CAPITOLO VI

Dopo un giorno intero di cammino durante il quale Atthia e Theodote avevano lungamente dibattuto sulla missione che stavano accingendosi a compiere, sui loro dubbi, sulle proprie paure e si erano reciprocamente posti domande a molte delle quali nessuno dei due aveva saputo dare al compagno di viaggio una risposta certa, avevano infine entrambi concluso di mettere un freno al loro discutere che, nelle ultime ore, aveva assunto un tono più nervoso che colloquiale.

Sia lo spartano che l’ateniese sapevano infatti che oltre la collina sui cui il sentiero di ciottoli che stavano percorrendo andava inerpicandosi, sarebbero arrivati nei pressi di Maratona ovvero là dove le loro strade si sarebbero dovute separare. Come ordinato dalla Dea infatti Theodote avrebbe dovuto svoltare, seguendo il sorgere del sole, ad est mentre Atthia avrebbe proseguito verso le regioni greche più settentrionali.

In cuor loro non avrebbero mai voluto separarsi dalla compagnia e dall’appoggio dell’amico ma la nobile missione che era stata loro destinata imponeva obbligatoriamente questo sacrificio.

Era quasi il tramonto ed il disco solare che ora aveva assunto un color arancione molto vivace stava nuovamente scomparendo dietro la linea dell’orizzonte mentre l’aria si stava rifacendo fresca e frizzante come all’alba di quella trepidante giornata pregna di emozioni. Se da un lato tutto ciò era piacevole, dato che la calura che avevano patito per tutto il pomeriggio sulla pelle non aveva mai dato loro tregua, dall’altro l’appropinquarsi del calar della sera avvicinava sempre di più l’inevitabile momento dei saluti.

Raggiunta la sommità del colle la vista della pianura che si estendeva sino a perdita d’occhio sulla terra di Grecia fece tirare un sospiro ai due eroi i quali, guardandosi reciprocamente, decisero di stringersi la mano con determinazione senza scambiarsi inutili frasi di encomio. Sia Atthia che Theodote sapevano che di lì in poi avrebbero dovuto proseguire individualmente alla ricerca di qualcosa o, per meglio dire, di qualcuno del quale al momento ignoravano completamente sia il nome che il viso.

«Tra un anno» disse Theodote al più alto compagno che rispose pronunciando la medesima sequenza di parole.

Lasciata la stretta del compagno, Atthia sistemò la propria bisaccia sulla spalla libera dallo scudo e, come sua abitudine, si avviò tenendo la mano destra salda al manico della spada verso il sentiero che discendeva sulla sinistra.

Theodote invece, dopo un ulteriore minuto passato ad osservare l’allontanarsi del compagno d’avventura, assaporò ancora una volta il rinfrescante gusto del vento che stava ora soffiandogli in faccia per poi balzare giù dal masso sul quale si era soffermato e rivolgere il proprio passo verso il sentiero di destra che, discendendo il pendio della collina, lo avrebbe condotto sino al mare.

In Olimpo il Dio Apollo era immerso nei propri pensieri facendosi cullare dal tepore dell’acqua calda della piscina che regnava al centro del giardino del suo palazzo. Questa vasca era di forma rotonda, ricavata probabilmente da un blocco di marmo bianchissimo ed incassata nel terreno in modo che chi vi si volesse bagnare, una volta entrato al suo interno, si ritrovasse con il solo capo sopra alla linea di terra. Tutt’intorno piante in fase di germogliatura, cespugli finemente scolpiti e statue raffiguranti personaggi della mitologia antica adornavano la verde corte interna dell’edificio.

Un batuffolo di polline biancastro e lanuginoso di un fiore stava aleggiando nell’aria sospinto da una leggera brezza. Il Dio del sole stava seguendo con lo sguardo il suo volteggiare tra gli invisibili mulinelli d’aria che lo stavano spingendo sempre più in basso sino a condurlo e a farlo posare con delicatezza sul pelo dell’acqua di quella stessa vasca dove egli stava profondamente meditando. Attratto da quell’inanimato elemento vegetale, Apollo si distolse per un attimo dal suo cogitare e lo raccolse con il palmo della mano destra; a prima vista ciò che ora si era appiccicato all’umidità dell’estremo del suo arto era solamente ciò che doveva essere, ovvero del semplice polline ma, ad un’osservazione più attenta ed approfondita, il Dio del sole non poté non notare di quanti elementi differenti era composto quel semplice batuffolo bianco. Inevitabilmente la mente riprese dove aveva lasciato riavvolgendo il nastro dei pensieri e portando metaforicamente al suo orecchio le parole della sorella Athena quando aveva descritto i mortali come esseri tanto complessi quanto degni di rispetto ed attenzione.

Possibile che se solo del semplice polline avesse attirato la sua curiosità ed il suo interesse, una divinità come lui non si fosse mai realmente interessato alla razza umana e alla complessità delle loro azioni ed interazioni? Questo fu il pensiero che come una scarica attraversò, anche se per un frazione di secondo, la mente del Dio.

Dopodiché lasciò emergere dal filo dell’acqua anche le spalle e il petto andando ad appoggiare i gomiti sul bordo della vasca dove poco più in là vi erano stati posti a portata di mano un vassoio in argento con dei frutti maturi e pronti ad essere consumati ed una coppa di vino riempita quasi sino all’orlo.

Apollo era un uomo alto e bello. Il fisico scolpito e i lineamenti duri ma eleganti potevano probabilmente fornirci l’immagine di un Zeus più giovane. I capelli erano mossi, tendenti al riccio e di colore castano così come gli occhi dai quali traspariva in ogni momento uno sguardo attento e tagliente, non portava la barba e quindi erano apprezzabili le labbra rosee e carnose molto simili a quelle delle sue sorelle Athena ed Afrodite.

Il giovane si stava guardando intorno apprezzando la bellezza e la monumentalità del suo palazzo che forse era per equilibrio architettonico si sarebbe potuto definire secondo solo a quello del padre.

Apollo era giovane, bello, forte, era il Dio del sole senza il quale nessuna forma di vita sarebbe potuta esistere, era un divinità amata e rispettata eppure quel pomeriggio avvertiva in cuore suo un senso di irrequietezza che non gli era proprio e che non riusciva a farlo rilassare del tutto nonostante il conforto del bagno tiepido o di qualsiasi pietanza o bevanda gli fosse stata servita per allietare il suo appetito.

Forse era il turbamento per quelle futili considerazioni che involontariamente la sua mente aveva concepito osservando il tentativo di riprodursi di un insulso fiore, oppure, più semplicemente, era in pena per la sorella Athena alla quale, nonostante non ne avesse praticamente mai dato prova pubblicamente e nonostante il legame di sangue tra loro fosse solo da parte di padre, era enormemente affezionato?

Apollo, assaggiando un dolcissimo acino d’uva bianca, decise in cuor suo che sarebbe restato per così dire alla finestra e non sarebbe intervenuto in alcun modo rispettando così al contempo il divino decreto di Zeus in persona.

Proprio nell’istante della conclusione di quella decisione udì un fruscio alle sue spalle ma ancor prima di poter ruotare la nuca per verificare di cosa si trattasse si sentì afferrare per le spalle.

Apollo sorrise e disse con tono tranquillo:

- Afrodite, riconoscerei il tocco delle tue mani gentili tra mille carezze.

La Dea, che nel frattempo era inginocchiata a bordo vasca dietro al fratello intenta nel massaggiargli la nuca e la parte superiore della schiena, si chinò sul di lui lato destro e lo baciò sullo zigomo con estrema pacatezza.

«Non mi chiami mai quando decidi di rilassarti. Ti sei forse dimenticato della tua adorata sorella? Spesso ti nascondi all’interno del tuo palazzo per giorni, nessuno sa cosa combini, non desideri compagnia e, a volte, viene per giunta da chiedersi se tu sia veramente rinchiuso dietro a queste mura o tu voglia solo darcela a bere e in verità tu vada chissà dove a fare chissà cosa. Sei cattivo e specialmente nei confronti della tua sorella prediletta che, sempre pendendo dalle tue meravigliose labbra, sai amarti più di ogni altra cosa al mondo».

«Non mi dimentico di te, sorella, ma devi imparare a comprendere che ci sono momenti in cui si vuole stare solo con la compagnia di se stessi» rispose Apollo con vago fare sarcastico dato che il troppo mieloso ingresso in scena della sorella gli aveva già acceso un certo campanello di allarme.

Afrodite protestò con un mugolio e rafforzò leggermente la stretta sulle spalle dell’uomo.

«Poco importa della tua tranquillità, ormai sono venuta sin qui e desidero godere del piacere di un bagno tonificante in compagnia del mio fratellone. Concedimi solo un istante per spogliarmi e…» ribatté civettuola la Dea.

Apollo afferrò con decisione la mano di Afrodite, la quale si stava già rimettendo in posizione eretta nell’intento di liberarsi di tutte le sue vesti, per impedirle di proseguire nel suo scopo e arrestandole nello stesso momento la frase tra i denti.

«Non andare oltre sorella, non sono così stolto da farmi ammaliare dalle tue nude e perfette forme e ti conosco troppo bene per non sapere che non sei venuta qui senza una ragione precisa» disse Apollo uscendo dall’acqua.

«Non c’è nessun motivo in particolare» rispose stizzita lei.

«Ne sei proprio sicura?» incalzò il fratello asciugandosi con cura il corpo sgocciolante con un panno di lino bianco ed iniziando poi a rivestirsi guardandola con l’aria di chi sa già ogni cosa.

Afrodite si morse le labbra per non lasciare trasparire la rabbia che sentiva risalirle sino in gola dalla bocca dello stomaco.

Ancor prima che la Dea potesse proferir verbo dichiarando i suoi veri intenti oppure perseverando nella sua ormai smascherata farsa, Apollo prese ancora una volta l’iniziativa e la parola.

«E’ per Athena, vero? Non ti va proprio giù che le sia stato concesso ciò che nostro padre Zeus ha decretato? E sei venuta da me per capire veramente da che parte mi schiero dato che durante la riunione non sono mai intervenuto, dico giusto Afrodite?»

Quest’ultima non riuscì a pensare una frase degna di una risposta convincente e, per tanto, si limitò ad osservare da sotto in su in fratello che in pratica si stava facendo beffa di lei.

«Comunque se proprio vuoi saperlo anche io ho riflettuto a lungo sia sulle parole di nostra sorella e, perché no, anche sul suo coraggio di domandare assemblea e di fare poi ritorno tra i mortali che sulla decisione finale di Zeus e vuoi sapere a quale conclusione sono giunto?» disse Apollo allargando le braccia in segno di rassegnazione.

«La mia conclusione è che non sono arrivato ad una conclusione! Non sono certo come quello stolto di Hermes che si getterebbe nella bocca dell’inferno se solo Athena glielo chiedesse, non sono Poseidone che in fin dei conti non ha interesse a ciò che avviene al di fuori del suo regno marino e non sono nemmeno Hades che evidentemente ha le sue trame da portare a termine e, per tanto, per ragioni che noi ignoriamo e delle quali sinceramente io me ne infischio, si sente danneggiato dalle idee di nostra sorella».

Afrodite si drizzò in piedi stringendo i pugni e intraprendendo l’ultimo tentativo di supplica dei confronti del fratello:

- Ma Apollo, come puoi tu tollerare che quella ragazzina possa avere avuto il diritto di fare ciò che vuole? Ti rendi conto che, nella peggiore delle ipotesi, se per disgrazia dovesse riuscire nella sua folle missione potrebbe arrivare a disporre di un numero di Santi superiore a quello di chiunque altro? Lo capisci che se ciò le riuscisse, quella sfacciata si porrebbe al di sopra di tutti noi? Vuoi farle davvero avere questo potere? Vuoi che dimostri di essere meglio di noi? E poi non hai pensato al fatto che avrebbe per giunta il diritto di governare il regno dei mortali? Non credi che sia troppo ingiusto ed indegno per lei?

«Taci Afrodite» rispose Apollo seccato e allontanando da lui la sorella la quale, nel frattempo, gli si era avvicinata sempre di più di parola in parola.

«Innanzi tutto Athena non vuole governare gli uomini, ha solamente reclamato il diritto ed il permesso di farsi carico della loro salvaguardia in quanto Dea della giustizia. Inoltre, se la conosco come credo, sono assolutamente certo che mai e poi mai vorrebbe porsi al di sopra di qualcuno, tantomeno di me, te o Zeus in persona. Parli poi di governare il mondo dei mortali: ma se non te ne è mai importato nulla, lascia perdere questi discorsi Afrodite! La tua è solo invidia per qualcosa che a te non è stato concesso, anche perché tu non hai chiesto nulla, oppure è la semplice gelosia che hai da sempre nutrito nei confronti della tua sorella minore perché sai, in cuor tuo, che nostro padre Zeus preferisce lei a te.

A proposito di ciò, tra l’altro, vorrei che capissi che se Zeus ama maggiormente Athena rispetto alla Dea della bellezza è solo perché quest’ultima si è sempre curata di adorare più se stessa che qualsiasi altra creatura dell’universo, compreso il suo stesso padre. Infine se Athena arriverà a disporre anche di cento Santi questi non sono certo affari miei e comunque non credo proprio che una masnada di uomini reclutati ed addestrati in un lasso di tempo così ridotto come Zeus ha loro concesso potrà avere la meglio sui nostri paladini».

Afrodite stringeva i pugni per la rabbia e i suoi occhi, normalmente così languidi ed aggraziati, trasudavano odio nei confronti del fratello.

«Come desideri Apollo. Non chiedermi aiuto quando sarai tu ad averne bisogno. Troverò qualcun altro disposto ad ascoltare le mie ragioni, non dubitarne».

Detto ciò la Dea della bellezza girò su stessa puntando diritta verso l’uscita del verdeggiante giardino del palazzo di suo fratello mentre Apollo la osservava andarsene non particolarmente stupito dalla reazione della donna.

Il Dio del sole, essendo a conoscenza della permalosità di colei che stava percorrendo il suo personale eden, non poté resistere alla tentazione di lanciarle un’ultima frecciata giusto per farle dispetto. Alzando quindi il tono della voce in modo da essere di sicuro di farsi udire le intimò:

- Io che chiedo aiuto a te? E quando mai è successo e quando mai succederà? Un’ultima cosa da prendere come promemoria per la prossima volta che mi saprai intento a fare un bagno: non venire tu ma mandami la tua fedele Lamia! Dopo oggi credo che sia meno serpe lei di quanto non lo sia tu.

Mentre Apollo concludeva il tutto con una sonora risata, Afrodite, paonazza in viso e con quasi le lacrime agli occhi per l’isteria che nascondeva dentro se stessa, raggiunse velocemente l’uscita ed abbandonò il palazzo.