Eros e Pathos
"Ce soir, je m'étais penché sur ton sommeil"
Paul Verlaine -
- Quando partirai?
- Domattina.
Il vento muoveva dolcemente i capelli dei due ragazzini, accarezzandoli con dita gentili intrise di sale, che scorrevano impudenti sulle loro membra sottili, recanti ancora i segni dell'infanzia.
Guardavano il cielo.
Erano belli.
- Tu pensi di rimanere ancora per molto?
Gli occhi chiari del bambino più giovane rilucevano dell'oscurità che avvolgeva il compagno, scuro di notti insonni e di sole. Era insolito, per un essere umano ancora fanciullo, condensare su di sé tanta tenebrosità, dandole quasi una consistenza fluida, liquida come le lacrime che Eros non gli aveva mai visto versare. Aveva pianto? Vedeva una ragione per lasciar scorrere la propria disperazione sul mondo? per essere disperato? Forse no, non ancora.
- Zoroastro ha intenzione di riprendere il mare al tramonto del prossimo giorno, o magari dell'altro.
Sapevano entrambi che si sarebbero rivisti dopo non molto: un mese, probabilmente due; ma il distacco faceva male alla coppia di bimbi, che trascorreva quella mite serata primaverile a contemplare l'empireo, doleva anche a Ermete, apparentemente freddo e distaccato, diametralmente diverso dalla creaturina pulsante e sanguigna che gli stava accanto, condividendo lo stesso firmamento.
Liberi per qualche ora, pronti a ritornare in gabbia, in attesa della prossima estate… consapevoli.
- La sai una cosa?
La vocina flebile del fanciulletto dallo sguardo cristallino aveva assunto un'intonazione ancor più esitante, ma terribilmente dolce, una carezza dell'innocenza.
- Cosa?
- Mi mancherai.
Anche tu… ma non lo disse, rimase muto e malinconico, rimirando il riflesso degli astri sull'increspata e tetra distesa d'acqua.
- Zoroastro dice che lì la pietra parla e che qui non riesce a lavorare bene… mi domando se le sue maledette sculture siano più importanti di me, del mio futuro.
Piuttosto che chiederselo, lo temeva e l'idea che tale dubbio potesse non essere infondato lo terrorizzava, gettando la sua mente, maturata troppo in fretta, in uno stato di annebbiamento stordito, in cui tutto ciò che era e poteva essere si sintetizzava in una parola: paura.
Non ricordava il giorno del primo incontro col maestro: era troppo piccolo o troppo sconvolto - da cosa? dalla vita; ma da allora, ovvero dai tempi più remoti serbati nella sua memoria, quell'uomo, dalle spalle robuste e gli occhi colmi di nubi, era stato tutto, tutto.
Sapeva, il giovinetto, anche quello che avrebbe dovuto ignorare; ma non aveva importanza: il suo cuore non sarebbe mutato… l'avrebbe seguito in ogni pazzia, benché egli, per lui, non fosse altro che la degna prosecuzione del suo operato.
A lui aveva affidato tutta la sua fiducia, tutta l'anima, tutto sé stesso, ciascun singolo istante di un'esistenza che, altrimenti, sarebbe risultata misera e inutile… per ricevere in cambio cosa? un monumento più durevole del bronzo, oro inalienabile ma… morto.
L'amichetto non aveva avuto verbo con cui ribattere, solo il triste tacere d'uno sguardo forgiato nel ghiaccio per sentimenti ardenti e forti, per le emozioni che scalando l'anima, proprio come la manina bianca che stava infondendo un lieve ed evanescente tepore alla sua guancia rigida.
*
Ermete:
Andai. Che potevo fare? Che? Morto… stop!
La mia vita era finita con la sua, germe parassitario di un'esistenza superiore. Inutile subordinato: ecco cosa sono.
No, non ti erigerò il marmo che meriti: la tua tomba è d'acqua. Acqua … ci ha legati, stregati tutti, dal primo all'ultimo.
Oceano maledetto! Erro: era un lago chiuso!
E tu… vivo, bello come un dio. Saprai? Saprai accogliermi?!
Tace… solo il vento si strazia impazzito su questa remota terra bianca, dimenticata dagli astri. Giorno? Voli? Niente.
Non ci sei… dove trovarti? Ho freddo e male, sono senza vestigia; il padre, l'amico, l'amante è partito senza concedermi l'investitura.
Non sono uomo, non cavaliere: eterno apprendista.
Amore… affogato.
Perché? Perché? Perché? Perché….? Adieu.
Qui tutto così pallido… d'una luce che provoca male agli occhi, assieme alla neve che imprigiona il sole. Il Sole… il caldo sole di Sicilia… e Lui. Lui. Lui. Tanto alto e … forte, forte non abbastanza per il suo segreto. Quale?
Non so.
Lo confessò, nel talamo peut-être, ma non ascoltavo, dormivo sereno, con lui. Sempre con lui. Pazzo!
Amico mio… vieni! Vieni prima che muoia! Vieni, ché lo seguirò… presto, molto presto.
Diceva che avrei capito, compreso. Non riesco. No. No, solo no, un perpetuo no.
La forma. No.
Degne requie per la mia passione. No.
Distacco… era quello che volevi? No. Non l'hai mai chiesto, non a me…. Uniti, compagno, eravamo uniti… Uniti!!!!
Grido, ululo come la tormenta impietosa. Achille senza il suo Patroclo, tale e quale sono. Mi vendicherò, lo giuro su questo ghiaccio che mi lambisce le carni. Mesto assassino, mondo…. Noooo! Mi stringevi, dio come mi stringevi! Sentivo il sangue fluire in te, dare vigore al tuo corpo… giovinezza. Quanti? Ventitré? Ventiquattro? Ai miei occhi.
Pochi, pochi, cavaliere. Folle!!!
Mi aggiro sperso per lande straniere, ho smarrito il mio riferimento ed ogni raziocinio… sono precipitato con te.
Tu, però, anelavi al cielo! Sei giunto: empireo ti apre le braccia… al posto mio.
Io sono l'uomo, incatenato al crocicchio, tu sei andato oltre. L'allievo non supererà il maestro: l'alunno non coglie un senso.
Mi incitavi ad abbandonare la ragione ed imponevi d'usare l'intelletto. Voglio la tua armatura! Voglio la tua armatura… la tua armatura! La bramo col tuo corpo. Voglio te, matto!
Bambino… prendi il mio titolo d'innocenza e… e … e che sarà? ciò che può. Salvami.
Salva questo intruglio caotico, portami lontano dalla bufera: non ho più gli arti per muovermi, non ho arte.
A te, Magister, piacevano le mie gambe: avremmo girato l'universo a piedi. Parlo coi morti. Ricordi? Vagabondiamo fino all'orizzonte: possederò il tuo spettro nelle ombre della sera… ti rivedrò, sbarrandoti le porte dell'Ade.
Pagherà il grembo corrotto della Terra: t'ha rapito, ha firmato. L'esecuzione impelle.
Dover mi voca… nella neve?
Vaneggio, come chi è in preda a febbri convulse.
Sono altre le mani intente a curarmi, differente l'alito che mi rianima, il tuo fuoco s'è spento. Ancora una speranza: il rogo funebre… ed io brucerò, brucerò con te.
Riposo… come riverberi silenti, bagliori d'oscurità, tenebre.
Creaturina tiepida… sono al sicuro, grazie.
Grazie! Grazie! Grazie: la fine verrà per mia mano.
*
Il rumore delle onde, che battevano contro il fianco dell'imbarcazione, penetrava, vestito d'una luminosità azzurrognola ed evanescente, nella piccola cabina, avvolta in un'accogliente penombra.
Il letto era situato vicino al boccaporto, in modo tale che fosse possibile rubare all'esterno un brandello di cielo, per portarlo lì, in quel minuscolo paradiso privato di pochi metri quadri.
- Siamo i custodi delle chiavi…
Mormorò Zoroastro in un orecchio del fanciullo che gli sonnecchiava accanto, la cui scultorea nudità era coperta da ghirigori solari, i quali conferivano a quel giovane corpo atletico un che di disumano, di quasi divino.
L'uomo prese ad accarezzargli i capelli, con delicatezza, prestando attenzione a non destarlo dal torpore che lo aveva colto. Quel ragazzino lo stremava; implume, passionale - troppo passionale! curioso ed intelligente, avido di forza e di sapere, si concedeva tutto, senza clausole o riserve, ma chiedeva di più: pretendeva l'Infinito, una promessa d'Eternità.
- Vuoi che ti riveli il segreto?
Riprese il maestro, chinandosi su di lui, che adesso gli era pari e compagno, sfiorandogli una guancia, dal bel colorito tipico delle genti che vivono il mare, con le labbra e ricevendo, come risposta, un profondo sospiro, quasi un lamento.
- No, non è che gli dei sono morti… mistero svelato da sempre!
Gli sorrideva con l'affetto d'un padre: quel bimbo, ormai alle soglie dell'adolescenza, era il suo orgoglio, il figlio che non aveva e non avrebbe mai avuto. Il sangue sarebbe stato frutto del tradimento: il Cavaliere di Cancer sarebbe rimasto fedele al suo cuore.
- Il grande arcano è uno…
Non lo ascoltava e non avrebbe mai saputo; per il suo bene, era meglio così, probabilmente si trattava della soluzione migliore per tutti: una liberazione per il suo povero animo, teatro di tremende forze che si scontravano, e un atto completamente indifferente per il mondo. L'inutilità compensava il vantaggio; non faceva bene, non agiva male.
- … io ti amo.
E avrebbe aggiunto, aggiunto tanto…. Gli avrebbe raccontato della profondità del proprio sentimento, di come gli batteva il cuore la prima volta in cui lo vide, lassù, sui monti, elfo libero e immortale, reso perpetuo da un dolore che non può estinguersi.
Lo aveva strappato alle terre brulle, ai boschi selvaggi, per egoismo o per desiderio di condividere con quel piccolo angelo l'unica grande gemma che, nei panni di uomo, fosse riuscito a scovare.
"Come ti chiami?"
Era stata la prima domanda, lì in riva al lago che li rispecchiava entrambi, uomini ciascuno a modo suo, ma uomini. E quello aveva riso, d'una risata profonda, con tutta la gioia che avrebbe saputo metterci un vecchio pronto alla fossa dopo una vita che, in positivo o negativo, avesse avuto un sapore.
"Ermete."
Ermete… da allora, Zoroastro non seppe mai chi insegnasse e chi apprendesse; quale dei due stesse conducendo l'altro alla rovina.
*
Eros:
Mancherà il silenzio, anche se non sai più parlarmi. Parla! Parla! No… guardi. Cosa? Il niente.
Vuoto.
Dove? Dove l'hai lasciato?
Perché sei qui? Bello! Oh Atena, bello! Stupendo, la mattina, rosa sul ghiaccio… un colore soffuso, immenso. Parla!
Guardami… perché sei qui? Perché? Lui dov'è? Freddo, mi hai cercato e non dici nulla. Abbi una parola, solo una e ti darò la vita, è la tua bellezza che bramo, un involucro colmo d'anima.
Sei vano, svuotato, morto.
Perché? Lui dov'è?
Médée è andata fuori, libera al vento.
Siamo soli: io e te, tu e basta.
Dove sei? Dove? Dove? Nel mio letto, oh ambizione! Restaci! Lei non tornerà non tornerà, piangeva, piegata su sé, abbandonata, acqua che scioglie acqua, congestionata e calda… mostruosa! Furia!
Tu che sei? Restaci in eterno, ti sarò bara e monumento, ma restaci in eterno.
Tu perfetto non piangi, no, non una lacrima, volto scolpito nel marmo. Perpetuo… sterile. Lasciati contemplare, qui in mezzo al niente, ti giuro due occhi pronti a guardarti - Dio! guardarti sempre .
Mi mancherai…. Ricordi?!
Mi sei mancato, santo cielo se mi sei mancato!
Cosa hai trovato? Ti amo. No: amo la tua perfezione. Uomo, imperfetto, sbagliato, uomo ma… divino, infernalmente divino. Gelido.
Questa terra sarà anche tua, neve dall'alto su tuo cuore - che ha di diverso? ben poco.
Médée è andata fuori, libera al vento.
Andremo fuori -resta!- liberi, il vento! Noi, stupendi e impossibili, noi! Resta!
Zoroastro… le tue catene, sciogliti e portalo con te, servi ad entrambi.
Ruberò la tua beltà. Parla. Non oso più rimanerti davanti, oscurarti la luce. Dammene un raggio, e saremo uniti, come il vostro sangue, sarà anche il nostro, in nome nostro. Nostro!
Médée è andata fuori, libera al vento.
- Zoroastro…
Continua, finisci! Parla! Parla!
- Zoroastro…
Cupo… male, giù su di te, troppo male, oscuro… i tuoi occhi hanno dimenticato il giorno. Il maestro quale lezione t'ha impartito? Esiste insegnamento sì tremendo?
- …. è morto.
Vuoto, ancora vuoto. Che m'importa? m'importi tu, solo tu, sempre tu.
- Cosa?
- È morto, ritornato al mare.
Bellezza Bellezza Bellezza d'un corpo cadavere carogna? D'amido, steso rigido su pietra immortale. Spuma, il suo sapere è spuma, le vestigia abisso.
Bellezza, Bellezza ineccepibile. Uomo o cosa vivente, lontano conoscevi uno spirito: sei impuro e perfetto.
*
Zoroastro si muoveva lentamente, a grandi passi, avvicinandosi con circospezione alla sedia posta di fronte al letto, di fronte al fanciullo solare nella sua sfacciata nudità dalle forme snelle, a gambe incrociate fra le coperte, di fronte al bimbo che gli rivolgeva un gran sorriso colmo di speranza o, semplicemente, ammirazione.
Il fruscio della veste da camera, d'un viola pallido come le pagliuzze che spiccavano nei suoi occhi neri, ad ogni passo si confondeva quasi con l'incessante mormorare dei flutti.
- Maestro…
Aveva tutta l'aria di essere profondamente concentrato su chissà quali concetti astratti ma, in realtà, tentava di non soffermarsi sul bel viso dell'allievo, altrimenti si sarebbe smarrito, rendendo vani quattro lunghi anni di insegnamenti, e prediche, e menzogne - quante menzogne!
- … noi siamo amici?
Cosa poteva rispondergli? Il silenzio era infranto dallo scricchiolare del pavimento in legno, il vento faceva sbattere una porta non lontano da lì, forse presso il ponte sopra le loro teste.
- Perché me lo chiedi?
- Perché facciamo l'amore tutte le notti?
Ermete voleva sapere, ma la sua non era semplice sete di conoscenza, disinteressata e pura come il piacere dei sensi che era capace di dare ed ottenere: in lui c'era desiderio, possessività, amore per un'anima e della carne… tutti gli spauracchi che perseguitavano il cavaliere più anziano, che lo incatenavano alla sua condizione di uomo.
- Ci sono cose che imbrigliano uno spirito libero, discipule; ed altre che lo danno al vento. Per essere amici dobbiamo, prima di tutto, diventare nemici.
Mentre parlava si era riavvicinato al talamo, chinandosi sulla figuretta attenta, benché rilassata, dello studente, fremendo di toccarne la pelle, ripromettendosi che sarebbe stato per l'ultima volta… un bacio e l'avrebbe lasciato a se stesso in eterno.
Era un consapevole spergiuro, conscio della propria virtù, del proprio amore, che lo angosciava come un vizio, consumandolo lentamente, insinuandogli mille pensieri inutili nella mente.
- È un rischio che vuoi correre, quello di affrontarmi?
Domandò prima di adagiargli le labbra sul collo, vittima dello spettro della propria debolezza, ed ivi lasciandole scorrere in un gioco beffardo, che provocò una sonora risata del giovinetto, una risata che gli gelò il sangue.
- Io non ho nulla da perdere, ma tu cosa metti in palio?
- L'armatura e me stesso.
Proseguì, rendendosi conto di quanto l'altro fosse cosciente - giocavano a rincorrersi, come due animali selvatici, fiere sanguigne ed indomite, senza scelta né scampo- mentre posava le mani sulle spalle del giovane amante, affinché questi si stendesse supino, alla mercé della sua superiorità fisica o, semplicemente, pronto a soddisfare una voglia ribelle, che non voleva sottostare al saggio consiglio della ragione.
- Allora, amico mio, saprò redimerti o incatenarti a me fino alla fine dei tempi…
Concluse, ricambiando impacciato la stretta del sensei ed imprigionandogli la bocca in un bacio, per non ascoltare un'eventuale risposta.
Per Zoroastro, però, non c'era nulla da dire: era già stato sconfitto, poteva solo tentare di salvare quell'angelico demonio dall'abisso in cui lui, l'insegnante, era precipitato; di elevare l'alunno al grado di illuminato, padrone degli Inferi, superiore agli uomini con tutti gli dei.
*
Ermete:
- È ritornato al mare.
Mare… l'ho detto. Mare maledetto!
Amore… perduto; le mie catene sono ancor più pesanti e mi trascinano giù, costantemente più giù.
Eros, amico, consentimi di morire da uomo libero. Dà pace allo spirito di Zoroastro, brucia il suo corpo col mio nel vento, cenere colorata e immortale, concime che feconda la Terra, pasto di vermi e di fiori.
Destinato ad imputridire, dove non arriva la luce.
Incompreso, speculatore e sovversivo, guerriero senza causa e senza dio… morto per quanto avevi scoperto; mi porti con te.
Il ferro non sazierà questo desiderio, gelido tocco dell'assenza di tutto, di tutti, di te.
Son già crepato.
- Cos'hai detto?!
Non chiederlo, è inutile porre quesiti… vani. Non c'è risposta. Solo parole, altre, altre domande.
Sappi, non piango, non piango: non una singola lacrima per lui, per te, per me. Noi stolti rimaniamo confusi. Quello in cui credevo ormai è fuso con la realtà: ho perso ogni fede, ed ogni ideale… mi rubò la morale, mi salvò dalle grinfie di nessuno; ed ora… che stringo fra le mani? Non ho più la mia etica, la sua etica, mia e sua… nostra.
La vita è difficile da sopportare!
Atena!!!! Tu non comprendi, ignori… io amavo! Amavo!
- Cos'hai detto?
Basta, non so risponderti… ho dimenticato ogni verbo. Imprimere il pensiero, sintassi sgrammaticata e tu.
Tu, sempre tu. Signora! Pietà. Non hai saputo vedere la sua intenzione… il suo cuore; io l'ho tenuto in mano. Se l'è ripreso. È andato.
La neve… acqua gelata, come quella dei miei luoghi, come la mia anima. Acqua. Fluido. Acqua…. Ghiaccio, ghiaccio che succhia il sangue, il tuo sangue, il mio amore. Amore! Nel deserto, nel sole e l'oceano, solo il nostro amore e nulla più, nulla più.
Voci, le voci della gente non sanno tacere. Abbiamo imparato a non ascoltare. A pensare di pensare. Non pensare. Non penso! Mesto compenso del mio male! Caso, puro caso. Giù. Dio. Dio e il caso…. Dio è il caso. Dio! ma quale? Dio non dà firme. Dio! Atena! Perché?
Arte… la tua opera. Nascosta, celata. Le tue membra…. - virtù; svanite. Arte… la tua opera. Non firmata. Rimarrà al niente. Niente. Niente lapidi, niente nomi. Nomi!
Il tuo nome! Il tuo nome… Zoroastro. Chi chiamavo? Chi chiamavo?
Son pazzo. Impazzisco. Impazzisco ripetendomi di impazzire. La fine. Esclusione. Di', di' che porta all'esclusione. È mio! La mia esclusione! No, non ti so dire. Non è giusto alcunché. Non parlare.
Volevi incontrare la morte? L'hai persa, come un riflesso, hai dimenticato ogni cosa, anche me. Non potevi stringerci entrambi.
- Cos'hai detto?!
Ancora…… Fuori la luminosità è bianca, bianca, bianca. Si smarrisce, distrugge, non può. Non è stata, non sarà.
Eravamo. Non saremo. Verbi. Zut! Mon dieu! Ombre, ombre nere; ciascun singolo fiocco proietta l'oblio, trasparenza fatale, sensualità che inganna. Ammalia. Come i tuoi baci, l'abbraccio di dita impalpabili. Aria. Stringerò un riverbero, uno spettro.
Un ultimo amplesso di acqua e di vento.
*
- Tu mi distruggi, bambino.
Borbottava Zoroastro, in modo piuttosto inconsueto per la sua personalità riflessiva e poco espansiva; mentre, seduto a tavolino, stilava un rapido schizzo del ragazzino che gli stava seduto di fronte, il musetto alzato a guardare il cielo dal piccolo spiraglio dell'oblò.
Lo avrebbe immortalato; non rischiava più nulla, ormai, ma c'era tutto da guadagnare: aveva, quel piccoletto, concentrato su sé l'amore destinato alla sua Arte, ma egli avrebbe fuso le due cose, unendoli per il concepimento del suo capolavoro.
- Che stai dipingendo?
Ermete non distolse lo sguardo dal lento spostarsi delle nuvole in cielo; la nave aveva il vento in prua: il movimento delle sagome bianche, simili a enormi batuffoli di bambagia, era opposto a quello dell'imbarcazione, ma il bastimento scivolava sulle increspature dell'immenso mare - esattamente come una nube nello sconfinato empireo - misero riflesso di qualcosa di intangibile.
- La tua prossima statua…
- Ebbene?
-Deve essere morbida, viva; pretendo che abbia un respiro.
Il maestro voleva che lui, lui stesso, anima ardente, corpo di carne, e vellutata pelle profumata di pesche; fosse la sua seguente scultura, l'unica capace di fargli dire "Ho creato un essere umano" - per l'apparenza divina del modello.
- Sai, ti prenderò come soggetto.
Il giovinetto gli rivolse due occhi cupi e profondi, terribilmente tristi, malgrado il dolce sorriso dipintoglisi sulle labbra sottili. Non avrebbe avuto bisogno di parlare; lì, nella luce del sole riflesso dalle acque del Mediterraneo, i mezzi comuni gli si sarebbero rivelati inutili, forse anche d'intralcio: l'uomo, per il bambino, era una condizione già sorpassata; adesso era tutto e niente, il vuoto delle sue criptiche iridi ne recava l'inconfutabile testimonianza. Tutto ciò che contava, tutto ciò per cui valesse ancora la pena di ridere e scherzare, piangere e lottare, vincere e morire… migliorare, era la propria felicità - felicità terrena, con ben poco d'assurdo o straordinario, eppure assoluta e, perciò, sublime - felicità dolce sussurrata allo Zefiro, allo Zefiro e alle onde del mare, allo Zefiro che non sa tacere; la felicità era il cavaliere che lo fissava, in attesa di un cenno, una risposta; pronto ad assecondarlo come si fa solo con un amico… come avrebbe fatto egli stesso.
- Ho trovato.
- Cosa?
- Quello che cercavo…. Farò poesia.
Aveva scelto la propria arte, non per vocazione, né per onore o ambizione: semplicemente per amore.
E all'altro, prima o poi, sarebbe andata anche bene quella decisione.
*
Eros:
Non l'avrei mai creduto; era tanto importante? Troppo, vero?
Sei venuto in vano: non qui troverai la tua consolazione. Taci e m'ignori, che razza d'aiuto vuoi? Signora, ma chi mai ottiene il soccorso che desidera?
Un compenso. Non agirò senza degna retribuzione: i tuoi occhi, i tuoi occhi e anch'io avrò compiuto la mia vocazione; i tuoi occhi e saprò ammazzare questa solitudine, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. In cambio, un istante del tuo sguardo…. Non domanderò più nulla, non a te.
- Amico mio…
Non riesco, non sopporto di vederti in un simile stato. Animalesco, teso, agguato dei sensi… a me. Vorrei convincerti - ma di cosa, in fondo? Non so, basta non fallire.
Bambino… non sei più quello che eri, sei cambiato, cupo e solitario più di prima….
È un verme a divorarci l'anima. Non so oppormi al mio, non ti salverò dal tuo. Incubo.
In fin dei conti, mon petit, è solamente un gioco ingiusto.
Neve, ancora. Son calmo, può continuare finché ella non torna; non saprà tornare. Ingiusto. Scova in questo mondo qualcosa che non lo sia; scovala e mostramela. Non credo, non credo in alcunché, solo che ti vedo. E sei bello; Atena, quanto sei bello! Acqua. Rude scoglio modellato dal mare. I gabbiani tubavano, un volo confuso. Felice. Spigoloso e disperato, intagliato male. Volteggiare di candide piume. Colorato di sangue. Quello che ti diede uno spirito e poi scorse via, fluido. Letale. Due sagome bianche sul nero e tu, al mio fianco tu. Amico…
Letale. Il tuo è un morbo letale, non so intervenire. Come potrei? Voglio? Lo ignoro. Mi manca la volontà di trovare ciò di cui necessito. E piango. Qui, ora, di fronte a te.
Derideranno noi. E lo sai.
Derideranno il nostro scopo. E lo sai.
Derideranno i nostri secondi fini, dal primo all'ultimo, mossi da qualunque ragione
Derideranno la speranza. Lo sai.
Derideranno la tua arte, il tuo lottare per essa; accuseranno la memoria del maestro che tutto ti diede e tutto si prese. E lo sai.
Perché non rinunci? Deponi le armi e io riempirò l'abisso della nostra inutilità.
Un tuo cenno.
- … sei qui
Sciocca considerazione o amara consapevolezza.
Volente o nolente, non posso tirarmi indietro.
*
Il pomeriggio volgeva ormai alla sera, ma il mare restava pur sempre d'un azzurro sereno e biancastro, senza tracce di notte, opponendosi all'incedere della nave, la cui prua fendeva la superficie appena increspata dell'acqua.
Una brezza leggera, tiepida e profumata, li coglieva entrambi in pieno viso; il cielo si perdeva negli occhi felici di Ermete.
Zoroastro, dietro di lui, lo teneva contro il proprio petto, cingendogli la vita con un braccio ed indicando, con l'altro, un punto indefinito, poiché non ancora visibile, dell'orizzonte. Additava il mondo ed incoraggiava il discepolo a guardare, ad impossessarsi di ogni singolo fotogramma: ora tutto aveva un senso; avrebbe potuto utilizzare quelle immagini in futuro, quando l'innocenza avrebbe ceduto il passo all'esperienza, e la speranza alla consapevolezza.
- Spingiti oltre il cielo e vedrai casa.
Era gentile e pacato come sempre, in lui tutto sembrava scolpito e immutabile, destinato a resistere e continuare, senza mai cedere, mai - o, perlomeno, così credeva il suo allievo.
Spesso non lo comprendeva e, mentre lo stringeva a sé, aveva l'impressione che fosse altrove, intento a rincorrere un sogno o i suoi pensieri.
Anima e corpo in lui erano separati, la stessa mente persisteva in una condizione estremamente frammentaria, concentrato di mille "io" in perpetuo conflitto fra loro, matrice di infiniti dubbi. La razionalità cozzava con gli istintivi impulsi dei sensi, generando, come inconsueta risultanza, un'arte (o una persona) misteriosa e affascinante, caotica e composta, classica e informale - che traspariva da ciascun movimento o da una parola, pronunciata come solo lui sapeva - avvolgente benché prole di una lotta priva di pietà o regole, vicina alla perfezione, ma… morta.
Il giovinetto considerava tutto ciò, fra le braccia del sensei, posato come sempre al di fuori del letto, e cercava un perché, la ragione di tanto tormento.
- Magister, potrò essere felice con la mia Poesia?
Temeva che poche parole impresse sulla carta gli negassero ben più alta e concreta letizia, rubandole un'importanza che, a parer suo, non avrebbero in nessun caso meritato; arrivando ad opporsi alla motivazione stessa che le aveva costrette ad essere.
- Non devi mai, ascoltami bene.. mai perseguire la tua felicità. Se c'è qualche motivo che ci induce a venire su questa terra, per recarci alla tomba tramite un funerale vivente, non è la nostra gioia, bensì la creazione.
Frasi teoriche, le sue, troppo per l'animo d'un bambino alla scoperta del mondo e di sé, dell'esistenza e … dell'amore.
Frasi teoriche che neppure lui, l'infallibile maestro, era stato capace di mettere in pratica, continuando ad angosciarsi e distruggersi con le proprie mani.
Frasi teoriche, in cui avrebbe dovuto credere, ma non ci riusciva. Creare… e per cosa?!
La memoria dei posteri? Al giovane Cancer sarebbe bastato un eterno pensiero di quel piccoletto per abbandonare tutto, raggiungere il sommo gaudio concesso ad un uomo, all'uomo che, malgrado tutto, era ed era condannato a rimanere; all'uomo incapace di plasmare un essere nuovo, incapace perché per raggiungere tale intento sarebbe stato necessario distruggere quello vecchio, quello che… amava.
- E quando avrai compiuto il tuo dovere - di artista o cavaliere, che cambia? avrai ottenuto il diritto di morire in pace, nella coscienza di aver forgiato qualcosa di superiore a te.
Soffriva, avvertendolo fremere sotto le proprie dita ed inclinare pensoso il capo su una spalla; soffriva, rendendosi conto che il suo angelo era pronto ad immolarsi in nome di un sentimento impossibile.
*
Ermete:
Forse l'ho deluso, o era stanco di me. Sei anni trascorsi per nulla. No: solo per dolore… il male di vivere; ha ucciso anche te. Sono stanco di questo assurdo abbraccio d'amore e morte, Eros e Pathos, che ritorna uguale, sempre. I tuoi racconti. Mi parevano insensati. È colpa mia: se avessi saputo ascoltare, ora saresti qui…
Cosa avrei da temere? Non si delude un fantasma, spettro della nostra felicità, dell'allegrezza che fuggivamo, ma ci perseguitava come una condanna, marcata a fuoco sulla carne e… faceva male. Come sono stato triste per la mia letizia!
A te? Ho fallito.
Perché sono qui? Che conforto voglio ottenere?
Cerco qualcuno che mi lasci piangere.
Non ho lacrime per te, Zoroastro.
- Avvicinati.
Nei suoi occhi vedo sorpresa. Comprensibile. E brama sconfinata. Miravi alla bellezza, vero? Ti offro la mia, indomita e barbara, equo baratto per l'oppio dell'anima.
Piano, indeciso, è un gesto da amico, ti perderà, ma sazierà anche l'egoismo del genio; per il momento.
Ricordo. Una partenza distante nel tempo; fotogrammi sfocati dagli anni, ingigantiti dalla memoria.
Era l'alba. Quel che disse Zoroastro… è un mistero.
Il mare… il rosa del giorno, d'un fiore forte di vita e giovinezza. Io, infante, e lui, uomo al culmine di potenza e splendore.
I suoi riccioli… fluttuanti nella brezza di terra, turbinavano, cupi filamenti di notte intarsiati di stelle.
- Avvicinati.
Non parlava con me, prima di salpare.
"Stolta, stolta Saggezza! Femmina volubile… lunatica! Sei con me, ma non mi appartieni. Infida! Quando ti carezzo i capelli, scovo nel folto del tuo soffice crine l'armonia delle forme. Sulle tue labbra c'è la sostanza. La tua caviglia sottile mi figura ogni tecnica; il collo slanciato delinea la posa, il candido seno incarna l'opera tutta. Ma tu non ti dai, Saggezza! Non ti dai…"
- Avvicinati.
E allora, allora lo osservai piangere per la prima volta. Lo avrebbe fatto ancora, di fronte a me, ma la luna doveva compiere ancora molti cicli, e la sua saggezza perire, prima che le lacrime gli solcassero nuovamente le gote.
Rideva, invece, di Maggio, nel folto della foresta, all'ombra di alberi secolari e di castagni fecondi. Rideva…. Rideva…. Ridevo con lui.
"Come ti chiami?"
Mi chiese, tremante. Selvaggio, lo avevo ammaliato. Era il primo che fissasi in quel modo, il primo con occhi che non fossero… fallaci.
- Avvicinati.
- Ermete…?
"Ermete"
Sì, gli dissi così - Ah, finalmente un sì!
Non sono un duro, né un creatore. La mia natura è debole. Ha fatto bene ad andar via senza lasciarmi le chiavi. Non so biasimarlo.
Toc, clop, tonc. Passi e pugni sul pavimento e nella mia mente.
Ma si rivolse anche a me… in che termini? No, non ricordo quel che disse Zoroastro.
È una memoria che bussa, e c'è un solo modo per mandarla via, per placarla almeno per una notte ed abbandonarmi alla quiete del limbo.
C'è un solo modo e ci sei tu, amico mio.
*
Sarebbe stato capace di sacrificare al proprio amore se stesso e il prossimo?
Non lo sapeva, ma era certo che esso dovesse essere una scultura magnifica ed imperitura, non un bambino etereo ed evanescente, sul punto di sparire da un momento all'altro. Lo aveva legato a sé con la promessa dell'armatura.
Avrebbe trovato la forza per razionalizzare, lui tanto irrazionale ed istintivo?
Erano diversi, terribilmente diversi, eppure Zoroastro, a volte, s'illudeva di scambiare la febbrile attesa nelle iridi dell'allievo con un lampo di comprensione, con ciò che palesa una comunione profonda.
In realtà, certi momenti bui si trascinavano dietro l'orribile sensazione di una condivisione prettamente fisica, d'un incanto magico che tramutava la beata semplicità di Ermete nel contorto inganno d'una Circe infingarda ed esperta, lussuriosa.
Erano solo attimi, istanti in cui ciascun'indecisione, approfittando d'una profonda stanchezza del corpo o della ragione, si faceva avanti e, prendendo il sopravvento, lo sballottava da un pensiero all'altro, conducendolo lontano… lontano…
Anche allora, abbracciando il discepolo, sulla prua della nave, al cospetto di salmastri spruzzi di spuma che, coi traballamenti dell'imbarcazione, incantavano il giovinetto, trascinandolo in un dondolio ritmico ed appena accennato, la danza di Madre Natura; anche allora i suoi ragionamenti lo avevano esiliato in un recondito angolo di cosmo, tetro ed oscuro, vuoto.
Era quella creatura, appena apertasi all'esistenza, idonea ad accollarsi le responsabilità di Cancer, dal freddo raziocinio?
Lo avrebbe distrutto, sacrificato a qualcosa di più grande, all'amore per la sua arte o la sua guerra… ma l'amore per lui?
- Sai maestro, mi accontenterei di creare una frazione di secondo veramente felice e non avrei più bisogno di nulla… forse solo di te…
Disarmante… come immolarlo? Come? E ad un ideale, poi! ad un concetto che lo aveva tradito, deluso, disincantato! Avrebbe dovuto, però, adeguarsi al sistema, per soffrire e vendersi l'anima ma, in ogni caso, sopravvivere. Il piccolo italiano, tra l'altro, gli serviva: il suo modello, l'ispirazione, il piacere.
Ma cos'era Zoroastro? Artista, guerriero o letterato? Nulla di tutto questo. Era un pazzo, un folle in pieno possesso delle proprie facoltà mentali. E, se Ermete avesse dovuto rinunciare alla ricerca di un brandello di paradiso personale, sarebbe stato lui a fornirgli un ritaglio di gaiezza pura e perfetta: avrebbe insegnato con le parole e negato coi fatti, perché l'altro potesse imparare la più difficile fra le lezioni… vivere.
- Neppure io ti sarò indispensabile: finirà il mio tempo e mi toccherà andar via…. Sarai erudito e camminerai sulle tue sole gambe, plasmerai un'opera che sia tua e basta. Difenderai la nostra dea e la sua causa.
Tremò quando si accorse che, in quanto aveva proferito, c'era un fondo di verità: i suoi giorni sarebbero terminati, l'avrebbe abbandonato a se stesso.
Il ragazzino tossicchiò e rise, portandosi alle labbra una mano del cavaliere per darle un piccolo bacio scherzoso.
- Sai meglio di me che noi siamo senza dio e senza causa.
- Ti potrebbero ritenere un bestemmiatore.
Il fanciullo si girò, dando le spalle alle onde che ferivano la chiglia; il vento gli scompigliava i capelli corti, rendendolo ancor più irreale. Mise le braccia intorno al collo dell'insegnante, premendo il proprio petto contro il suo, in una movenza tipicamente adolescenziale.
- Allora renderò la mia vita un'enorme bestemmia.
*
Eros:
Morbido. Tutto è stranamente morbido. Finanche egli.
Così perso e disperato, terribilmente infelice per scelta o costrizione, mi chiede un aiuto, che racchiude in sé il mio compenso e non posso negargli; non voglio. Le sue braccia intorno alle mie spalle e - oh Atena! è così vicino!
Ricordo Médée, quando la vidi col suo cesto di fiori campestri, come non ne crescono nelle terre del nord, baciate da un sole che non riscalda. Baciate…. Puf! Soffice, le sue labbra di donna lo erano, per la pelle d'un infante. Ignaro. Calda come una mamma; inflessibile e sensuale. Ho trovato la bellezza che cerca, quella che ha tentato di insegnarmi per tutta la vita. Ho l'elemento, plasmerò la mia rosa.
Tonc, bum, bum, tum… il battito è impazzito.
Che vuoi farmi? Profumo di mare. Un gabbiano vola; allora era notte, vedevamo solo le stelle.
"Mi mancherai"
Sarei pronto a ridirlo; ho bisogno di te, amico mio, la mia è una necessità impellente, non perdona.
Profumo di mare… l'odore del remoto Mediterraneo, calde terre, la Grecia.
Un giorno andammo al mercato: era colmo di odori. Il tuo, però, è inconfondibile, lì come ora. Profumi di eterno, di bosco. Elfo. No: uomo che ha passato l'uomo, per mezzo del dolore.
Un passo, un passo ancora e ci sarai: l'infinito ti aprirà. Non potrai più tirarti indietro, non possiamo più nemmeno adesso.
Stanco. Sei troppo stanco. Scende la sera. Eccessivamente esausto per pensare. Ti trascini sul fiume della disperazione. Confuso. Completamente sottomesso al vagare impetuoso delle correnti. Io or ti raccolgo.
Un singhiozzo.
- Mi ha lasciato
E poi le tue lacrime calde, piccole gocce d'eternità, s'insinuano nella stoffa della mia camicia.
*
Ermete se ne stava, tutto accoccolato e tremante, fra le lenzuola che considerava gelide e ruvide; tra l'altro, erano bianche, ovvero d'un colore indefinito che gli trasmetteva l'idea di freddo. Le coltri erano percorse da mille brividi, pulsanti di notte, umidicce.
- Che cos'ha il mio blasfemo sbarbatello?
Domandò Zoroastro cordialmente, con fare scherzoso, nonostante non sollevasse lo sguardo dalla bozza su carta, che stava stilando con crescente cura, tranne che per brevi occhiate fugaci, finalizzate a cogliere ogni particolare del viso rilassato, malgrado i visibili fremiti degli arti, del fanciullo.
- Sono vicino all'assideramento!
Rispose con un filo di voce, accentuando l'entità del proprio disagio sino all'inverosimile: gli piaceva far ridere il compagno drammatizzando sempre su tutto e sentendosi controbattere con un immancabile "Hai un futuro da comico".
Quella volta, però, non ribadì in nessun modo; la bocca gli si contrasse semplicemente in una smorfia divertita, ma proseguì il lavoro senza palesi segni di distrazione.
Era intenzionato a finire, prima che fosse tardi, prima che perdesse quello per cui combatteva. Era una lotta contro il tempo: avrebbe annullato il divenire e conservato l'essere, pietrificato il proprio amore perché rimanesse ai posteri, consacrato col nome di chi ne era l'autore. Un matrimonio di travertino.
- Ah! Bene! Io sto per morire e tu non mi degni della benché minima considerazione! Grazie per l'interessamento…
Allora l'uomo rise per colpa del piccolo pagliaccio che farneticava, steso sotto l'oblò, rannicchiato in modo tale da cogliere le prime stelle.
- Sciocchino, grazie a ciò che sto facendo adesso, sarai giovane e forte anche fra un migliaio di anni.
Improvvisamente, la rinuncia alla gioia non gli parve più necessaria - perché doveva esserlo? Le parole ammonitrici e nefaste di quella donna sembravano vaneggiamenti privi di senso.
Il mare, l'arte, l'amore, uno spicchio d'immortalità… tutto era così… perfetto! troppo perfetto. Un bel sogno?
Zoroastro si alzò di scatto dalla sedia impagliata, cogliendo di sorpresa il proprio "muso" ispiratore; e si diresse verso di lui, accomodandosi sul bordo del talamo e fissandolo negli occhioni scuri ed incuriositi.
S'illuminò mentre gli posava una mano sulla guancia, trovandola appena tiepida, ma colma di consistenza fisica, carnale, tutt'altro che onirica. Pensò che fosse liscia come marmo, scolpita come quella di un nume.
- Che c'è?
Il tono della domanda era comprensibilmente stupito, per il gesto evidentemente inaspettato.
- Volevo solo controllare… se eri vero.
E, in quell'occasione, non mentiva affatto.
*
Ermete:
Ho mangiato il mio cuore.
Vivevo d'un ricordo, lo eri anche prima. La tua Arte. Io non ero lei, lei non era me.
Dilaniato a morsi.
Eri mutato, radicalmente. Non hai resistito a te.
Ti amavo. Anche se spasimavo per Lei, ti amavo. La mia piaga.
Mi chiamava, chiamava, chiamava!
E imponeva , oh Iddio! come negarmi alla sua possenza?
Grande e forte la sua mano. La tua dava forma alla nostra fine. Speculare - chiavi; oltrepassare il limite. L'hai valicato.
Che dicesti? Prima di partire, che dicesti?
Per te, ti ho perso. Ho cercato la creazione al di fuori dei tuoi occhi e guarda! Guarda cosa ho ottenuto! Un punto vacuo contro l'orizzonte e lacrime, una moltitudine di lacrime che mi offuscano la vista.
Non ti trovo più.
Agguantare. Un ciuffo di capelli contro la luce della luna. Gli scogli, bellezze rudi, non modellati…. Il mare. Giù!
Colpa mia o della mia Natura?
Rivolevi indietro quest'anima? Egoista!
Egoista…. Egoista…. Egoista. Lo sono anch'io, proprio come te, proprio come noi, giovani e belli. Chiusi, barricati dietro i nostri giochi, in attesa di fare la guerra. Guerra! Che c'è d'armonioso nella guerra? Vita! Troverò la mia opera in un'esistenza combattuta, disarmata da orde di fantasmi. Il tuo.
Piango contro il petto d'un amico, le mie lacrime per te si fondono con le sue versate per me. È una catena.
Perché? Giù!!!!
Sono ubriaco di sole. Questa è la mia notte, il tuo eterno riposo.
Dove l'hai nascosta? È già terminata?
Siamo i custodi… verrò a prenderti! A prenderti… prenderti! Aria…!
Sapore dolciastro e denso, odioso raschiore, soffoco.
Dove hai occultato il tuo amore ed il sapere?
Mi insegnasti un bacio, te lo pagai col cuore.
Il bosco… ebbro di mattine infuocate. Il profumo del mare lontano, emulato da una pozza. Non l'avevo mai visto, ero lì dall'alba dei tempi.
"Dunque sai parlare?"
Seduti insieme sul terriccio. Fru, fru. Friabile e… soffice. Verde erba sui declivi, viscida e ombrosa, nascosta sui tronchi degli alberi. Parassita.
Non rispondevo, non con i termini umani: libero nei boschi; m'incatenò.
Fiore giallo, dalle mie alle sue mani.
Sorrise ed ancor domandò - cosa? l'inizio della mia prigionia, eufemismo d'un editto che non avrebbe ammesso appello. Tuttora niente repliche! Schiavo d'una tomba d'acqua sono!
"Sai cos'è un bacio?"
Avevo i capelli negli occhi perché mi si muoveva il collo. Da destra a sinistra, da sinistra a destra, da destra a sinistra, da sinistra a destra, da destra a sinistra, da sinistra a destra.
Cos'è un bacio? Un bacio cos'è? Cos'è un bacio? Un bacio cos'è?
E ancora e ancora, non mi fermavo: ora desideravo rubargli il mistero, l'arcano d'un bacio, che lui conosceva.
Zoroastro…
"Vuoi che t'aiuti ad apprendere?"
Su e giù, su e giù. Giù!!!
"Avvicinati"
Tremavo; le foglie nel vento scuotevano i passi dei corvi sul limo; vicino, dovevo farmi vicino. Volevo, bramavo capire il perché non ebbi né dubbi né se, solo il timore che… facesse male. Un ramo rovente, era notte. Ahi! L'intensità del dolore che si mostra a colui il quale non lo può controllare. Non sapevo. Non sapevo! Non dominavo nessuna materia. La Parola.
Caldo bruciore che non può guarire se non col tempo. Pensare. Non lo feci. Restai ad aspettare.
Un bacio sapeva di sale o di fuoco?
Non riuscii ad avanzare.
Qualcuno ne aveva parlato, chi e dove non so ricordare; ma io non avevo capito una bocca con verbi d'amore.
"Non temere"
E , invece, avevo paura, fremevo. I tizzoni ardenti, la sera, tutto di nuovo nelle sue iridi scure. Era, però, ancora mattina. Mattina… di mia vita. Di giorno non volano gli spettri, ma straziano l'animo coi ricordi! Ricordi! Ricordi! I miei ricordi….
"Avvicinati"
Eppure, era egli a farsi più presso di me, sempre più presso.
Diciassett'anni, non di più ne aveva; ed io meno, pochi per anticipare il futuro in una folgorazione del passato.
Passato. Una sua mano sulla mia spalla e l'altro braccio intorno a me, tenendomi stretto; in un balzo, un istante. Sogno. Le sue morbide labbra sulle mie, delicate ed umide, senza osare oltre per rispetto all'ingenuità. Passo dopo passo, fino all'esperienza.
Passato. Un attimo ed era passato, finito. Ed è finito anche lui. Ma è me, è il mio passato.
"Questo è un bacio"
Un soffio, tenero sospiro malinconico, voluttuoso. Ancora contro me. Paterno. Una sensazione che avevo dimenticato.
Piango il mio passato, con me e tutti i miei morti.
*
- Una volta mi è stato detto che, nella vita, si può avere uno e un solo grande amore.
La luce d'una candela, la cui cera gocciolava lungo la bottiglia verde che era stata impiegata come base, rischiarava appena l'ambiente, creando un intrigante incantesimo d'ombre e luci dorate, caldi bagliori nel tetro ed impenetrabile buio della notte.
Una spessa cortina di nuvole nere velava la luna e le stelle, simile ad una macchia d'inchiostro capitata, per il gesto sconsiderato d'un pittore capriccioso, su un quadro bicromo.
- E tu cosa ami?
Zoroastro era seduto ai piedi del letto, abbracciandosi le ginocchia e contemplando un punto sospeso nel vuoto, lo sguardo perso e triste. Cosa amava lui?
Non gli faceva piacere che l'allievo formulasse una simile domanda, non con quel tono, il qual non ammetteva che un'unica risposta; ma, evidentemente, se aveva giostrato il discorso in modo tale da esordire con quell'affermazione, in fondo, così desiderava sentirsi interrogare per dare le dovute risoluzioni, delucidazioni forzate.
- Non presto fede a chi mi riferì una cosa del genere.
O, perlomeno, portava violenza al suo io per non farlo. Doveva amare le proprie virtù, giacché per esse sarebbe perito d'una morte onorevole; ma quali erano realmente?
Il combattimento non l'aveva mai coinvolto del tutto: da sempre, per i Cancer, era stato un atto inevitabile e forzato, una costrizione; perché la loro natura, i loro scopi, erano altri.
E lo sapeva.
- E se, invece, avesse ragione?
Ermete si era chinato su di lui, incrociandogli le braccia intorno alle spalle e posando il proprio capo fra il collo e la clavicola del maestro. Questi riusciva a percepire il suo fiato tiepido, ad emissioni regolari e rilassate, sulla propria pelle e lo riteneva piacevole.
Se fosse stato un uomo, semplicemente un uomo, un uomo come tanti; non avrebbe preteso altro dalla Vita, o sarebbe stata Essa a non domandargli più nulla. Egli, però, era un cavaliere che, ufficialmente, perseguiva lo scopo di servire Atena fino alla morte; sebbene, in realtà, il Fato gli avesse affidato un compito assai più gravoso ed esaltante, vicino al ruolo dei signori dell'Olimpo.
Per sopravvivere, il suo discepolo, come egli stesso a quel tempo, avrebbe dovuto apprendere come si giocasse a sostituire Dio.
- Ogni regola ha la sua eccezione, no?
In fin dei conti, non c'era altra via d'uscita; neppure il Destino dominava l'amore, che dipende solo ed esclusivamente dai comuni mortali. Ne era convinto.
Mentre soffiava sulla tremolante fiamma e si stendeva accanto al fanciullo, si rese conto di aver determinato ben poco durante il corso della sua peregrinazione sulla Terra. Forse aveva perso la propria partita col mondo. Magari Ermete, fra qualche anno, sarebbe stato migliore di lui; ma adesso, celato dalle confortevoli dita della sera, si abbandonò alle proprie debolezze ed esaltò il suo grande e radioso peccato.
*
Eros:
A volte mi chiedo che diavolo abbiamo sbagliato in questo sregolato ruotare di uomini e fatti, sulla scacchiera d'una battaglia che si delinea all'orizzonte, sempre più nitida. Contro noi stessi.
A volte mi chiedo cosa sia capitato nelle lontane lande di Grecia; la tensione di Médée…
A volte mi chiedo che sia la mia bellezza, la medesima che cerco in te, che mi sei fra le braccia. Esausto, ti sei assopito, cullato da insostenibili vaneggiamenti.
Cosa rivelerebbe una qualsiasi conclusione, cosa?
Zoroastro è morto. Tu non pensi al presente né al futuro; vivi nel passato, cavaliere senza vestigia. Come, come conquisterai l'armatura? Con che criterio e in base al giudizio di chi? Chi?
Non era questo che volevo per trovare la tua debolezza e finalmente, una tantum, sentirmi io il forte. Il suo sorriso… un sorriso di donna potrebbe mai rendermi uomo?
Ella che parla sol di beltà. Una carezza…. Io non ne ho nemici; come tu hai perso la causa per cui lottare, così io ho obliato i miei avversari. Non li ho individuati.
Buio, silenzio profondo: scende la sera, la bufera impazza su queste lande oscure.
Sorgerà ancora il sole… per noi?
L'ho mai visto io sulfureo pallore pronto a svanire, questo riscalda il mio cuore, nulla di più.
Gioisci! Oh, bambino, gioisci…
Gli occhi del tuo maestro erano colmi d'amore, per te e per l'arte… per te.
Quelli della mia non hanno niente, niente! Iridi di ghiaccio senz'anima, spirito votato ad una prigionia tombale.
A volte mi chiedo se sia vera… se mi indirizzi sulla retta via, sospendendomi a metà su ogni crocicchio: non creo né distruggo, contemplo solo il creato, come ora miro te. Il tuo fiato. Quante volte sei stato così… così… con lui?
Io mai; non una parola più del dovuto. Ore di fronte a una rosa per ascoltarne il ta
re. Mi abbracciava e non c'era. I suoi baci sono vuoti, come donna e come madre. Volle divenire tutto, peut-être, e non è rimasta in alcuna forma del percepire umano.
Tu sei il mio colore. Il marmo la farà cantare in una poesia di sangue ed acqua gelata.
A volte mi chiedo….
Ma ora…
Piango la vostra morte e me, che mai sono nato.
*
- Sveglia….
Aveva bisbigliato appena, sfiorando, steso accanto a lui, una spalla del ragazzino, con dita gentili. Faceva perno su un gomito, per chinarsi a guardarlo, rammaricandosi della necessità di destarlo: l'alba era sorta da un pezzo e fra non molto sarebbero giunti in prossimità della costa, dove lo sguardo riesce a rubare un ritaglio di terra al mare, prima che il litorale fosse in piena vista.
Desiderava che Ermete vedesse, al fine di imparare qualcosa di più che un'inutile guerra insensata, basata sull'ingiusta ambizione ad un potere illegittimo.
Bene e male… tutto era relativo; quando fosse giunto a comprendere, l'avrebbe ringraziato per quell'unico grande insegnamento.
Bene e male… ne avevano parlato anche a lui, anni prima, ai tempi in cui si allenava per conquistare il titolo - ma perché?- lo stesso titolo che l'aveva marcato come eretico e blasfemo, come intrigante che fuorvia la dottrina.
Ora, però, non ci pensava affatto: nella sua mente avevano senso solo il bel viso del discepolo e il radioso mattino.
Sveglia… bambino, sveglia….
Eppure, quasi gli dispiaceva che stesse per aprire gli occhi, come preannunciavano i pochi mugolii, sommessi e infastiditi, che emise girandosi su un fianco; sarebbe rimasto così, chinato sul suo sonno, fino alla fine del mondo, trafugando un brandello d'eternità alle avide stelle.
Scesi dalla barca, come dopo ogni viaggio, molte cose sarebbero mutate: la magia del Mediterraneo li avrebbe abbandonati, restituendoli alla routine quotidiana, al gravoso onere dei doveri.
dal momento in cui il fanciullo avesse ripreso i sensi, Zoroastro gli avrebbe rivolto solo sorrisi furtivi, movimenti appena accennati d'un ladro nell'ombra.
Nei panni di cavaliere non l'avrebbe amato, non come anelava a fare, e neanche l'allievo, una volta superato il maestro, l'avrebbe ricambiato: ne sarebbe semplicemente stato incapace, da bravo amante fedele al proprio compito di custode e sacerdote d'una dea eccessivamente fredda e… lontana.
Atena! non gli sarebbe più stato talmente vicino… non con l'anima.
Doveva scolpirlo così, ancora nel fiore degli anni e dell'innocenza, per avere lo spettro d'uno spirito da stringere nel letto…. Quel bimbo, per amor suo, si sarebbe dilaniato il cuore in petto, ingoiandolo morso su morso e, allora, sarebbero morti entrambi, sebbene uno, almeno uno, avrebbe continuato a vagare, come un misero riflesso, attraverso oceani e deserti, in cerca della metà perduta, smarrita sin dall'inizio.
Médée gli aveva parlato; dopo un silenzio durato stagioni era ricomparsa, fantasma emerso dall'Ade, per metterlo in guardia dai propri sentimenti: se gli era affezionato, era indispensabile che lo distruggesse affinché l'apprendista riuscisse a valicare il limite fra questo mondo e l'altro.
L'arte… l'arte l'avrebbe conservato, ma non fra gli uomini: solo nel loro minuscolo Elisio personale, destinato a crollare sotto i colpi della realtà di là fuori.
- Sveglia…
E si trasformò nel principe che in un alito dona la vita all'addormentata.
Era mattina; la notte si era spenta, il viaggio giunto a termine.
Bisognava lasciare il paradiso per sprofondare nei meandri dell'inferno.