alta velocità, in cui Ioria immette una grossa quantità del suo cosmo, aumentandone la forza distruttiva. È particolarmente letale a breve o medio raggio, ma è quando Ioria la esegue a distanza ravvicinatissima che diventa devastante, riuscendo persino ad incrinare la Soma di Iperione. In alcune occasioni, il Cavaliere la esegue disegnando un arco con il braccio, in modo da rilasciare una specie di ventaglio di energia, che copre un’area medio-piccola senza lasciare spazi scoperti come il Sacro Leo. In questo caso però è molto probabile che la potenza della Zanna sia ridotta. Il difetto principale di questa tecnica è che, essendo estremamente concentrata, può essere schivata più facilmente rispetto al Sacro Leo. Forse per questo motivo, il Cavaliere la utilizza relativamente di rado, specie da adulto.
La terza tecnica di Ioria è una variante del Sacro Leo, il Lightning Fang, ovvero Zanna del Fulmine. È praticamente un Sacro Leo eseguito colpendo il suolo ai piedi del Cavaliere ed immettendo in esso il suo cosmo, che poi riemerge sotto forma di fulmini a diversi metri di distanza. Non è un colpo molto potente, anzi probabilmente è il più debole dei quattro, ma è preciso ed imprevedibile. Ioria può infatti controllare al millimetro i punti di uscita delle saette, mentre l’avversario non può prevederle perché viaggiano sottoterra. Non è noto quale sia la massima distanza di esecuzione, né fino a che altezza possano uscire i fulmini, mentre il numero può essere determinato dal Cavaliere in base alla quantità di cosmo immessa a terra. Da notare che l’energia non può venire accumulata dal suolo, per cui Ioria è obbligato a lasciare il pugno conficcato a terra finché la tecnica è in esecuzione. In teoria, gli effetti dovrebbero variare in base al tipo di suolo, o alla presenza o meno di acqua, ma la cosa non viene mai approfondita.
Questi tre colpi segreti sono quindi essenzialmente varianti dello stesso concetto. Il discorso però cambia per la tecnica più potente di Ioria, il Photon Burst, la cui forza è tale che Micene ordinò al fratello di non adoperarlo se non in casi eccezionali in cui ci fosse stato qualcuno di caro da proteggere. Il Photon Burst è un’arma unica del suo tipo perché composta da quattro stadi e mirante a distruggere il nemico dall’interno, bypassandone quindi l’armatura. La prima fase è il Photon Invoke, durante la quale Ioria espande al massimo il suo cosmo e lo emette all’esterno, facendolo manifestare come un cielo stellato. Gli astri sono in realtà fotoni, e rimangono sospesi a mezz’aria finché il cosmo di Ioria li sostiene, rischiando però di disperdersi con il passare del tempo o il calare della concentrazione di Leo. La seconda fase è il Cosmos Open, in cui gli astri formano una specie di cielo e si avvicinano al bersaglio, brillando più luminosi che mai. E’ la fase che fa da preludio al terzo stadio, il Photon Drive, durante il quale i fotoni entrano all’interno del corpo del nemico, passando attraverso l’armatura senza danneggiarla. Non è ben chiaro come ciò avvenga, ma i fotoni sembrano lasciarsi assorbire e passare attraverso la materia, un po’ come la luce in parte fa con oggetti sottili come la carta o la stoffa. Una volta nel corpo del nemico, i fotoni si distribuiscono in maniera più o meno uniforme, e sembrano anche diminuire di numero e concentrarsi in alcuni punti. Tutto ciò per poi eseguire il Photon Burst vero e proprio, ovvero la devastante esplosione dei fotoni che, bruciando, dilaniano le carni del nemico dall’interno. Quest’ultima fase dovrebbe essere la più dispendiosa di energia, perché Ioria deve innalzare al massimo il suo cosmo per rendere pericolosi i fotoni, e deve controllarne l’esplosione. Gli effetti però sono notevoli, e, in termini di pura potenza, il Photon Burst è una delle tecniche più devastanti della serie, paragonabile all’Esplosione Galattica di Gemini. Riesce infatti a superare persino un’armatura impervia come una Soma, a ferire a morte il corpo divino di un Titano ed a devastare la manifestazione del cosmo di Crono. Ha però alcuni limiti, il primo dei quali è il tempo necessario ad eseguirlo. Ioria diventa più rapido grazie alla pratica, ma i quattro stadi richiedono comunque diversi secondi o minuti, durante i quali il Cavaliere non può né difendersi né muoversi ed è in balia del nemico. Si tratta inoltre di una mossa che consuma un’enorme quantità di energia, e che non può essere usata più di due volte di fila, con enorme sforzo. Durante il loro ultimo duello, Ceo trova il modo di annullarla assorbendo i fotoni, ed è anche probabile che sia possibile schivarli durante la fase del Photon Drive.
A parte questi colpi segreti, Ioria possiede il settimo senso ed i poteri tipici dei Cavalieri d’Oro, come la capacità di muoversi e colpire alla velocità della luce. Il suo sangue, in determinate condizioni, può agire come catalizzatore per riparare o far evolvere un’armatura. Verso la fine della serie di Hades, con l’aiuto del cosmo di Atena riesce a risvegliare anche l’ottavo senso ed a riprendere il controllo del proprio corpo in Ade. Una particolarità del cosmo di Ioria è che possiede poteri curativi, in grado di risanare parzialmente anche ferite molto gravi, o di farne scomparire quasi totalmente il dolore. In ambo i casi, il potere non cura totalmente la ferita, ma la allieva abbastanza a lungo da permettere cure appropriate. Ioria di solito lo usa con una semplice imposizione delle mani, anche attraverso l’armatura, ma non sembra in grado di usarlo su di sé o durante uno scontro. Durante le battaglie nel Tartaro, Ioria risveglia e padroneggia temporaneamente la Dunamis, ovvero il cosmo degli Dei antichi, che permette di rigenerare qualsiasi cosa agendo sul legame tra gli atomi. Grazie ad essa, riesce a compiere imprese straordinarie, ma il suo potere scompare al ritorno sulla Terra. In seguito al duello con Ceo, riceve anche il suo Keraunos, che rende temporaneamente più potenti i suoi colpi segreti.
STORIA: Verosimilmente orfano di entrambi i genitori sin dall’infanzia, Ioria nacque in Grecia, fratello minore di Micene, colui che, ben presto, divenne Cavaliere d’oro di Atena e custode dell’armatura di Sagitter. Non conosciamo le circostanze esatte ma, spronato dal fratello e ritenuto un predestinato, anche Ioria iniziò, piccolissimo, l’addestramento per diventare Cavaliere. Fu proprio Micene a fargli da istruttore, oltre che da padre e da fratello maggiore, incoraggiandolo e insegnandogli i segreti del cosmo, grazie al quale era possibile compiere imprese straordinarie. Comprensibilmente, Ioria sviluppò immediatamente un profondo affetto misto ad ammirazione nei confronti del fratello maggiore. Altre due figure importanti della sua infanzia furono due apprendisti Cavalieri profondamente legati a Micene: Galarian Steiner, comunemente chiamato Galan, e Shura. Con il secondo, Ioria ebbe relativamente poco a che fare, soprattutto a causa di caratteri abbastanza differenti, ma con il primo si instaurò subito un legame forte, nonostante Galan lavorasse come servitore di Micene ed aspirasse alla stessa armatura di Ioria: la corazza del Leone. Sebbene un po’ troppo attento alle regole ed alle procedure, Galan era di carattere nobile e generoso, e ciò permise al bambino di affezionarglisi facilmente.
Sin da piccolo, Ioria mostrò una strabiliante attitudine al controllo del cosmo, imparando in tenera età a sferrare raggi di energia semplici ma dal discreto potenziale distruttivo. Nel far ciò, divenne chiaro che il suo cosmo aveva come impronta il fulmine, e che la sua aura si manifestava non solo come alone luminoso, ma anche sottoforma di scariche di elettricità statica. Ben presto, il bambino imparò a modellare quegli attacchi in una serie di scariche, creando la prima versione del Sacro Leo, anche se ovviamente era ancora lontano dalla velocità della luce (vedi Note). Un’altra cosa che faceva di Ioria un piccolo genio era l’abilità con le lingue: oltre al greco, lingua base del Grande Tempio e della zona sacra nonché della sua patria, imparò a parlare fluentemente il giapponese e, in maniera discreta, l’inglese, con il quale però incontrò sempre alcune difficoltà. Venne inoltre istruito sulle leggende ed i miti greci, apprendendo la storia di Atena e delle Guerre Sacre, nonché concetti come l’Ichor, il sangue divino.
Tale era l’abilità del bambino che, un giorno, Micene decise di portarlo con sé in missione in Egitto, dove venne inviato dal Grande Tempio per indagare su delle misteriose rovine che emanavano un potente cosmo oscuro. Fingendo di chiamarsi Rius, e dicendo che il nome di Ioria era Leo, Micene entrò così in contatto con Miko Hasegawa, l’archeologa giapponese che aveva accidentalmente scoperto le rovine. Impegnato insieme a Galan ad ottenere alcuni permessi diplomatici, Micene chiese a Miko di prendersi cura di Ioria, ma in realtà era un trucco per far sì che fosse il bambino a poter proteggere l’archeologa da eventuali minacce. Nonostante avesse solo cinque o sei anni (vedi Note), Micene considerava infatti il fratellino già meritevole di fiducia e desiderava metterlo alla prova, soprattutto perché diventare Cavalieri significa proteggere gli esseri umani. La sua fiducia era ben riposta: nelle vicinanze delle rovine, Ioria e Miko vennero attaccati da creature di sabbia, che però il bambino seppe distruggere grazie al suo cosmo. I due entrarono così nelle rovine e, debellati altri mostri con il suo Sacro Leo, Ioria scoprì che la camera mortuaria principale era ricolma dell’Ichor di un Dio greco, segno che qualcuno, probabilmente una divinità malvagia, era stata imprigionata in quel luogo. Nonostante la sua straordinaria abilità però, Ioria era ancora lontano dal diventare un guerriero, e fu necessario l’intervento di Micene a salvarlo dagli assalti di una nuova orda di creature, rese più forti dal contatto con l’Ichor. Tale era la fiducia del bambino nei confronti del fratello che, anche quando il vero nemico si rivelò essere il Dio egizio Apopi, Ioria non dubitò neppure per un istante che Micene avrebbe trionfato. Ai suoi occhi, il fratello era invincibile, soprattutto quando era determinato a proteggere qualcuno. Tale fiducia era ben riposta visto che Micene riuscì a trionfare e portare a termine la missione.
Salutata Miko, il gruppo ritornò in Grecia, dove la vita riprese a scorrere e Ioria continuò il suo addestramento. Fu circa un anno dopo che le sue certezze subirono il primo grosso scossone: un giorno, Galan venne arrestato e rinchiuso nella Prigione di Urano, il luogo dove erano segregati coloro che si erano macchiati di gravi colpe. Rifiutando di credere che il suo amico fosse un criminale, il bambino corse da lui e, trovatolo in catene, chiese spiegazioni. Galan però ammise il suo crimine, affermando di aver rubato il sacro tesoro del Grande Tempio. All’arrivo di Micene, preoccupato per l’amico, Galan raccontò di aver rubato l’anfora contenente l’Ichor di Atena, nella speranza di poterlo usare per guarire sua madre, gravemente malata. Il furto era stato inutile perché la donna era morta prima del suo arrivo, ed ora Galan era condannato a morire combattendo contro un uomo scelto dal Santuario. Il suo volere, era che quell’uomo fosse proprio Micene. Ioria non riusciva a capire perché il fratello avesse accettato di combattere, ma Sagitter gli spiegò l’importanza del rispettare il volere di un amico, e di riconoscerne la forza lottando con tutte le sue forze. Sotto gli occhi del bambino, Micene vinse, ma lo fece combattendo ad armi pari senza armatura. In seguito, il Santuario mostrò clemenza e risparmiò la vita di Galan, che nel combattimento perse un occhio e un braccio, e gli permise di continuare ad essere un servitore di Ioria. Quest’episodio, nella sua cruenza, fu fondamentale per far capire al bambino l’importanza di agire sempre con rispetto verso compagni ed avversari, nonché la maturità che a volte era necessaria per poter essere un Cavaliere.
Sostenuto da Galan e Micene, Ioria continuò il duro addestramento, sottoponendosi a prove sempre più difficili, e sviluppando ulteriormente il colpo segreto del Sacro Leo. Alla fine, i suoi sforzi furono premiati, ed il ragazzo ottenne l’armatura d’Oro del Leone, entrando a far parte della schiera dei dodici custodi dorati e partecipando alle riunioni periodiche da loro organizzate. In quest’occasione, Ioria conobbe anche la maggior parte dei suoi parigrado, per lo più della sua stessa età. In realtà però, anche con l’investitura, l’addestramento non era concluso (vedi Note) e, indossando la sua armatura d’Oro, Ioria continuò a combattere regolarmente con Micene per affinare le sue tecniche. Memore delle parole dettegli dal fratello tanti anni prima sull’importanza di proteggere i più deboli, il ragazzo iniziò a lavorare ad un nuovo colpo segreto, una tecnica invincibile con cui sconfiggere qualunque avversario: il Photon Burst. Finalmente un giorno, durante una sessione di allenamento, riuscì ad eseguirlo, sotto gli occhi attenti di Micene. Quest’ultimo rimase impressionato dalla forza devastante di quel colpo, ma ne notò anche gli effetti collaterali, ed in particolare l’enorme consumo di cosmo necessario, concludendo che, se usato in battaglia, avrebbe potuto uccidere anche Ioria oltre al nemico. Vietò così al fratello di farne uso, se non in circostanze eccezionali, ovvero per proteggere Atena, o una persona amata, o un amico, o comunque una vita innocente. In altre parole, era un’arma da usare non per uccidere ma per salvare qualcuno. Pur non comprendendo del tutto la profondità delle sue parole, Ioria acconsentì e mise da parte il Photon Burst, ma solo dopo aver confidato al fratello che la persona che amava maggiormente era proprio lui.
Purtroppo, i giorni felici dell’infanzia non erano destinati a durare. Prima, il Grande Sacerdote morì di colpo, venendo sostituito dal suo vice Arles. Poi, una notte, sotto la statua di Atena al Grande Tempio, venne trovata un'orfanella neonata, e subito si fece strada l'idea che si trattasse della reincarnazione della Dea, il cui ritorno indicava chiaramente che presto le forze del male sarebbero giunte a minacciare la terra. La fanciulla venne chiamata Isabel, e, in attesa della cerimonia di iniziazione alla Dea, venne affidata alla protezione di Micene. Tutto sembrava andare per il meglio ma, una notte, accadde la tragedia che segnò per sempre la vita di Ioria. Micene rapì inspiegabilmente Isabel, l’uccise e cercò di scappare dal Santuario, inseguito dagli altri Cavalieri d'Oro. Prima di andar via, il Sagittario parlò di nascosto a Ioria, salutandolo senza una spiegazione ma dicendogli che doveva completare una missione e che un giorno anche lui si sarebbe trovato in una situazione simile e avrebbe sacrificato tutto per portare a termine l'incarico affidatogli. Subito dopo, Micene fuggì, ma venne ostacolato e mortalmente ferito da numerosi Cavalieri d’Oro, in particolare Capricorn. La notizia fu tanto incredibile quanto devastante: per quanto le prove fossero schiaccianti, Ioria non poteva credere che suo fratello, l’uomo che gli aveva insegnato il vero significato dell’essere un Cavaliere, fosse in realtà un traditore ed un assassino. In una notte di pioggia, sfidò la legge del Grande Tempio e si recò di persona al tempio di Sagitter, trovandosi di fronte alla salma di Micene, nascosta sotto un velo funebre. Solo a quella visione scoppiò finalmente in lacrime, andando via senza osare alzare il velo e guardare il cadavere del fratello. A peggiorare le cose, il nome stesso dell’eroe era ora marchiato con il fuoco dell’infamia e del tradimento. Coloro che un tempo lo avevano ammirato, ora ne calunniavano apertamente la memoria, non esitando a farlo in presenza di Ioria. Il ragazzo stesso venne accusato di portare nelle vene il sangue di un traditore, ed isolato come un reietto. Un odio profondo si instillò nel suo cuore nei confronti dei Cavalieri d’Oro e del Grande Sacerdote, che avevano direttamente o indirettamente ucciso Micene. Le speranze ed i sogni vennero sostituiti dal cinismo, le leggi del Grande Tempio divennero ai suoi occhi mere formalità, i Cavalieri creature paragonabili ai mostri leggendari, schiavi del loro ruolo e privi di reali possibilità di scelta. Ioria si rinchiuse in un quasi completo isolamento, smise di partecipare alle riunioni o di indossare l’armatura come divisa, ed evitò il più possibile gli altri Cavalieri d’Oro, serbando segretamente il desiderio di affrontare ed uccidere un giorno Capricorn. Iniziò a negare l’idea stessa di fato o destino, rifiutando di credere che Micene potesse essere nato per fare una fine così infame. Ma, nonostante tutto, in cuor suo non smise mai di credere nel fratello e di considerarlo innocente, pur non potendo spiegarne le azioni. In segno di eterno affetto, legò l’elmo della sua armatura d’Oro, la cosiddetta criniera del leone, alla sua urna cineraria, e spesso vi depositò fiori o offerte, nonostante essa fosse vuota perché il Santuario aveva rifiutato di consegnargli le spoglie del Sagittario. Ioria rimase inoltre fedele ai principi insegnatigli da Micene, trattenendosi dall’uccidere coloro che schernivano la memoria del fratello in sua presenza.
Trascorsero così anni di dolore e amarezza, durante i quali l’unico sostegno per Ioria fu Galan. In questo periodo, il ragazzo continuò anche il suo addestramento ma, privo della guida di Micene, la sua crescita finì per arrestarsi. Nessuno era disposto a fargli da maestro o a dargli consigli, per cui non poteva far altro che continuare ad eseguire gli stessi esercizi di sempre, rendendoli più pesanti per compensare lo sviluppo fisico. Quando Galan glielo fece notare, Ioria gli chiese di diventare il suo nuovo maestro, ma il servitore rifiutò, affermando di non essere abbastanza forte o abile, specie dopo la perdita del braccio destro. Si prodigò però gli rammentargli l’importanza di proteggere il prossimo, specie quando Ioria iniziò a vedere nella forza un modo per essere ascoltato e per convincere tutti dell’innocenza di Micene. Gli fece inoltre notare che lui aveva il grande dono di rialzarsi sempre e continuare a lottare, il dono del coraggio. Leo prese a cuore quelle parole, e la sua stima per Galan aumentò. Tra l’altro, visti i suoi trascorsi con Micene, anche quest’ultimo era vittime di accuse e provocazioni ma, non curandosene, restava di sua volontà al servizio di Ioria, nonostante con il suo curriculum gli sarebbe stato possibile trovare lavoro altrove nel Grande Tempio. Ciò non soltanto per rispetto alla memoria di Micene, ma anche e soprattutto perché Galan vedeva in Ioria il più nobile tra i Cavalieri: un ragazzo pronto a proteggere anche coloro che lo calunniavano, e di cui andava veramente fiero. Commosso dalle sue parole, dopo qualche tentativo di mandarlo via, il giovane Leo accettò la sua presenza e iniziò a vedere in lui un altro fratello maggiore, quasi un padre. Nonostante la stua presenza però, la vita al Grande Tempio era quasi insostenibile, e spesso Ioria cercava di sfuggirvi accettando missioni in terre lontane, inclusa una seconda spedizione in Egitto, dove affrontò e sconfisse facilmente un avatar del dio Anubi. All’epoca l’eroe non se ne rese conto, ma questi erano i primi segni della natura deicida del suo cosmo, legata alla natura del fulmine, non a caso lo stesso tipo di potere del sommo Zeus.
Nonostante la presenza e l’affetto di Galan, gradualmente quella vita di solitudine, unita al rancore per la sorte del fratello, finì per far chiudere in sé il ragazzo, rendendolo schivo e taciturno. Iniziò inoltre a tingersi i capelli, per evitare di assomigliare troppo a Micene e risvegliare con la sua sola presenza il risentimento della gente, ed a disinteressarsi degli altri, ritenendo di non avere valide motivazioni per aiutarli. Un giorno, circa sei anni dopo la cosiddetta Notte degli Inganni, Ioria venne inviato in missione in America su richiesta del governo statunitense, allarmato da un attacco terroristico portato alla stazione nucleare di Three Mile Island da un uomo misterioso, palesemente dotato di poteri da Cavaliere. Seppur svogliato, il ragazzo obbedì e si recò sul posto, dove gli venne presentato John Black, un mediatore che avrebbe dovuto accompagnarlo all’interno della centrale nucleare. Non fidandosi di lui, Ioria tirò di nuovo fuori il soprannome usato con Miko tanti anni prima e si presentò semplicemente come Leo, contando sul suo inglese, ancora un po’ scarso, per mantenere al minimo la comunicazione. Durante i preparativi però, l’atteggiamento di John Black lo incuriosì, specie quando quest’ultimo gli promise di proteggerlo, non per ragioni di stato o per l’onore della sua nazione, ma perché poter usare la testa e le parole per difendere delle persone, anche se perfetti sconosciuti, era il suo orgoglio. Erano concetti talmente simili a quelli insegnatigli da Micene, da far parzialmente breccia nel suo cuore e convincere Ioria a fidarsi di John Black abbastanza da usare il suo cosmo per proteggerlo dalle radiazioni della centrale nucleare. Insieme, i due entrarono nel complesso e trovarono il terrorista, che si rivelò essere un ribelle del Grande Tempio il quale, non essendo riuscito a conquistare l’investitura, aveva messo in moto quella crisi per poter incontrare un Cavaliere, sconfiggerlo e ottenere il titolo. Non riconoscendo Ioria, l’uomo lo attaccò e John Black si pose istintivamente a sua difesa, venendo mortalmente ferito dal suo colpo. Vedere uno sconosciuto sacrificarsi per lui senza secondi fini, risvegliò nel cuore del ragazzo i sentimenti legati all’essere un Cavaliere, ricordandogli che non erano necessarie motivazioni per aiutare il prossimo. Indossata l’armatura, annientò facilmente il ribelle, condannandolo alla pena peggiore per un guerriero: essere sepolto in una tomba senza nome e dimenticato dalla storia. Chiese poi perdono al cadavere di John Black, ringraziandolo per avergli indirettamente ricordato il suo compito, e rivelandogli finalmente il suo vero nome.
Appena tornato al Santuario, Ioria ricevette l’ordine di distruggere un misterioso gigante che da qualche giorno stava terrorizzando la regione del Pindo. La missiva gli venne consegnata da Acquarius, un altro Cavaliere d’Oro, la cui presenza riaccese il cinismo del giovane, che arrivò persino ad attaccarlo quando l’altro accennò al tradimento di Micene. Recatosi sul posto, il ragazzo incontrò un bambino, che lo supplicò di non uccidere suo padre. Il Gigante era infatti una statua di pietra scolpita dal genitore del bambino appena prima della morte. Il suo spirito, non volendo lasciare il figlio solo al mondo, migrò nella scultura, che ora vagava disperata alla sua ricerca senza riuscire a capire la realtà. Pur di fermarla, il bambino era pronto a morire, ma Ioria, memore delle parole di John Black, gli fece notare come il padre desiderasse continuare a proteggerlo anche dopo la morte. Per placarne lo spirito, promise quindi di prendersi cura di lui e di fargli da fratello finché non fosse diventato grande. Le sue parole, supportate da un cosmo puro, fecero breccia e permisero a Ioria di abbattere il Gigante. Il ragazzo tornò così alla quinta casa in compagnia del bambino, di nome Lythos Crysalis, e lo presentò a Galan, dicendo che d’ora in poi avrebbe vissuto con loro. In realtà, la convivenza all’inizio non fu facile, anche perché Lythos non era un bambino ma una bambina, la cui bizzarra abitudine di parlare di sé al maschile causò qualche momento di imbarazzo e confusione, che se non altro ricordò al giovane Leo come non si dovesse mai giudicare basandosi sulle apparenze. Nonostante questi piccoli problemi, il cuore di Ioria era adesso più sereno: l’arrivo di Lythos aveva portato una ventata d’aria fresca nella quinta casa, creando, insieme a Galan, una parvenza di famiglia, ovvero persone che accettavano il Leone per quello che era. Anche gli incidenti di tutti i giorni, come il vino allungato con l’acqua o le torte fatte erroneamente con il sale al posto dello zucchero, erano in fondo momenti sereni e piacevoli. Non erano purtroppo destinati a durare: ad insaputa di Ioria, nubi oscure si stavano addensando su di lui, a causa di una misteriosa profezia. Per testare la sua forza, un cosmo malvagio prese improvvisamente il controllo di Galan e lo aizzò contro di lui, mettendolo nella complicata situazione di non potersi difendere per timore di uccidere l’amico. Nonostante un altro Cavaliere d’Oro, Virgo della sesta casa, lo esortasse a mettere da parte i sentimenti ed eliminare Galan, Ioria decise di non abbandonare l’unica persona che lo apprezzava per quello che era. Le sue parole risvegliarono il cosmo del servitore abbastanza da permettergli di contrastare la possessione, e così Leo riuscì a salvarlo riducendo al minimo le ferite. Non volendo farlo sentire in colpa, non gli raccontò neppure la verità, dicendo che le ferite erano state causate da un crollo spontaneo di parte della quinta casa.
Il modo in cui quel cosmo ostile era entrato nel Grande Tempio spinse il Sacerdote ad indire un Chrysos Synagein, ovvero una riunione di tutti i Cavalieri d’Oro. Ciò era un problema, perché la presenza al Chrysos Synagein era obbligatoria e mancare, senza le dovute ragioni, avrebbe portato ad un’accusa di ribellione. D’altra parte, Ioria da anni non partecipava più alle riunioni facoltative, proprio per evitare di incontrare gli uomini che riteneva responsabili della morte di Micene. A sbloccare la situazione fu involontariamente Lythos, che, letta la missiva d’invito, corse nella sala del Synagein per supplicare i presenti di attendere ancora un po’. In quei pochi giorni, la bambina aveva infatti visto come la luce del cosmo di Ioria desse un senso alla vita di coloro che lo circondavano, e per questo non voleva che venisse accusato di ribellione. Per poco questo gesto non le costò la vita, perché l’ingresso nella sala del Synagein era vietata ai non Cavalieri d’Oro, e Cancer, spietato custode della quarta casa, non avrebbe esitato ad ucciderla. Ioria però arrivò appena in tempo e difese Lythos, definendola "la sua sorellina". A complicare le cose, proprio in quel momento il Grande Tempio venne attaccato, e non da un nemico comune ma da un Dio: Iperione il Nero, della stirpe dei Titani, venuto a impossessarsi della Megas Drepanon, l’arma leggendaria appartenente al suo signore Crono e nascosta proprio nel Santuario. I Cavalieri d’Oro avvertirono l’avvento del suo cosmo, ma, vincolati dalle regole del Synagein, non potevano andare ad affrontare il nemico, che stava facendo strage di soldati semplici. Seccato da tutte quelle regole inutili, Ioria si avviò verso l’uscita per andare a combattere e, quando Cancer lo derise ricordando il tradimento di Micene, rispose abbattendolo con un calcio. Nello stesso momento però anche lui venne ferito dal parigrado, più abile di quanto potesse sembrare. La rissa venne fermata sul nascere dall’arrivo del Grande Sacerdote, ma Ioria aveva previsto anche questo e chiese, con successo, di essere punito per la sua mancanza di disciplina venendo mandato in contro al nemico. Il Sacerdote acconsentì, accettando anche di perdonare Lythos per aver violato la sala della riunione.
Leo andò così sul campo di battaglia, arrivando appena in tempo per salvare un bambino dalla mano assassina di Iperione. Nell’apprendere la natura divina dell’avversario, lo criticò aspramente per la sua crudeltà verso i deboli, promettendogli di ucciderlo. In realtà però, la forza di Iperione si rivelò straordinaria, e Ioria venne rapidamente soverchiato sia in attacco che in difesa. Capace di parare la Zanna del Leone con una sola mano, o di annullare tutti i suoi colpi, il Titano ammaccò l’armatura d’oro con un semplice pugno, e mirò i propri assalti alla testa, perrennemente priva di elmo. Anche a causa della ferita subita da Cancer, la differenza tra i due guerrieri era palesemente enorme, e in pochi secondi Ioria si ritrovò imprigionato dell’Ebony Vortex, un tornado nero che lo avrebbe fatto lentamente a pezzi. Non avendo tempo da perdere, Iperione cercò di finirlo subito, ma Lythos si pose a difesa del padrone, dicendosi pronta a sacrificarsi per lui. Ciò diede all’eroe l’attimo e la motivazione necessari a sfondare l’Ebony Vortex con il Sacro Leo e riprendere la battaglia. Inizialmente, nulla pareva mutato: nemmeno quel colpo segreto poteva nulla su Iperione e sull’armatura che lo proteggeva. Ioria però non era dotato solo di forza bruta, ma anche in grado di formulare una strategia, grazie alla quale riuscì finalmente a colpire il nemico al fianco. Con suo enorme stupore, la corazza del Titano resse, mentre il suo braccio sinistro andò in pezzi. Ciò perché Iperione indossava una Soma, armatura forgiata dalla divina Gaia tanto resistente in difesa quanto poderosa nell’offesa. Disperatamente deciso a proteggere Lythos, il Cavaliere tentò allora il tutto per tutto e contrastò il potere della Soma con l’esplosione del suo cosmo. Nel caos che seguì, si privò di parte dell’armatura del Leone e la usò per ingannare Iperione, in modo da poterlo colpire dall’alto nello stesso punto già raggiunto e indebolito in precedenza. Era una strategia quasi suicida, ma Ioria riuscì a portarla a compimento grazie al suo spirito di osservazione ed alla velocità della luce, che gli permise di schivare l’Ebony Vortex e portare a segno il pugno. Il danno sulla Soma fu minimo, mentre il ragazzo era moribondo, ma Iperione ne fu abbastanza intrigato da decidere di interrompere il duello e ritirarsi, promettendo però che in futuro si sarebbero scontrati di nuovo. Sollevato dall’essere riuscito a proteggere Lythos, Ioria la ringraziò per la fiducia e la forza che gli aveva trasmesso, poi crollò esanime. Indifeso, rischiò di essere eliminato dai soldati al seguito di Iperione, ma a proteggerlo giunse Castalia, una giovane Sacerdotessa d’Argento che ricondusse il ragazzo al Grande Tempio.
Purtroppo, la vittoria aveva avuto un prezzo, e l’armatura del Leone era gravemente danneggiata. L’unico in grado di ripararla era un certo Mur, che viveva in Jamir, una regione sperduta tra il Tibet e l’India. Appena in condizione di viaggiare, Ioria partì per andare da lui, accompagnato da Lythos e dal Cavaliere del Toro, che insistette per viaggiare con loro, spiegando sibillinamente che la sua presenza era necessaria per la riparazione della corazza. Dopo qualche sosta forzata per comprare souvenir ed un breve scontro con degli inquietanti scheletri viventi, i tre raggiunsero la torre in cui viveva Mur ed incontrarono quest’ultimo. Inizialmente, i due partirono con il piede sbagliato, con Mur che non amava il cosmo aggressivo del Leone, e Ioria infastidito dalla sua serafica calma, ma la cosa si rivelò un vantaggio quando entrambi percepirono dei cosmi ostili invisibili vicino a loro, e decisero di ingannarli simulando uno scontro. Estratta l’armatura del Leone, Mur disse che ormai era morta e che quindi non era possibile ripararla. Ioria rispose attaccandolo, e spingendo Mur a mostrare i suoi straordinari poteri di telecinesi, grazie a quali prima si teletrasportò al sicuro e poi lo imprigionò in una robustissima morsa psichica. L’armatura d’Oro, seppur ormai morente, corse allora in difesa del padrone, permettendogli di liberarsi e colpire i reali nemici con il Sacro Leo. Purtroppo, a causa dei danni della corazza, Ioria non poteva muoversi liberamente, e così uccise solo i soldati semplici ma non il reale nemico, che si rivelò essere un altro Titano: Giapeto delle Dimensioni. In quanto abitante di quei luoghi, Mur, a sua volta Cavaliere d’Oro d’Ariete, decise di combattere da solo e, indossata la propria armatura, teletrasportò poco lontano Ioria, Toro e Lythos. Leo, avendo appena visto in prima persona la forza del compagno, decise di aver fiducia in lui e di lasciarlo lottare senza intromettersi. Assistette così ad un lungo duello, durante il quale Mur seppe sempre rispondere alle particolari tecniche del nemico, sfoderando numerosi e terribili colpi segreti, a dimostrazione che, nonostante il suo aspetto da uomo mite, in realtà era un pericoloso guerriero. Proprio quando Giapeto, seccato, stava per fare sul serio, il combattimento venne interrotto dal comparire di un cosmo immenso appartenente a Crono, il signore dei Titani. Costui ordinò a Giapeto di ritirarsi e poi volse lo sguardo verso Ioria, definendolo "l’uomo del malaugurio", colui che, nato sotto le stelle del tradimento e della ribellione, era destinato a liberarlo dal sigillo di Zeus. Ioria rifiutò rabbiosamente una tal sorte, affermando che avrebbe stabilito lui stesso il proprio futuro, ma Crono scomparve senza dubbi o esitazioni.
Colpito dalla purezza del cosmo di Ioria, Mur decise di perdonarne l’ardore e di riparare la sua armatura, spiegando che, per farlo, era necessaria una gran quantità di sangue di Cavaliere. Grazie alle ferite causategli da Giapeto, l’Ariete non ebbe problemi ad adoperare il proprio, ignorando le proteste di Ioria, che, a conferma del suo animo nobile, non voleva che il compagno rischiasse la vita. Grazie a Mur, l’armatura del Leone tornò così a nuova vita. Lasciato il compagno alle cure di Toro, Ioria e Lythos, allarmati da un cosomo sospetto, fecero rapidamente ritorno al Grande Tempio, arrivando appena in tempo per ricambiare il favore a Castalia e salvarla dal gigante Lava Rossa. Nonostante la natura divina di quest’ultimo, il Cavaliere lo massacrò letteralmente, confermando la natura deicida e violenta del suo cosmo, più simile a quello di una belva che di un essere umano, ma anche la bontà del suo cuore, pronto a combattere per proteggere il prossimo. Neanche il fatto che i suoi nemici fossero divinità inoltre lo frenava, anzi, memore degli insegnamenti di Micene, Ioria neanche riconosceva come Dei creature meschine pronte a usare la loro forza per sottomettere i deboli. Nemmeno il tempo di assicurarsi che la sua armatura fosse in condizioni perfette, che il Cavaliere ricevette nuovi ordini e venne mandato a Creta, dove stava accadendo qualcosa di strano. Lythos si offrì di accompagnarlo per portare i bagagli, ed anche Galan venne con loro, occupandosi del viaggio e raccogliendo informazioni sulla situazione. Il leggendario re Minosse era in qualche modo risorto e aveva rapito sette bambini e sette bambine, trascinandoli nelle profondità del labirinto di Cnosso, proprio come era sua abitudine fare nelle epoche mitologiche, e trucidando i poliziotti che avevano provato a salvarli. Ioria, che ben conosceva il dolore del perdere un familiare, prese la cosa sul personale e si addentrò nel labirinto, trovando ben presto le scheletriche spoglie di Minosse. Di per sé, il sovrano non era avversario paragonabile, ma aveva posto i bambini rapiti all’interno di involucri di soldati, in modo da usarli come scudo. Mostrando che la sua crescita come guerriero era ripresa grazie alle recenti battaglie, Ioria rispose inventando una nuova tecnica, il Lightning Fang, che gli permise di salvare i rapiti senza ferirli. Come ultima risorsa, Minosse usò la propria forza vitale per evocare il Minotauro, ma Ioria annientò anche lui, confidando però il suo rammarico per la sorte del mostro, dovuta alla malvagità del padre e non ad alcuna colpa propria, e promettendogli che avrebbe continuato a vivere nel suo cosmo.
Appena compiuta la missione, arrivarono nuovi ordini: un Cavaliere d’Argento era in difficoltà in Cina contro una non meglio specificata creatura, e Ioria fu inviato in suo soccorso. Lasciati Lythos e Galan, il ragazzo si recò sul posto, dove incontrò Retsu della Lince, giovane Cavalieri di Bronzo allievo di Noesis del Triangolo, il guerriero di cui parlava la missiva. In lacrime, roso dai sensi di colpa, Retsu gli disse che il maestro si era sacrificato per permettergli di fuggire, e chiese di poter essere lui a vendicarlo. Colpito dalla sua storia e curioso di vedere all’opera le zanne della giovane Lince, Ioria finse di essere solo un messaggero di nome Leo ed acconsentì. Insieme, i due raggiunsero l’antro della creatura, circondato da statue di esseri umani, guardando le quali Ioria comprese che il mostro era una delle leggendarie Gorgoni, capaci di mutare in pietra un essere vivente con un solo sguardo. Tra le statue, c’era anche quella di Noesis, parzialmente distrutta ma ancora avvolta da un alone di cosmo. Memore di quanto accaduto con il padre di Lythos, Ioria intuì che il cosmo di Noesis fosse ancora sulla terra per proteggere e vegliare su Retsu. In quel momento, la Gorgone si fece avanti e li attaccò, pur essendo indebolita dall’ultimo colpo segreto di Noesis. Temendo di essere troppo debole per sconfiggere un tale mostro, Retsu si prodigò a difendere Ioria e gli disse di correre al Grande Tempio e chiedere aiuto. Leo però rifiutò, dichiarando di aver fiducia nel giovane ed esortandolo a credere in se stesso come il maestro aveva creduto in lui. Queste parole fecero breccia, permettendo a Retsu di innalzare al massimo il suo cosmo ed unirlo con quello dell’insegnante, riuscendo a uccidere il mostro. In lacrime, Retsu supplicò Ioria di dire che la vittoria era stata conquistata dal maestro Noesis, un Cavaliere d’Argento il cui cosmo aveva brillato di riflessi dorati. Solo allora Leo rivelò la sua vera identità, promettendo che tutti al Santuario avrebbero saputo com’erano andate davvero le cose. Prese poi con sé il ragazzo e, insieme, fecero ritorno al Grande Tempio.
Dopo questi due incarichi consecutivi, il ragazzo era convinto di meritare un po’ di riposo, ma arrivarono nuovi ordini, stavolta inaspettati: Ioria doveva recarsi in India, nell’Uttar Pradesh, e proteggere Virgo mentre quest’ultimo cercava di purificare il mondo dall’oscurità dei Titani grazie al suo cosmo. L’ordine risvegliò in Ioria antichi rancori: a differenza di Mur o Toro, Virgo era tra i Cavalieri d’Oro direttamente coinvolti nella morte di Micene, e di conseguenza serbava astio e desiderio di vendetta nei suoi confronti. Virgo stesso ne era consapevole, al punto da ammettere che, se Ioria avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo facilmente visto che durante la meditazione sarebbe rimasto indifeso. Gli chiese solo, in quel caso, di farlo sotto i due alberi gemelli di Sala, perché questo era il suo destino. Rimasto solo, Leo rifletté sul fato, continuando però a rifiutarne l’esistenza. I suoi pensieri furono interrotti dalla comparsa del Titano Ceo, fratello di Iperione e fiero sostenitore della legge divina. Egli era venuto ad uccidere Virgo, certo che Ioria non sarebbe intervenuto a difendere uno degli assassini di suo fratello, ma il cuore del leone non era stato corroso dall’odio al punto da non riconoscere gli sforzi del parigrado per proteggere la Terra dai Titani. Si pose così a sua difesa, dibattendo nel contempo su Ceo riguardo il destino e continuando a rifiutare l’idea che gli esseri umani fossero obbligati a trascorrere la loro esistenza soggetti al volere divino. Piuttosto, Ioria era sostenitore del principio di autodeterminazione, secondo cui gli uomini scrivevano la propria storia grazie a sforzi, coraggio e volontà.
In battaglia, Ceo era devastante quanto Iperione perché dotato di una tale, fulminea, velocità che Ioria non riusciva a vederne o pararne i colpi, finendo quindi per subire attacchi e ripetizione e crollare in fin di vita. In procinto di cedere, il ragazzo ricordò gli allenamenti con Micene e le sue parole riguardo il Photon Burst. Ritenendo che fosse giusto rischiare la vita per salvare Virgo e l’umanità, proprio come insegnatogli da John Black con il suo sacrificio, decise di rischiare il tutto per tutto ed iniziò ad eseguire quel devastante colpo segreto, la cui preparazione era divisa in quattro fasi. Per effettuarle, dovette restare praticamente immobile, subendo di proposito tutti i devastanti colpi segreti di Ceo e venendo quasi fatto a pezzi. A sorreggerlo però c’era una volontà incrollabile, frutto della fiducia di Galan e Lythos, dell’ardore di generazioni di Cavalieri caduti in nome della giustizia e dello spirito di Micene, che comparve a sostenerlo, unendo per un istante il proprio cosmo al suo. Forte di due ali d’oro, l’eroe eseguì il Photon Burst, superando le difese di Ceo e dilaniandolo dall’interno con tale energia che il Titano sarebbe morto se non fosse stato per il tempestivo arrivo di Iperione, che condusse in salvo il fratello. Moribondo, Ioria perse i sensi, risvegliandosi solo ore più tardi dopo un incubo in cui rivide la notte della visita al tempio del Sagittario. Si trovava di nuovo in Grecia, dove era stato portato da Lythos e Galan, cui Virgo lo aveva affidato dopo averlo salvato dall’attacco di altri due Giganti. Grazie al suo coraggio, la missione del Cavaliere della Vergine aveva avuto successo e, nel darlo in cura a Galan, il custode della sesta casa lo aveva chiamato amico, promettendo un giorno di ripagare quel debito. Pur un po’ seccato dalla situazione, Leo era felice che tutto fosse andato a buon fine. Più difficile da sopportare era la presenza di Scorpio, inviato dal Sacerdote per proteggerlo durante la convalescenza. Il Cavaliere d’Oro non era legato alla morte di Micene, ma la sua personalità provocatoria e affilata era un po’ troppo simile a quella di Ioria per permettere ai due di andare d’accordo senza litigare furiosamente. Ciononostante, Leo ne riconosceva la forza, e non si preoccupò affatto quando lo sentì combattere nelle vicinanze contro un altro sicario dei Titani. Inoltre, i due condividevano la stessa visione della storia, fiduciosi che gli uomini dovessero andare avanti senza il fardello di errori passati, e convinti che, un giorno, nuovi Cavalieri avrebbero creato un futuro splendente.
Purtroppo per loro, anche il nemico si stava muovendo, riuscendo finalmente a rompere i sigilli di ben 11 dei 12 Titani, e ad ammantare di nuovo il mondo con un’aura oscura. Decisi a conquistare la Megas Drepanon, i Titani attaccarono di nuovo il Grande Tempio, stavolta con Crio lo spadaccino, che venne contrastato da Capricorn. Tra tutti i Cavalieri d’Oro, quest’ultimo era colui che Ioria odiava maggiormente, al punto da considerarlo un nemico da uccidere. Per evitare che qualcun altro lo privasse della vita al posto suo, su ordine del Sacerdote intervenne così in suo aiuto, trovandosi però rapidamente in difficoltà contro la spada di cosmo di Crio. Proprio Capricorn lo salvò, chiedendogli di fidarsi di lui e farsi da parte. Quando Leo esitò, Capricorn lo esortò a fidarsi allora di suo fratello, confessando di star combattendo principalmente per mantenere una promessa fatta alla memoria di Micene, nei cui confronti continuava a provare una grandissima stima e rispetto. Anche se di malavoglia, Ioria rispettò la decisione del compagno e rimase in disparte, incoraggiandolo e osservando con attenzione lo scontro. Alla fine, Capricorn riuscì a spezzare la spada di Crio ed a convincerlo a ritirarsi temporaneamente. In segno di rispetto per il suo coraggio e per il modo in cui aveva rischiato la vita pur di proteggere il prossimo, Ioria fece da sostegno al compagno, condividendo anche con lui le speranze per un futuro migliore. Non c’era però tempo per fermarsi: l’assalto di Crio era stato solo un diversivo, e Crono in persona era comparso ai piedi della statua di Atena. Capricorn gli chiese di abbandonarlo e proseguire, ma Ioria rifiutò e lo portò in spalla fino alla decima casa, prima di proseguire e raggiungere il nemico. Con la maggior parte dei Cavalieri d’Oro bloccati nei propri templi per ordine del Sacerdote, Ioria era da solo.
La battaglia rese finalmente chiaro il ruolo del Leone nella profezia: la folgore di Zeus sigillava la Megas Drepanon, e solo un altro cosmo con la natura del fulmine poteva liberarla. Per di più, il cuore di Ioria era vessato dagli stessi patimenti di Zeus stesso, rendendo le due energie pericolosamente simili. Resosi conto di ciò, e dopo aver già parzialmente sciolto l’arma del nemico, l’eroe provò a combattere senza usare il Sacro Leo o la Zanna del Leone, oppure controllandone con attenzione la direzione, ma ambo i tentativi si rivelarono inutili. Con l’avversario in crisi, Crono gli spiegò che le tragedie vissute in passato avevano reso progressivamente più oscuro il suo cosmo ed il suo fulmine, corrompendone la purezza. Effettivamente, l’aura di Leo stava diventando sempre più malvagia e violenta ma, all’ultimo momento, gli insegnamenti di Micene ed il desiderio di proteggere il prossimo ebbero il sopravvento, risvegliando l’antica luce. Il cosmo di Atena giunse in aiuto del Cavaliere, purificando il suo fulmine con la forza della speranza e rendendolo pericoloso anche per Crono. La battaglia proseguì incerta finché il ragazzo non tentò il tutto per tutto con il Photon Burst, finendo però per spezzare il sigillo e sciogliere sia la Megas Drepanon che il vero corpo del nemico. A peggiorare le cose, sei Titanidi comparsero a difesa del loro signore.
Lo scontro si fece caotico. Crono aveva misteriosamente perso la memoria e buona parte del suo cosmo, ma le Titanidi lo proteggevano con le unghie e con i denti. In particolare, Temi si avventò su Ioria, schiacciandolo con la bilancia della giustizia - Brabeus Talanton - e cercando di trafiggerlo con la Brabeus Blade. Allo stremo, l’eroe venne raggiunto da Capricorn, deciso ad aiutarlo nonostante le ferite del duello con Crio perché ormai vedeva in lui non solo un valoroso compagno, ma anche un amico. Anche insieme però, i due erano troppo malconci per poter vincere, specie quando Rea affiancò la sorella ed invocò degli enormi serpenti di pietra. Le Titanidi poi scomparvero insieme a Crono, ma per Capricorn e Ioria sembrava comunque la fine, destinati ad essere schiacciati dal Brabeus Talanton e dalle serpi. A salvarli fu il provvidenziale ritorno di Toro dal Jamir. Libero da ordini restrittivi, il possente guerriero distrusse facilmente i mostri di pietra. Dal luogo in cui si trovava, Rea invocò allora un’idra ma, pur impegnato a proteggere Capricorn e Ioria ed a sorreggere il Brabeus Talanton, Toro, determinato ad essere uno scudo per i due compagni, riuscì comunque ad annientare anche quella creatura, distruggendo in corso d’opera pure la bilancia di Temi. Tutto ciò per ricordare loro che non erano da soli, ma erano affiancati da amici pronti a sostenerli.
Sapere che al Grande Tempio c’erano almeno due persone che lo ritenevano un amico e che erano pronti a rischiare la vita per lui, provocò in Ioria un certo imbarazzo. Per dissimulare, appena avvertito un cosmo ostile in avvicinamento, il ragazzo andò ad indagare da solo, dicendo che la presenza di Toro e Capricorn avrebbe alimentato sospetti. In realtà, il suo animo stava lentamente mutando, e la diffidenza era pian piano rimpiazzata da una nuova fiducia. Nulla cancellava il dramma di Micene, ma l’affetto di Lythos e Galan, unito all’amicizia di questi primi compagni, stava facendo tornare il ragazzo quello che era stato un tempo. Ad ogni modo, le indagini lo portarono ad imbattersi in un altro Titano, Oceano, appena in tempo per salvare alcuni soldati semplici. Il Dio gli spiegò che Crono aveva messo in moto una clessidra di sabbia adamantina, che stava invertendo lo scorrere del tempo sul pianeta, al fine di farlo tornare ad un’era precedente la comparsa degli esseri umani. In questo modo, gli Dei avrebbero ottenuto di nuovo il dominio sul mondo. Appreso ciò, Ioria tentò subito di affrontare il nemico, ma le tecniche di Oceano, basate sull’acqua, erano pericolose per il suo fulmine. Ad aiutarlo giunse Acquarius, che prese il suo posto in battaglia ed affrontò Oceano in un duro scontro, affidando al Leone la difesa dei soldati semplici che erano ancora presenti. Il combattimento si concluse più o meno in parità, ma permise a Ioria e Acquarius di apprezzare un po’ di più i rispettivi metodi e modi di fare: il passionale e focoso leone, pronto a caricare a testa bassa per proteggere qualcuno, ed il freddo e riflessivo acquario, che valuta le cose con distacco.
Visto che la crisi sembrava momentaneamente passata, Ioria e Acquarius si prepararono a far ritorno nei rispettivi templi, con Lythos venuta appositamente per riaccompagnare il suo padrone. Toccato dalla sua devozione, il ragazzo le promise che, in caso di pericolo, sarebbe sempre accorso a salvarla, perché ormai erano parte della stessa famiglia. Come ad avverare un sinistro presagio, proprio in quel momento Giapeto comparve dal nulla e rapì la bambina, sotto gli occhi dell’inerme Cavaliere. Era un gesto di sfida: per salvarla, Ioria avrebbe dovuto seguire Giapeto ed entrare nel Tartaro, la landa desolata dove si trovava la roccaforte dei Titani. Disperato, il Leone si precipitò verso il portale che conduceva al regno del nemico, sordo alle parole di Acquarius, che gli consigliava di restare e approntare una strategia insieme agli altri Cavalieri d’Oro. Il custode dell’undicesima casa riuscì però a strappargli una promessa: credere in lui e negli altri Cavalieri d’Oro che, il prima possibile, sarebbero accorsi in suo aiuto. Accettando di fidarsi, Ioria sfondò la bara di ghiaccio che bloccava il portale dei Titani e fece irruzione nel loro mondo, massacrando centinaia di soldati semplici ed impedendo loro di sfruttare l’apertura per invadere il Santuario. Nemici ben più potenti tuttavia lo attendevano, in primis Iperione, pronto ad un secondo duello ed ora armato della sua enorme spada divina. Il Titano spiegò di star combattendo per costruire un futuro per il suo popolo, ma Leo, pur ammettendo che era una valida motivazione, rifiutò di accettare il rapimento di Lythos come necessario per realizzarla, proponendo piuttosto di agire da mediatore in modo da garantire loro un avvenire sulla terra senza spargimenti di sangue. Era un nobile proposito, conferma della maturazione di Ioria, ma Iperione lo ritenne irrealizzabile. Nondimeno, sfidò il nemico a confermare le sue parole raggiungendo la cima della fortezza di Crono e scomparve, lasciandolo in balia dei soldati. Ormai allo stremo, il Cavaliere sarebbe stato sconfitto se non per l’arrivo di Fish, custode del dodicesimo tempio e profondo amante della bellezza. Mortale nonostante il suo aspetto leggiadro, Fish iniziò a massacrare i nemici, al punto che Ioria sentì il dovere di intervenire e chiedergli di risparmiarli. Criticando la sua ingenuità e le sue motivazioni, Fish gli chiese di scegliere tra la vita di Lythos e la salvezza dell’umanità, ma Leo rifiutò, continuando cocciutamente ad affermare che avrebbe salvato entrambi, ed anche i nemici, se possibile. Il Cavaliere dei Pesci, colpito dalla bellezza della sua determinazione, gli donò parte del proprio cosmo, risanando le sue ferite, e lo esortò a proseguire mentre lui si occupava del crudele Gigante Ferro Cremisi, da poco sopraggiunto.
Acconsentendo, Ioria iniziò la sua corsa, raggiungendo ben presto l’ingresso del palazzo di Crono. Qui però ebbe un’amara sorpresa, perché innanzi a lui comparve Ponto, uno degli Dei ancestrali che aveva segretamente manipolato tutto il conflitto tra Cavalieri e Titani. Il suo cosmo era talmente immenso da costringere il ragazzo in ginocchio senza alcuna fatica, ma le sue intenzioni non erano ostili. Secondo Ponto, gli uomini potevano minacciare gli Dei solo con l’aiuto degli Dei stessi, e per questo era venuto ad offrire a Ioria il proprio potere, chiamato Dunamis. Accettandola, Leo sarebbe diventato un vero deicida, una belva oscura e assassina. La tentazione fu forte e per un attimo Ioria rischiò di perdere se stesso, ma poi l’affetto di Lythos gli ricordò che il suo scopo non era massacrare, ma proteggere. Rifiutò così la Dunamis ed attaccò Ponto, dichiarando che avrebbe sconfitto da solo i Titani. Per mostrargli come ciò fosse impossibile, il Dio usò la Dunamis contro di lui, spiegandogli che, a confronto, il cosmo non era che un riflesso, e sottolineò le sue parole staccandogli il braccio destro. La Dunamis era infatti il potere di distruggere o rigenerare qualsiasi cosa, inclusi i legami tra gli atomi del corpo umano. Sconfitto su tutta la linea, l’eroe rifiutò comunque la resa e continuò a combattere, in parte anche per dimostrare che un essere umano non partiva necessariamente già sconfitto contro una divinità. A incoraggiarlo, comparve la voce del misterioso Cavaliere della Bilancia, che lo incitò a bruciare il suo cosmo e generare da solo la Dunamis per ripristinare il braccio perduto. Era un miracolo, praticamente impossibile, ma avvenne, anche grazie al principio di causalità che lega gli uomini: in un certo senso, il braccio perso da Galan tanti anni prima era stato un sacrificio per ripristinare quello di Ioria (vedi Note), che così riuscì a risanare il suo. Aiutato prima dalla comparsa dell’armatura della Bilancia, e poi da una manifestazione del Cavaliere di Libra in persona, Leo continuò a fronteggiare Ponto e riuscì finalmente a portare qualche pugno a segno. Prima di svanire, Libra esortò il ragazzo a fidarsi dei Cavalieri d’Oro suoi amici, e la loro lealtà venne finalmente mostrata quando, teletrasportati da Mur, Capricorn, Toro, Scorpio, Virgo e Acquarius comparvero accanto a lui, decisi ad aiutarlo a salvare Lythos. Commosso, Ioria accettò il loro aiuto, mostrando di essere giunto a completa maturazione. Ponto nel frattempo si ritirò, lasciando i sei guerrieri con una sinistra profezia, secondo cui anche loro, un giorno, avrebbero combattuto per l’oscurità. Leo non se ne curò più di tanto, certo che, se anche un giorno ciò dovesse avverarsi, ci sarà un Cavaliere pronto a riportarlo alla ragione, con le buone o con le cattive.
La corsa dei Cavalieri così riprese, ma non per molto. Spinto da motivazioni personali, Giapeto scese in campo, rapì Ioria e lo trascinò con sé in una dimensione sotto il suo controllo, la landa tenebrosa formata dalla materia oscura dell’universo. Qui, lui e la sposa Temi richiamarono i pianeti di cui erano guardiani, e Giapeto iniziò a combattere. A renderlo più potente era la completezza del Theos Sema, un sigillo formato dai cosmi di tutti i Titani in vita, grazie alla quale poteva accedere al cosmo supremo, la Eskatos Dunamis. Il suo potere, incalcolabile per un essere umano, mise in crisi Ioria, indifeso contro tecniche come il Melas Planetes o le spade dello Hex Aster Xiphos. In aiuto del Leone giunse però Virgo, il cui cosmo quasi divino sorprese per un po’ Giapeto. Ben presto, lo scontro si fece anche verbale, con il Titano che, messa da parte la sua tradizionale facciata scherzosa, criticò duramente gli esseri umani, dimentichi del sacrificio di suo figlio Prometeo e del dono del fuoco da cui ricevuto. Questo aumentava il suo odio nei loro confronti, spingendolo a definirli esseri ingrati incapaci di provare amore. Lui e Temi, determinati a sterminare loro, Zeus e gli Dei, uccisero le creature dell’Aster Xiphos, eseguendo in sequenza il Khaos Kyklos, il Khaos Blade ed infine il Khaos Prosbole, che sfondò il Khan, la difesa suprema di Virgo. Ora dotato di enormi tentacoli dietro la schiena, Giapeto descrisse la natura del Khaos e ferì il nemico, pronto a finirlo. Ricambiando il salvataggio di poco prima, Ioria intervenne in suo aiuto, offeso dalle continue critiche del Titano agli esseri umani. I suoi colpi segreti, lanciati con la forza della disperazione, riuscirono incredibilmente a contrastare gli assalti del Titano, e persino a respingerlo. L’energia data a Giapeto dalle creature del suo pianeta infatti non era stata ceduta spontaneamente, e questo la rendeva inferiore al cosmo donato con affetto o amicizia a Ioria da Galan, o a quello della spontanea amicizia di Virgo.
In crisi, Giapeto accettò lo spontaneo sacrificio di Temi. Dopo un ultimo giuramento d’amore, ella si immolò sui tentacoli del marito, che ottenne in cambio una forza spaventosa. Il prezzo però era stato tale da trasformarlo quasi in demone, con i capelli avvolti in corna ed il volto rigato dalle lacrime. Ora infatti non aveva più nessuno in nome di cui costruire un futuro, era solo una creatura malvagia pronta a sacrificare chi amava. Roso dal senso di colpa e distrutto dal dolore, Giapeto combatté con persino più forza di prima, assumendo l’aspetto folle di un diavolo selvaggio. Virgo e Ioria furono costretti ad unire le forze anche solo per tenergli testa, mentre il Titano ormai non parlava neanche più, ringhiando come una belva. Nel rendersi conto che il suo cuore era straziato dal dolore, i due eroi decisero di combattere a rischio delle proprie vite non solo per Lythos e per gli esseri umani, ma per salvare anche lui. Occupandosi della difesa, Virgo resistette abbastanza a lungo da permettere a Ioria di scatenare il potere deicida del suo fulmine, motivato all’inverosimile dal desiderio del ragazzo di essere degno di Micene. Come già in passato, le ali del Sagittario comparvero a sostenerlo, e Ioria riuscì a trafiggere Giapeto. Ferito a morte, il Titano tornò in sé, ammettendo di aver riscoperto dolore, tristezza e morte, e, così facendo, anche il ricordo di quanto avesse amato sua moglie. Grato ai nemici, anche se troppo orgoglioso per ammetterlo, si ferì da solo, bagnando Ioria del suo Ichor per guarirne le ferite. Poi, non volendo morire davanti a lui o per sua mano, prese con sé il cadavere di Temi e si lasciò sprofondare nel Tartaro, promettendo di continuare a seguire le loro gesta dall’inferno.
I due Cavalieri tornarono dai compagni e riferirono della vittoria, appena in tempo per l’ingresso in campo di Crio. Capricorn, che con lui aveva un conto in sospeso, chiese di affrontarlo da solo ed esortò gli amici a proseguire per salvare Lythos. Quando giurò sulla sacra Excalibur che li avrebbe raggiunti, Ioria accettò la sua decisione e condusse via i compagni. Poco dopo, anche Acquarius dovette lasciare il gruppo per combattere contro una salamandra di fuoco evocata da Rea. A sbarrare la strada ai Cavalieri restanti comparve Ceo, venuto per saldare il conto aperto con Ioria in India. In segno di reciproco rispetto, i due accettarono di affrontarsi da soli, senza interferenze. Appena lo scontro fu iniziato, apparve chiaro che Ceo non era lo stesso di prima. La sua forza e velocità erano aumentate ancora, permettendogli di soverchiare totalmente il Leone, ma soprattutto era cambiato il suo atteggiamento. Prima, rivelò che c’era un disegno superiore che manipolava Cavalieri e Titani, e che era il vero artefice di quella guerra. Poi, esortò Ioria ad usare il Photon Burst e lo annullò, approfittandone per far capire al ragazzo che la morte di Micene aveva interrotto la sua crescita come guerriero, rendendolo incompleto. Quelle parole erano vere, ma Leo, dopo essere stato quasi sconfitto, rammentò come il sostegno di Galan l’avesse aiutato a superare la crisi, insegnandogli il valore del coraggio. Riuscì così a risvegliare il proprio cosmo ed il settimo senso, eseguendo un secondo Photon Burst e trionfando con un colpo ravvicinato che trapassò Ceo da parte a parte. A conferma simbolica della totale maturazione, l’elmo della sua armatura finalmente lasciò l’urna cineraria di Micene e lo raggiunse nel Tartaro, ponendosi sul suo capo.
Ferito a morte, Ceo sorrise inaspettatamente al nemico perché aveva finalmente scorto in lui la forza necessaria a forgiare il futuro. Tutto quel combattimento era stato solo un modo per metterlo alla prova, visto che in realtà lui era moribondo per le ferite ricevute nello scontro in India. Proprio quelle ferite tuttavia gli avevano permesso di ricordare eventi passati, in particolare la creazione del Keraunos, o fulmine, che era stata proprio opera sua durante la Titanomachia. Dopo averlo fatto però se ne era pentito, inorridito di fronte ad un potere votato solo alla distruzione. Senza farne parola con nessuno, lo aveva rinnegato, seppellendolo nei recessi della sua memoria e cercando di dimenticarlo. La sorella Mnemosine, padrona proprio della memoria, aveva però carpito il suo segreto e lo aveva rivelato a Zeus, fornendo al giovane Dio l’arma necessaria per la vittoria. Anche ora, era proprio Mnemosine a tramare contro tutti loro, agli ordini di Ponto. A conferma di queste rivelazioni, Ceo mostrò a Ioria il Keraunos, ma proprio in quel momento il nemico iniziò a rubargli il cosmo rimasto, per accellerarne la morte e farlo sprofondare nel Tartaro. Colpito e toccato da quei suoi insegnamenti indiretti, Ioria lo salvò, affermando che il loro scontro non era stato affatto leale visto che Ceo aveva combattuto praticamente da moribondo, e supplicandolo di resistere. In, risposta, il Titano lo ringraziò per avergli permesso di comprendere il valore di un’esistenza limitata dal tempo e, consapevole che la sua ora ormai era giunta, gli chiese di salvare il suo popolo, ovvero gli esseri umani che avevano seguito i Titani, e di donare loro un futuro radioso. Come ultimo gesto, donò al leone la sua Dunamis ed il Keraunos, poi scomparve. Ioria comprese che il nemico aveva sacrificato i suoi ultimi momenti di vita per trasmettergli lezioni che lo avrebbero reso più forte e maturo, così, nell’assorbire il Keraunos, definì in lacrime l’avversario un prezioso maestro.
La morte di Ceo scatenò l’ira di Iperione, a sua volta ora consapevole del tradimento di Ponto e Mnemosine. Deciso a scacciare i nemici, il Titano raggiunse i Cavalieri d’Oro, tenendo testa da solo a tutti loro anche dopo il ritorno di Capricorn e Acquarius. Ioria decise di affrontarlo per la terza volta da solo, anche perché la guerra tra Cavalieri e Titani era iniziata con un duello tra loro due. Ora dotato dei suoi massimi poteri, Iperione sembrava invincibile, tanto che Leo fu costretto a usare quasi subito il Photon Burst. Il Titano rispose con la sua arma suprema, l’Uroboro, ovvero il serpente che si morde la coda, simbolo del ciclo eterno di morte e rinascita, grazie al quale quasi disintegrò il braccio destro del nemico. Come sempre però, Ioria seppe gradualmente reagire, dando fondo ad istinto, tenacia e determinazione. Percependo il cosmo di Lythos nelle vicinanze, decise di rischiare tutto e fece ricorso alla Dunamis donatagli da Ceo, riuscendo a tener testa ad Iperione. La maggior esperienza di quest’ultimo con la Dunamis tuttavia continuava ad avvantaggiarlo, obbligando l’eroe a lottare combinando insieme tutto ciò di cui disponeva. Tale strategia gli permise persino di trafiggere il nemico con il pugno sinistro, ma nemmeno questo sembrò bastare quando Iperione applicò su di sé i poteri curativi dell’Uroboro. Entrambi ormai a pezzi, i contendenti continuarono a lottare. Tra i due ormai esisteva anche un sentimento di reciproca stima, dovuta al fatto che, pur appartenendo a schieramenti opposti, erano profondamente simili: entrambi disposti a dare tutto per chi aveva riposto in loro la propria fiducia, e per costruire un futuro migliore. Sorridendosi, accettarono le reciproche differenze e si dissero amareggiati che solo uno sarebbe potuto sopravvivere, poi diedero inizio all’atto finale. Rischiando il tutto per tutto, Ioria centrò con il braccio distrutto la ferita precedentemente aperta sul corpo di Iperione, risanando l’arto grazie all’Uroboro e colpendo a distanza ravvicinatissima.
L’amara vittoria era ottenuta, ma gli scontri non erano finiti. L’Ichor di Ponto, che albergava nel corpo di Iperione, si manifestò per impadronirsi della Dunamis e del cadavere del caduto, di cui prese il controllo. Leo cercò di fermarlo, non accettando che lui o Iperione fossero stati manipolati in tal modo, ed il Titano stesso, resistendo alla possessione grazie all’Uroboro, lo affiancò. Con le sue ultime forze, rinnovò la supplica di Ceo e gli chiese di proteggere il suo popolo, conducendolo sulla terra dove avrebbe potuto vivere in pace, e di salvare Crono. Poi gli donò quel che restava della sua Dunamis e si avventò su Ponto, costringendolo alla fuga. Ridotto ormai ad un moribondo, il Titano scambiò per l’ultima volta un colpo con Ioria, ringraziandolo per avergli insegnato ciò per cui valeva la pena combattere, e infine si spense. Il ragazzo accettò la sua richiesta, promettendo di fare tutto il possibile per portare in salvo la sua gente.
Proprio in quel momento, Lythos, riuscita a fuggire dalla fortezza, cadde letteralmente dal cielo. Vistala, Ioria si precipitò a salvarla, afferrandola al volo ed abbracciandola teneramente. La promessa era stata finalmente mantenuta, e la bambina era in salvo. Lythos però non era arrivata da sola: con lei c’era Crono, ancora privo dei ricordi, e con il cuore sconquassato da una profonda amarezza dovuta ad un’esistenza di odio e solitudine. Avvertendone il dolore, Leo cercò di aiutare anche lui e gli impedì di precipitare nel Tartaro, rispettando la promessa appena fatta ad Iperione. Ioria, che aveva imparato a sue spese che solo chi è disposto a credere in qualcuno avrà qualcuno che crede in lui, propose a Crono di porre fine alla guerra e di vivere tutti insieme sulla terra, baciati dalla luce del sole, come diritto di qualsiasi essere vivente. Proprio quando tutto sembrava avviarsi verso una lieta conclusione però, Mnemosine e Ponto risvegliarono i ricordi di Crono, aizzandolo contro i Cavalieri d’Oro con indosso la sua Megas Drepanon.
Gli esausti eroi dovettero dunque lottare anche contro di lui, con Ioria per di più vincolato dalla promessa fatta ad Iperione. Per poco, Crono non lo spinse nel Tartaro, ma Scorpio riuscì a salvarlo, e gli altri Cavalieri d’Oro lo affiancarono. In risposta, Crono evocò gli ultimi Giganti rimasti, obbligando tutti loro ad una nuova serie di duelli. Per permettergli di affrontare il Titano al meglio, Virgo riversò in lui gran parte del proprio cosmo, e poi si occupò da solo del Gigante Belva d’Ambra, distruggendolo con le sue energie residue nonostante questo fosse in grado di adoperare la Dunamis.
Con gli altri due Giganti similmente sconfitti, non restava che Crono, che Ioria decise di affrontare da solo. Dopo aver ricevuto parole di incoraggiamento da ciascun compagno, iniziò lo scontro, trovandosi immediatamente soverchiato sia in termini di forza che di velocità dal nemico, che aveva in sé anche il potere distruttivo della Megas Drepanon. Con il Sacro Leo e il Photon Burst annullati, il ragazzo fu sul punto di cedere, ma seppe trovare nelle parole degli amici, di Galan e Lythos le motivazioni per rialzarsi di volta in volta, riuscendo pian piano a ribaltare il duello. Consapevole che presto il luogo in cui si trovavano sarebbe precipitato nel Tartaro, Ioria chiese ai compagni di riversare i loro cosmi in Virgo e di tornare sulla Terra insieme a tutto il popolo dei Titani, lasciando lì solo lui e Crono. Riuscito in qualche modo a convincerli, tentò nei confronti di Crono un’ultima proposta di pace e coesistenza pacifica, che venne però rifiutata. A quel punto, riuscito ad elevare la propria velocità oltre quella del nemico, lo colpì a bruciapelo con il Photon Burst, e circondò entrambi dei fulmini del Sacro Leo per condividerne la sorte. Colpito dal suo coraggio e spirito di sacrificio, Crono strinse un patto con Hades, cedendogli la propria Dunamis in cambio della salvezza di Ioria, che venne riportato sulla Terra, ignaro di questo patto. Di ritorno in un mondo baciato dal sole, poté così riabbracciare Galan e Lythos, anche se Ponto continuava a tramare nell’ombra.
Con la fine del conflitto, tornò la pace, ma la vita di Ioria ebbe presto modo di essere di nuovo stravolta. Venne infatti incaricato di dare la caccia a Capricorn, che per ragioni sconosciute aveva tradito il Grande Tempio. Per inseguirlo, il ragazzo - che non aveva comunque dimenticato il suo ruolo della morte di Micene - dovette attraversare non solo lo spazio ma persino il tempo, arrivando nella Tokyo di circa 20-25 anni dopo. Modificato un po’ il proprio aspetto e rintracciato Capricorn con l’aiuto delle forze speciali di polizia, lo raggiunse quando aveva appena eliminato un sicario mostruoso appartenente alla setta dei Senza Volto ed era in compagnia di una ragazza di nome Yoshino Hino e di una civetta parlante, oracolo di Atena. Pur vedendo l’oracolo insieme al compagno, Ioria inizialmente lo affrontò, anche per saldare il vecchio conto riguardante Micene, ma il duello si concluse in perfetta parità, con il rischio di mutarsi in una Guerra dei Mille Giorni. Capricorn chiese allora all’amico di lasciarlo andare per qualche ora, giurando sulla memoria di Micene di tornare da lui a missione compiuta. Fidandosi, Ioria accettò, rifiutando anche di farsi dire da Capricorn le vere ragioni del suo comportamento per non spingerlo a tradire la volontà dell’oracolo.
Mentre Ioria affrontava il Gladiatore Lancillotto, Ioria prese con sé Yoshino, accorgendosi che la ragazza era dotata del cosmo e in grado di vedere cose invisibili alle persone normali. Alla fine, le parole dell’oracolo e la minaccia dei Gladiatori, presentati come nemici di Atena e della pace, convinsero Ioria a schierarsi dalla parte del compagno e disobbedire agli ordini del Grande Tempio. Ciò si rivelò determinante dopo lo scontro tra Capricorn e un secondo Gladiatore, lo spadaccino Orlando, che uscì vittorioso seppur molto malridotto e con la spada spezzata. Ponendosi a difesa dell’amico svenuto, Ioria convinse Orlando a ritirarsi, promettendo che si sarebbero affrontati quando egli avesse recuperato le forze, in modo da poter combattere alla pari. Salvò poi Yoshino da un’altra spadaccina, Alice, mettendola in fuga. Questo tentativo di rapimento rafforzò i suoi sospetti sulla ragazza, convincendolo che il loro incontro non era stato casuale, ma orchestrato dall’oracolo di Atena.
Alla fine, comunque, le cose si risolsero, i Cavalieri riuscirono a trionfare ed a fare ritorno nella loro epoca, dove poterono riprendere la loro vita di sempre. Con il tempo, Ioria perse i contatti con Galan e Lythos, rimanendo a vivere da solo (vedi Note). Paragonati ai giorni della guerra contro i Titani, i sei anni successivi furono abbastanza pacifici, e Ioria li spese principalmente al Grande Tempio, aiutando di tanto in tanto Castalia con il suo giovane apprendista, un bambino di nome Pegasus, ed incoraggiandolo a non darsi per vinto pur non essendo di origini greche. Gli anni portarono in lui una serie di cambiamenti: da una parte, divenne più maturo e pacato, meno incline a gesti collerici o scatti di ira. Dall’altra, finì per allinearsi sotto molti aspetti alla legge del Santuario, mettendo da parte il suo lato ribelle e restando fedele anche quando il regno del Sacerdote si fece via via sempre più crudele e tirannico. Gli insegnamenti di Micene restarono sempre con lui, ma, pian piano, persino Ioria iniziò a nutrire dei dubbi sul fratello, ed a convincersi che, forse, le accuse che gli erano state mosse potessero essere effettivamente fondate. Probabilmente, queste conclusioni furono dovute anche all’aver visto in prima persona quanto fossero nobili e valorosi gli altri Cavalieri d’Oro, cosa che rendeva improbabile l’ipotesi che si fossero tutti sbagliati. Ad ogni modo, alla fine anche Ioria accettò la storia ufficiale, e si convinse che Micene aveva tradito (vedi Note).
In questi anni, Ioria assistette occasionalmente ai concerti di Orfeo della Lira, musico e Cavaliere di straordinaria abilità, e conobbe numerosi compagni di vario rango, alcuni anche spietati come Tisifone o Argor di Perseo, e gli altrettanto infidi Primo Ministro Gigars e Capitano della Guardia Phaeton. Tra i pochi a condividere le sue perplessità sulla piega presa dal Sacerdote c’era proprio Castalia, memore della bontà del precedente sovrano. Un paio di volte, Ioria intervenne di persona, convincendo Tisifone ad interrompere un duello di allenamento contro Castalia o assistendo alla crudeltà di Argor ner pietrificare alcuni disertori, ma nel complesso non si oppose mai alla legge, forse per evitare di essere accusato anche lui di tradimento come Micene. Le cose però stavano cambiando, e all’orizzonte comparve una nuova minaccia per il Sacerdote: una fanciulla diceva di essere Isabel, la neonata portata via da Micene 13 anni prima, e si era circondata con cinque cavalieri di bronzo, che la seguivano ritenendola l'incarnazione di Atena. Tra loro, c’era anche Pegasus, l’allievo di Castalia. Incredibilmente, quei cinque avevano sconfitto tutti i sicari mandati dal Grande Sacerdote, inclusi numerosi Cavalieri d’Argento, tanto da obbligare l’uomo a richiamare i Cavalieri d’Oro. Inizialmente l’ordine di sterminarli venne dato a Scorpio, ma Ioria insistette per occuparsene lui, sia perché conosceva già Pegasus, e sia perché in questo modo avrebbe mostrato definitivamente la sua fedeltà e lavato via le colpe di Micene. Ottenuto il permesso, si recò a Nuova Luxor, la città dove i Cavalieri vivevano, arrivando proprio mentre Pegasus, temporaneamente privo della sua armatura, stava affrontando Tisifone.
La donna chiese a Ioria di poter essere lei a finirlo, ma un solo sguardo bastò al Cavaliere per capire che in realtà era innamorata di Pegasus. Iniziò così lo scontro, ovviamente in una posizione di enorme vantaggio contro un avversario che neppure conosceva il settimo senso o la vera forza dei Cavalieri d’Oro. Per cercare di convincerlo alla resa, gli narrò la sua storia, riuscendo però solo a motivarlo di più. Pegasus infatti era fermamente convinto che Micene fosse stato nel giusto, e quindi non poteva capire la decisione di Ioria di non credere alla sua versione dei fatti. Obbligato a usare la forza, Ioria avrebbe ucciso il ragazzo se Tisifone non gli avesse fatto da scudo con il corpo, venendo mortalmente ferita al posto suo. Colpito da quel gesto, e dalla collera di Pegasus, curò parzialmente la donna e decise di tornare al Grande Tempio e rimandare lo scontro. A fermarlo, comparvero tre Cavalieri d’Argento, che attaccarono in gruppo Pegasus. Prima che Ioria potesse decidere se intervenire o meno, l’armatura di Sagitter si dispose sul giovane, permettendogli di annientare gli avversari.
Ora Ioria non aveva davvero scelta: il Sacerdote aveva dichiarato esplicitamente di voler evitare che i nemici usassero la corazza del Sagittario contro il Grande Tempio, e quindi la battaglia non poteva essere rimandata. Poggiata a terra Tisifone, affrontò Pegasus, portandosi rapidamente in vantaggio con il Sacro Leo nonostante quest’ultimo fosse stato potenziato dall’armatura d’Oro. Meno propenso al dialogo rispetto ai tempi della guerra contro i Titani, lo avrebbe ucciso se proprio in quel momento non fosse sopraggiunta Isabel a narrargli la verità del suo rapimento. Micene non l’aveva né rapita né tantomeno uccisa, ma salvata dal Grande Sacerdote. Sbalordito, non osando quasi credere, Ioria le chiese di dimostrare le sue parole resistendo al Sacro Leo, come solo Atena avrebbe potuto fare. Isabel acconsentì e Ioria, roso tra desiderio di credere e lealtà al Sacerdote, scagliò il suo colpo segreto, ma Pegasus si pose a difesa della fanciulla e lo bloccò, sorretto dallo spirito di Micene. Per la prima volta, Sagitter criticò aspramente Ioria per non essere riuscito a riconoscere la Dea che doveva proteggere. Dopo aver ricevuto indietro il suo stesso colpo, il Leone si inchinò ai piedi di Isabel e le giurò eterna fedeltà, poi prese Tisifone e tornò al Grande Tempio, deciso a saldare i conti con il Grande Sacerdote.
Consegnata la donna alle cure del suo allievo Cassios, Ioria irruppe nella sala del Sacerdote, chiedendogli esplicitamente di poter incontrare Atena. Ai tentennamenti dell’uomo, lo accusò di tradimento ed attaccò, colmo di ira per la sorte di Micene ed il modo in cui era stato ingannato. La rabbia però lo spinse all’errore: il Sacerdote era un Cavaliere d’Oro ben in grado di tenergli testa, tanto che Ioria si trovò rapidamente costretto a dar fondo alle sue energie per difendersi. Per di più, Virgo, appena tornato al Santuario, si era recato dal Sacerdote per salutarlo. Trovandosi di fronte a quella situazione, pensò che Ioria avesse tradito ed obbedì all’ordine di attaccarlo, ignorando i tentativi di spiegazione del compagno. Lo scontro, inizialmente alla pari, fu interrotto sul nascere dal Sacerdote stesso, che approfittò di una distrazione di Ioria per colpirlo con l’Illusione dell’Oscurità, una tecnica in grado di controllare e manipolare il pensiero. Leo fu costretto all’obbedienza, prigioniero di una morsa da cui si sarebbe liberato solo dopo aver ucciso un nemico. Non gli restava che un barlume di coscienza, destinato a svanire in battaglia, parte di un piano crudele che lo avrebbe spinto a suicidarsi dalla disperazione, perché il nemico destinato a morire era proprio Pegasus. Si avverava così la profezia di Ponto: Ioria, un tempo campione della giustizia, era ora sprofondato nelle tenebre.
Poche ore dopo, Isabel raggiunse il Grande Tempio insieme ai suoi Cavalieri, venendo però quasi subito mortalmente ferita dalla fatale freccia di Betelgeuse. L'unico modo che Pegasus e compagni avevano per salvarla, era superare le Dodici Case e raggiungere il Sacerdote in meno di dodici ore. Dopo quattro ore, che videro le sorprendenti sconfitte di Toro e Cancer, il destino volle che fosse proprio Pegasus a raggiungere per primo la casa di Leo. Come previsto da Arles, la coscienza iniziò ad abbandonare Ioria, rendendo i suoi occhi vacui ed inespressivi. Salutò il ragazzo con freddezza e gli intimò di andar via, ignorando la promessa di fedeltà fatta ad Isabel. Al rifiuto del giovane, lo attaccò con il Sacro Leo, abbattendolo. Nonostante tutto però, la giustizia di un tempo lottava ancora per riemergere nonostante il controllo mentale. Quando Pegasus gli disse che Atena era in pericolo di vita, qualcosa si mosse e Ioria sembrò sul punto di riuscire a riprendersi. Purtroppo però la morsa di Arles era troppo forte, soprattutto quando chi aveva di fronte si comportava da nemico. Unendo per qualche attimo il proprio cosmo a quello di Castalia, Pegasus riuscì a vedere i raggi luminosi del Sacro Leo e schivarli, centrando Ioria con un poderoso calcio al volto. Così facendo, lo privò involontariamente degli ultimi freni inibitori, trasformandolo in un vero demone assassino dagli occhi iniettati di sangue.
Senza pietà, Ioria gli spezzò la gamba, rallentandone definitivamente i movimenti, e lo colpì più e più volte, torturandolo. Ogni barlume dell’uomo di un tempo era scomparso, lasciando un involucro sadico e crudele, che si divertì a rallentare il Sacro Leo per far durare di più l’agonia del ragazzo, e che ne derise la fede nella speranza o negli amici. Quando finalmente stava per finirlo, venne fermato da Cassios, che aveva un conto in sospeso con Pegasus e chiese di poter essere lui a ucciderlo. Ioria acconsentì, ma Cassios si rivolse contro di lui, cercando di dare a Pegasus il tempo di fuggire e spiegandogli dell’Illusione dell’Oscurità. Tutto ciò per amore di Tisifone, che Cassios non voleva veder soffrire a causa della morte di Pegasus. Tanto intense furono le sue motivazioni che il gigante per qualche momento mise Ioria in difficoltà, resistendo ai suoi pugni e intrappolandolo in una morsa d’acciaio. Dopo avergli invano ordinato di smettere però, Leo fece sul serio e trapassò lo stomaco del nemico da parte a parte. Comprendendo che la sua morte era necessaria per spezzare il controllo di Arles, l’uomo si sacrificò eroicamente per proteggere Pegasus dal Sacro Leo. Ciò diede al giovane eroe la forza di reagire e, sostenuto da Atena, riuscì a travolgere Ioria con il suo Fulmine, riuscendo finalmente a risvegliarlo.
Tornato in sé, il Cavaliere d’Oro fu sopraffatto dal senso di colpa e pianse la morte del nobile Cassios. Ne coprì il cadavere con il mantello, e decise di portarlo di persona da Tisifone per le ultime esequie. Prima però curò il più possibile la gamba di Pegasus, ed mise in guardia lui e due amici appena sopraggiunti, Andromeda e Sirio il Dragone, su Virgo, consigliando loro di non permettergli di aprire gli occhi, attraverso i quali liberava la piena forza del suo cosmo. Dopo averli visti uscire dalla quinta casa, prese in braccio il cadavere di Cassios e si recò nella zona boscosa nei pressi del Santuario dove si trovava l’abitazione di Tisifone. Il cammino, lento e penoso, prese oltre un’ora e, ad un tratto, Ioria avvertì lo spegnersi del cosmo di Virgo, dissoltosi insieme a quello di un altro Cavaliere, che però Leo non riuscì a riconoscere. Chiedendosi quante lacrime sarebbero ancora dovute essere versate, il ragazzo pianse la fine di tutti i guerrieri caduti finora a causa del tradimento del Sacerdote. In quel momento venne sorpreso da Tisifone, cui dovette spiegare le circostanze della morte di Cassios, ammettendo di esserne il responsabile. Quando però Tisifone cercò di oltrepassarlo con la forza e raggiungere il Sacerdote, per vendicarsi del vero nemico, Ioria la bloccò, colpendola allo stomaco e facendole perdere i sensi. Questo non solo per evitarle di perdere la vita contro i Cavalieri d’Oro, ma anche per il timore che Pegasus fosse morto contro Virgo, rendendo così vano il sacrificio di Cassios. Riportata la donna a casa, Ioria seppellì Cassios in cima ad un’altura, chiedendogli di vegliare su tutti loro, per poi fare mestamente ritorno alla quinta casa. Poche ore dopo, avvertì il ritorno dell’armatura di Sagitter al Grande Tempio, e la conseguente eufonia tra le dodici corazze d'oro. Temendo che un suo intervento diretto potesse peggiorare ulteriormente le cose, decise comunque di restare al suo tempio, senza tentare una seconda sortita contro il Sacerdote.
Alla fine, la battaglia giunse quasi a compimento: quattro Cavalieri di Lady Isabel - Sirio, Andromeda, Cristal il Cigno e Phoenix - erano caduti, ma Pegasus aveva raggiunto Arles e lo stava affrontando in un disperato duello mortale. A rischio della vita e sostenuto dalle voci dei compagni, riuscì, moribondo, a prendere lo scudo della statua di Atena, la cui superficie rifletté la luce lunare creando un bagliore che distrusse la freccia di Betelgeuse e salvò Isabel. In quel momento, Libra parlò telepaticamente a tutti i Cavalieri d’Oro superstiti, narrando loro la verità: Arles, colui che aveva ucciso il Grande Sacerdote precedente, attentato alla vita di Isabel e costretto Micene alla fuga, in realtà era Gemini, custode della terza casa. Atena iniziò a scalare il Grande Tempio per salvare Pegasus e chiudere la questione, ricevendo giuramenti di fedeltà da parte dei sopravvissuti. Ioria l’attese davanti all’ingresso del tempio del leone, rinnovando la sua promessa ed unendosi al seguito. Oltre a lui, dei valorosi custodi dorati non erano rimasti che Mur, Toro, Scorpio e Virgo, tornato sulla terra insieme a Phoenix grazie all’aiuto dell’Ariete. Capricorn e Acquarius però erano caduti, proprio come Cancer e Fish, rendendo straziante quella marcia verso le sale del Sacerdote. Nel corso del suo cammino, Atena curò anche Sirio, Andromeda e Cristal, poi, tutti insieme, raggiunsero Gemini, fermandolo prima che potesse dare il colpo di grazia agli sconfitti Pegasus e Phoenix.
Forte era il desiderio di vendetta, soprattutto di Ioria, Toro e Scorpio, ma, consapevoli che spettava a Pegasus ed i suoi amici concludere lo scontro, si fecero da parte. La nuova generazione su cui tante speranze erano state riposte in passato si era mostrata degna, salvando tutti loro dall’oscurità annunciata da Ponto. Pur stremati, i cinque eroi unirono le forze, mostrandosi ormai pari o persino superiori ai Cavalieri d’Oro stessi, e colpirono Gemini. Quando quest’ultimo in qualche modo si salvò, Ioria si fece avanti per affrontarlo, ma Isabel fermò lui e gli altri Cavalieri d’Oro per tentare di convincerlo alla resa con le parole. All’apparenza sembrò parlare al vento, ma in realtà riuscì a risvegliare la parte buona dell’animo di Gemini, affetto da doppia personalità, ed il Cavaliere finì per chiedere perdono a tutti loro e suicidarsi. Il lungo regno di Arles giunse così a termine, e le campane della pace tornarono a suonare sul Grande Tempio. Al giuramento ufficiale di fedeltà ad Atena, Isabel donò a Ioria un ciondolo appartenuto a Micene, che aveva con sé sin dall'infanzia.
Per ringraziare i cinque eroi, Ioria ed i compagni usarono il proprio sangue per riparare le loro armature, con il Cavaliere di Leo che lo versò su quella di Pegasus. Era una procedura rischiosa, come mostrato da Mur anni prima, ma non ebbero esitazioni, spinti da sincero affetto e gratitudine. Grazie a Ioria, la corazza rinacque e prese il nome Pegasus di Fuoco. Purtroppo, nuovi pericoli erano in agguato, primo tra loro Ilda di Polaris, la cui minaccia spinse Isabel a recarsi ad Asgard insieme a Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix. Nel corso di quel conflitto, Ioria rimase al Grande Tempio, obbedendo agli ordini di Libra, che aveva di fatto assunto il titolo di Sacerdote. Tale comando, già difficile da sopportare per qualcuno attivo e focoso come Ioria, si fece insopportabile quando, sconfitta Ilda, Atena venne rapita da Nettuno, imperatore dei mari, deciso a fare della terra un unico oceano e fautore di settimane di diluvi e maremoti. Anche stavolta, Pegasus e compagni furono i primi a correre in soccorso della Dea, con Ioria e gli altri Cavalieri d’Oro che rimasero in attesa al Grande Tempio. Quando però Leo avvertì i loro cosmi vicini a scomparire, decise di prendere l’iniziativa e seguirli, entrando così in contrasto con Mur, che supportava l’ordine di Libra. Per poco i due non arrivarono allo scontro, evitato solo grazie alla provvidenziale partenza delle armature di Sagitter e Acquarius, grazie alle quali gli eroi sconfissero Nettuno e salvarono Atena. Ancora una volta, la pace sembrava essere stata riconquistata.
Una nuova minaccia non tardò ad arrivare, stavolta nei panni di Lucifero, l'angelo decaduto che, dopo essere stato condannato a secoli di prigionia da Atena ed altre divinità, era tornato per vendicarsi insieme ai suoi quattro demoni. Per testimoniare la sua venuta Lucifero fece sconfiggere Ioria e gli altri Cavalieri d'Oro che, presi di sorpresa, caddero senza neanche rendersi conto di cosa stesse accadendo. Anche stavolta però, Isabel, Pegasus, Cristal, Sirio, Phoenix ed Andromeda riuscirono a debellare il nemico. Durante il conflitto finale, Ioria stesso unì il proprio cosmo a quello dell’allievo di Castalia, caricandolo nella freccia di Sagitter con cui Pegasus trafisse il Dio.
In seguito a questi scontri, Isabel, stanca, decise di fermarsi al Grande Tempio, ufficialmente per riprendere le forze. In realtà, era in procinto di avere inizio la più importante tra le guerre sacre, quella contro Hades, storico nemico di Atena sin dalle epoche mitologiche. Non volendo coinvolgere Pegasus ed i suoi amici anche in questo conflitto, Isabel ordinò ai Cavalieri d’Oro di vietare loro l’ingresso nelle Dodici Case. Pur sorpresi, Ioria e gli altri compresero le ragioni di Atena e decisero di far rispettare l’ordine in caso di bisogno. Pur con la guerra imminente, non mancarono però anche dei momenti di rara serenità: accompagnando Mur e Toro in una visita ai villaggi circostanti, Ioria sorrise divertito nel vedere una bambina donare un fiore al massiccio custode della seconda casa. La quiete non era destinata a durare. La stessa notte, Ioria avvertì cosmi ostili materializzarsi alla casa dell’Ariete. Con suo enorme stupore però si accorse che non erano aure sconosciute, ma che appartenevano ai suoi vecchi compagni Gemini, Capricorn, Acquarius, Cancer e Fish. Insieme a Sion, il vecchio Grande Sacerdote, costoro infatti erano stati riportati in vita da Ade, cui avevano giurato fedeltà. Un tale tradimento, impensabile soprattutto per alcuni di loro, riempì Ioria di rabbia e sdegno, ma i fatti sembravano non lasciare spazio ai dubbi. Cancer e Fish non riuscirono a superare Mur, ma Gemini, Capricorn e Acquarius avanzarono fino alla quarta casa, dove ingaggiarono un mortale duello a distanza con Virgo. Impotente, Leo assistette allo scambio di colpi, temendo per la sorte dell’amico.
A peggiorare le cose, i rinnegati non erano da soli, ed anche i guerrieri di Hades, chiamati Spectre, avevano invaso il Santuario. Toro, colpito a tradimento, fu il primo a cadere per mano loro. Ben presto, Ioria si trovò davanti ad un folto gruppetto, il cui scopo però era tenere sotto controllo Gemini, Capricorn e Acquarius. Dopo aver spiegato loro che quei tre non avevano ancora superato la casa del Leone, e che non avrebbero potuto farlo senza combattere, l’eroe ordinò agli Spectre di ritirarsi, falciandone facilmente alcuni con il Sacro Leo. Quando gli altri lo attaccarono in gruppo si preparò a fare lo stesso anche con loro, ma ad un tratto esitò, percependo tra i nemici dei cosmi conosciuti. L’esitazione fu quasi fatale perché permise a Raimi del Verme, uno degli Spectre, di bloccarlo con i suoi tentacoli abbastanza a lungo da lasciar proseguire i propri compagni. Liberatosi, Ioria annientò l’avversario in pochi minuti, ma ormai era troppo tardi. In compagnia di Pegasus, Sirio, Cristal e Andromeda, venuti lo stesso nonostante l’ordine di Atena, si lanciò così all’inseguimento. A spingerlo era anche la strana sensazione avvertita poco prima, unita ad un senso di tragedia imminente per quel che riguardava Virgo. Leo sentiva infatti che il custode della sesta casa era pronto a sacrificarsi pur di fermare Gemini, Capricorn e Acquarius, celatisi tra gli Spectre e possessori degli strani cosmi che aveva percepito.
La realtà era persino peggiore delle sue più fosche previsioni. Pur di sconfiggere Virgo, Gemini e gli altri due fecero ricorso all’Urlo di Atena, una tecnica proibita dalla Dea stessa sin dai tempi del mito, in cui tre Cavalieri uniscono le forze per ucciderne uno solo. Ioria avvertì quel che stava accadendo e cercò di intervenire, ma venne fermato da Mur, secondo il quale tutto questo era il volere di Virgo. Non a caso, il duello stava avendo luogo sotto due alberi di sala gemelli. Leo ricordò allora le parole dettegli da Virgo tanti anni prima, in India, e comprese che aveva davvero deciso di seguire il proprio destino e sacrificarsi. Ciononostante, alla morte dell’amico non riuscì a trattenere le lacrime, e giurò di vendicarlo. Quando Gemini, Capricorn e Acquarius comparvero innanzi a lui, criticò aspramente la passività di Mur e non esitò ad assalirli con ferocia nonostante fossero moribondi. I tre però non erano ancora disposti a morire. Dopo aver bloccato il Sacro Leo, Gemini si schierò di nuovo nella posa dell’Urlo di Atena insieme ai due compagni. Deciso a fermarli a qualsiasi costo, Ioria vietò a Pegasus e gli altri di intervenire, per poi assumere a sua volta la posa dell’Urlo di Atena insieme a Mur e Scorpio, sceso dall’ottava casa per vendicare Virgo.
Era una follia, perché lo scontro di due Urli di Atena avrebbe devastato l’intero Grande Tempio, uccidendo tutti loro. A dare una svolta allo scontro furono i Cavalieri di Bronzo, che unirono i loro poteri per deviare verso il cielo i due Urli di Atena mentre erano ancora in equilibrio. Le loro accorate parole fecero breccia nel cuore dei presenti, che troppo facilmente avevano dimenticato gli antichi legami per combattere da nemici. Anche così, il combattimento provocò una violentissima esplosione, che di fatto pose fine alla battaglia. Atena ordinò allora che Capricorn, Acquarius e Gemini fossero condotti al suo cospetto. Pur titubante, Ioria e gli altri obbedirono. Durante il cammino, Leo portò in spalla Capricorn. L’amico di un tempo cercò di spiegarsi, e di rivelargli finalmente la verità sulla morte di Micene, ma Ioria, ancora ferito per l'apparente tradimento del compagno, e furioso per il modo infame in cui Virgo era stato ucciso, si rifiutò di ascoltarlo. Raggiunta Isabel, tutti rimasero sbalorditi quando la fanciulla, comprese le reali intenzioni sia di Virgo che dei rinnegati, si suicidò con le sue mani davanti agli allibiti Cavalieri. Sconvolto da un tale gesto, Ioria e gli altri non poterono far altro che piangere la scomparsa della loro Dea. In seguito a questo apparentemente inspiegabile suicidio, Gemini e gli altri poterono finalmente rivelare il loro piano: avevano solo finto di tradire, nella speranza di poter raggiungere ed uccidere Hades, o almeno di far risvegliare l'armatura divina di Atena. Rimasti senza reali alternative, Ioria e gli altri li seguirono al castello del Dio nemico, in Germania.
Qui, dopo aver fatto strage di soldati semplici, si trovarono ad affrontare il Comandante Radamante della Viverna. All’apparenza invincibile, Radamante era aiutato da una barriera che riduceva ad un decimo il cosmo dei nemici, ponendoli in condizione di schiacciante inferiorità. Anche se non c’era tempo di tentare il Photon Burst, Ioria rifiutò di darsi per vinto e combatté fino all’ultimo, pur con l’armatura del Leone quasi in pezzi, ma Radamante annullò ogni suo assalto e lo gettò in una voragine che conduceva direttamente in Ade. A salvarlo fu la catena di Andromeda, che precedette l’arrivo dei Cavalieri di Bronzo, forti di nuove corazze rinate con il sangue divino. Anche se ormai moribondi però, Ioria e gli altri rifiutarono di lasciar loro lo scontro, chiedendo di poter combattere fino alla morte, da veri Cavalieri. Unendo le forze, sferrarono i loro colpi segreti contro il Comandante, ma vennero sconfitti dal suo Castigo Infernale e precipitati in Ade. Qui, le loro anime vennero intrappolate nel Cocito, l'Inferno di ghiaccio dove erano puniti coloro che si erano opposti agli Dei.
Ioria tuttavia non aveva ancora smesso di combattere per Atena e, alcune ore dopo, proprio il cosmo della Dea gli diede la forza di risvegliare l’ottavo senso, grazie al quale è possibile restare in vita nell’aldilà, e liberarsi. Annientati alcuni Spectre, si recò al palazzo di Ade insieme a Mur e Scorpio, trovando lì anche Libra, Virgo, Pegasus e Andromeda. Tutti loro stavano cercando di infrangere il Muro del Lamento, insormontabile barriera che separava l’Inferno dall’Elisio, il luogo in cui era stata trascinata Isabel. Dopo aver invano provato con le armi della Bilancia, Ioria assistette alla comparsa delle restanti armature d’Oro, preludio alla temporanea resurrezione di tutti i custodi dorati caduti in quegli anni. Tra loro, vi era anche Micene.
Finalmente i due fratelli poterono riabbracciarsi e stringersi la mano, scambiandosi uno sguardo colmo di significato. Non c’era tempo per far altro: pur di permettere a Pegasus e gli amici di proseguire, i dodici Cavalieri d’Oro unirono i loro cosmi e li riversarono nella freccia del Sagittario, liberando il potere del sole. Era un atto di estremo sacrificio, con il quale affidavano il destino di Atena ai Cavalieri di Bronzo. Proprio come Ioria si era augurato tanti anni prima, gli eroi di questa nuova generazione, ormai possessori della loro stima e fiducia, avrebbero portato avanti l’eterna lotta in nome della giustizia. Dopo aver sorriso loro ed averli salutati come fratelli, Leo e gli altri undici custodi dorati distrussero il Muro del Lamento, a prezzo della vita.
Qualche ora più tardi, con la sconfitta di Hades ad opera di Atena e dei cavalieri di bronzo, anche l'Inferno scomparve e tutte le anime che vi erano imprigionate verosimilmente trovarono la pace. In realtà però, quasi subito dopo Ioria si ritrovò miracolosamente di nuovo in vita, trasportato per motivi sconosciuti ad Asgard. Svegliatosi malconcio nella neve, riuscì solo ad avanzare fino alla fortezza più vicina prima di perdere i sensi, ed essere buttato in cella per qualche giorno (vedi Note). Svegliatosi, conobbe una ragazza di nome Lyfia, servitrice della precedente celebrante di Odino Ilda di Polaris e fortemente avversa al nuovo regnante, il misterioso Andreas. Seppur preoccupato dal mistero che lo aveva riportato in vita, Ioria non perse tempo e uscì dalla prigione, accompagnato da Lyfia. Le loro intenzioni però erano opposte: Ioria voleva tornare immediatamente al Grande Tempio per riprendere la guerra contro Hades, evidentemente ancora in corso visto che l'Eterna Eclissi stava ancora oscurando il sole, mentre Lyfia voleva il suo aiuto contro Andreas, che aveva fatto comparire l'albero Yggdrasil al cui interno stava crescendo un seme di sventura.
All'inizio, Ioria non ne volle sapere e, pur accompagnandola a pranzo e ascoltando la sua storia, le ripeté di dover andare via al più presto. Poi però la comparsa di un potente cosmo ostile lo spinse a tornare sui suoi passi e salvare Lyfia da Frodi, nuovo Cavaliere di Asgard fedele ad Andreas. Indossata l'armatura, Ioria tenne testa al nemico, ma finì sorprendentemente per avere la peggio perché il suo cosmo era indebolito da una barriera attorno a Yggdrasil, mentre quello del nemico era potenziato dall'albero stesso. Per di più, durante il combattimento sul corpo di Ioria comparvero degli strani marchi evanescenti, simbolo degli Einherjar, ovvero i defunti del Valhalla riportati in vita da Odino. Quest'insieme di circostanze lo portò a lasciarsi andare e considerare la resa, ma dal ciondolo di Micene comparve la voce del fratello, che gli ricordò le parole di tanti anni prima ed esortò sia lui che gli altri Cavalieri d'Oro risorti a procedere verso Yggdrasil. Di nuovo motivato, Ioria bruciò al massimo il suo cosmo e compì un miracolo, facendo evolvere la sua armatura d'oro in una corazza divina. La trasformazione non durò che qualche attimo, ma gli permise almeno di sconfiggere Frodi prima di crollare.
Malridotto a causa delle ferite, della stanchezza e della barriera, Ioria venne soccorso da Lyfia, che lo portò in una casa abbandonata per permettergli di recuperare. Dopo molte ore di sonno, il Cavaliere si svegliò, allertato dal bruciare del cosmo di Mur nelle vicinanze, e lo seguì insieme a Lyfia. Arrivò dal compagno appena in tempo per vedergli mettere in fuga il Cavaliere di Asgard Fafner, dal quale aveva appreso importanti informazioni su Yggdrasil. Insospettito dal racconto della trasformazione dell'armatura del Leone, Mur però rimase poco tempo con loro, e così Ioria e Lyfia ripresero il cammino verso Yggdrasil, raggiungendo una città nelle vicinanze dalle attività particolarmente floride. Qui, avanzando di nascosto per non farsi scoprire dai soldati di guardia, si imbatterono per puro caso in Cancer e cercarono di convincerlo a unirsi a loro. Il Cavaliere, che si stava dedicando all'alcol e al gioco, rifiutò in maniera netta, dicendo di volersi godere quella nuova vita e di non voler partecipare né alla guerra contro Andreas né a quella contro Hades, il cui progredire era fonte di costante ansia per Ioria. Questa risposta fece infuriare il Leone, che si alzò minaccioso come per convincere Cancer con la forza, ma alla fine la maturità ebbe la meglio e preferì andarsene insieme a Lyfia lasciandolo solo. Pochi minuti dopo, percepì lo scontro dei cosmi di Scorpio e Acquarius, misteriosamente passato dalla parte di Asgard.
Continuando a spostarsi di città in città, la notte successiva Ioria e Lyfia alloggiarono in un'altra locanda, dove il Cavaliere le chiese informazioni su Andreas e sui guerrieri di Asgard, ricevendo una breve descrizione di ciascuno dei sette. Il mattino dopo avvertì invece la scomparsa del cosmo di Fish, primo a cadere tra i suoi compagni. Prima di essere sconfitto però, Fish aveva comunicato a Mur come distruggere la barriera che circondava Yggdrasil, generata da tre grandi radici poste attorno all'albero. Informati da Mur, Ioria e Lyfia ripresero il cammino dirigendosi verso una delle radici, ma ben presto, il viaggio li portò tra le nebbie di Fimbulwinter, una specie di barriera illusoria che circondava l'albero. Ioria si trovò di fronte la figura incappucciata di Pegasus e, non sapendo inizialmente che fosse un'illusione, temette seriamente che i Cavalieri di Bronzo avessero fallito venendo sconfitti da Hades, e che la vita di Atena fosse perduta per sempre. Lyfia lo rassicurò e gli permise di reagire, ma l'illusione di Pegasus si mutò in una di Capricorn, facendo leva sull'astio che Ioria provava ancora verso di lui per l'assassinio di Micene. Pur avendolo da tempo perdonato a livello conscio, comprendendo che aveva solo fatto il suo dovere, in fondo al cuore persisteva ancora un sentimento di rancore inconscio, a causa del quale era impossibile sconfiggere quell'illusione. A soccorrerlo fu il vero Capricorn, i cui colpi però erano inutili visto che solo Ioria avrebbe potuto distruggere quel miraggio. Il custode della decima casa decise allora di sacrificarsi e bloccò l'illusione per permettere a Ioria di colpire entrambi, confessando di aver assistito anni prima all'ultimo saluto di Micene al fratellino, e di aver giurato a se stesso che un giorno si sarebbe fatto perdonare anche a costo della vita. La nobiltà del compagno smosse Ioria, permettendogli di superare il suo astio e distruggere l'illusione, senza però ferire più di tanto il vero Capricorn.
La vittoria fece sparire le nebbie di Fimbulwinter permettendo ai due Cavalieri d'Oro e Lyfia di raggiungere finalmente una delle radici. Con la barriera al massimo, l'unico modo per distruggerla era risvegliare di nuovo l'armatura divina, miracolo possibile facendo esplodere il cosmo al massimo e possedendo qualcosa di strettamente legato ad Atena. L'oggetto in questione per Ioria era il ciondolo di Micene, e così riuscì a ottenere nuovamente la corazza suprema e a polverizzare l'enorme radice. Stessa cosa fecero, altrove, Toro e Scorpio, abbattendo del tutto la barriera, seppur a prezzo della vita del custode dell'ottava casa.
Dopo aver ottenuto da Andreas il permesso di entrare nelle sale interne dell'immenso Yggdrasil, Ioria, Capricorn e Lyfia incontrarono Mur, Toro e Libra, facendo il punto della situazione. Lyfia disse loro che per abbattere l'albero era prima necessario distruggere sette statue all'interno di altrettante sale, custodite dai Cavalieri di Asgard. Nonostante qualche dubbio di Libra, i Cavalieri si fidarono di lei e si divisero, promettendo che avrebbero rapidamente adempiuto al loro dovere ora che la barriera era scomparsa e i loro cosmi erano tornati alla forza originaria.
Ioria convinse Lyfia a restare nel salone centrale e raggiunse Vanaheim, la stanza dei valorosi custodita dal suo vecchio avversario Frodi. Qui, i due iniziarono a combattere, con Frodi sordo alle parole di Ioria circa il male che Andreas e Yggdrasil stavano causando ad Asgard.
Nelle ore successive, Ioria combatté insieme agli altri Cavalieri d'Oro contro Andreas. Conclusasi anche quest'avventura, i dodici tornarono a riposare per sempre. Zeus però non potè perdonare i Cavalieri d'Oro, che con le loro azioni avevano offeso gli Dei, e convocò le loro anime nel Limbo. A nulla servirono le difese di Sion e Libra, gli unici ai quali fu apparentemente concesso parlare, e così per punizione Ioria e gli altri compagni vennero intrappolati in una specie di scogliera d'ambra sulla Terra in stato di totale incoscienza.
NOTE: Le informazioni presenti in questo profilo provengono dagli episodi 16, 26, 36-38, 41, 51-54, 59, 63, 73, 83, 111, 113-114, 117, 119, 122-127, 137-139 della serie classica, dal 4° e 5° film dell’anime, dai numeri 1, 7-10, 13-14, 17-18, 20-22, 26 del manga (edizione StarComics), e praticamente dalle intere saghe di Episode G e Soul of Gold. Purtroppo, queste fonti seguono principalmente due filoni diversi, con Episode G più vicino al manga. Ne consegue che i primi anni di Ioria sono un po’ complicati da ricostruire, anche perché alcuni flashback offrono informazioni contraddittorie, o mostrano Ioria più giovane rispetto ad altri magari ambientati prima. Per esempio, nell’anime il ragazzo divenne Cavaliere d’Oro solo anni dopo la morte di Micene, ma nel manga aveva già ottenuto il titolo mentre il fratello era in vita. In Episode G, alcuni flashback lo mostrano continuare ad addestrarsi con Micene pur avendo già indosso l’armatura d’Oro, suggerendo che intendesse continuare a perfezionarsi, o che l’armatura gli fosse stata data anzitempo perché vi era predestinato, oppure perché, messosi da parte Galan, non c’erano altri contendenti.
In Episode G, Ioria è il protagonista assoluto ed è presente in ogni numero, nelle vesti di combattente o di spettatore. Viene stabilito che i suoi capelli sono naturalmente biondi, ma che li tinge castani o rossi per non assomigliare troppo a Micene. Ciò contraddice l’anime, dove non solo Ioria è castano già da piccolo, ma lo è anche Micene, che invece nei manga è biondo. Più complicato da ricucire è il profondo cambiamento della personalità del giovane tra le due serie, specie per quanto riguarda il tradimento del fratello. In Episode G, Ioria è fermamente convinto che siano solo menzogne e che Micene non abbia mai tradito, mentre nella serie classica ne è certo al punto da non credere subito ad Isabel e da attaccarla. L’unica possibile spiegazione è che l’aver visto la lealtà ed il valore degli altri Cavalieri d’Oro, ed in particolare di Capricorn, lo abbia convinto che non possano star mentendo, spingendolo pian piano a riconsiderare le sue certezze. Per il resto, nel manga prequel la sua personalità passa da cinica ad idealista, mentre nella serie classica è sempre abbastanza realista e controllato, poco avvezzo a lunghi discorsi.
Tra i suoi colpi segreti, il Sacro Leo (Lightning Plasma) e la Zanna del Leone (Lightning Bolt, erroneamente chiamata a sua volta Sacro Leo in alcune occasioni) sono i soli a comparire nella serie classica. Nonostante il nome, non era mai stato stabilito che si trattasse di fulmini e non di normali attacchi energetici. In un certo senso, ciò introduce gli elementi del cosmo, che sarà poi uno dei concetti alla base del sequel Saint Seiya Omega. Il Photon Burst, creato in Episode G, non compare mai nella serie classica, anche se la cosa non è necessariamente un problema. Contro Pegasus infatti non era necessario usarlo, mentre contro Radamante non ce n’era il tempo o l’opportunità. Più in generale, la forza di Ioria varia moltissimo tra le due serie, con Episode G che lo mostra compiere imprese incredibili e superare gli Dei, mentre la serie classica lo dipinge come un combattente nella media della sua casta. Ciò è parzialmente spiegato dai numerosi elementi che indeboliscono i Titani durante l’opera, come la distruzione del Theos Sema o la perdita della memoria, e dall’uso della Dunamis, che funziona solo nel Tartaro. Sempre in Episode G, Ioria mostra di essere praticamente un genio, capace di lanciare il Sacro Leo, parlare lingue straniere ed analizzare i nemici già a cinque o sei anni. Seppur sorprendente, ciò è più o meno in linea con il manga classico, dove i Cavalieri d’Oro ottengono le armature ancora piccolissimi. Bisogna però supporre che il Sacro Leo, in questa fase, sia al massimo alla velocità del suono, e ben lontano dal suo massimo potere. Non viene inoltre mai chiarito come mai proprio lui possieda il fulmine, proprio come Zeus. Sembrerebbe però trattarsi di predestinazione, perché le tragedie della vita lo avrebbero portato a sprofondare nell’abisso e rendere più oscura la sua folgore, fino a liberare il sigillo di Crono. Di certo, nella prima parte di Episode G viene spesso indicato come Ioria sia sul filo tra luce e tenebre, potendo diventare sia un eroe che un crudele assassino. La "scelta" avviene durante il primo duello con Crono ed è testimoniata dall’apparizione del cosmo di lady Isabel dal futuro.
Castalia è spesso considerata dai fan come innamorata di Ioria e, forse, ricambiata. La cosa è stata espressamente negata da Kurumada, ma in effetti è più vera per l’anime che per il manga. Nella serie TV di certo i due mostrano una certa complicità e fiducia reciproca. Episode G espande sull’argomento, mostrandoli salvarsi a vicenda durante le prime fasi del conflitto. La cosa viene però ben presto abbandonata, per spostare il focus sulla nascente amicizia di Ioria verso gli altri Cavalieri d’Oro, e sul suo rapporto con Galan e Lythos. Tra i Cavalieri d’Oro, non è chiaro come Virgo ed altri abbiano contribuito direttamente alla morte di Micene. All’inizio, Ioria sembra detestare Cancer, avere una certa antipatia per Scorpio e Acquarius, odiare Capricorn e Virgo e non avere reale opinione su Toro, Fish o Mur, che incontra per la prima volta durante il viaggio in Jamir. In seguito, proprio Capricorn e Virgo diventano i suoi amici più stretti insieme a Toro. I battibecchi con Scorpio fanno da preludio al litigio in presenza del Sacerdote visto nella serie classica, mentre l’aver poco a che fare con Mur in qualche modo spiega la rissa sfiorata durante la serie di Nettuno. La stessa amicizia con Virgo anticipa le lacrime ed il desiderio di vendetta della serie di Hades, anche se, per contro, fà apparire un po’ troppo radicale l’atteggiamento del custode della sesta casa nella sala del Sacerdote.
Galan e Lythos sono due personaggi creati appositamente da Episode G, la cui assenza nella serie classica pone qualche dubbio, complicato dal fatto che il manga prequel è ancora in corso. Ammesso che siano vivi, non sappiamo come o perché le loro strade si siano separate da quelle di Ioria. Sempre per quanto riguarda Galan, Libra fà un complesso discorso sul principio di causalità, dando a intendere che il braccio perso dal servitore anni prima servì in qualche modo a permettergli di riattaccare quello staccato da Ponto con la Dunamis. È una teoria un po’ lacunosa e contorta, e non viene mai chiarito se il discorso sia simbolico o da prendere sul serio, anche se, quando Iperione danneggia il braccio di Ioria con l’Uroboro, è quello prostetico di Galan ad andare in pezzi.
Secondo Ponto, il destino che spinge i Cavalieri d’Oro a combattere, a loro insaputa, per il male è una punizione divina per aver combattuto i Titani. Lo stesso Gemini finisce per perdere la vita a causa di un maleficio di Crono. Con il senno di poi, viene quindi da chiedersi se la straordinaria forza mostrata da Pegasus e gli altri protagonisti nella serie classica non sia almeno in parte frutto indiretto di queste maledizioni.
Il quarto OAV è fuori continuity, ed è stato inserito solo per ragioni di completezza. Il quinto, originariamente seguito ufficiale della serie, ha il finale tronco ed è stato in seguito rinnegato dall’autore, quindi non è chiaro fino a che punto sia da prendere in considerazione. La scena in cui Capricorn cerca di chiedere perdono a Ioria per la morte di Micene è un extra della versione DVD dell'undicesimo episodio della serie di Hades. Il concerto di Orfeo avviene in un flashback di difficile collocazione a causa della contemporanea presenza del Sacerdote e di Gemini, e dell’assenza di Micene. Visto che Gemini poteva controllare l’armatura a distanza, si può però supporre che sia avvenuto nel periodo a cavallo tra Episode G e la serie classica. Sempre in questi anni ha luogo l’addestramento di Pegasus, teoricamente iniziato subito dopo la fine del conflitto con i Titani, o forse persino già in corso durante Episode G.
Saint Seiya Soul of Gold è una serie animata del 2015 ambientata subito dopo la morte dei Cavalieri d'Oro al Muro del Pianto, con i dodici che vengono riportati in vita ad Asgard. Cronologicamente, distende gli eventi dell'Elisio, visto che a serie iniziata la Greatest Eclipse va avanti già da una settimana, e a sua volta Soul of Gold prende diversi giorni. Ioria è il protagonista e il primo a comparire, ma nell'episodio successivo Mur dice di essere in giro già da una settimana circa e, considerando che i dodici dovrebbero essere tornati in vita tutti insieme, si deve presumere che la prigionia del leone nelle celle di Asgard sia più lunga. Creata solo per esigenze commerciali, l'armatura divina del leone viene giustificata tramite un ciondolo appartenente a Micene che Isabel avrebbe dato a Ioria dopo la vittoria su Gemini, e che permette la trasformazione perché a lungo in contatto con la Dea. Ciò crea il problema di come mai non sia mai evoluta prima, ad esempio al Muro del Pianto o contro Radamante al castello.
Profilo di Shiryu ©