IV
"Coraggio, Archelao, fallo! Sono io che te lo chiedo!"
"Non posso e lo sai."
"Aiutami a diventare cavaliere, te ne prego!"
"Te l’ho già detto, non posso. Il maestro non lo permetterebbe mai."
"Io ho fiducia nel maestro e non voglio deluderlo, per questo devi aiutarmi."
"Ti prego, non insistere."
"Coraggio, non esitare. Vedrai che saprò reggere la prova e poi mi meriterò il titolo di cavaliere. Tu, che più di ogni altro mi sei stato amico, tu che mi hai consigliato e aiutato in questi anni, come puoi lasciarmi solo dopo le lunghe giornate passate assieme condividendo duri allenamenti?" Il giovane stringeva i pugni rabbiosamente e vi era una profonda frustrazione nella sua voce.
Un soffio di vento spazzò le lastre di pietra che biancheggiavano alla luna sotto i piedi dei due ragazzi, l’uno di fronte all’altro. Per un attimo il tempo parve fermarsi e un improvviso silenzio si frappose tra i due.
"Coraggio!" disse nuovamente il giovane dalla folta chioma bruna.
"Il tuo momento arriverà. Abbi fiducia."
"Ascolta, devo riuscire a espandere il mio cosmo fino ai limiti estremi per ottenere l’investitura!" fu la richiesta pressante e quasi disperata dell’altro. "Mi aiuterai a diventare cavaliere, come tu lo sei. Anche se, lo so, non sarò mai un tuo pari."
"Il maestro ripone la massima fiducia in te e sa che diverrai capace di grandi cose. E io sento che ha ragione." rispose l’altro addolcendosi un po’. "Avrei voluto che i nostri destini fossero simili, tu lo sai. Sei giovane, più giovane di me. Arriverà il tuo momento e farai grandi cose, lo so." Le sue parole ora non erano meno accorate di quelle dell’amico.
"Allora aiutami ad avvicinarmi alla meta!"
L’altro esitò, confuso, poi disse: "E’ quello che vuoi?"
"Certo. Sono pronto." rispose convinto.
"E allora, sia."
Archelao sollevò un braccio e lo puntò nella sua direzione. L’altro si dispose a difesa e sentì qualcosa avvampargli dentro mentre i muscoli si tendevano e i sensi si facevano attenti. Quando però la tensione era massima il cavaliere abbassando la mano disse: "No. Non posso."
Così dicendo si girò e rientrò nel tempio che si affacciava sul piazzale; poco dopo il rumore dei suoi passi si perdeva tra le ombre del pronao.
Il ragazzo nel frattempo era caduto sulle ginocchia, picchiava il pugno sulla dura pietra e piangeva di rabbia.
Il sole illuminò un Santuario gioioso. Astylos guardava con sommo interesse il giovane e prestante nuovo cavaliere di Atena che, assieme al fratello, stava salendo al Tempio. Distinguerli sarebbe stato impossibile sebbene ormai la loro permanenza ad Atene si protraesse da alcuni anni. Non era la prima volta che al servizio della Dea combattevano due gemelli. Ancora si narrava al Santuario dei due che, qualche secolo prima, si erano immolati per permettere ai compagni d’armi di allontanarsi dalla città sotto attacco; due eroi che venivano sovente descritti leggiadri oltre che valorosi. I due gemelli di Micene parevano invece l’incarnazione dei mitici Castore e Polluce: legatissimi l’uno all’altro, si mostravano sempre gioviali con chiunque; erano forti, fieri e sfoggiavano una possente muscolatura. Quando facevano la loro comparsa, all’agorà dei tornei o al Santuario della dea, portavano sempre con loro una ventata di freschezza e allegria.
Quella mattina tuttavia Pisandro pareva essere assai più allegro di Lisandro. Naturale, dato che finalmente il giorno dell’investitura era arrivato anche per lui. Quando i due furono di fronte a lui Astylos sorrise e disse: "Bentrovato Lisandro. E salute a te, Pisandro. Da oggi potrò chiamarti compagno. Ciò è per me fonte di grande gioia."
Pisandro si allargò in un sorriso e rispose: "Sarà un vero onore per me, nobile Astylos. Onore che mi piace poter condividere con te, mio fratello e gli altri cavalieri."
"Condividerai pure gli oneri, fratello!" fece eco Lisandro.
Astylos strinse la mano a Pisandro: "Sei emozionato? Sai, voi due siete indecifrabili, spesso mi rendo conto che celate dietro la vostra maschera di allegria e gaiezza molto più di quanto vogliate mostrare. Ma che siete leali e devoti alle dea, e fieri di essere al suo servizio, quello invero lo si legge chiaramente nei vostri occhi."
"Emozionato, sì. Una cosa è vedere diventar cavaliere un fratello, altro è diventarlo."
"A dire il vero" fece Lisandro "sono quasi più teso oggi di quando è toccato a me."
"Lisandro" fece Astylos "ricordati di porgere i miei saluti al nobile Archita."
"Con piacere. Non sarai presente alla cerimonia?"
"Oggi c’è qualcuno che ha bisogno di me, perciò vi saluto qui." I gemelli annuirono.
"Salute a te, Astylos!" fecero all’unisono.
I due ripresero la loro felice ascesa. Nel loro sguardo d’intesa, appena superato quel tempio, vi era la fierezza per l’essere prossimi a raggiungere quel traguardo che pareva lontanissimo quando erano giunti dall’Argolide: diventare entrambi cavalieri al servizio di Atena al pari del prode Astylos. Astylos il valente, colui che era riuscito in un’impresa cui solo pochi mortali avrebbero potuto aspirare, ossia colpire il signore delle battaglie. Astylos immagine vivente, assieme a pochi altri, di quali vette potessero raggiungere i Cavalieri di Atena. E loro, figli gemelli di umili pastori di Micene, avevano raggiunto quel traguardo a poche settimane l’uno dall’altro.
"Mia signora, mi avete chiamato?" disse Archita inchinandosi. Il cavaliere dallo sguardo acuto stava già osservando, di sottecchi, il viso del Grande Sacerdote e ciò che vi lesse era abbastanza per sapere che quel che avrebbe udito non gli sarebbe piaciuto.
La voce soave di Atena dea non tradì nessuna particolare emozione. "L’ho percepito chiaramente, proprio allo spuntar del giorno. Egli si sta preparando. Il momento che temevamo è giunto."
Archita si irrigidì. Nonostante fosse uno dei Cavalieri più esperti, più preparati e più avvezzi ad avere a che fare con situazioni di estremo pericolo ciò che percepì in quel momento lo turbò in modo profondo, mettendo a dura prova la sua proverbiale freddezza.
"E quanto tempo abbiamo?"
Fu Policrate a rispondere e la sua voce suonava assai meno serena di quanto solitamente era. "Stanotte la Luna raggiungerà il massimo del suo splendore. Credo che dobbiamo attenderci qualcosa per la prossima Luna nuova."
"Allora abbiamo pochissimo tempo." Fece una pausa e il silenzio risuonò feroce. "Quando avete intenzione di rivelarlo agli altri cavalieri, mia signora?"
"Non oggi, mio caro Archita. Abbiamo un’investitura da portare a termine e non voglio che gli altri cavalieri, investiti da poco, siano catapultati in questa realtà in modo così brusco e repentino. I loro cuori sono forti, la loro fedeltà radicata e solida, ma non possono fare affidamento sull’esperienza che invece avete voi. Sappiateli guidare e condurre. Preparateli, ma gradualmente, anche se purtroppo il tempo vi sarà tiranno. Mi affido alla vostra competenza."
"Lo faremo con piacere." dissero con tono di profonda devozione due voci all’unisono.
Policrate rivolgendosi al compagno di molte battaglie disse: "Quando la cerimonia sarà terminata, a te l’incarico di condurre qui Kyriakos e Pelopida. Kyriakos si trova in questo momento nel luogo in cui è solito ritirarsi in meditazione; raggiungilo e tornate al più presto."
"Fate conto sia cosa già fatta." Poi dando voce a un suo dubbio: "Mia signora, posso chiedervi perché Astylos non è qui con noi?"
"Non l’ho convocato subito perché oggi per lui e per un suo allievo è il giorno dell’investitura e non ho ritenuto di doverlo distogliere dal portare a termine quell’incarico."
"Capisco. Tuttavia l’urgenza del momento… Non vorrei se ne risentisse."
"Non ti preoccupare, Archita. Stasera egli salirà al Tempio e avremo modo di parlarne. E poi, a dire il vero, qualcosa mi suggerisce che è bene che oggi lui porti a termine quanto ha iniziato." Policrate annuì.
Un lungo silenzio che parve non finire mai calò nella sala, poi Policrate si rivolse alla dea e con riverenza disse: "Potete dirci quale è stato il messaggio che Egli vi ha rivolto?"
Atena, chinando il capo, pronunciò queste parole, scandendole bene: "Il Santuario di Atena cadrà, i suoi cavalieri saranno dispersi, un nuovo signore governerà sugli Uomini."
Dopo un istante di esitazione Archita trovò la forza di chiedere: "Vi è altro, mia signora?"
"No, nobile cavaliere. Ciò che il Fato ci riserverà lo scopriremo cammin facendo e scontandolo sulla nostra pelle."
Policrate aggiunse: "Archita, se Ares ha avuto come unico obiettivo quello di sconfiggere la nostra dea, il signore degli Inferi sembra avere altri progetti per la testa. Più devastanti di una nostra eventuale sconfitta. Egli sembra aspirare al dominio sugli Uomini e non esiterà a colpire Atene, le polis della costa e dell’entroterra devastando l’umanità ovunque essa possa ostacolarlo."
"Ma allora la situazione è gravissima." fu il commento costernato di Archita. "Come potremo fermarlo se attaccherà non solo noi, ma i nostri cari, i nostri concittadini e chiunque dimori nel vasto mondo che il grande mare bagna?"
"Non potrà, almeno non come egli desidererebbe fare." disse pacatamente Atena. "Cominciate a radunare e riunire i cavalieri al più presto. Archita, i tuoi dubbi saranno presto dissipati."
Astylos levò gli occhi alle stelle, poi guardò il ragazzo esultante che indossava la sua armatura e non riusciva a stare fermo un attimo. Dopo averlo abbracciato, atteggiamento non proprio protocollare ma che era l’espressione più sincera del suo carattere, sembrava in preda all’euforia totale. Lui, dal canto suo non poteva che essere soddisfatto. Sebbene fosse un Cavaliere di Bronzo aveva dimostrato tenacia e abnegazione, un genuino entusiasmo fin dal principio e soprattutto sembrava non scoraggiarsi di fronte a nessun ostacolo. E i miglioramenti erano sempre stati costanti, indice di un cosmo non comune. Perso in questi pensieri e gravato da altre più gravi notizie da poco apprese, non si accorse di una figura che lo aveva raggiunto.
"Maestro, mi avete fatto chiamare?"
Volgendosi a lui Astylos rispose: "Ammira il tuo nuovo compagno d’armi."
"Lo vedo. E sono felice per lui." disse sorridendo il nuovo venuto.
"Il suo essere diventato cavaliere è, in un certo qual modo, anche merito tuo."
"Merito mio, dite?" rispose.
"La verità, Archelao." disse Astylos "So di questa notte, quando gli hai rifiutato una prova che lo preparasse a quella finale. Doveva trovare dentro di se la giusta forza e la convinzione necessaria per affrontarla, e tu l’avevi capito."
"Maestro" disse con devozione Archelao "questo però non mi dà certo il merito che mi attribuite con tanta generosità."
"E invece sì, mio caro allievo. Perché, vedi, tu hai saputo valutare la sua situazione nel migliore dei modi. Lui cercava una prova che gli infondesse sicurezza in vista di quella finale. E sapeva che rivolgendosi a te forse avrebbe ottenuto quel che chiedeva. Tu con lui avevi condiviso parte degli allenamenti, per lungo tempo gli sei stato compagno e amico, era convinto che non gli avresti negato questa prova di fiducia e amicizia. Ma tu hai dimostrato saggezza e fermezza. Hai capito che in quel momento la sua impulsività andava frenata. E al contempo non hai voluto prendere il posto del suo maestro. Ciò ti fa onore e mi rende orgoglioso di te."
Archelao rispose in modo imbarazzato: "Ho fatto ciò che sentivo essere il mio dovere. Spero tuttavia che lo abbia capito davvero, che non mi porti rancore per questo."
"Giudica tu stesso." disse Astylos. "Non vuoi rendere partecipe della tua felicità un caro amico e compagno d’armi, Pegasios?"
Pegasios, accortosi della presenza di Archelao, corse verso di lui.
"Amico mio, ce l’ho fatta!" I suoi occhi cantavano di gioia.
"Non ne dubitavo, Pegasios. Hai realizzato il tuo sogno."
"Sì, l’ho realizzato, e sono contento che tu sia qui con me a condividerlo. E non temere, non sono arrabbiato con te per quanto accaduto stanotte, amico mio." disse abbracciandolo "Ora siamo entrambi cavalieri di Atena e assieme presidieremo il suo Santuario e lotteremo per lei, se necessario."
"Se necessario, certo." fece eco Astylos, adombrandosi.
Pegasios si accorse del repentino cambiamento di umore del maestro e chiese: "C’è forse qualcosa che non va?
"Tempi duri si preparano, mio giovane Pegasios."
"Tempi duri, maestro?"
Archelao, del pari stupito: "Maestro, che intendete dire?"
"Non lo intuisci, Archelao? Credo di avertene parlato, tempo fa."
Un’ombra calò sugli occhi dell’allievo. "Volete dire forse che ci prepariamo…"
"A che cosa ci dovremmo preparare, maestro?" disse Pegasios "Forse un’altra prova?"
"Sì, un’ardua prova." rispose con solennità Astylos "Una prova che ci coinvolgerà tutti."
Pegasios esitò poi, memore di qualcosa che aveva udito raccontare molto tempo prima al Santuario disse: "Non vorrete dire forse che il possente dio della guerra, che affrontaste nella battaglia divina, della quale mi avete a volte narrato, vuole nuovamente muovere guerra ad Atena?"
"No, non lui." si intromise Archelao, che aveva capito. "Se così fosse non vedresti il maestro così teso perché saprebbe che genere di minaccia abbiamo di fronte, avendola già affrontata una volta. Dico bene, maestro?"
"Dici bene." fece Astylos. Poi, rivolto a Pegasios: "Il grande nemico si appresta a muoverci guerra, Colui che con Poseidone è più vicino al sommo Zeus."
Nell’udire queste parole inizialmente Pegasios impallidì e sembrò smarrito; tuttavia con la medesima rapidità il suo sguardo riacquistò fierezza, strinse i pugni e con tono sicuro e deciso disse: "Ebbene, se così deve essere, si faccia avanti. Atena non ha forse una schiera di Cavalieri al suo servizio? Noi combatteremo per la nostra dea e la sapremo difendere, dovesse costarci la vita!"
Astylos e Archelao annuirono gravemente.
Quella sera, prima di coricarsi, Policrate di Delfi, Grande Sacerdote di Atena, restò ad ammirare i templi che andavano scomparendo sul fianco della montagna inghiottiti dall’oscurità e non poté non pensare che ben presto un altro tenebroso potere sarebbe calato sul Santuario, facendolo tremare fin dalle fondamenta. Ma con l’investitura di quella mattina ora quei dodici templi avevano tutti un validissimo custode, che li avrebbe fatti splendere pur nelle tenebre e che avrebbe lottato per riaccendere la speranza nella notte che si profilava all’orizzonte. E altri cavalieri avrebbero acceso la loro fiaccola per rischiarare la notte degli uomini.