CAPITOLO XVII

Il cimitero di Mitilene, principale nucleo urbano dell’isola di Lesbo, sorgeva alle base dell’alto colle situato alle spalle della città. Da qui si poteva godere della vista del piccolo golfo dove era ormeggiato un esercito di imbarcazioni e del labirinto di strade che, partendo da esso, si diramavano verso la periferia. Durante la notte e da questa posizione sopraelevata, i fuochi accesi dentro alle case e per le vie apparivano come uno sciame di lucciole che, partendo dai margini più esterni, divenivano sempre più fitte e numerose mano a mano che ci si avvicinava al centro e al porto per poi, come se una rete ne limitasse nettamente l’espandersi, esse s’interrompevano bruscamente laddove la terra cedeva il passo all’immensità dello scuro mare. Solo levando lo sguardo al di sopra della linea dell’orizzonte, il cielo di quella notte di fine estate riprendeva a brillare del chiarore delle stelle.

L’unico suono che si udiva era il fruscio del vento che sibilante soffiava tra i lunghi fili d’erba cresciuti tra una lapide e l’altra.

«Come dite? Non vi capisco bene stasera, siete stranamente agitati».

«Ah sì, ecco, ora riesco ad intendere meglio le vostre voci».

«Perché me ne sto sempre qui da solo? Beh, ci siete voi a tenermi compagnia quindi non soffro la solitudine e poi sapete perfettamente che se dialogassi con voi liberamente al di fuori di questo luogo la gente mi prenderebbe ancora più per pazzo di quanto già non mi consideri».

«Dite che un pericolo si sta avvicinando? Siete preoccupati per me?»

«Tranquilli amici miei, anche io avverto che qualcosa di spaventoso si sta avvicinando a Mitilene ma non ne ho paura; al contrario attendo il manifestarsi di questa minaccia con trepidazione. Credo che i tempi siano maturi e che sia giunto per me il momento di misurarmi con qualcosa o qualcuno che possa darmi la reale idea delle mie capacità».

«Scusate, mi correggo: delle nostre capacità».

Se qualcuno fosse stato presente e all’ascolto di questo dialogo, avrebbe visto esclusivamente un singolo uomo seduto sopra ad una lapide di consumata pietra che, come rivolto a degli invisibili fantasmi, chiacchierava tranquillamente con il vento e con le stelle.

Costui era un uomo abbastanza magro, dalla carnagione candida, i capelli cortissimi, biondi e con un’ampia stempiatura. Gli occhi erano di colore verde scuro mentre i lineamenti, così come il naso, le labbra e le sopracciglia, erano sottili ed affilati. Indossava un paio di calzoni ed una maglia in cotone chiaro piuttosto sgualciti e rattoppati; sopra quest’ultima portava una piccola corazza da oplita in cuoio scurissimo che era probabilmente il retaggio di un passato trascorso sotto le armi, i piedi e le caviglie erano avvolti da delle bende che, strette dai lacci dei sandali, gli salivano sino ad appena sotto le ginocchia. Nonostante l’aspetto trascurato, che veniva oltremodo enfatizzato dall’oscurità delle tenebre e dal sinistro luogo in cui era comodamente adagiato, quest’uomo avrà avuto poco meno di venticinque anni di età. Il suo nome era Costa ed a Mitilene era noto come colui che parla ai morti.

La notte successiva il vento spirava con maggiore intensità e delle nuvole scure coprivano buona parte della volta celeste, nell’aria circolavano già i primi segnali della fine dell’estate. Nel giro di qualche mese il mare si sarebbe fatto più grigio ed agitato, le foglie sarebbero cadute dagli alberi e gli stormi di uccelli migratori sarebbero volati verso lidi più caldi.

Costa passeggiava tra le tombe accarezzando con le dita la fredda pietra di cui esse erano costituite e leggendo di tanto in tanto i nomi di coloro che un tempo avevano camminato tra i vivi. Intorno a lui, come sempre, solo la brezza pareva sussurrare parole a coloro che erano in grado di udirne il suono.

L’uomo solitario sapeva che l’atteso ospite lo aveva già raggiunto, le voci degli spiriti glielo avevano già segnalato pocanzi mentre ora si erano fatte bisbiglianti al limite del taciturno creando un silenzio cupo ed ovattato.

«Esci allo scoperto, so che sei qui» furono le perentorie parole che Costa pronunciò rompendo la pace che ammantava il cimitero di Mitilene.

Mentre le voci degli spiriti ripresero a farsi sentire con prepotenza all’interno delle orecchie di Costa come se un motto di entusiasmo misto a paura li avesse scossi in profondità, da dietro un cipresso che insieme ai suoi simili faceva da cornice al luogo di riposo, fece la sua comparsa una figura tanto di grossa taglia quanto dalla sagoma mostruosa.

Non appena quest’ultima abbandonò il riparo in cui si era celata sino a pochi attimi prima, la terra sembrò tremare sotto ai suoi passi ed il vento parve frenare il proprio impeto mentre un raggio lunare filtrò tra le nubi in movimento andando ad illuminarla.

L’unico essere vivente al di fuori di Costa presente al cimitero era un uomo alto quasi due metri completamente ricoperto da un’armatura di colore rosso scuro sul cui petto, tra le forme del metallo di cui era costituita, pareva avesse preso forma il volto di una creatura infernale; sui gomiti e le ginocchia vi erano dei grossi aculei bianchi mentre altri di essi spuntavano dai fianchi, da sopra le nocche delle mani, dalle punte dei piedi, dai talloni, dalle spalle e dai lati dell’elmo al cui centro capeggiava un occhio vitreo di colore giallo intenso.

Una voce profonda e decisa provenne dalla figura:

- Dunque è forse vero ciò che si dice sul tuo conto? Hai poteri da indovino o gli spiriti dei morti vengono in tuo aiuto?

«Entrambe le cose probabilmente! Le anime di coloro che riposano in pace si inquietano quando avvertono l’avvicinarsi di un disastro o di una presenza malvagia ed io stesso avevo percepito già da un giorno il tuo cosmo malefico appropinquarsi alle coste dell’isola di Lesbo. Ciò nonostante non sono a conoscenza né del tuo nome né dei tuoi intenti anche se, in merito a questi ultimi, ho sentore che non mirino a nulla di lodevole» fu la secca risposta di Costa nei confronti di colui del quale non sembrava minimamente temere né l’aspetto né il misterioso scopo.

Proseguendo nel camminare in direzione delle lapidi, l’uomo in armatura, pur sottolineando di voler svolgere la faccenda nel minor tempo possibile, diede comunque una risposta ai quesiti che gli erano stati posti:

- Io sono Gigant del Ciclope, su di me brilla la stella della terra violenta e sono qui con il solo, unico e preciso scopo di farti sprofondare tra i tuoi amati spiriti.

Il sedicente assassino fece una pausa, poi proseguì prendendosi gioco di Costa:

- Ora che mi ci fai pensare, forse non sono venuto sino a Mitilene per ammazzarti ma per farti un gradito regalo. Se ci tieni tanto a parlare con i fantasmi, cosa potrà esserti più gradito se non divenire uno di loro. Chissà quanti bei discorsi potrete fare una volta che sarete tutti allegramente imprigionati in Ade?

Dopo aver abbondantemente riso, Gigant ci tenne anche a precisare:

- Altri miei compagni sono già caduti per mano di gente della tua risma ma ciò non accadrà oggi. Ora muori!

Dicendo ciò, Gigant si produsse in un pugno dal quale si scaturì un fascio luminoso verdastro che investì in pieno petto la sua vittima che ricadde con violenza contro la lapide alle sue spalle.

Costa avvertì un profondo dolore al cuore che per un istante sembrò arrestare il proprio battito mentre l’urto contro la pietra gli scosse dalla primo all’ultimo osso presente nel suo corpo.

In un primo momento Gigant credette di aver già sbrigato e concluso la faccenda con un sol colpo ben assestato:

- Ecco fatto! Il mio avversario è già caduto. Ho spezzato la sua inutile vita come un ramoscello secco. Se questo è il valore dei nostri nemici posso prendermela con comodo. Non capisco come quegli incapaci di Caronte, Raimi e Niobe abbiano potuto perire in uno scontro con questi smidollati. Poco importa comunque, raggiungerò Meteora e mi sbarazzerò altrettanto rapidamente di Chrysante e degli altri due cavalieri senza versare nemmeno una goccia di sudore.

«Chrysante hai detto?»: domandò una voce sofferente proveniente dal presunto cadavere di Costa.

«Sei ancora vivo dunque? Meno male, credevo di aver già esaurito il divertimento anche se, ridotto come sei, non resisterai ad un secondo mio affondo» ribatté il nemico.

Costa, sputò sangue dalla bocca e, facendo leva con il braccio sul bordo della lapide sulla quale era precipitato, ignorò i propositi di Gigant.

Messosi in posizione eretta non si preoccupò dell’eventualità di subire un secondo e mortale attacco da parte del demone che gli stava di fronte. Il suo interesse pareva vertere esclusivamente su quel nome che aveva sentito pronunciare da colui che attentava alla sua vita:

- Chrysante! Gli spiriti dei morti mi hanno già parlato di quest’uomo. Pare che egli riesca, anche se in modo diverso dal mio, a comunicare con loro e pare altresì che le nostre strade siano destinate ad incrociarsi.

Preparandosi a caricare il colpo di grazia, Gigant volle beffarsi per un’ultima volta della sua vittima designata:

- dici che il fato abbia previsto per voi un incontro? Te lo dico io dove potrete conoscervi: all’inferno! Dopo che avrò finito con te, ti prometto che sarò celere nel fare in modo che tu non debba attendere troppo a lungo l’arrivo della sua anima dannata.

Davanti a Gigant però l’uomo noto come colui che parla ai morti dava l’idea di aver recuperato tutte le proprie energie. Era saldamente piantato con i piedi per terra a gambe semi divaricate mentre, con il braccio alzato al cielo, pareva indicare con la punta del dito indice un luogo preciso tra le stelle della volta celeste.

Intorno a lui sembrò crearsi un vortice di luce blu che, con movimento elicoidale, andava espandendosi per tutta l’area del cimitero. L’aria rimbombò di un fragore simile a quello del tuono mentre tra le lapidi e le tombe si accesero decine di fuochi fatui azzurrognoli.

«Strati di spirito!!!»

Seguendo il comando di Costa il vortice di onde si abbatté sul nemico che, inerme, si sentì stritolare come avvolto in una morsa mortale.

Gigant avvertì il peso della propria anima macchiata da indicibili crudeltà gravargli sul cuore e decine di braccia, dita e bocche che, come una pianta di rovi spinosi in rapida crescita, gli avvinghiavano le gambe. Con suo orrore abbassò lo sguardo verso il suolo. Ora anche Gigant della stella della terra violenta poteva vedere ed udire ciò che Costa aveva sempre osservato ed ascoltato: un numero non meglio precisato di spiriti sotto forma di cadaveri putrescenti lo avevano afferrato e tentavano con ogni loro forza di trascinarlo verso il basso.

Gigant guardò inorridito Costa come se chiedesse una spiegazione a ciò che gli stava accadendo.

Quest’ultimo asciugandosi il sangue dalla bocca si avvicinò al nemico:

- Sei già morto anche se non te ne rendi conto. La tua anima ed il tuo corpo si sono già separati. Maggiore sarà la resistenza che opporrai, maggiore sarà il tuo tormento.

Queste furono le ultime parole che Gigant udì durante la sua sconsiderata vita; mentre il suo corpo si dissolveva in un mucchio di terra nera, la sua anima cadde nelle profondità dell’abisso trascinata da mani e dita ossute che non avrebbero mancato di dargli tormento per l’eternità.

Contemporaneamente all’esplosione del cosmo di Costa e dall’altra parte dell’Egeo, Chrysante, rinchiuso ormai da giorni nel cuore della caverna situata al di sotto delle fondamenta del santuario di Meteora, interruppe la meditazione nella quale era sprofondato.

Non molto distante da lui, sulla piazza antistante il convento, Theodote e Demetrios erano seduti nei pressi del paranco dal quale erano giunti poco più di tre mesi e mezzo prima. I due erano accesamente impegnati in un dialogo.

«Sono stufo di stare qui con le mani in mano! Quando ci siamo conosciuti mi avevi spiegato quale fosse l’importanza e l’urgenza della tua missione che, nel frattempo, è divenuta anche la mia ma è tutta l’estate che siamo bloccati sulla cima di questa rupe in attesa che l’albino ci dia un segnale» esclamò nervosamente il capitano dell’Athena.

«Lo so amico. Anche per me è un supplizio dover stazionare qui sapendo che, mentre noi riposiamo, il mio compagno Atthia, se lo conosco come credo, non avrà arrestato un solo istante il suo passo. Ciò nonostante è stata la Dea Athena in persona a domandarmi di rintracciare Chrysante ed inoltre, una volta che ci ha mostrato il suo straordinario potere, io stesso non ho esitato a dargli sia la fiducia che il tempo necessario per raggiungere i suoi propositi. Cerca di vedere il lato positivo della cosa: i monaci sono stati eccezionalmente gentili ad ospitarci e Xuto in particolare ci ha consentito di cavarcela quando i paesani hanno ritrovato il cadavere del povero Gregentios. Se ben ricordi associare la venuta di due forestieri alla contemporanea morte del locandiere del villaggio non fu cosa presa molto bene dagli abitanti di Meteora; ci hanno cercati armati di falce e forcone ed è stato palese come, senza l’intervento risolutore di Xuto che trovò le giuste parole per spiegare loro chi fu il vero responsabile delle morti di Gregentios e di alcuni suoi compagni monaci in quel tragico giorno, essi avrebbero preteso le nostre teste senza voler udire molte giustificazioni. Infine questa sosta forzata mi ha dato la possibilità di dare veramente inizio al tuo addestramento e, a tal proposito, devo dire che i tuoi progressi sono stati più che impressionanti» ribatté Theodote cercando di tranquillizzare l’amico.

Demetrios non ebbe voglia di ribattere una seconda volta alle parole di Theodote dato che al momento, anche se ciò che aveva appena pronunciato non placò minimamente la sua frustrazione, il cavaliere che gli sedeva difronte restava più esperto, più capace e più saggio di lui e per tanto le sue decisioni e le sue considerazioni andavano rispettate senza protestare.

Così come aveva affermato pocanzi il suo maestro, le capacità di Demetrios erano notevolmente aumentate: dal suo pugno la rabbia che sentiva scorrere dentro alle vene fu canalizzata in una piccola bolla di acqua e luce che fu poi scagliata nel cielo terso di Meteora che, al tramonto, puntualmente si riempiva di splendidi e variopinti bagliori cosmici.

Mentre entrambi i presenti seguivano con lo sguardo la scia del colpo di Demetrios, una voce alle loro spalle richiamò la loro attenzione:

- Davvero notevole! Le tue capacità sono aumentate in modo esponenziale.

Chrysante aveva abbandonato la caverna ed ora, avvolto da capo a piedi in un mantello di juta, aveva raggiunto i due cavalieri nella piazza del convento.

«Chrysante, finalmente sei uscito dalle profondità della terra o è la terra stessa ad averti sputato furori?» chiese ironicamente il capitano dell’Athena.

«Non essere irriguardoso nei confronti del nostro amico» lo riprese Theodote.

L’albino, che come abitudine perseverava a mantenere lo sguardo serrato, lasciò intendere con un semplice cenno della mano che non era necessario perdersi in convenevoli; aveva qualcosa di molto più importante da comunicare loro:

- Ho finalmente ricevuto il segnale che stavo attendendo, dobbiamo partire immediatamente.