V
Le scure acque del mare si colmarono di fuggevoli bagliori mentre il sole stava sorgendo e illuminava il profilo dei monti dell’Attica che fino a poco prima erano soltanto un profilo scuro. Già i primi raggi di luce si stavano abbassando sul porto, che brulicava di vita nonostante l’ora. Gli incerti lumi delle piccole imbarcazioni dei pescatori danzavano sulle acque e poi si muovevano verso il largo. Di là del porto, nell’entroterra, si poteva intravedere già l’altura cui la città doveva la sua fama; sulla sua sommità si poteva distinguere la figura del tempio di pietra che da pochi anni era andato a sostituire quello di legno costruito in epoche precedenti. La città vera e propria, tuttavia, non era visibile stando al largo e solo gli edifici sparsi del porto erano segnale che in quella zona vi era un insediamento di un certo rispetto. Vi era poi qualcos’altro che occhi comuni non avrebbero potuto distinguere e che si levava oltre l’acropoli. Il ragazzo, stringendosi nel suo mantello, aguzzò la vista ed eccola svettare in lontananza, pinnacolo solitario, ineffabile presenza, l’Altura delle Stelle.
La contemplazione del paesaggio che si andava illuminando sempre più fu interrotta dal suono di una voce di fanciulla: "Quella è Atene, vero Callimaco?"
Il ragazzo si girò a guardarla: quant’erano belli i suoi occhi nella luce del mattino. "Dici bene, Melissa." rispose "Certo potevi evitare di alzarti così presto, l’aria del mattino è fredda e ci vorrà ancora un po’ prima di attraccare."
"E ciò non vale anche per te?"
"Sì, vale anche per me, tuttavia non riuscivo a chiudere occhio. Tornare qui mi fa uno stranissimo effetto, tanti ricordi, tante emozioni e pure tante ferite si affacciano alla mia mente pensando al recente passato che ho vissuto in queste terre."
Melissa si avvicinò a lui, si avvolse nel suo mantello e abbracciandolo disse con voce lieve: "Spero che un giorno me lo racconterai. Magari la prossima volta che dormiremo assieme."
Callimaco non poté che abbracciarla a sua volta. Il porto si faceva sempre più vicino.
Sbarcati ad Atene Cratilo, che era in fibrillazione già da un po’, passava il tempo ad assicurarsi che il prezioso carico fosse sistemato con cura sui carri che lo avrebbero portato a destinazione. Fosse stato meno preoccupato per la sua fortuna commerciale, che di lì a poco gli avrebbe fruttato un bel po’ di dracme, si sarebbe accorto di due fatti, e di uno in particolare che gli avrebbe fatto molto piacere. Il primo era che il suo amico fraterno Callimaco e il suo benefattore Anassilao erano tesi e ansiosi, forse più ansiosi di lui. L’altro era che sua sorella era il ritratto della felicità e che evidentemente quella notte, mentre lui era in preda a incubi che lo tormentavano facendogli temere di perdere l’affare della sua vita, o forse il primo di tanti, tra le onde del vasto mare, l’amico aveva trovato il coraggio di rivelarle i suoi sentimenti. Fu così che se ne stette senza dire motto fino a che l’acropoli non svettò davanti a loro. Solo in quel momento, pensando all’altro motivo, anzi il vero motivo che li aveva condotti lì, ritrovò la sua proverbiale loquela e cominciò ad interrogare Anassilao riguardo il momento in cui sarebbero potuti entrare nel Santuario della dea che, come gli era stato spiegato, era prossimo alla città ma restava celato ai più grazie ai poteri della figlia di Zeus. Anassilao rispondeva in modo cortese a tutte le sue domande.
Ben presto, oltrepassato l’abitato si trovarono ai piedi di un’altura sulla quale si innalzavano, maestose, numerose costruzioni, tredici per l’esattezza. Dietro quella più in alto si intravedeva un’imponente statua. E oltre ancora si innalzava un’altra altura, sulla cui sommità sembrava esservi un tempio. La cosa sorprendente, pensava tra se Cratilo, era che fino a pochi istanti prima non si era affatto accorto del complesso che gli si parava ora innanzi. Non ebbe tuttavia il tempo di rifletterci oltre dal momento che la voce di Anassilao lo colpì come proveniente da un mondo lontano.
"Benvenuti al Santuario della Dea, amici. E bentornato anche a te, mio nobile compagno d’armi."
Callimaco alzò gli occhi al complesso dicendo: "E infine siamo tornati, Anassilao. Non avrei mai pensato accadesse così presto."
"Torniamo in questo santuario di memorie e di imprese, mio buon amico, ma per un momento lieto. Coraggio, ci aspetta una lunga ascesa." E si avviò verso il primo dei templi che sorgevano sul colle.
Non erano però giunti a metà della scalinata che conduceva al tempio che una voce ferma e colma di saggezza giunse loro: "E così vi rivedo. Quale gioia è per me la vostra venuta. Non credevo che i messi inviati avrebbero saputo trovarvi e farvi arrivare qui in così poco tempo. Anassilao, Callimaco, bentornati e benvenuti. Molto mi siete mancati."
Lo sguardo vivido e profondo si fece più lucido, così come lucidi divennero gli occhi di Anassilao e Callimaco che d’un tratto gli furono accanto e si profusero in un lungo abbraccio.
"Fratello e amico" esordì Anassilao "bentrovato! Che stasera le stelle brillino su di te."
Callimaco aggiunse: "Bentrovato, amico e maestro."
Archita di Thera annuì sorridendo.
Messo di fronte alla solennità della scena e al portamento dei tre amici ritrovati, Cratilo dimenticò gli affari e in un attimo si affacciarono alla sua mente tutte le domande cui sperava di sentir dar risposta quando aveva udito la storia di Callimaco, a Corinto. Per un attimo gli parve di essere ancora tra gli ulivi, con la curiosità di scoprire cosa gli veniva nascosto dall’amico.
Poco dopo stavano salendo ripide scalinate, verso il tempio sommitale. Verso Atena.
Cratilo si guardava attorno estasiato. Avevano superato due templi, separati tra loro da ripide scale, mentre il sole cominciava a farsi alto nel cielo; aveva appreso che dodici templi avrebbero dovuto attraversare prima di giungere alla meta e lui cominciava già ad essere provato dalla salita. Lui, abituato ai duri lavori di campagna? Era forse l’emozione a giocare brutti scherzi? Gettò un occhio a sua sorella che sembrava invece salire con innaturale leggerezza. Perso in questi pensieri si sentì mettere una mano sulla spalla; con grande stupore vide che si trattava di Archita che lo fissava benevolo: "Te ne prego, Cratilo, non essere così teso in mia presenza!"
"Nobile Archita, se penso che voi…"
L’altro sorrise "Sono pur sempre un amico di Callimaco, dico bene?"
Cratilo esitò: "Sì, lui vi è molto affezionato ma io sono solo un umile contadino e mi stupisco che voi vi rivolgiate a me con tanta facilità."
"Non dovresti. Tu sei un contadino, aspirante commerciante mi dicono, e Callimaco ti ama come un fratello. E l’amico di un caro amico potrà essermi meno caro dell’amico stesso?"
Finalmente il giovane si sciolse: "Certo. Sarebbe un onore e un piacere."
"Benissimo. E allora sia. Senti" fece all’improvviso "vi è una cosa che ti devo. Ricordi poco fa, al secondo tempio? Quando Anassilao ha ricordato con parole dolci e commosse Alcmene che ci portò le sacre vestigia nel momento del maggior bisogno?"
"Sì, nobile Archita. Mi sarebbe piaciuto sentire raccontare qualcosa di lui. Così come gradirei sapere di voi e Callimaco. Quando sarà tempo e quando vi andrà di farlo, s’intende. Ogni frutto matura a suo tempo."
"Dici bene, Cratilo. Ebbene, ti narrerò qualcosa di questo nostro nobile compagno. Aver riveduto i miei compagni d’armi mi ha messo voglia di ricordare. Tu hai voglia di udirmi? Sarà un modo per distrarci dalla salita."
Cratilo si illuminò. "Mi piacciono i racconti di gesta. Quand’ero ragazzo non mi dispiaceva stare a sentire gli aedi cantare delle imprese del Pelide Achille o dei lunghi viaggi di Odisseo. Ma quelli erano miti." Si arrestò quasi sorpreso delle sue stesse parole "Cioè, con tutto il rispetto, anche questa giornata mi sembra uscita da un mito e non vorrei risvegliarmi domani e scoprire che è stato tutto un sogno. Ecco, come sempre sto parlando troppo! Vi ascolto, Archita."
Il cavaliere sorrise e cominciò. E gli parve di essere davvero lì, ancora una volta, ad udire le parole che il compagno d’armi Alcmene aveva rivolto alla dea.
"Mio devoto Alcmene, sei davvero convinto di quello che dici?"
Il giovane dai capelli nerissimi e dall’espressione gioviale, stava rispettosamente davanti a lei con il capo chino.
"Sì, mia dea."
"Eppure io nutro dubbi, mio caro cavaliere. Ora che la battaglia è alle porte mi chiedo se davvero voglio correre di nuovo il rischio di veder cadere tanti miei devoti cavalieri. Essi l’hanno fatto e lo faranno ancora per la causa in cui credono e per quello che io rappresento per loro. Ma non sai quanto tutto questo mi pesi. Vorrei con tutta me stessa che non fosse necessario."
"Nessuno lo vorrebbe. Ma questa è la vita degli uomini, la vita dei soldati che lottano per un ideale la cui difesa comporta alti sacrifici. Ho abbracciato con forza quell’ideale, conscio dei rischi che tale scelta comporta. E se dovessi sacrificarmi per esso lo farei, come credo lo farebbero i miei compagni."
Alcmene aveva alzato il viso e ora guardava la dea in viso. Un’allegra fierezza albergava nei suoi occhi verdi.
"Tuttavia, Alcmene, io mi chiedo a volte se non sarebbe stato meglio che io avessi scelto voi cavalieri tra giovani che non hanno legami affettivi al di fuori del Santuario. Madri, padri, fratelli, sorelle e amate devote. Amate il cui aspetto non è forse diverso dal mio corpo mortale, che soffrirebbero non vedendovi tornare da loro. E cosa potrei dire, Alcmene, a tua madre e alle tue sorelle, se ti capitasse qualcosa? E’ giusto che le privi dell’unico uomo che è rimasto loro in famiglia?" Si sedette e sembrò sospirare. "E’ giusto che una divinità chieda un tal prezzo per la devozione che le è rivolta?"
Un accenno di sorriso apparve sul viso del giovane: "Mia signora, voi non dovreste nutrire di questi dubbi, dal momento che agite per una nobilissima causa. Non è forse per questo che, nei tempi remoti, avete voluto riunire attorno a voi i primi cavalieri? Un’alta ispirazione vi mosse e noi ora siamo onorati di potervi servire sentendoci parte di quel lontano disegno."
"Tuttavia se i miei devoti fossero orfani, senza legami, non dovrebbero legare a me, col loro destino, anche quello dei loro cari e dei loro congiunti, ai quali non potrei restituirli se perissero per me. Non aggiungerei così sofferenza a sofferenza."
La dea apparve pensosa ma Alcmene senza esitazione alcuna disse: "Mia signora, non cadono forse i figli di Atene combattendo contro quelli di Megera o Corinto, e non lasciano la loro vita sul campo i soldati di Epidauro o Argo o Sparta quando si contendono i campi e i colli? Chi muore trafitto non ha fosse una famiglia, o almeno un fratello, un amico che lo piangerà? Alcmene di Epidauro non potrebbe essere già morto, compiendo il suo dovere di oplita in battaglia, se non avesse incontrato sulla sua strada la vostra persona e non fosse diventato vostro cavaliere? Non credo cambierebbe molto, per mia madre e le mie sorelle se io cadessi, anziché per seguire voi, per contendere le terra ai corinzi o a quelli di Nauplia o ai figli della verde Egina. Piangerebbero e si dispererebbero, come si disperano tutti coloro che perdono l’amico o il padre o il figlio in battaglia, come piangono calde lacrime le mogli e le fanciulle sui loro amati. Ebbene, io sono convinto che tutti costoro, compresi i miei cari, sarebbero ben più felici di sapere che io sacrifico la mia vita per voi, per quello che siete, per quello che rappresentate, piuttosto che per le futili dispute di uomini e città che per capriccio e per superbia si fanno la guerra."
"Alcmene…" sussurrò la dea.
"Combattere e morire per una giusta causa e per la salvezza degli uomini al comando di una dea, di Atena in persona. Quale genitore, quale sposa, quale figlio, sapendo che il Fato ha destinato il proprio congiunto a cadere in battaglia, non vorrebbe che così avvenisse piuttosto che saperlo morto per uno scontro fratricida con altri figli dell’Ellade, con i quali condivide magari lo stesso angolo di mondo, gli stessi campi, lo stesso cielo? Dea Atena, non temete, se destino avverso per noi è stato scritto, a voi biasimo non ne verrà. I cuori dei miei congiunti vi sono devoti non meno del mio e questo credo valga pure per i miei compagni d’armi. Un grande dono ci è stato elargito, è giusto che, al bisogno, ci sia chiesto un grande sacrificio."
"Che accade, Archita? D’uno tratto ti sei incupito." disse Callimaco rivolto al compagno.
Gli occhi del giovane erano velati, ma egli non ne mostrava alcun imbarazzo. "Ricordavo un vecchio amico, il nostro caro Alcmene."
Anassilao e Callimaco si scambiarono una rapida occhiata. Entrambi provavano una profonda gravezza d’animo. Archita però prevenne ogni loro parola. "Ci sarà tempo per il ricordo dei nostri compagni d’armi, ora proseguiamo. Si fa caldo e la nostra ascesa è ancora lunga."
A quel punto però furono i due fratelli a rompere gli indugi. E Melissa si fece coraggio ed esordì.
"Non so se sia già giunto il tempo o se sia chiedere troppo, ma perché non raccontate ora, per esteso, ciò che è accaduto pochi mesi or sono? Io e mio fratello avremmo piacere di sentirvi raccontare e di capire. Siamo ancora confusi. Atena è entrata da pochi giorni nelle nostre vite e per questo vorremmo sapere qualcosa di più su di voi. Callimaco, molto ci hai rivelato ma molto credo ci sia ancora da dire. E prima di trovarmi al cospetto di Atena vorrei udirlo, se è possibile."
"E’ possibile, certo" fece Anassilao anticipando l’amico "e non era nostra intenzione tacervelo. Tanto più che, come avrai ben capito anche tu Cratilo, udendo il commosso racconto di Archita, in realtà noi stessi siamo consci del fatto che, parlandovene, saremmo sollevati."
Fu allora Callimaco a parlare: "Ebbene, è proprio così. Onoreremo i combattenti di Atena raccontando le loro gesta qui, sulla via che conduce alla dea, nei luoghi che essi presidiarono e da dover partirono per scacciare il grande nemico."
"Oltretutto" riprese Anassilao "mi sembrerebbe scortese non accogliere una richiesta formulata in modo tanto delicato e gentile."
Melissa e Cratilo sorrisero soddisfatti.
"Guardate" disse d’un tratto Archita "cammin facendo siamo giunti alle soglie del terzo tempio. Che ne dici, Anassilao, vuoi essere tu a dar inizio al racconto delle gesta dei cavalieri di Atena?"
"Lo farò volentieri."
E nei pressi del pronao del tempio il gruppo si fermò all’ombra e la voce di Anassilao cominciò a raccontare, mentre Melissa si sedeva presso Callimaco e Cratilo prendeva posto tra Anassilao stesso e Archita.