CAPITOLO V

«Ma che prova è questa? Tredici santi? Ma poi cosa sarebbero questi Santi? E dove li troviamo? Sfidare i paladini delle divinità olimpiche? Arrivare vincitori al palazzo di Zeus? Accedere all’Olimpo? A sette anni a partire da oggi?». Queste furono solo alcune delle domande che uscirono confuse e a ripetizione dalla bocca di un agitatissimo Theodote.

Athena lo lasciò parlare divertita mentre Atthia, e la sua scarsa pazienza, volgevano gli occhi al cielo sbuffando e ascoltando l’amico che, a tratti seduto sull’erba, a tratti all’in piedi muovendo nervosamente alcuni passi, perseverava nel porre alla Dea e nel porsi da solo una miriade di questioni e, a volte, nel darsi anche alcune risposte cui, immancabilmente, facevano seguito altre domande che si andavano a sommare o ad intrecciare con tutte le precedenti.

La giovane, così come il possente Atthia che optò per sdraiarsi comodamente all’ombra che il fico proiettava sulle loro teste, finì per trattenere a stento il desiderio incontenibile di ridere del suo irrequieto cavaliere.

Il solo a restare serio durante tutto questo siparietto fu Patros il quale, infine, afferrò Theodote per il braccio intimandogli di darsi una calmata e soprattutto di fare silenzio. Quest’ultimo, ancora basito e a tratti leggermente imbronciato, prese alla lettera la richiesta del più anziano compagno d’arme andandosi a sedere accanto ad Atthia.

«Athena, per piacere, illustraci meglio cosa il destino ci riserva ma prima di farlo voglio premetterti, e credo di parlare anche a nome sia di Atthia che del "silente" Theodote, che noi tre tuoi fedeli cavalieri obbediremo ciecamente ad ogni tuo ordine o desiderio anche se, da ciò che ho inteso del tuo racconto, ti consiglio di fare ritorno sui tuoi passi e rientrare subitamente in Olimpo. Voglio credere che tuo e nostro padre Zeus sarà benevolo nei confronti di una delle sue figlie predilette, non ti curare di noi altri, sapremo comunque ben cavarcela anche se soffriremo per la tua assenza o, per meglio dire, per la tua mancanza che in ogni caso dovremo accettare e ben sopportare perché ti sapremo al sicuro sulla cima del monte Olimpo» disse Patros con tono comparsato.

Athena, commossa per le parole del suo cavaliere, stava quasi per prendere la parola quando fu nuovamente interrotta da Theodote.

«Sì, o mia Dea, fai ritorno tra i tuoi simili, non prenderti degli inutili rischi per noi…»

A questo punto Atthia tappò con la sua grande mano la bocca di Theodote e, con una leggere pressione dell’avambraccio, lo fece ruzzolare all’indietro sulla schiena facendogli battere la testa su di una radice. Rialzatosi poi prontamente, finalmente Theodote, palpandosi il capo con i polpastrelli in cerca di un probabile bernoccolo, incrociò le gambe e si cucì la bocca.

La Dea Athena, con fare pacato e con sguardo fiero, parlò apertamente ai suoi tre ascoltatori:

- Miei cavalieri, sono perfettamente convinta della scelta che ho fatto, non ho dubbi e, come pubblicamente detto innanzi a mio padre Zeus e a tutti gli Dei presenti in Olimpo, gli uomini sono per me troppo importanti e non intendo lasciare che la razza umana resti alla mercé dei capricci degli Dei che non conoscono quanto splendidi e stupefacenti siate voi mortali. Io, non per mio volere, ho avuto natali divini. Sono Athena, la Dea della giustizia, e per questa ragione ho il diritto di esercitare la mia volontà di salvaguardare questo mondo a cui tengo infinitamente.

So che la prova che attende tutti noi non sarà certamente una passeggiata, non nascondo la paura che nutro sia per me stessa che soprattutto nei vostri confronti. Gli Dei sono esseri molto potenti e, cosa da non sottovalutare, ancor più cocciuti e permalosi senza contare che i Santi al loro servizio sono dei veri e propri fanatici della divinità cui prestano servizio. Essi non avranno scrupoli nell’affrontarvi, vorranno dimostrare sopra ogni altra cosa la loro forza ed il loro valore, si batteranno, se necessario, sino allo stremo delle loro forze per ben figurare agli occhi del proprio Dio o della propria Dea e non escludo che siano disposti anche a privarvi della vostra stessa vita.

Tutto ciò mi fa temere infinitamente per voi e mi colloca in uno stato d’ansia che temo non possiate comprendere. Ciò nonostante mi trovo costretta a dover rischiare me stessa e la vita dei miei fedeli cavalieri per perseguire un obiettivo più alto e più nobile.

«Noi siamo con te, o mia Dea» disse Patros con voce tanto profonda quanto ferma.

«Non era nemmeno da mettere in questione» ribatté Atthia battendosi il pungo sul petto.

Theodote si limitò ad annuire in segno di assenso.

La giovane ragazza sorrise caldamente e fissò con sguardo ammirato ciascuno dei tre cavalieri che le sedevano davanti.

Atthia poi, rivolgendosi direttamente alla propria Dea, domandò:

- Perdona la mia domanda, ma, a lato pratico, cosa dobbiamo fare per formare questo nuovo gruppo di cavalieri che tra soli sette anni dovrà essere perfettamente addestrato e preparato ad uno scontro con questi Santi?

Athena sospirò e, perseverando con la delicatezza che le era propria, rispose allo spartano e agli altri due giovani che, sicuramente, avranno avuto in testa lo stesso interrogativo esposto dal compagno:

- Atthia tu eri un giovane guerriero che io ho avvicinato su un campo di battaglia così come trovai Patros nella bottega di suo padre e Theodote al porto di Atene, suppongo che mai nella vostra vita avreste immaginato di divenire cavalieri di una divinità anche se, in cuor vostro, avreste potuto ascoltare il richiamo del cosmo che era insito in voi sin dal momento del vostro primo vagito. Dico ciò in ragione del fatto che in voi il cosmo non è stato introdotto da me o da nessuna altra entità, esso era già presente nel vostro stesso essere in quanto scelti e predestinati dalle stelle. Il mio ruolo è stato solamente quello di insegnarvi a saper riconoscere, padroneggiare e ad usare il vostro immenso potere. Sappiate che non siete i soli ad aver ricevuto questo dono, ce ne sono molti come voi anche se ancora non sanno di essere dei predestinati così come non ne avevate idea voi stessi prima di incontrami.

La vostra prima missione sarà infatti quella di attraversare la terra di Grecia ed individuare questi prescelti che, come voi, potranno divenire Cavalieri di Athena.

Per riconoscerli vi sarà sufficiente saper ascoltare e seguire l’eco del loro cosmo ancora sopito. Sono sicura che sarete pienamente in grado di svolgere questo incarico così come sono certa che il fato sarà dalla nostra parte.

Tu, prode Atthia, partendo dall’Attica ti dirigerai verso Nord e, attraversando la Beozia, arriverai sino in Epiro e in Macedonia per poi ridiscendere la costa dalla quale, esplorando il Peloponneso, farai ritorno sino nella a te familiare laconica Sparta. Invece a te Theodote affido il compito di spingerti verso Est in Eubea dove, via mare, risalirai i litorali della Tessaglia. Qui dovrai cercare di ritracciare un uomo di nome Chrysante detto l’albino; egli ti sarà senza dubbio tanto di aiuto quanto di illuminazione. Fatto ciò ti dovrai reimbarcare e raggiungere le rive di quante più isole del Mar Egeo tu riesca ad incontrare. Infine a te Patros affido una missione differente: tu resterai in questa regione con me dove ti dedicherai sotto la mia guida alla costruzione delle armature e degli armamenti che saranno necessari per affrontare le future imprese con le quali il nostro destino ci vorrà indubbiamente mettere alla prova.

Lo stesso Patros intentò una protesta ma la Dea, per mezzo di un cenno della mano, fermò sul nascere il suo intento.

«Miei prodi, ci ritroveremo sotto questo splendido albero di fico tra un anno esatto con la speranza, anzi con la certezza, che saremo tutti sani e salvi ed in numero maggiore» proseguì e concluse Athena.

Atthia e Patros si scambiarono un cenno d’intesa mentre Theodote pareva non meno preoccupato di prima.

Quest’ultimo però si avvicinò alla Dea abbracciandola per la seconda volta in quel giorno, dopodiché, con fare fermo e deciso, si rivolse allo spartano dicendogli:

- Atthia questa volta sono io ad esortarti a muovere celermente i tuoi passi, io e te abbiamo molta strada da fare e non molto tempo a disposizione per percorrerla!

Il grande uomo, come sua consuetudine, si alzò in un istante andando a raccogliere i suoi pochi equipaggiamenti. Scambiato uno sguardo di encomio nei confronti della Dea Athena, la quale lo stava a sua volta osservando con ammirazione, e stretta con vigore la mano di Patros in un vivido saluto, afferrò Theodote per la nuca e diresse i suoi piedi verso la fine del frutteto dove un sentiero polveroso e circondato dalla sterpaglia li avrebbe condotti lontano da quel sicuro riparo all’ombra di un fico.

Athena e Patros, seppur in parte abbagliati dal sole ora alto sopra le loro teste, non smisero di osservare malinconicamente i due eroi che si allontanavano sino a quando le loro figure non scomparvero dietro la linea ondulata del colle.