VII

 

Pelopida, Pisandro e Kyriakos rallentarono il passo solo quando furono nei pressi delle alture che si profilavano all’orizzonte. La luce del tramonto colpiva la sommità delle guglie di pietra che si stagliavano sulla valle e le pareti rocciose che facevano da sfondo a tale inconsueto scenario. Su alcune delle guglie sparuti e tenaci arbusti, talvolta alberi di media altezza, si affacciavano sull’abisso. Le ombre già si allungavano e nelle gole e nelle valli circostanti l’oscurità si stava facendo fitta e minacciosa.

"Maestro" esordì Pisandro "sono dunque queste le Meteore?"

Pelopida aveva lo sguardo fisso alla loro meta e sembrava assorto; istintivamente si portò una mano alla fronte a toccare la cicatrice che la segnava. "Certo, mio giovane allievo." fu la risposta. "Conosco questi luoghi, ci sono passato anni fa. Lasciate che sia io a indicarvi la via."

"Davvero, maestro, avete già visitato queste contrade?" chiese a tono leggero Pisandro.

Kyriakos mosse uno sguardo di rimprovero verso il giovane, che restò stupito da tale reazione, ma il suo maestro non sembrava darsene cura e continuò: "Sappi, Pisandro, che transitai di qui per recarmi ad affrontare una delle armate di Ares. E che questo ti basti, per ora."

Pisandro perse d’un tratto il sorriso e un’ombra gli calò sul cuore. Mai aveva visto il maestro così turbato. Fu Kyriakos allora a parlare: "Coraggio, non esitiamo. Avviciniamoci con cautela alle gole e alle alture. Se i nemici ci attendono avranno molti luoghi dove nascondersi o dai quali tenderci un agguato. Procediamo separati ma cercando di restare in vista l’uno dell’altro o almeno a portata di voce."

"Potremmo anche separarci, non temo gli Spettri di Ade." disse con decisione Pisandro.

"La dea ci ha sconsigliato di separarci. Ci separeremo solo se le circostanze lo richiederanno." Osservò Pelopida.

Le rocce ormai incombevano su di loro.

La nave avanzava tra le onde e di tanto in tanto schizzi di spuma che si infrangevano sulla prua salivano alti fino a sfiorare il viso delle tre persone che, avvolte nel loro mantello, scrutavano l’orizzonte nella speranza di veder apparire al più presto le coste dell’isola di Limnos. Sapevano tuttavia che sarebbero approdati sull’isola solo l’indomani mattina, alle prime luci dell’alba, nonostante l’imbarcazione fosse spinta da venti costanti e favorevoli.

"Come si presenterà quest’isola ai nostri occhi?" chiese con tono impaziente Lisandro.

"La riconoscerai dalle lunghe spiagge e dalle numerose baie, sempre che la tua vista sia abbastanza acuta." rispose placidamente Plistene.

"Ci sei mai stato?"

"Sono cresciuto a Delo, quand’ero bambino mio padre, che era un mercante, mi portava spesso con sé. E così ho potuto visitare molte delle isole dell’Egeo e ricordo quella volta che ci dirigemmo a nord, molto a nord, per raggiungere quell’isola remota, almeno per me."

Lisandro ascoltava con interesse le parole del compagno più anziano. "Dimmi una cosa, Plistene. Com’è che tu, solo tra i mortali, sei nato sull’isola di Delo dove, così dicono, nessuno può nascere e può morire?"

Il cavaliere rispose con naturalezza: "Mio padre si ferì sull’isola e cadde preda di febbri e mia madre, che era incinta, volle raggiungerlo a tutti i costi. Poco dopo lo sbarco, in modo del tutto inatteso e prematuramente, venni al mondo."

Lisandro sgranò gli occhi ma non riuscì a dire nulla dato che fu anticipato da Callimaco: "Il mio buon amico Plistene è speciale sotto molti punti di vista."

"Altroché, non solo fortunato, a conoscerlo mi sa che è un cavaliere pieno di sorprese!" disse gioviale Lisandro. Poi più serio: "Sono felice di averti al mio fianco."

Mentre ascoltava quelle parole Plistene, con fare cadenzato, aveva fatto apparire una lunga corona i cui grani color ambra scintillavano alla luce del sole del tramonto.

"Che cosa porti con te, Plistene?" disse Callimaco divenuto vigile e attento.

"Si tratta di un dono fattomi questa mattina dalla dea. Grande sforzo le è costato crearlo ma la posta in gioco lo richiedeva." rispose il cavaliere cadenzando le parole "Questa corona è composta di 108 grani, e ad ognuno di esso corrisponde l’anima di uno dei nostri nemici, i 108 Spettri di Ade. Quando vedrete le perle mutare il colore da ambra a cenere vorrà dire che uno dei nostri avversari è stato sconfitto. In questo modo sapremo anche se i nostri compagni hanno trovato resistenza sul loro cammino, e se vedremo spegnersi una o più perle avremo la certezza che la battaglia è iniziata."

"Come sarebbe a dire?" disse con tono deciso Lisandro "108 grani… Numerosi sono i nostri nemici! Tanti dovremo dunque abbatterne."

"Numerosi, certo. E forse non solo questi dovremo affrontare." disse con tono freddo e calmo il cavaliere rigirandosi la corona tra le mani.

A Callimaco tornò alla mente la sua prima missione lontano dal Santuario quando, in compagnia dello stesso Plistene, si era trovato a tu per tu con le armate di un temibile nemico. Era un cavaliere in attesa dell’investitura, allora, e ricordava l’ansia e la tensione che quei momenti gli avevano procurato; protetto solo da un’armatura di bronzo aveva affrontato un grande pericolo la buona sorte e la presenza di Plistene avevano fatto sì che tutto andasse a buon fine. Se Lisandro provava sensazioni simili a quelle che egli aveva provato a suo tempo, certo il suo carattere esuberante gli permetteva di mascherare dubbi e incertezze.

"Limnos, stiamo arrivando." mormorò. I venti di ponente intanto si stavano intensificando e la nave scivolava rapida verso le porte della notte.

 

Se mai vi era una terra brulla, arida, desolata, nella quale non solo gli uomini, ma pure gli dei si sarebbero trovati a disagio, ebbene quella era la penisola di Mani. Oramai il sole morente stava calando e lungo le alte coste a strapiombo sul mare le numerose grotte e anfratti apparivano come tanti occhi scuri che scrutavano gli abissi. Questi erano i pensieri di Archelao che, sceso verso il mare, compiendo numerosi salti tra le rocce, ora si era ricongiunto con il maestro Astylos, che lo attendeva sulla battigia. L’acqua che gli bagnava gli schinieri era tutto un baluginare di riflessi dorati dell’armatura.

"Non mi stupirei, maestro, se il nemico uscisse da questi luoghi. Sono quanto di più cupo abbia visto da molti anni, oltre che ad essere difficilmente accessibili."

Astylos era pensieroso: "Difficilmente accessibili… Non ti pare strano, Archelao?"

"Che cosa?"

"Così come è stato difficile per noi arrivare fin qui, così lo sarebbe muovere da uno di questi anfratti, risalire l’alta costa che le sovrasta, attraversare le distese deserte per muovere poi verso Atene o verso altri centri abitati."

"Sparta e la Messenia non sono tuttavia così lontane da questi luoghi. E noi dovremo difenderle se attaccate."

"Qualcosa mi dice che gli Spettri di Ade agiranno diversamente." disse Astylos aggrottando la fronte "No, Archelao, questo luogo non si presta per un attacco."

Archelao avvertì un’inquietudine strisciante. "Temete dunque un’imboscata?"

"Può essere" disse con un filo di voce Astylos "La credenza popolare di queste contrade ha sempre posto qui l’ingresso agli inferi, ma si tratta di un luogo lontano, remoto, dal quale pastori e pescatori si tengono alla larga se possibile. Se da quegli anfratti uscirà qualcuno o qualcosa, mio devoto allievo, dovremo stare in guardia."

Il giovane tuttavia intuì che il maestro non aveva manifestato tutti i suoi dubbi. "C’è dell’altro, non è vero?"

"E’ possibile." fu la risposta "Ma non ne avremo la certezza finché non avremo scrutato nelle tenebre."

Un’ondata più fragorosa delle altre fece sobbalzare Archelao, il quale si rese conto solo in quel momento di quanto fossero soli e lontani dalla dea, dal Santuario e da tutto il resto. In fondo, tuttavia, non gli dispiaceva trovarsi in quella situazione perché era quello per cui si era preparato per anni. La prova era imminente e lui si sarebbe fatto trovare pronto.

 

"Archita, mio nobile amico" disse Anassilao con voce ferma ma cercando di essere il più empatico possibile "non essere teso oltre il dovuto. La tua patria potrà dormire sonni tranquilli nel momento in cui sbarcheremo."

"Possa quel momento giungere presto, allora." disse d’un fiato Archita. Raramente si era trovato in una situazione simile, lui solitamente così freddo, razionale e lucido. Sapeva benissimo che una volta avvistate le alte coste di Thera si sarebbe placata la sua inquietudine e sarebbe riuscito a dominare la situazione, ma finché dal mare, verso sud, non si vedeva sorgere nessuna terra, egli si sentiva vulnerabile. O meglio, sentiva che i sui cari, i suoi amici, il suo stesso mondo era vulnerabile. Era tollerabile un simile atteggiamento in un valoroso cavaliere di Atena? Certamente no. Mai si sarebbe immaginato di trovarsi in una situazione simile. La presenza di Anassilao tuttavia lo rassicurava, gli infondeva fiducia e soprattutto tranquillità. Lo sguardo acuto del cavaliere si posò prima sul compagno e poi tornò all’orizzonte.

"Sai" disse finalmente "io sto qui a dibattermi nella mia inquietudine eppure non dovrei certo essere io a darti motivi di preoccupazione o di stanchezza, sia essa fisica o mentale. Si tratta della tua prima vera missione."

Anassilao replicò garbatamente: "Mi pare di poter dire, prode Archita, che voi cavalieri anziani avete un atteggiamento di profondo rispetto e profonda stima nei confronti di noi più giovani, del pari tuttavia tendete ad essere protettivi addossandovi delle responsabilità e delle preoccupazioni superflue. Credo ciò sia una prova della vostra profonda nobiltà e sono lieto, come uomo e come cavaliere, di essere cresciuto alla vostra scuola. In virtù di tutto ciò ti invito a non spendere troppi pensieri per me. Al momento opportuno me la saprò cavare e basterà la tua presenza a rendermi deciso e determinato all’azione."

"Gli dei ti rendano merito per le tue parole, Anassilao." disse finalmente sorridendo Archita.

"Lo stanno già facendo. Guarda, all’orizzonte è finalmente spuntata la tua patria."

 

La nottata, che fino a quel momento era stata limpida e aveva offerto ai cavalieri un luccicar di stelle, si fece d’improvviso cupa; nuvole che parevano apparse dal nulla velarono il cielo e resero ancor più buia la valle. Kyriakos teneva d’occhio i compagni, che camminavano ad alcuni metri di distanza; ora poteva distinguere solo vagamente il tenue luccichio delle loro armature. Pelopida era ormai nel cono d’ombra del grande pilastro di roccia che si ergeva sopra di loro e stava sparendo alla vista. Fu Pisandro il primo ad avvertire un cosmo avverso. Percezione e azione furono un tutt’uno per il giovane cavaliere.

"Rivelati vigliacco!" urlò e un raggio di luce scaturì dal suo pugno attraversando la notte. Alcuni arbusti oscillarono nelle tenebre e arsero brevemente subito dopo il passaggio della sfera di energia che era andata a morire su una parete rocciosa. Nel silenzio si udiva solo il rumore di frammenti di roccia che cadevano al suolo.

"State in guardia, sono davanti a noi." disse Kyriakos.

E Pelopida di rimando: "Sono in tre."

"Rivelatevi, schiavi di Ade!" disse con autorità Kyriakos.

Una risata agghiacciante spazzò l’aria mentre un’altra voce, sprezzante, li apostrofava così. "La cordialità non è certo di casa presso i cavalieri di Atena. Non siete forse voi gli schiavi costretti a servire chi tra pochi giorni, forse tra poche ore, dovrà prostrarsi al sommo Ade implorando la sua misericordia?"

"Come osi?" urlò Pisandro "Sarai tu a strisciare, demone dell’oscurità!"

"Non sono un demone dell’oscurità, mio irascibile ragazzino. Il mio nome è Koibe della Terra Buia."

"E nel buio ritornerai presto!" ruggì il gemello.

"Calmati, Pisandro." intervenne Kyriakos. "Non esporti finché non vedi il tuo avversario." L’esperto cavaliere di Atena percepiva ora distintamente i tre cosmi che aveva di fronte ma i suoi occhi a malapena ne distinguevano le sagome.

Una voce più cupa della prima si rivolse allora a Kyriakos: "Parli bene e ti dimostri avveduto, ma ora è tardi perché vi possiate sottrarre al vostro fato di morte. Se ti consola, sappi che tu cadrai per mano di Okois della Terra Corsara."

A quel punto fu Pelopida a intervenire: "E dimmi, Okois, hai intenzione di prendere anche la mia di vita?"

"La tua sarà mio appannaggio." disse una terza voce "Millios della Terra Inferiore ti trascinerà piangente nelle Prigioni di Hades."

"Ebbene mostratavi!" disse con decisione Pisandro.

Solo stridule risa sibilarono nell’oscurità. Poi fu Koibe a parlare: "Folli! Voi cavalieri di Atena pretendete di sfidare gli Spettri di Ade potendoli guardare in volto? Non sapete forse che il Tartaro è un luogo dove buio e oscurità regnano sovrani? Siete avanzati baldanzosi nelle vostre lucenti corazze ma la luce che vi portate appresso non può rischiarare le tenebre. O nel vostro delirio pensavate che gli Spettri si rivelassero alla luce del giorno?"

"E non è forse la paura a tenerti nascosto nella tenebra, Koibe?" disse con tono provocatorio Pisandro. "Se ti senti così superiore perché non ci hai attaccato al tramonto? Sei un codardo che si nasconde, questa è la verità! Ma non crucciarti troppo. Anche se ti scorgo a malapena presto saprò trovarti e in breve porrò fine insieme alla tua paura e alla tua vita."

"Lo credi davvero, insulso ragazzino?"

"Non sfidare la mia collera. Perché è la collera di Pisandro di Micene, cavaliere del Leone, che ti coglierà a breve."

"Koibe è tuo, giovane Leone. Ma sii prudente" disse con fermezza Pelopida.

"E chi vuole essere l’avversario di Kyriakos di Eleusi, cavaliere di Cancer?"

"Sarò io, Okois, il tuo avversario, incauto condottiero."

"Ebbene, allora Millios dovrà vedersela con me, Pelopida di Samo, cavaliere dei Pesci. Avanti cavalieri! Non temiamo le tenebre!"

I tre cavalieri di Atena si preparavano all’attacco ma percepirono chiaramente due cosmi degli avversari allontanarsi in direzioni diverse. "Dovremo separarci." disse Kyriakos. "Inevitabile." rispose Pelopida.