XXXVI
Callimaco, Archita e Anassilao erano in piedi nella penombra, muti e pensierosi, davanti ad una lastra tombale che era illuminata appena dalla luce che filtrava all’interno del Tempio in cui si trovavano. Melissa e Cratilo si tenevano a rispettosa distanza. Dopo un po’ la ragazza si avvicinò e lesse i nomi sulla pietra. Lesse con un po’ di fatica, lei ragazza cresciuta nei campi e che non aveva molta familiarità con i caratteri attici.
Aristarco di Atene, custode della spada della Dea…
Policrate di Delfi, custode della spada e Grande Sacerdote della Dea…
I predecessori di Callimaco, realizzò Melissa. Policrate, il maestro del suo amato. Un secondo padre, a sentire come ne parlava, morto combattendo nei luoghi che lo avevano visto nascere e crescere, ai piedi dell’amato Parnaso.
"E’ sepolto qui, vero?" chiese con discrezione.
Fu Archita a rispondere. "Parte delle sue ceneri è rimasta nella valle di Delfi, come egli desiderava, parte qui per essere più vicino ad Atena e ai suoi compagni d’armi."
Melissa pensò con orgoglio e al tempo stesso con amarezza che un giorno, sotto il nome di Policrate, sarebbe comparso quello di Callimaco.
"La Guerra Sacra…" chiese infine. "Come ebbe termine?"
Callimaco si portò vicino a lei e disse: "Archita, credo che sia meglio che sia tu a raccontare."
Il Cavaliere dell’Ariete aveva un’espressione grave. Restò un attimo in silenzio poi iniziò a narrare.
***
"Atena, non lo merito." disse Persefone stupita e allo stesso tempo tormentata dal rimorso per quanto aveva detto e fatto contro la propria sorella.
"Consideralo il mio modo per riparare ad un antico torto. Mi sono portata dentro quel peso per troppo tempo, Persefone."
La sposa di Ade distolse lo sguardo: "Sono una sciocca… Non lo avevo mai capito. Troppo presa ad autocompatirmi dopo che il cocchio di Ade mi aveva portata negli Inferi ho finito con odiare chi non se lo meritava. Mi duole ancor di più se penso che, anche dopo aver imparato a coltivare l’amore per il mio sposo, che mi aveva ridato serenità e gioia, non sono stata capace di allontanare dal mio animo il rancore per chi credevo mi avesse abbandonata quel giorno." Chiuse gli occhi e poi aggiunse. "Grazie, sorella."
Persefone strinse la mano che Atena aveva posato sulla sua e aggiunse. "Perdonami."
Ade guardò Atena e riuscì solo a dire: "Perché, Atena?"
"Lo sai benissimo, Ade. Devi solo riuscire ad accettarlo. Questa Guerra Sacra ha l’esito segnato ormai. Evitiamo che il Sommo Zeus apra un altro conflitto. Sai che non ne vale la pena. Non ora almeno."
Il dio degli Inferi espanse il proprio cosmo. "Atena, ti sono debitore per questo. Ciò però non significa che non ti muoverò più guerra nei secoli a venire, se ne avrò l’occasione."
"Io confido che tu possa mutare opinione."
"Ognuno ha il proprio ruolo e il proprio posto nel cosmo, lo sai. Troverò comunque il modo per onorare il mio debito." Il nume posò la sua mano su quella di Persefone. "Coraggio mia amata, la notte è terminata."
***
Il Sole era ormai alto sulla valle. Il Santuario di Apollo era ancora avvolto nel silenzio, salvo il gorgogliare di Castalia. Gradualmente pure le cicale stavano cominciando a farsi udire, dimentiche della lunga notte. Dal mare saliva un vento gentile che scuoteva le cime dei pini, profumo intenso di resina si spandeva intorno. Più in basso dal Santuario di Atena Promachos salivano nell’aria leggera sottili fili di fumo; il tempio della dea era un cumulo di macerie, nell’aria un odore acre di legna combusta e polvere di pietra.
Polissena si tirò in piedi e si guardò attorno. Il sole le picchiava sulla testa e la luce abbacinante le dava fastidio agli occhi. Per giorni non aveva desiderato che rivedere la luce di Febo e ora le dava noia, la metteva a disagio e non ne comprendeva il motivo. Mosse qualche passo, incerta, e fu allora che li vide. Corpi senza vita, vicini e lontani. Nell’aria odore di sangue e morte e un ronzare di mosche. Ebbe un conato di vomito. Un capogiro, la vista le si appannò e cadde. Qualcuno la afferrò impedendole di rovinare al suolo. Quando riaprì gli occhi, con ancora le immagini di quello strazio nella mente, si avvide che chi l’aveva sorretta era Archita.
"Siamo rimasti solo noi?" chiede angosciata con un filo di voce. Archita l’adagiò all’ombra ma non rispose subito. Lei tese la mano e lui l’afferrò.
"Cerca di stare tranquilla, Polissena."
Si abbandonò e perse nuovamente i sensi. Passò un tempo indefinito, poi d’un tratto udì la voce di Anassilao, poi quella di Archita che gli rispondeva. Parevano così lontani. Parlavano di Callimaco. Poco dopo avvertì una presenza e girandosi alla sua destra vide che Anassilao stava distendendo Callimaco vicino a lei. Era adagiata su un comodo giaciglio, al coperto. Le sue ferite erano state cosparse di unguento e olio profumato, di cui avvertiva il buon profumo, e fasciate. Udì Callimaco chiedere: "Dov’è Atena?"
Seguì un lungo silenzio, infine Archita e Anassilao risposero quasi all’unisono. "Non lo sappiamo."
***
La Pizia e parte degli abitanti di Delfi e del Santuario di Apollo stavano facendo ritorno. I più non restarono indifferenti davanti allo strazio che si parò davanti ai loro occhi, né alla rovina al tempio di Atena Promachos. Molti incolparono di quella strage e dei danni le polis che ormai da anni si contendevano il controllo del Santuario di Delfi, in quella che era stata denominata guerra sacra.
Solo la Pizia sapeva che di una Guerra Sacra di tutt’altra natura si trattava e s’inquietò non poco davanti a tanta distruzione. Soprattutto le dava da pensare il fatto che, apparentemente, di Atena non vi era più alcuna traccia. Rapida e incurante di coloro che reclamavano la sua attenzione si diresse verso il sacello di Apollo, a cercare risposte.
***
Trittolemo si aggirava tra le rovine del tempio di Atena. Il sole avrebbe infastidito i suoi parigrado, egli invece non se ne curava. Era preoccupato per Persefone. Si sarebbe ripersa? Ade e Atena avevano voluto restare soli in un edificio ai margini del recinto sacro. Cosa stesse accadendo non avrebbe saputo dire. Una cosa era certa, i loro cosmi erano deboli. Tanto deboli che per un attimo non li aveva più avvertiti. Tre cosmi divini quasi spariti… era possibile? No, infatti eccoli di nuovo, come a vibrare nell’aria ma flebili, fragili. Eppure per un attimo gli era parso di avvertire qualcos’altro, un’altra presenza. Istintivamente alzò gli occhi al Parnaso. Il cielo era sereno e ormai sgombro di nubi. Quanti fulmini avevano tuonato nella notte. Che la Guerra Sacra fosse davvero conclusa?
Avvertì una presenza e si girò. "Ancora voi…"
Archita e Anassilao si fecero avanti. "Cosa stia accadendo ad Atena e a coloro che servi non sappiamo tuttavia, Trittolemo, ora vogliamo sapere quali sono le tue intenzioni." Esordì Anassilao.
"Non è più tempo di duelli, vero?" disse avvicinandosi ai due. "In verità, devoti di Atena, il mio compito ora sarebbe quello di stare vicino a Persefone, ma dopo quanto accaduto ho ragione di credere che il Sommo Ade nutra del risentimento nei miei confronti, ma non posso certo biasimarlo per questo."
Fu allora Archita a parlare: "Forse il ferimento di Persefone non è stato invano. Questa Sacra Guerra tra divinità è costata anche troppe vite e ha rischiato di compromettere gli equilibri stessi tra gli Olimpici. Sono certo che hai avvertito pure tu almeno un altro cosmo divino durante la battaglia." Trittolemo annuì. "Una presenza, come in attesa degli eventi. Cosa sarebbe accaduto se Persefone fosse caduta? O se lo stesso fosse capitato ad Atena? Non rammarichiamoci dunque di come sono andate le cose."
"Credi davvero che sia finita?" fece Trittolemo espandendo il suo cosmo.
Archita espanse il proprio, stupito ma pronto alla lotta. Anassilao fece lo stesso parandosi davanti al compagno. "Lascialo a me, Archita!"
Un sorriso beffardo comparve sul viso di Trittolemo, che subito quietò il proprio spirito. "Non sono certo uno sciocco, Cavalieri di Atena. Due contro uno. Non avrei possibilità. La vittoria è vostra."
Archita e Anassilao dapprima furono sorpresi ma poi capirono. L’onore guerriero era salvo, solo questo pareva importare a Trittolemo ormai. Ma quanto alla loro vittoria… che vittoria era mai quella? Callimaco e Polissena erano vivi ma coperti di ferite, tutti gli altri non sarebbero mai tornati con loro ad Atene. Quanti di coloro che erano stati radunati al Santuario solo pochi giorni prima si erano salvati? Tre. Solo tre, cui si aggiungeva Polissena, compagna di viaggio incontrata lungo la via. Dietro di loro una scia di morte. Era di poca consolazione pensare che pure nella prima Guerra Sacra contro Nettuno, combattuta secoli prima, tre soltanto dei cavalieri di Atena si erano salvati: Pleistarco del Leone, Milo di Libra e Ctesia dello Scorpione.
"Vivendo in Ade sono abituato ad aver a che fare con le ombre." disse Trittolemo. "Devo ammettere però che vedere questo spettacolo di morte sotto il sole fa un certo effetto. Stolti gli uomini che si muovono guerra tra loro e cercano di prevalere gli uni sugli altri. A tanto infine ci si deve ridurre e fa poca differenza come si muore sul campo di battaglia, se tra i compagni d’armi o soli, se convinti di servire una giusta causa, vana illusione, o per inseguire gloria, ricchezze e smodate ambizioni di dominio. Ben diverso il destino di chi combatte a fianco di una divinità contro altre divinità. Se mi è permesso dirlo, credo che i vostri compagni siano caduti credendo davvero in ciò per cui combattevano e la Moira li ha colti, ne sono convinto, senza altri rimpianti salvo quello per la vita che hanno perduto."
"Sono caduti a causa di Ade, che era nel torto, e tu lo sai!" tuonò Anassilao.
Archita lo trattenne: "Anassilao, ascolta bene le sue parole. Ade ci ha mosso guerra ma quante volte sono gli uomini a seminare morte? Quante volte un uomo attacca un altro uomo, una polis un’altra polis, quante volte si sono visti campi di battaglia disseminati di cadaveri? Per cosa? Qualche metallo prezioso, un pezzo di terra, scorte di cereali, un gregge rubato?"
"Noi combattiamo per qualcosa di diverso e tu lo sai."
"Sì, ed è proprio quello che Trittolemo ci riconosce. Quale che sia l’evento che scatena un conflitto l’esito è spesso tristemente lo stesso. Consoliamoci dunque al pensiero che molti altri sono caduti, e cadranno in futuro, per motivi più futili rispetto a quelli che hanno portato alla scomparsa dei nostri compagni."
"Una consolazione da poco." considerò Anassilao.
Trittolemo si allontanò ma prima di congedarsi disse. "Date degna sepoltura ai vostri compagni, lo hanno meritato."
Quanti cadaveri, quanto strazio, quanto orrore. Questi erano alcuni dei pensieri di Archita e Anassilao mentre, poco più tardi, avvolgevano in sudari improvvisati i loro compagni.
D’un tratto avvertitono dei passi e la voce di Trittolemo che li esortava da lontano con sollecitudine: "Devoti di Atena, in questo campo di morte qualcuno ancora vive. Prendetevene cura, presto."
Archita e Anassilao lo guardarono stupefatti avvicinarsi. Il Giudice portava in braccio qualcuno che respirava ancora.
***
Atena era stanca ma soddisfatta per quello che aveva compiuto. Quel pensiero sembrava anzi ridarle forza e vigore.
Ade nel frattempo stava prendendo in braccio Persefone, ancora troppo debole per camminare. A un suo cenno si udì un nitrito e la terra parve tremare. Atena ritornò con il pensiero a quel lontano giorno sull’isola di Trinacria. Ecco infatti un nero cocchio trainato da quattro neri destrieri apparire dalle viscere stesse della terra.
"Atena, sembra che io abbia un debito nei tuoi confronti. Dimmi che desideri e se posso ti esaudirò."
"Abbandona i tuoi disegni di dominio sull’ecumene, sul cosmo e smettila di tormentare l’umanità."
Il figlio di Crono rise. "Sai che non è possibile. Tuttavia ho altri modi per sdebitarmi." Vi era compiacimento sul suo viso mentre pronunciava queste parole. "Il mio cosmo non pervade più il tuo Santuario ad Atene. Te lo restituisco e sono certo che Persefone non avrà nulla in contrario."
Persefone annuì: "Atena, meriti senz’altro di essere annoverata tra le divinità più vicine agli uomini. I tuoi atti e la tua condotta lo dimostrano."
"Ho avuto le mie mancanze e, come te, a volte in passato ho coltivato la collera e il rancore verso i mortali."
"Per quanto riguarda me, Atena, non hai più mancanze da farti perdonare. Anzi, se devi chiedere, chiedi, il mio signore Ade acconsentirà." Ade ebbe un cenno d’assenso.
"Sommo Ade" disse Atena "che ne è dei miei devoti caduti combattendoti? Davvero hai disposto che le loro ombre siano destinate a sprofondare nel Tartaro?"
"Era il posto più adatto a loro." disse brusco Ade.
"No, dovrebbero stare…"
"Nei Campi Elisi, lo so." La interruppe con decisione. "Tuttavia vi è molto scompiglio nell’Ade a causa della sconfitta dei miei sottoposti. I Giudici, Trittolemo a parte, sono privi della loro forma corporea così come molti altri dei miei più fedeli servitori. Io stesso dovrò adoperarmi per completare la guarigione di Persefone e quindi i tuoi devoti dovranno attendere."
Atena si rabbuiò.
"Almeno che non trovi tu stessa il modo di trarli di là, ma debole come sei credo ti risulterebbe difficile."
Persefone si rivolse al proprio sposo. "Mio signore, ascoltate, c’è almeno una cosa che però potete fare subito." E sussurrò qualcosa all’orecchio del dio. Ade ebbe un cenno d’intesa. "Atena, devo vedere uno dei tuoi sottoposti."
Adagiò comodamente Persefone sul cocchio, poi elargì una carezza ad uno dei destrieri: "Abaste, attendimi e abbi cura della tua signora." Il destriero dal lucido mantello nitrì fiero. Ade si diresse verso l’edificio dove erano stati portati Callimaco e Polissena.
"Ade!" disse timorosa Atena.
"Non ti preoccupare, lieve sarà il suo tocco. Un piccolo dono per chi ti ha difesa." la rassicurò Persefone.
Ade entrò nell’edificio e Callimaco e Polissena rabbrividirono al cospetto del dio degli Inferi. Il giovane d’istinto alzò il braccio ma fu colto da un dolore lancinante.
"La tua spada è spezzata, a quanto vedo." disse il dio con freddezza. "Ne ho già spezzata personalmente una molto simile a questa e tanto mi basta per ora."
Callimaco sudava freddo ma dentro covava rabbia ripensando alla fine di Policrate. Ade però lo ignorò e si avvicinò a Polissena. La ragazza tremava. "Ti avevo detto di tenerti lontana dalla battaglia, ecco cosa ne hai ricavato." Ade si chinò su di lei e le prese un braccio, coperto di fasciature. "Non starò a perdere tempo qui. Dovevi ascoltare il mio consiglio finché eri in tempo." Polissena era sbiancata e si era irrigidita. Callimaco provò ad alzarsi ma ebbe un capogiro. Ade passò lentamente una mano sul volto della ragazza. "Ora va molto meglio." Elargì uno strano sorriso e se ne andò.
Polissena era sbiancata, inchiodata al suo giaciglio, ma quando Callimaco la guardò non credeva ai propri occhi.
***
"Sfortunata ragazza." disse Trittolemo con fare divertito. "Questi Cavalieri di Atena saranno pure temibili in battaglia ma per il resto lasciano molto a desiderare. A badar loro saresti già dovuta essere sulla barca di Caronte!"
Viva! Elettra era viva! Archita si fece avanti, seguito subito da Anassilao. Non credevano ai loro occhi. Trittolemo affidò Elettra ad Archita. "Le sue ferite sono gravi, ma si salverà. Portatela al riparo dal sole e prendetevi cura di lei."
"Trittolemo…" mormorò Anassilao ma il Giudice lo prevenne dicendo: "Atena ha salvato Persefone, mi pareva doveroso ricambiare il gesto. Il Fato me ne ha dato subito l’occasione. E ora addio davvero, devoti di Atena! E’ stato un onore combattere contro di voi."
Trittolemo si allontanò e come d’incanto cominciò a sparire in piena luce, un sorriso di soddisfazione sul volto. Prima di scomparire del tutto aveva tuttavia rivolto il viso al sole, a bearsi di quella luce e quel calore di cui spesso avvertiva la mancanza negli Inferi.
***
Verso sera due donne stavano sedute presso il fuoco sacro nel sacello di Apollo.
"Quanta desolazione. Sono mortificata per quanto è accaduto in questi giorni qui a Delfi, saggia figlia di Zeus."
"Sono io a essere mortificata." disse Atena alzando gli occhi al cielo che si intravedeva dalla copertura del tempio di Apollo, danneggiato da Ade poche ore prima. "Voi costretti alla fuga, il Santuario che custodite in gran parte profanato e il tempio del mio divino fratello oltraggiato."
"Non crucciatevi." osò dire la Pizia. "Gli uomini, se lo vogliono, sanno fare ben di peggio. Le Guerra Sacre tra divinità sono insidiose e distruttive, e ora posso dirlo con certezza, tuttavia vi sono anche altre guerre sacre, che portano più distruzione e morte delle vostre. Soprattutto, si originano spesso per motivi assai più futili. Mi consola considerare che voi Olimpici combattete per gli equilibri del mondo, per il dominio cosmico, per difendere l’ordine dal disordine." Poi si corresse e aggiunse. "Almeno ciò è quello per cui vi adoperate voi, Atena, e sono certa che fa lo stesso pure Febo Apollo. Non intendevo certo dire che Ade è pure lui un paladino dell’ordine cosmico."
Atena restò silenziosa per un attimo poi disse. "Dal suo punto di vista lo è. Il suo ruolo è necessario come quello delle altre divinità. Nelle vostre parole però c’è del vero. Sono gli uomini che troppe volte cadono per motivi sciocchi, trascurabili, incomprensibili."
"Siate dunque fiera dei vostri devoti. Chi vi ha seguita ed è caduto per voi forse non è caduto invano." Per un momento guardò verso l’ingresso del tempio poi aggiunse. "Dopo aver saputo del nostro esodo, le poleis che vogliono ottenere il controllo di Delfi e che attribuiscono le une alle altre la colpa del mio allontanamento e di chi opera al tempio di Apollo sono già in subbuglio. Cosa non si fa per controllare un Santuario come questo e le sue ricche entrate! Per cosa cadranno quegli uomini che presto prenderanno le armi per assicurarsi il controllo di Delfi, per quali ideali, per cosa? Considerate questo e realizzerete che i vostri Cavalieri hanno davvero ottenuto dal Fato un destino ben migliore, ancorché amaro."
Atena si lasciò sfuggire un sorriso. Il sole della sera illuminava il sacello di Apollo come non era mai accaduto prima di allora.
***
Dopo il colloquio con la Pizia, Atena si era allontanata dal tempio di Apollo ed era salita verso le pendici del Parnaso. Aveva voglia di aria fresca e spazi ampi. Soprattutto di un attimo di pace, per pensare. Il suo sguardo spaziava in lungo e in largo e in fondo alla valle poteva scorgere un braccio di mare. Il frinire delle cicale stava calando d’intensità e il sole stava scomparendo dietro i monti. Tanti pensieri affollavano la sua mente. Dopo aver vagato per un po’ ridiscese verso il Santuario e si sedette in disparte sull’ultimo gradone del teatro. In basso vedeva persone andare e venire dal Tempio, alcune con passo svelto, altre più lente sotto il peso di oggetti e casse, altre ancora con torce che di lì a poco avrebbero brillato nella sera. Vi era molto da fare pure lungo la via Sacra, dove si stavano evidentemente controllando i Tesori e i preziosi in essi custoditi.
D’un tratto si udì la musica di una lira. Atena alzò lo sguardo verso le pendici del monte e lo vide, seduto su di un fusto di colonna mai messo in opera. Non appena lei ebbe mosso alcuni passi lui aprì gli occhi e smise di suonare.
"Salve, sorella!"
"Apollo, è un piacere vederti."
Febo pizzicò ancora per un attimo le corde del proprio strumento, poi disse: "Il tuo cosmo è ancora debole. Spero ti riprenderai presto."
"Mi riprenderò, non temere."
Apollo posò la lira e le si avvicinò. "Per un istante ho temuto davvero che tu soccombessi ma in fondo sapevo che avresti trovato il modo di superare il momento di difficoltà. Certo dopo aver debellato Thanatos e Hypnos forse avresti potuto essere più prudente."
"Ade e Persefone andavano fermati, non potevo tirarmi indietro."
"Persefone da sola avrebbe potuto ben poco e sono certo che, come l’ho capito io, l’avevi capito anche tu."
"Apollo" disse Atena stupita "dunque tu eri qui dall’inizio! Hai seguito tutto lo svolgimento della battaglia!"
Egli annuì. "Nostro padre mi ha chiesto di vigilare. L’ho fatto volentieri, d’altro canto è difficile dire di no al padre degli Dei. Certo ho temuto nel momento in cui tu e Persefone vi siete scagliate l’una contro l’altra. Zeus Tonante ha fatto udire la sua voce e mi è costato grande fatica convincerlo a non intervenire direttamente nel bel mezzo dello scontro. Ho dovuto dar fondo a tutta la mia arte della persuasione e addolcire le mie parole con il suono della lira però, come avrai di certo udito, non ho potuto impedire che scagliasse qualche folgore."
Atena si rabbuiò: "Dunque nostro padre non riponeva fiducia in me e ti ha mandato in mio aiuto. Anzi, ti ha mandato a controllare le mie azioni."
"Affatto. Credo che fosse solo molto preoccupato. Parlava di Ade, della possibile rottura dell’equilibrio cosmico e del fatto che sarebbe dovuto scendere in battaglia con chissà quali conseguenze ma io avevo compreso che ben più di questo era in pensiero per te. E per Persefone naturalmente. Ma ormai tutto è passato. Sappi che ti manda i suoi complimenti per il tuo nobile gesto e naturalmente anche per come hai gestito la Guerra Sacra."
"Non so se li merito davvero."
"Li meriti e lo sai. Salvando Persefone hai evitato il peggio. Uno scontro tra i figli di Crono… no, non avrei proprio voluto vederlo."
"E tu, fratello, ti sei davvero limitato soltanto a osservare quanto accadeva? O devo pensare che tu abbia avuto una qualche parte negli eventi conclusivi di questa Guerra Sacra?"
"Sono rimasto in attesa degli eventi, te l’ho detto. Sapevo che ne saresti venuta fuori. E non c’era bisogno di ricorrere alla veggenza: Atena è maestra di strategia, è cosa risaputa sull’Olimpo." disse gioviale avvicinandosi a lei. "Quanto poi ai mortali che hai addestrato quali tuoi combattenti devo complimentarmi con te, non credevo avresti mai raggiunto tali risultati. I loro cosmi vitali, a tratti, mi hanno davvero sorpreso."
"Ti ringrazio per le tue parole, anche se so che tu, a differenza di altri sull’Olimpo, mi hai sempre sostenuta quando ho deciso di accostarmi ai mortali."
Apollo le prese una mano. "A proposito dei tuoi devoti. In effetti una certa cosa l’ho fatta, contravvenendo alla consegna di limitarmi a osservare gli eventi. Quel tuo guerriero che ha avuto l’idea di illuminarvi il cammino andava premiato. Metoneo, mi pare si chiamasse. Mi sono permesso di concedere più brillantezza alla luce del suo cosmo. Sono rimasto stupito dal suo potere e dalla sua determinazione e l’ho fatto volentieri."
Atena abbassò il capo. "Ti ringrazio, fratello mio. Ma io non posso che piangere la sua caduta come quella di molti altri che hanno combattuto per me."
"La sua caduta?" disse serafico Apollo. "Non crederai davvero che abbia permesso ad Ade di colpirlo, dopo quello di cui era stato capace! E sulla copertura del tempio a me dedicato per di più!"
Atena sgranò gli occhi e guardò dove si era posato lo sguardo di Febo Apollo. Poggiato ad un tronco gentile, il volto sereno nel sonno, giaceva Metoneo.
***
"Perché mi guardi così, Callimaco?" Polissena era spaventata da quello sguardo incredulo.
Il giovane sapeva che le parole in quel frangente sarebbero valse a poco e quindi pensò a qualcosa di più incisivo. Con la sinistra afferrò il catino d’acqua posto vicino al proprio giaciglio e lo porse alla ragazza. "Specchiati." le disse.
Polissena provò a guardare il proprio riflesso sulla superficie increspata ma le sue mani tremavano e parte dell’acqua gocciolò fuori. Allora posò il catino sulle proprie gambe e attese, il cuore a mille per qualche arcano motivo, incerta tra sgomento e speranza. Passò un tempo indefinito poi finalmente l’acqua si chetò ed ella poté osservare il proprio volto. Puro, limpido. Lo sfregio che le segnava il viso era scomparso. Le mancò il respiro, il cuore fu sul punto di scoppiarle nel petto. Si portò le mani al volto mentre cercava di specchiarsi ancora, ma ormai l’acqua si era increspata di nuovo.
"Non è un’illusione, Polissena. Il tuo volto è davvero risanato."
"Non ci credo…" sussurrò la ragazza nascondendo il viso nelle mani. Poi guardò Callimaco e chiese. "Ma perché l’ha fatto?"
Callimaco era sorpreso dalla domanda. "Davvero non te ne sei accorta? Non ricordi l’espressione di Persefone quando ti ha vista durante la battaglia? E il fatto che Ade stesso ha cercato di proteggerti, portandoti via dal campo di battaglia? Ti sei chiesta perché lo aveva fatto? Credevo fosse evidente ormai. Ade ha visto in te il ritratto vivente di Persefone fanciulla."
"Io… somiglio a Persefone?" chiese incredula nel sentirsi accostare a una dea.
"Sì, e ora decisamente più di prima." rispose Callimaco sorridendo, poi si rimise giù, che i dolori alle gambe e al braccio erano tornati a tormentarlo.
Fu allora che Archita e Anassilao varcarono la soglia. Archita portava Elettra.
"Come stai, Callimaco?" chiese Anassilao.
"Ho avuto giorni migliori." rispose alla voce dell’amico, poi aprì gli occhi e vide Elettra. "Elettra! Ma allora…"
"Sì, è viva. Una buona notizia in questa giornata tanto amara." disse Archita posandola delicatamente a terra.
"A dire il vero è già il secondo fatto straordinario della giornata." replicò Callimaco.
"Mi occuperò io di lei." si era intromessa premurosa Polissena. Fu allora che i due nuovi arrivati si accorsero del cambiamento avvenuto sul volto della ragazza.
"Accadono cose strane oggi. Strane e assai piacevoli!" commentò Archita e si avvicinò alla ragazza inginocchiandosi vicino a lei. "E’ un piacere rivedere questo splendido viso." Poi diede un’occhiata alle sue ferite. "Le tue braccia vanno curate al meglio, Polissena. Mi occuperò io di te e di Elettra..."
"No, lo faccio volentieri." Poi chiese esitando: "Dimmi… c’è qualcun altro?"
Archita scosse la testa. Fu Anassilao a rispondere, amaro: "Fuori è rimasta solo morte…"
Per molto tempo nessuno parlò più. Polissena si occupò di Elettra, che ogni tanto ebbe quale tremito ma non riprendeva conoscenza. Archita si occupò di entrambe le giovani, anche se medicare le braccia di Polissena, che non smetteva di darsi da fare attorno a Elettra, non fu facile. Callimaco cercò di riposare anche se le sue ferite parevano ardere, tuttavia il pensiero che avrebbe rivisto Melissa gli dava sollievo. Anassilao si era seduto e aveva cominciato a fissare un punto indefinito oltre a soglia, mentre le cicale frinivano in modo sempre più flebile. Archita, terminato con Elettra, restò un momento a fissare Polissena poi uscì, che tanto altro c’era da fare.
Era ormai notte quando Anassilao si riebbe dal suo torpore. Si era sentito vuoto, ma ora doveva darsi una scossa. Pulì le ferite di Callimaco e cambiò le fasciature. Non dissero una parola. Poco più in là Polissena finalmente riposava. Elettra dormiva apparentemente serena, il respiro regolare. I suoi incubi erano sfumati e poi spariti del tutto e ormai stava riacquistando la piena percezione del mondo attorno a lei. D’un tratto in quel silenzio udì una voce, quella voce.
Anassilao guardò in direzione dell’ingresso e non credeva ai suoi occhi. "Ancora uno sforzo, amico mio." stava dicendo Archita a un compagno d’armi.
"Ce la faccio, Archita." disse il nuovo arrivato.
"Metoneo!"
Il cavaliere d’argento lo guardò e sorrise ma subito chiese: "Dov’è, vi prego ditemi dov’è!" Non ci fu bisogno che qualcuno rispondesse. Elettra si era destata al suono di quella voce, anche se non poteva ancora vedere Metoneo, che i suoi occhi non si erano ancora abituati alla penombra. "Sono qui, Metoneo!"
Il giovane si precipitò da lei e i due si sciolsero in un abbraccio.
I tre cavalieri d’oro si guardarono l’un l’altro e provarono qualcosa di simile alla felicità. La cortina di tenebre stesa sul mondo forse si stava definitivamente dissolvendo.
Polissena invece provava un misto di soddisfazione e lacerante nostalgia. Miacle… Archita le passò vicino e le asciugò una lacrima. Lei lo ringraziò con lo sguardo.
Archita intanto stava mostrando qualcosa che teneva sul palmo della mano ad Anassilao. "L’ho trovato dopo avergli tolto la tunica per pulire e profumare il suo corpo."
Anassilao prese quella lamina sottile tra le dita. Vi era impresso il nome Lisippo. "E’ un nome che non ho mai sentito."
"Nemmeno io e sai bene che conoscevo Astylos fin dal suo primo giorno al Santuario. Doveva essere qualcuno di molto importante per lui."
"Il suo primo maestro forse?" azzardò Anassilao.
"Anassilao! Davvero non ricordi il nome di Leonida?"
Il compagno era imbarazzato: "La stanchezza intorpidisce la mia mente. Certo che conosco la fama di Leonida di Tebe. Chi sarà stato dunque questo Lisippo? Forse un fratello? Un compagno d’addestramento?"
"Credo sia una delle tante storie che questa Guerra Sacra si è portata via con sé." concluse Archita con rassegnazione.
Metoneo nel frattempo si stava prendendo cura di Elettra. Callimaco aveva seguito il dialogo tra i due compagni ma non aveva la forza di replicare e dire la sua. Sperava solo di sprofondare nel sonno e sognare Melissa.
***
Atena si era trattenuta a lungo con Apollo. Al momento del congedo diede sfogo a un cruccio che la angustiava.
"Fratello, i miei devoti che sono caduti durante la Guerra Sacra… Ade dice di averli destinati al Tartaro anziché ai Campi Elisi."
Apollo rimase silenzioso per un po’: "Non credo sia nei poteri di Ade negare l’accesso ai Campi Elisi a chi lo ha meritato. Non in eterno comunque. Se solo potessi far giungere loro un messaggio che indicasse loro la via, per indirizzarli verso la luce…"
Verso la luce, meditava la dea. "Durante il combattimento contro gli Spettri e contro Ade essi stessi si sono fatti luce nelle tenebre…" Fu allora che capì cosa doveva fare.
"Ti vedo sollevata, sorella."
"Lo sono, Apollo. Ti ringrazio per avermi illuminata con le tue parole."
"Sono certo che Atena Glaucopide non aveva bisogno di essere illuminata e che avrebbe trovato da sola la via, come spesso ha dimostrato di saper fare. Ad ogni modo, felice di esserti stato di supporto."
"Felice di averti rivisto, fratello."
"Ebbene, l’ora è tarda e Febo deve ritirarsi." disse ridendo Apollo. "L’Olimpo mi attende. Salute a te, cara sorella!"
"Arrivederci, Apollo."
Il nume si congedò ed Atena restò sola, ma decisamente sollevata e serena.
***
Il ritorno al Santuario di Atene necessitò cinque giorni. Il trasporto dei feriti e delle salme dei caduti faceva sì che si dovesse marciare con lentezza, nonostante la Pizia avesse disposto che fossero messi a diposizione di quegli ospiti ateniesi carri e animali da soma. Atena in persona conduceva il corteo, seguita da Archita, Anassilao e Polissena. Callimaco, Metoneo ed Elettra non erano in condizione di cavalcare e viaggiavano sui carri. Venivano poi i carri con le salme. Arrivati al Santuario si sarebbe provveduto ai riti funebri di tutti i caduti.
Di Policrate tuttavia trasportavano soltanto parte delle ceneri, dal momento che il Grande Sacerdote aveva disposto che parte dei suoi resti rimanesse a Delfi, sua terra natale. La pira sulla quale era stato adagiato aveva rischiarato la notte. Atena e la Pizia avevano reso omaggio al prode Policrate con parole accorate. Pochi passi più indietro Callimaco, sorretto da Archita e Anassilao, aveva assistito al momento dell’accensione del rogo e fu come se anche parte di lui fosse arsa tra quelle fiamme.
***
"Se mi avessero raccontato tutto questo in un luogo diverso da questo Santuario stenterei a credere che possa essere accaduto davvero." disse Melissa quando Archita ebbe terminato.
"Callimaco" s’intromise Cratilo col tono di chi deve farsi perdonare qualcosa "ora mi spiego la tua malinconia e la tua stanchezza quando sei finalmente tornato a Corinto e il perché, a volte, ti allontanavi e non volevi essere disturbato."
"Quanti pensieri tristi, quante ombre…" rimuginò Melissa. "E ora mi spiego anche quelle cicatrici sulle tue braccia e sulle gambe..."
Cratilo aveva notato, durante il lavoro nei campi, dei segni sui bicipiti dell’amico ma quanto alle gambe... Guardò fisso la sorella che, resasi conto del passo falso, era arrossita. "Melissa, sai troppe cose che io non so delle ferite di Callimaco!"
"Credo sia meglio così." disse Anassilao dando una robusta manata sulla schiena al ragazzo. Cratilo restò serio per qualche istante, poi scoppiò a ridere. Anassilao istintivamente rise con lui, poi fu la volta di Callimaco mentre Melissa arrossiva ancora di più, indispettita. Pure Archita si lasciò andare e rise di gusto. Il tutto durò pochi istanti, poi calò il silenzio.
"Era molto tempo che non ridevamo così, tutti assieme, qui al Santuario." considerò Archita quasi pentito di quello sfogo.
"E’ vero." continuò Anassilao "Perdonaci, Archita."
"Anassilao, non mi trattare come se fossi già un vecchio e austero Grande Sacerdote. Sono ancora un vostro compagno d’armi e comunque, nell’animo, lo sarò sempre. Inoltre credo che, se fossero qui, Pisandro e Lisandro non avrebbero perso l’occasione di tenerci allegri con le loro risate, come succedeva spesso la sera dopo gli allenamenti."
Per un po’ si persero in quei ricordi. Poi, come dal nulla, si udirono dei passi leggeri. Polissena comparve fasciata d’azzurro, il viso luminoso e i capelli sciolti.
"Bentornati, cavalieri! Quanto mi siete mancati!" Gettò le braccia al collo di Anassilao e poi a quello di Callimaco. Abbracci stretti, intensi. Accortasi dello sguardo non proprio benevolo di Melissa la guardò a sua volta. Esitò un istante quindi le saltò letteralmente al collo. "Tu devi essere la ragazza di Corinto baciata dagli dei, che ha avuto la fortuna di far innamorare di sé Callimaco! E’ così, vero?" Melissa, spiazzata, non sapeva cosa dire.
Callimaco era del pari stupito e si rivolse ad Anassilao: "Da quando Polissena è in questo stato, che le è accaduto? E’ irriconoscibile!"
"Sì, ha lasciato senza parole pure me la prima volta che l’ho rivista. Un contrasto notevole con la ragazza che abbiamo conosciuto a Delfi solo qualche mese fa. Credo sia semplicemente felicità. Sono convinto che, superata la tristezza per la perdita di Miacle, abbia finalmente cominciato a vedere se stessa sotto un’altra luce, a considerarsi in modo diverso. Non credere però che le ombre non tornino a turbarla ogni tanto. Ricordo di averla vista sola e pensosa di tanto in tanto, ma come ho appreso da Cratilo e Melissa è quello che capita sovente anche a te. Ti confesso che io stesso a volte sono preda di strani pensieri e sto bene solo con me stesso."
Callimaco capiva benissimo a cosa alludeva l’amico. "Quanto può cambiare un’esistenza in poco tempo! Il dono dell’amore di Miacle… e la bellezza ritrovata, da parte di Ade. Certo il Fato ha disegni che noi mortali difficilmente possiamo comprendere. Comunque sia, sono felice per lei. L’ho vista diventare matura e sicura di sé, una vera combattente della dea. Ora è una ragazza gioiosa e piena di vita, come è giusto che sia."
"Sì, è un piacere vederla così. Comunque sappi che nei riguardi della dea e degli altri cavalieri si comporta in modo impeccabile. Credo ora sia solo molto contenta di rivederci, soprattutto te che mancavi ormai da alcuni mesi."
Melissa, che aveva seguito quello scambio di battute, a quel punto intervenne: "Come sempre, voi uomini di alcune questioni dimostrate di non capire nulla. Avrete pure un settimo senso ma non avete colto in lei ciò che è chiaro come il sole. La via per la felicità può essere una strada semplice da imboccare." Così dicendo si avvicinò a Callimaco e strinse una delle sue mani nelle sue.
***
Quando arrivarono finalmente in vista del tempio di Atena il sole era basso sull’orizzonte e il mare si stava facendo scuro. Nel golfo Saronico Salamina si vedeva chiaramente e lontana, a più sud, Egina, l’isola dove sorgeva un altro tempio dedicato ad Atena. Il profumo del mare sembrava arrivare fin lassù. I colori, i profumi erano quelli di una calda estate dell’Attica. E pensare che pochi mesi prima tutto pareva dover sprofondare nel buio, meditava tra sé e sé Callimaco.
Cratilo e Melissa si stavano godendo quel panorama quando udirono una voce.
"Benvenuti al tempio di Atena, amici."
"E’ un piacere rivedervi!" aggiunse una voce femminile.
Metoneo ed Elettra si erano fatti incontro ai compagni. Metoneo appariva stanco, segno delle numerose notti passate a vegliare Elettra durante la convalescenza. Le ferite della ragazza avevano richiesto tempi lunghi. Il suo incarnato era pallido e questo faceva risaltare ancora di più i suoi capelli dorati.
"Atena vi attende." disse solenne il cavaliere dell’Altare.
***
Atena aveva percepito fin dalla mattina la presenza di Callimaco e Anassilao. Sapeva che Archita era andato loro incontro e immaginava avrebbero avuto molto da dirsi. Non si era stupita che la loro salita al colle fosse così lenta, che indugiassero e rievocassero storie ed eventi. Per certi versi avrebbe voluto fare lo stesso, per rendere omaggio a tanti, troppi dei suoi devoti caduti per combattere al suo fianco.
Nell’attesa che Archita e gli altri arrivassero al Tempio si era recata dove erano stati sepolti coloro che erano caduti nel corso della Guerra Sacra. I Cavalieri d’Oro erano ricordati e onorati con iscrizioni e doni votivi ognuno nel tempietto di cui erano stati custodi in vita, ma le loro spoglie giacevano per l’eternità a fianco dei Cavalieri d’Argento e di Bronzo, un’umile pietra incisa a ricordare brevemente chi fossero stati. Tra i tanti sepolcri la dea scelse di accostarsi a quello di Pegasios.
"Pegasios, cavaliere di Pegaso" recitava la prima riga dell’iscrizione. Atena sorrise ripensando al destino di quel giovane scritto nel suo nome, che ignari genitori avevano scelto per chissà quale motivo. O forse per ispirazione divina, chissà.
"Colui la cui armatura evolse allo stato divino e che primo colpì ferendolo Ade figlio di Crono."
La dea ricordava quanta fatica era costato ricomporre il corpo del giovane, lavarlo, pulirlo, profumarlo, fasciarlo e soprattutto far sì che la testa apparisse ancora un tutt’uno con il resto del corpo. Archita aveva risolto il problema con un collare cerimoniale molto ampio, a coprire la fasciatura sottostante e chi lo avesse visto difficilmente avrebbe potuto immaginare che la morte di quel coraggioso fosse stata tanto orrenda. Il viso appariva sereno e questo era ciò che l’aveva colpita più di tutto. Se vi era un spiegazione, si era detta, andava cercata nel fatto che Pegasios doveva aver raggiunto i Campi Elisi, soddisfatto per aver compiuto il proprio dovere.
"Pegasios…" aveva mormorato avvicinandosi al corpo senza vita del giovane e sfiorando quella mano fredda che tante volte, sprezzante del pericolo, si era levata a difenderla.
Le erano allora venute alla mente le parole di Efesto riguardo l’armatura e la sua possibilità di evolvere allo stato divino. "Atena, chi indossasse questa corazza, come le altre simili che qui vedi, anche se davvero, come dici, espandesse la propria aura vitale a tal punto da farla evolvere allo stato divino, certo si sottoporrebbe a un grande pericolo. Una cosa è farlo indossando una delle dodici corazze che ho forgiato in oro, destinate a chi possiede maggior capacità di bruciare il proprio cosmo, altro a farlo indossando armature destinate a guerrieri più umili. Per questo ti chiedo, ancora una volta, perché mi hai chiesto di conferire particolari poteri a queste cinque corazze." Atena non aveva esitato nel rispondere: "Efesto, il motivo è semplice e dovresti intuirlo. Solo chi deve lottare al massimo delle sue possibilità arriva a superare i propri limiti e ad arrivare oltre. Lo sapranno fare coloro che sono destinati ad avere una corazza forgiata in oro o in argento? Credo di sì. Eppure qualcosa mi dice che pure coloro che indosseranno armature di bronzo un giorno arriveranno a tanto. Qualora accadesse sarebbe qualcosa di straordinario e per questo il poter disporre di un’armatura che possa entrare in sintonia con i poteri di chi la indossa sarebbe indispensabile. Ricordi quando mi chiedesti a quale corazza io volessi che tu lavorassi per prima? Risposi quella di Pegaso perché Pegaso mi è caro ed è caro agli eroi e credo che, un giorno, chi indosserà quella corazza forse saprà giungere, per chissà quali vie e in modo magari inatteso, a grandi altezze." Efesto aveva annuito, sorridendo compiaciuto. Poi però aveva aggiunto: "Chi padroneggia un grande potere può però rischiare molto, perché molto dovrà esporsi." "Tutti i miei devoti saranno costretti a rischiare, temo." Poi per dare soddisfazione al congiunto aveva aggiunto. "Forse tuttavia rischieranno meno grazie alle corazze che tu hai accettato di forgiare per me."
Ora Atena stava là, davanti al sepolcro di Pegasios, il giovane che si era battuto quasi fosse stato lo stesso Pegaso. Come lui tanti altri erano caduti e le loro tombe biancheggiavano sul pendio. Nonostante le corazze forgiate da Efesto, pensava amaramente, tanti, troppi ne erano caduti nel corso di tre Guerre Sacre. Ricordava Callicrate, il primo dei suoi devoti e di tutti i suoi cavalieri, e Pleistarco che per primo era diventato suo sacerdote, Astylos che giaceva poco lontano dall’allievo e decine di altri cavalieri che ora riposavano tra le ombre, nei Campi Elisi.
La dea prese una lucerna e accostò la fiamma a un ramo di olivo che aveva cosparso di resine e olii profumati. Subito quello arse, la viva fiamma che tuttavia bruciava placida, intaccando lentamente i ramoscelli e le foglie. Atena posò il ramo in un piccolo braciere di bronzo, mentre un fumo denso e profumato cominciava a sollevarsi. La dea menzionò, chiamandoli per nome, tutti coloro che ora giacevano davanti a lei. La spira di fumo danzò nell’aria tra le tombe, come voler salutare gli eroi, mentre un profumo di resina si spandeva intorno e andava a mescolarsi con quello della terra generosa e degli olivi che verdeggiavano sul fianco del colle.
***
Calò la sera e dal golfo Saronico cominciò a spirare un vento gentile, che portava con se il profumo del mare e le voci sommesse della città. La sommità del Santuario si andava accendendo di luci. Due bracieri ardevano all’ingresso del recinto sacro all’interno del quale s’innalzava il tempio della dea; il colonnato e la trabeazione rosseggiavano nella luce della sera.
Fu poco prima del calar del sole che, davanti ad Atena, ai compagni d’armi, ad alcuni amici venuti da molto lontano Archita di Thera, Cavaliere dell’Ariete, diventò il nuovo Grande Sacerdote. I primi a manifestagli le loro felicitazioni furono i suoi parigrado Anassilao dei Gemelli e Callimaco del Capricorno. Seguirono poi Metoneo dell’Altare ed Elettra della Colomba. Commosso fu l’abbraccio tra Archita e il fratello di suo padre, Adrasto, fatto arrivare per nave dall’isola di Thera con tempismo prodigioso. Per ultima si avvicinò Polissena, porgendo al Grande Sacerdote un himation, il mantello che avrebbe indossato sopra il chitone nelle occasioni solenni. Lei stessa lo aveva confezionato. Archita ringraziò e poi l’abbracciò baciandole la fronte.
Archita si rivolse poi a tutti i presenti. La vita e le attività del Santuario, esordì, dovevano riprendere, come già era accaduto in passato in situazioni analoghe, seppur tra difficoltà e incertezze. Ciò andava fatto per Atena e soprattutto per coloro che in nome di Atena avevano combattuto. Ringraziò poi quanti fossero disposti a mettersi ancora una volta al servizio della dea e di coloro che si sarebbero accostati ad essa e al suo Santuario. Nuovi allievi sarebbero arrivati e nuovi maestri sarebbero stati necessari. Accorgendosi dello sguardo preoccupato di Melissa aggiunse che non si aspettava che i Cavalieri della Dea dimorassero in pianta stabile al Santuario o ad Atene, ma che ognuno avrebbe fatto quanto possibile per addestrate i cavalieri di domani, al Santuario o dove si fossero trovati giovani e fanciulle che avessero avvertito il cosmo accendersi dentro di sé. Ebbe parole di ringraziamento per il proprio maestro, il vecchio venuto dall’oriente e all’oriente tornato, auspicando che gli dei gli accordassero ancora molti anni. Lui, Archita, venuto da un’isola di pescatori dell’Egeo, non sarebbe mai diventato quello che era se non avesse avuto accanto persone come il vecchio maestro e alcuni compagni d’armi più anziani che lo avevano guidato quando era approdato per la prima volta nel recinto sacro di Atena. Atena cui si rivolgeva ora con estrema devozione per l’altissimo onore concessogli. La dea rivolse qualche parola ai propri devoti e agli altri presenti, poi lascio ad Archita il compito di congedare i presenti.
Quando la cerimonia si concluse ormai si stavano accendendo le stelle.
Archita, finalmente rilassatosi e sommamente soddisfatto, si avvicinò ai compagni e porse loro un documento arrotolato, mostrando un piccolo oggetto che aveva in mano. "E’ da stamattina che attendo di mostrarvelo." Anassilao e Callimaco sulle prime non capirono, poi lessero. Fu Anassilao il primo a parlare: "Non avrei mai creduto nascondesse un simile segreto. La dea ne è al corrente?"
"Lo ha scoperto due giorni fa e me ne ha parlato. Era molto dispiaciuta per non aver letto prima quel documento riservato che le era stato affidato. Solo dopo la mia morte, aveva detto lui, triste e teso. Io l’ho letto di persona quando ho avuto accesso all’archivio del Santuario, dove sono depositate le nostre memorie e quelle di chi ci ha preceduto. Memorie che dunque solo Atena e il Grande Sacerdote conoscono."
"Ma di lui sai nulla? Vive ancora?" chiese Callimaco.
"Ne ho parlato con la dea e l’ho fatto chiamare. Lo conoscerete durante il simposio."
***
Fu nel corso del simposio, mentre erano intenti a banchettare tra profumi di carni speziate, pesce e vino, che Cratilo si ricordò di una questione lasciata in sospeso, di un episodio cui si era solo accennato.
Tossicchiando richiamò l’attenzione di Archita sollevando la propria coppa di vino. "Grande Sacerdote…"
Archita non era ancora abituato al nuovo titolo e perciò rispose: "Chiamami pure col mio nome, Cratilo."
"Come desiderate, Grande… Archita."
"Il grande Archita… Suona bene!" commentò Anassilao sorridendo divertito.
Melissa era imbarazzata a causa del fratello. "Cratilo!" lo richiamò a bassa voce fissandolo.
"Sorella, non ti scomporre, so il fatto mio!" replicò punto sul vivo. "Io mi chiedevo, nobile Archita, come avvenne che i prodi Cavalieri d’Oro furono salvati dal Tartaro e le loro ombre ebbero così modo di raggiungere i Campi Elisi."
Melissa e Callimaco lo fissarono. Era stato davvero Cratilo a parlare?
"Che abbiano raggiunto i Campi Elisi è una nostra speranza, non una certezza." considerò Archita.
Melissa trovò il coraggio di dire: "La dea però dovrebbe saperlo, non è così?"
Fu Callimaco a rispondere: "Ci sono cose che a pochi, tra gli uomini, è dato sapere, come l’esistenza dei Cavalieri di Atena. Ci sono poi fatti che pure pochi tra gli dei possono indagare a fondo, così come alcuni luoghi. Tra questi vi sono l’Ade, il Tartaro e i Campi Elisi. Capisci perché riguardo alla sorte dei nostri compagni non possiamo avere certezze, ma solo speranze? Non è bene, e difatti gli dei non lo permettono, che gli uomini sappiano troppe cose riguardo gli Inferi e la sorte ultima degli Eroi."
La ragazza era confusa: "Ma Kyriakos e Plistene potevano spingersi nell’Ade grazie ai loro potere, lo avete detto voi. Quindi loro hanno visto…"
"Non è esattamente così." si intromise Anassilao. "Essi potevano arrivare fin sulle rive dell’Acheronte e all’occorrenza potevano spingersi poco oltre."
"Allora come sono state liberate le ombre dei vostri compagni?" chiese la ragazza e Cratilo sostenne la richiesta con lo sguardo.
"E’ un quesito legittimo." disse improvvisa una voce.
Tutti si voltarono. Atena stava in piedi poco discosta dal desco dal quale si stavano servendo e teneva la mano sulla spalla di un giovane che non si era mia visto prima al Santuario. Non sorrideva e pareva quasi infastidito. Doveva aver seguito quel discorso e udito i dubbi di Cratilo riguardo la sorte di cavalieri della dea negli Inferi. A guardarlo bene in effetti appariva scosso, irrigidito.
Troppe verità gli erano state rivelate in quella giornata.
Fin da quando aveva memoria era istintivamente stato attratto dall’acropoli e si recava al tempio di Atena con costanza, a volte quasi con ossessione, a tutte le ore del giorno; nemmeno lui sapeva dire perché. Forse perché detestava la presenza degli altri bambini e soprattutto quella dei loro genitori. Lui, orfano cresciuto da due nonni autoritari e freddi, che troppo spesso lo rimproveravano per le sue sortite. Quel giorno un nobile ateniese aveva bussato alla loro porta. Aveva notato che zoppicava leggermente. Strano per un uomo così giovane, aveva pensato. Aveva chiesto di lui e il vecchio si era infuriato, come prevedibile. Il giovane aveva chiesto di poter portare il ragazzo con sé. C’era stata una breve discussione poi il giovane uomo dall’aspetto pallido aveva abbassato la voce e mostrato qualcosa. L’anziano aveva tirato in ballo l’onore e il fatto che mai e poi mai avrebbe voluto che quella storia si risapesse. Voleva il ragazzo? Che lo prendesse ma che quel segreto non fosse rivelato ad altri! Il giovane uomo, che in effetti poteva essere un oplita o qualcosa del genere, aveva dato la sua parola e mostrato qualcos’altro. I vecchi non avevano più proferito motto. Così, con sua somma gioia, si era ritrovato nella periferia di Atene, a risalire un colle che mai aveva visto dall’acropoli, lui che aveva scrutato l’orizzonte in tutte le direzioni centinaia di volte. A quel punto il giovane uomo gli aveva parlato di lei. Lui, che sperava in un destino diverso, in qualcosa che non sapeva bene definire, non gli aveva creduto e aveva riso. Stava ancora ridendo quando lei era apparsa, dal nulla, bella e sorridente. Era restato a bocca aperta e con la sensazione di aver trovato quello che aveva cercato per anni. Si era pentito di aver riso e aveva provato paura. Solo per poco perché aveva realizzato che era tutto vero. A quel punto, con dolcezza e parole misurate, gli era stato raccontato di sua madre e di suo padre. Aveva provato un misto di rabbia e orgoglio. Aveva pianto a lungo e aveva odiato tutto e tutti: il vecchio, la vecchia, i genitori mai conosciuti, le troppe menzogne e la sua solitudine. Solo una persona non era riuscito a odiare. Anzi, solo lei, la dea. Era come se avesse avvertito il dispiacere e il dolore che covava in fondo al suo cuore e il rimorso per non aver potuto fare di più. Aveva perdonato. Ora voleva solo sapere di suo padre, chi era stato, com’era vissuto. Strinse la mano di Atena e si fece avanti.
Archita si alzò. "E’ lui il ragazzo, mia dea?"
Atena ebbe un’espressione affermativa. "Archita di Thera, il mio grande Sacerdote." disse la figlia di Zeus al nuovo venuto.
Stava per aggiungere qualcosa quando Cratilo, per eccesso di zelo, disse: "Siediti pure qui, ragazzo, vedrai che è un piacere stare a sentire i racconti degli eroi dalla voce del nobile Archita."
Il ragazzo istintivamente sorrise nel vedere quel giovane dall’aspetto ordinario, contadino, che manifestava subito la sua simpatia per il nuovo venuto. In quella Melissa stava dicendo al fratello. "Cratilo, hai interrotto…"
"Mi perdoni, divina Atena!" disse il giovane prostrandosi.
Il ragazzo si portò una mano alla bocca e rise. Melissa aveva abbassato lo sguardo, costernata, fortunatamente la dea non pareva risentita, pensò con sollievo. Archita nel frattempo aveva invitato il ragazzo a prendere posto. "Sono lieto di averti qui, Lisippo."
Anassilao e Callimaco ricordarono di aver già sentito quel nome e fissarono il ragazzo. Archita allora disse. "Amici e devoti di Atena, accogliete tra voi Lisippo."
Atena incoraggiò il giovane: "Prendi pure posto vicino a lui. Archita è il mio sacerdote ma per te, prima di tutto, è l’amico fraterno di tuo padre, Astylos del Sagittario."
Si levò un mormorio. Anassilao e Callimaco volsero gli occhi prima ad Archita e poi alla dea, per cercare di capire. Elettra era più pallida del solito, Melissa confusa, Polissena interdetta.
"Il figlio di Astylos…" mormorò Anassilao.
"Immagino vogliate sapere qualcosa su di lui." disse Archita e guardò Lisippo, quasi a cercarne il consenso.
Il ragazzo parve esitare poi disse d’un fiato: "Prima vorrei che tu raccontasti a me cosa ne è stato dei vostri compagni nell’Ade… E di mio padre!" Le ultime parole suonarono quasi come una supplica.
Seguì un lungo silenzio. Melissa guardava quel giovane e ne indovinò la sofferenza. Istintivamente strinse la mano dell’amato. Anassilao, Cratilo e altri si volsero ad Archita che ancora esitava. Fu allora Callimaco a parlare: "Se Atena e Archita lo permettono, vorrei essere io a raccontare." Il Grande Sacerdote e la dea diedero il loro consenso e Lisippo si volse verso Callimaco.
***
"Le armature d’oro? Le volete tutte qui, ora?" chiese Archita. Il sole brillava alto sul Parnaso e la valle di Delfi.
Atena annuì. "Dobbiamo portare la luce dove sono le tenebre. Solo così potremmo far giungere nei Campi Elisi i vostri compagni, miei devoti. Solo così possiamo sperare di trarli dal Tartaro, dove Ade li ha per il momento destinati."
Anassilao cominciava a capire. Ecco perché la dea aveva voluto che lui e Archita indossassero le loro vestigia. "Atena" azzardò "dovreste sapere però che non tutte le corazze dorate sono qui. Alcune sono rimaste…"
"Dove giacciono i loro possessori." disse la dea terminando la frase che Anassilao faceva fatica a comporre. "Alcune al Santuario di Atene, altre non ricordo nemmeno più dove."
Fu Archita ad enumerarle. "Ariete, Gemelli e Capricorno sono già qui. Quelle del Sagittario, del Cancro e della Vergine si trovano dove giacciono Astylos, Kyriakos e Plistene, qui al Santuario di Apollo." Fece una pausa. "Toro si trova da qualche parte nell’Attica, dove cadde Alcmene. Leone…"
"Nei dintorni del Santuario…" disse Anassilao, pensando alla tragica fine di Pisandro. "Libra dev’essere rimasta nei pressi dell’Acropoli di Atene, dove fu ricomposto Lisandro. Là che fu vista l’ultima volta… No, un momento!" esclamò.
"Leone è stata poi indossata da Maia. Si trova qui, con le altre." lo corresse Archita.
"Perdona, sono ancora troppo provato per quanto accaduto."
"Lo siamo tutti."
"Scorpione è rimasta al Santuario di Atene, dove si dovrebbe trovare anche quella dell’Acquario." Anassilao stava cercando di dominarsi ma ogni nome gli ricordava i compagni caduti e la tensione di quei giorni, a lungo dominata, lo stava mettendo a dura prova.
"Pesci infine è stata riportata dal nord, dove cadde Pelopida, fino ad Atene."
"Le cinque corazze mancanti sono tutte nei dintorni di Atene." realizzò Anassilao.
"E’ così infatti." disse Atena "Per questo ho bisogno dei vostri cosmi. Dovete farle giungere qui!"
"Volete dire che potremmo farle giungere a noi?" chiese Archita. "Un’armatura risponde all’aura vitale del proprio possessore, tuttalpiù di chi è degno di indossarla. Certamente risponderebbe al vostro anche se…"
"Ora sono troppo debole per farlo, vero Archita? Per questo ho bisogno di voi. Le armature d’oro possono entrare in risonanza tra di loro se il cosmo che le pervade è abbastanza intenso. Senza contare che, avendo vita propria, riconoscerebbero la vostra chiamata."
"Come se un messaggero celeste viaggiasse fino a loro, chiamandole. Come quando la nostra aura vitale ci permette di individuare i nemici quando sono vicini." considerò Anassilao.
"Proprio così." replicò Atena.
"Allora proveremo subito!" esclamò Archita. I due cavalieri espansero il loro cosmo interiore e le loro vestigia si disposero su di loro e s’accesero di bagliori dorati.
Ben presto le armature d’oro presenti a Delfi entrarono in risonanza. Callimaco, dal suo giaciglio, vide l’armatura del Capricorno brillare come di luce propria. Incurante del dolore si alzò la indossò e subito, incredibilmente, provò sollievo alle proprie ferite. Convinse Polissena, che lo guardava stupefatta e preoccupata al tempo stesso, ad aiutarlo a raggiungere i compagni. Scortato da lei e da Metoneo era arrivato al cospetto della dea.
"Callimaco, te la senti?" chiese Archita.
"Il mio cosmo è debole ora, ma farò tutto quel che posso."
Le tre corazze brillarono ancor più intensamente entrando in risonanza e i tre si accorsero che qualcosa stava accadendo. Altre quattro armature dorate erano apparse, planando leggere dal Santuario di Delfi, dove si trovavano. Lontano all’orizzonte, verso oriente, erano apparse cinque luci. Dalle notti del mito occhi umani non avevano più osservato uno spettacolo simile.
"Le armature mancanti!"
"Avvertono il richiamo!"
"Coraggio Cavalieri!" disse Atena. "Ora non ci resta che indicare loro la via, che possano raggiungere le ombre dei vostri compagni e guidarle attraverso le tenebre fino a raggiungere i Campi Elisi."
Le dodici armature d’oro erano entrate in risonanza le une con le altre e rilucevano a intermittenza. Archita, Anassilao e Callimaco non le avevano mai viste così splendenti e avvertivano una piacevole sensazione di benessere. Callimaco in particolare provava un notevole sollievo. Vive. Le dodici corazze erano vive e lo stavano dimostrando, i loro cosmi si chiamano l’un l’altro.
Atena espanse la sua aura divina. Poche erano le forze rimaste ma sufficienti per far sì che le armature si dirigessero nella direzione esatta. "Nel Tartaro, dai vostri possessori! Guidateli ai Campi Elisi, guidateli nelle tenebre!"
Nove luci saettarono in cielo e poi puntarono la valle sparendo infine nel sottosuolo. Tutti i presenti sgranarono gli occhi. Era evidente che stavano scendendo nel regno delle ombre, nell’Ade.
"Coraggio" pensava Archita "correte in aiuto degli amici caduti."
"Liberateli e portateli dove meritano di stare." fu il pensiero di Anassilao.
"Maestro, resistete ancora un poco." meditava Callimaco. Poi realizzò che le armature dirette negli Inferi erano nove ma che i Cavalieri caduti in quella Guerra Sacra erano molti di più. Non esitò neppure un momento ed espanse il proprio cosmo.
"Callimaco, che fai?" chiese allarmato Metoneo.
In quella l’armatura del Capricorno si staccò da lui e saettò lontana mentre Callimaco gridava: "Vai, vai a raggiungere il tuo antico possessore, armatura del Capricorno!"
Archita si scambiò un cenno d’intesa con Anassilao. Vi erano altri compagni, altri amici da salvare.
"Vai, armatura dei Gemelli! Vai, raggiungi Maia e gli altri!" gridò Anassilao.
La voce di Archita si unì alla sua: "Armatura dell’Ariete! Sii la giuda per Farios, Yarios, Dimione, Miklos e tutti i cavalieri di Atena!" disse con trasporto. Dodici armature si diressero dunque verso il Tartaro.
Callimaco perse l’equilibrio ma fu sorretto da Metoneo. Archita e Anassilao si avvicinarono e in quella l’allievo di Policrate disse con un filo di voce: "Credete che ce la faranno?"
Anassilao aveva un’espressione tesa e non disse nulla. Fu Archita a rispondere: "Ce la devono fare! Non avete sentito come sembrano risuonare? E tutt’ora mi pare ancora di avvertire la loro presenza, come fossero qui."
***
Cratilo restò in silenzio per un po’ poi chiese: "Ma allora le dodici armature dorate sono penetrate nel Tartaro e hanno liberato i vostri compagni caduti! E’ una cosa così difficile da credere!"
Melissa gli lanciò un’occhiataccia. "Fratello, abbiamo udito narrare per un giorno intero di imprese di divine o quasi, anzi le abbiamo udite dalla voce di uomini che somigliano più a dei che a uomini e uno di loro è tuo amico fraterno! Ancora ti stupisci per questo?"
Cratilo era mortificato e imbarazzato. Archita lo tolse dall’imbarazzo e disse: "Atena certo potrà confermartelo se avrai l’ardire di chiederglielo."
"Va bene, ho fatto la figura dello sciocco, lo ammetto! Sei contenta, sorella? E tu Callimaco?"
"No!" lo interruppe Lisippo. Tutti tacquero. "Se tu sei uno sciocco allora lo sono pure io!" Il ragazzo stringeva i pugni, non era chiaro se per disperazione, rabbia o cosa.
"Ti chiedo perdono per la mia stupidità!" disse allora Cratilo "Come posso non fidarmi delle parole del Grande Sacerdote di Atena? Tuo padre, Lisippo, sono sicuro che cammina nei Campi Elisi, come sono sicuro del fatto che al mio ritorno a Corinto avrò molto lavoro da fare tra olio e campi da dissodare. Ad ogni modo chiederò alla dea…" Solo a quel punto si arrestò, guardandosi attorno, numerose paia di occhi addosso. Lisippo invece si era lasciato andare alle parole schiette, dirette, di quel giovane venuto da chissà dove.
Callimaco ruppe quel silenzio: "Dunque Cratilo, chiederai a una dea se tal impresa è possibile…"
Anassilao si avvicinò a Cratilo e disse: "Forse avrai fatto la figura dello sciocco, ma non dolertene. Sembra che la tua osservazione abbia avuto effetti positivi e di questo ti dobbiamo ringraziare."
"Che effetti ha avuto?"
"Pare tu abbia ridato il sorriso al giovane Lisippo. E forse pure a noi. E’ tutto il giorno che parliamo di avvenimenti cupi. Grazie per aver sciolto la tensione come solo tu sai fare."
Cratilo si sentì orgoglioso anche se aveva colto una nota di ironia nelle parole di Callimaco. "Di nulla, amico mio!"
In quel mentre Lisippo chiedeva ad Archita: "Mi racconterai le imprese di mio padre?" Poi a bassa voce: "Non so praticamente nulla di lui, fino a stamattina non conoscevo nemmeno il suo nome…"
Melissa volle rincuorarlo: "Sono certa che presto sentirai molte belle parole riguardo tuo padre, parole che spero allevieranno un po’ la sua tristezza. Pure io e Cratilo ricordiamo a stento nostro padre ma fortunatamente abbiamo spesso sentito raccontare di lui da chi lo ha conosciuto. Sono sicura che Archita, Anassilao, Metoneo, Elettra e Callimaco sapranno fare lo stesso con te."
Lisippo parve sollevato a quelle parole, ma sul suo viso pareva esserci ancora un’ombra. "Soprattutto" disse "vorrei capire il perché di alcune decisioni…"
"Allora che ne dici di raccontarci la tua di storia?" chiese la ragazza. "Se questi uomini conosceranno i tuoi dubbi riusciranno ad aiutarti più facilmente."
"La mia storia?" esclamò Lisippo. "Non c’è nulla di eroico, avventuroso e notevole nella mia vita."
"Non è detto che non ci sarà in futuro." disse Elettra con dolcezza. "Coraggio, racconta."
Lisippo si lasciò andare. A dire il vero non era nemmeno la prima volta che veniva in contatto con i devoti della dea. Ricordava ad esempio due fratelli gemelli, che vedeva spesso ad Atene, durante le sue sortite. A vederli aveva creduto fossero due atleti olimpici e avrebbe voluto, un giorno, diventarlo a sua volta. In particolare ricordava uno dei due che, durante i giorni del buio e delle tempeste, con la città semideserta, si era avventurato verso l’acropoli. Poco dopo lassù aveva visto lampi e saette, o almeno gli era parso. Per il resto la sua storia era lineare: una vita con i nonni materni, dopo che sua madre era morta quando lui aveva un anno, poco più. Suo padre, come aveva appreso da poco, era Astylos, uno dei devoti della dea. Un padre che non aveva potuto prendersi cura di lui. La famiglia di Astylos era infatti in rotta con quella di sua madre. Un amore clandestino, un figlio inatteso e i genitori di lei che non vogliono saperne di far convolare a nozze la figlia, che non vogliono nemmeno far sapere che è incinta, scandalo inaudito che comprometterebbe l’onore della famiglia. Astylos che per non rendere tutto più difficile si allontana e quando si riavvicina, dopo la morte di lei, viene messo brutalmente alla porta. Astylos che non parla con nessuno della sua pena, del suo dolore, della sua frustrazione e dei suoi sensi di colpa. Astylos che ha un figlio che non può veder crescere. Astylos che ama allora come figli i suoi allievi, sui quali riversa l’amore che non può dare Lisippo. Lisippo che cresce isolato e soffocato dalle attenzioni ossessive e dal controllo da parte dei nonni. Lisippo che comincia presto a uscire di casa di nascosto, per respirare, per sentirsi libero, per trovare se stesso o cosa altro non sa nemmeno lui. Lisippo che cresce orfano e che per tutti è solo un lontano parente dei due vecchi, che essi hanno accolto in casa alla morte dei genitori. Lisippo che ogni tanto sente qualcosa dentro di sé ma non sa dargli un nome. Lisippo la cui vita cambia radicalmente una mattina in cui Metoneo dell’Altare si presenta a casa sua.
Al termine del simposio era difficile dire chi fosse sereno, sollevato, preoccupato, amareggiato. Molte cose erano accadute, come nei giorni della Guerra Sacra.
Lisippo, stanco e frastornato, fu affidato a Elettra e Metoneo. Adrasto e Cratilo, che avevano fraternizzato, non volevano saperne di andare a coricarsi e ottennero di poter girare in lungo e in largo quel luogo di meraviglie. Atena si era intrattenuta con le fanciulle presenti, poi si era ritirata. Archita era restato, lui Grande Sacerdote del Tempio e carico di responsabilità e segreti, tra cui quello relativo al doloroso segreto dell’amico Astylos, che almeno aveva potuto condividere con Anassilao, Callimaco e tutti gli altri. La Guerra Sacra che avevano rievocato durante il giorno e le recenti vicende relative al compagno d’armi e suo figlio avevano riaperto ferite recenti.
"E’ stato un piacere ritrovarsi qui, dopo tanto tempo, con la dea e i miei compagni d’armi. Qualcosa del vecchio Santuario è pur rimasto vivo, come vivo è il ricordo di chi non è più tra noi." disse Anassilao.
"In loro memoria dobbiamo guardare avanti." replicò Callimaco. "Anzi, credo che la dea avesse previsto pure questo, che raccontassimo e rivivessimo quei giorni, che condividessimo i nostri dubbi e le nostre paure."
"Siamo uomini, amici miei. Uomini beneficiati da una dea, uomini con grandi poteri, ma uomini mortali." chiosò Archita. "Ora però è tempo di lasciare dubbi e paure alle spalle. Oggi cominciamo assieme un nuovo cammino. Mi sarete vicini e mi aiuterete nel mio compito?"
"Puoi contarci, Archita." rispose Callimaco.
"Ho passato con te gran parte del tempo durante quei giorni funesti. Vuoi forse che rinunci a esserti accanto adesso che ci aspettano, se il Fato lo vorrà, giorni più lieti?"
I tre si strinsero reciprocamente la mano.
"Cerchiamo di lasciare spazio ai pensieri sereni per questa notte! Che l’alba ci colga pronti a un nuovo giorno al servizio di Atena." Fu quello il proposito con cui si lasciarono.
***
Anassilao, dopo essersi separato dai compagni, era rimasto a parlare con Adrasto. L’uomo, pescatore da una vita, i tratti induriti dal sole e dalla salsedine, la pelle bruna, s’era addolcito fin quasi alla commozione quando suo nipote Archita, che ricordava benissimo bambino, era diventato Grande Sacerdote di Atena. Ora si guardava attorno e pareva chiedersi per l’ennesima volta se aveva immaginato tutto o se era tutto reale. Archita che tratteneva la forza del mare con le mani, quelle strane e meravigliose corazze dorate, il terremoto e quegli inquietanti individui cacciati dal nipote e da Anassilao. Più che cacciati… schiacciati. I mesi successivi a ricostruire il villaggio. Infine quel messaggio dall’Attica e quell’uomo che lo invitava a seguirlo, per raggiungere suo nipote Archita. Il vecchio si era convinto si trattasse di una donna, di un posto d’onore presso qualche potente tiranno o qualcosa di simile. Non poteva pensare che si trattasse di… ecco, nemmeno ora trovava le parole. Come non le aveva trovate davanti alla dea. Era riuscito a dire soltanto "Signora…" Aveva provato qualcosa di simile alla felicità. Lui cresciuto in povertà su uno scoglio sperduto dell’Egeo, aveva messo piede in Attica e aveva parlato con… Era successo davvero?
"Adrasto, sono i giovani che sognano a occhi aperti!" lo irrise bonariamente Anassilao.
"Tu, ragazzo, vuoi farmi credere di essere stato capace di controllarti la prima volta che hai parlato… che hai visto…"
"Atena?" Il vecchio era in spasmodica attesa della risposta. "Certo che no! Chi potrebbe restare insensibile davanti al mito che si fa vita, al divino che si manifesta all’umano, all’insondabile che diventa conoscibile…"
"Cerca di parlare chiaro, per favore! Sono un povero pescatore, non un sapiente!"
"Sono certo che sei sapiente quanto ti basta, ma ti chiedo scusa." rise Anassilao. "Mi sono fatto prendere dai ricordi e dal mio entusiasmo di ragazzo. Di quando ho visto la dea per la prima volta, intendo."
"Io che immaginavo di fare di Archita un abile pescatore… chi avrebbe immaginato che arrivasse a fare una pesca tanto grossa?"
"Immagino sarebbe diventato più bravo di te, Adrasto. Riesce bene in tutto quello che fa."
Adrasto diede una pacca sulla schiena al cavaliere. "Hai proprio ragione, sai! D’altro canto è mio nipote!"
"Bene, buon vecchio pescatore di Thera! Credo che adesso sia meglio che tu vada a coricarti."
"Non sono tanto vecchio da non reggere una giornata come questa! Per anni mi sono alzato con le stelle, non sarà una giornata come questa ad abbattermi. Domani non ho mica una barca da portare in mare, le reti da tirare a bordo sudando sotto il sole e tutto il resto. Per tornare alla mia terra ho tempo. Ora posso pensare…" E d’improvviso si bloccò e guardò fisso il giovane. "Per l’Olimpo! Pensare, dovevo pensare a quello che dovevo darti e stavo per dimenticarlo!"
"Darmi cosa?"
Adrasto si stava frugando nel chitone, dal quale comparve una piccola sacca di pelle, di cui allentò i lacci per farne emergere un bracciale, realizzato con stringhe di cuoio e decorato da piccole conchiglie multicolori. "Ecco, questo."
"Da parte di chi?" chiese Anassilao ricevendo il dono.
"Da parte di lei, che domande! E dire che mi sembravi un tipo sveglio!"
Anassilao infilò il bracciale, ricordo quegli occhi spaventati e adoranti al tempo stesso e pensò che doveva attraversare il mare al più presto. "Grazie, Adrasto."
***
Archita pensava a giorni lontani, quando era arrivato al Santuario, lui mite abitante di Thera approdato sul continente. Come gli era parso grande il porto di Atene, vasta la città, imponente l’acropoli. Ma quando era giunto al Santuario di Atena, che si stagliava su un imponente picco roccioso nascosto agli occhi dei mortali, era rimasto senza parole e aveva compreso di essere davanti a qualcosa di più grande, più profondo, qualcosa che sembrava trascendere l’essere uomo, l’essere mortale. Si era sentito smarrito, indifeso e allo stesso tempo aveva provato un brivido d’immensità e grandezza, qualcosa che non sapeva bene definire.
Poi vi era stato il lungo periodo dell’addestramento, giorni duri e intensi. Il desiderio di diventare un guerriero della dea, di scoprire dentro di sé quel potere misterioso, immenso, quasi divino, chiamato aura cosmica. Quel potere che forse aveva vibrato, sussultato dentro di lui fin dal giorno del suo arrivo.
Il giorno dell’investitura era infine arrivato. Lui, Archita di Thera, era diventato Cavaliere dell’Ariete al servizio della dea Atena, al pari di altri uomini straordinari, che aveva imparato a conoscere e ad ammirare.
Mai avrebbe pensato allora che in seguito sarebbe diventato addirittura Grande Sacerdote: quell’incarico, aveva pensato spesso, era destinato uomini straordinari e da tempo al servizio di Atena. Aveva pensato a molti volti e a molti nomi di compagni e amici valorosi.
Purtroppo le Guerre Sacre si erano portate via molti di quei compagni, di quei cavalieri meritevoli che si erano distinti in molte imprese. Di tutti conservava un vivido ricordo. Compagni, sì, e molto spesso amici.
A tutti loro, uno ad uno, andava ora il suo pensiero. A loro e ai loro cari. Ricordava bene alcune scene cui aveva assistito alcuni giorni prima, durante le loro esequie. Tra le tante, ricordava nitidamente cosa era accaduto quando si era presentata al Santuario la madre di Alcmene.
***
La donna, precedendo le figlie, si era inginocchiata davanti a lei. Atena era rimasta scossa dalla fermezza e dalla compostezza di quella madre che aveva perso un figlio, sacrificatosi per lei. Avrebbe voluto dirle che non si doveva inchinare, che di quella perdita, come di molte altre, si sentiva responsabile. Le lacrime e i singhiozzi delle sorelle di Alcmene, che si tenevano strette l’una all’altra poco dietro la madre, erano stati come stilettate. Come avrebbe voluto che, per una volta, fosse la divinità olimpica, la dea, a rendere omaggio ai mortali e non viceversa. Purtroppo non le era consentito, che le gerarchie celesti non potevano essere stravolte né poteva essere sminuita, proprio in quel momento, la fede profonda che quelle donne le dimostravano pur nel loro dolore. Avrebbe voluto in quel momento essere più umana, ma il suo ruolo di dea in terra le impediva di mostrarsi altra da qual era. E fu allora che, improvviso, si era ricordata di un’altra madre che aveva invece umiliato e ferito e della povera Aracne, e ne aveva avuto rimorso.
***
Archita di Thera era perso in tali ricordi quando qualcuno lo raggiunse e lo distolse da quei pensieri. Gli dei, o meglio il Fato, avevano davvero degli strani disegni. Nel mentre gran parte del suo mondo andava distrutto assieme alle vite di chi gli era stato accanto per anni, aveva incontrato qualcuno che, lo sentiva, avrebbe colmato gran parte di quel vuoto. Carezzò i neri capelli di Polissena e se ne stettero in silenzio, mentre la fiamma incerta di una lucerna tremolava davanti a loro.
***
Le stelle brillavano sul Santuario. Dal mare spirava una brezza leggera che rendeva gradevole restarsene fuori anche se l’ora era tarda e ormai tutti, o quasi, dovevano essersi coricati. Nulla città, che si dominava dall’alto, andavano spegnendosi via via fiaccole e lucerne ancora accese. La Luna diffondeva una tenue luce che consentiva di ammirare tutto il complesso di templi del Santuario che si snodava sul colle.
Melissa sentiva il cuore batterle a mille e le pareva che le emozioni di quel giorno fossero destinate a rimanerle impresse nell’animo per sempre. Non era certo la prima ragazza che si sentiva dire dal proprio innamorato quanto l’amava, ma quante ve n’erano che potevano dire di aver incrociato lo sguardo con una dea, con Atena, di aver sfiorato la sua mano, di averle rivolto la parola? Rivolto la parola… Un sacro terrore l’aveva invasa in quel momento. Fortunatamente in quel frangente il suo sguardo aveva incrociato quello rassicurante di Callimaco che le sorrideva e la incoraggiava… Atena! Sì, non era un sogno. Lei, Melissa, figlia di Antimaca, contadina di Corinto, che solo pochi giorni avanti si dedicava alla raccolta delle olive con la madre e il fratello, ora stava al Santuario della dea Atena, ad Atene. Sì, quelle mani benevole l’avevano accarezzata, quello sguardo luminoso, foriero di serenità e pace, si era posato su di lei. Un brivido la scosse a quel pensiero. Sì, una dea aveva benedetto l’amore tra lei e il ragazzo che amava e finché fosse vissuta non avrebbe scordato le parole che ella le aveva rivolto.
"Gioisci, Melissa, che mi è caro chi gode dell’amore di coloro che amo come fossero figli, che mi onorano della loro devozione, che mi sono vicini nei momenti lieti così come mi sorreggono in quelli tristi. Mi rallegro che Callimaco, cavaliere che mi è fedele e affezionato, ti abbia scelta come compagna. Amalo, poiché se egli avrà verso di te la devozione che ha riservato ai suoi compagni, alla sua città, alla causa per cui combatteva e alla sua dea, non potrai trovare amore più grande nel vasto mondo. Siate felici e io lo sarò con voi."
Questi i pensieri di Melissa quando Callimaco si avvicinò a lei. Non vi fu bisogno di molte parole per commentare quella giornata che si andava concludendo. I due si sedettero ad ammirare Atene ai loro piedi e l’immensità scura del mare che si intravedeva nella notte. Melissa appoggiò il capo alla spalla del ragazzo, che l’abbracciò accarezzandole i capelli.
"Dimmi una cosa, Callimaco." disse lei misurando le parole. "Credi ci saranno altre battaglie per te e gli altri?"
"Temi che possa accadermi qualcosa, non è vero? Eppure hai udito le parole di Atena, non avremo altre guerre sacre. Dovranno consumarsi molte vite di uomini prima che ciò succeda di nuovo."
"Lo so" disse stringendosi a lui "sono sciocca ma il racconto di quanto vi è accaduto, l’aver visto Atena e l’aver percepito il suo potere, il ricordo dei mesi lontani da te, le tue ferite che mi ricordano quanto hai passato… Tutto questo mi dà un senso di smarrimento."
"Melissa, credo che chiunque, al posto tuo, proverebbe lo stesso. Hai visto e udito tante, forse troppe cose oggi. Alcune straordinarie. Così mi sentii io la mia prima notte al Santuario."
"E non avevi me a cui pensare… non ancora."
"In realtà, è stato proprio allora che pensai che una volta tornato a Corinto…"
Melissa sollevò il volto lo fissò intensamente. "Vuoi dire che…"
"Sì, è qui che ho capito di amare quella ragazza che avevo lasciato a Corinto e fu allora che decisi che una volta tornato avrei provato a farti mia, avrei provato a conquistarti come dovevo fare con l’armatura d’oro."
"E qual era delle due l’impresa più difficile?"
"Farmi amare da te…"
"Ti sbagli, dev’essere stato per forza conquistare l’armatura d’oro! L’addestramento è stato lungo e faticoso, me lo hai raccontato più volte nei giorni scorsi. E poi quando sei partito mi mancavi… perché già mi piacevi."
I due giovani si strinsero e furono soli con loro stessi, lui per lei solo lei per lui solo. Occhi, labbra, mani, capelli, pelle, profumo.
Gli olivi verdeggiavano sul fianco del colle e nel cielo gli astri di fine estate brillavano con intensità.