XXXV
Archita e Astylos si prepararono all’ennesimo affondo. Polissena si dispose al loro fianco. Archita, stupito da suo gesto, le parlò così. "La tua armatura è in pezzi, cosa speri di poter fare? Abbiamo già perso troppi amici oggi, non fare che il Santuario debba piangere anche te, Polissena."
"Ti ricordi di me, cavaliere?" replicò stupita.
Archita annuì. "Allieva di Farios e seguita con particolare attenzione da Policrate. Certo che mi ricordo di te, anche se facevi di tutto per stare ai margini anche prima di..."
Lei posò la sua mano, fredda, sulla sua. "Ade. Pensiamo ad Ade." Vi era tristezza nei suoi occhi e Archita si pentì per aver accennato a quel triste episodio che aveva segnato l’esistenza di Polissena.
Nel frattempo Astylos parlava alla dea: "Atena, lasciate a noi Ade. Non vi permetteremo di affrontarlo nelle vostre condizioni. Occupatevi di Persefone piuttosto.
"Astylos io…"
"Non avete fiducia in noi?"
Atena lo guardò, fiera. "Atena ha sempre fiducia nei suoi devoti."
"Perdonate" si intromise Trittolemo "dimenticate me. O vi illudete che resti inoperoso in questo che è l’ultimo atto? Sono sceso tardi in battaglia ma darò il mio contributo e riscatterò l’onore dei Giudici degli Inferi, che alcuni Cavalieri d’Oro hanno oltraggiato. Uno di loro ha già pagato per questo. Il prode Anassilao è caduto. Un valoroso, devo ammetterlo, un degno avversario, cui ho portato massimo rispetto, ma che non per questo ha potuto evitare di scendere in Ade."
Archita ebbe una smorfia di disappunto a quelle parole e Astylos strinse forte il proprio arco.
Una voce tuttavia bucò la notte: "Nobile Trittolemo, è evidente che devo essermi smarrito sulla strada verso gli Inferi alla quale mi avevi destinato. Preparati alla lotta, il tuo avversario sono ancora io!" disse Anassilao facendosi avanti.
"Ancora vivo dunque…" mormorò Trittolemo. "E dunque sia, sei degno di cadere qui, al cospetto del Sommo Ade!"
"Hai una nuova tecnica da mostrarmi?"
"Quelle che conosci già basteranno. Qui non siamo nella tua Dimensione Oscura." Trittolemo si apprestò a riprendere lo scontro.
Anassilao era in guardia quando udì delle parole che lo fecero trasalire.
"Mistero del Profondo!" A parlare non era stato il Giudice, si trattava di una voce femminile.
In quella Atena gridò mentre il colpo di Persefone aumentava di intensità. La sposa di Ade aveva deciso che era ora di fare sul serio, sorprendendo tutti, Ade e Trittolemo in particolar modo. L’Egida volò via e Atena cadde.
Astylos fece per soccorrerla ma incespicò a causa della gamba ferita. Archita lo superò ma si trovò la strada sbarrata da Ade in persona. Anassilao imprecò perché in quello stesso istante Trittolemo era partito all’attacco al pari di Persefone. Callimaco era lontano e ferito.
Atena si stava rialzando ma Persefone era di nuovo su di lei, pronta ad un altro affondo. "E’ finita, Atena!" disse a gran voce. "Non hai più forze, puoi solo soccombere!" In quella un fulmine illuminò la notte e si udì uno sbriciolarsi di rocce là, sul Parnaso, e poi tonfi nella notte.
"Mai finché i miei cavalieri combattono!"
"Allora saranno loro a veder cadere te!" Persefone espanse il suo cosmo ma evidentemente il precedente attacco doveva averla affaticata perché il colpo non fu rapido come Atena temeva. "Mistero della Luce!" gridò Persefone.
Troppo vicina, era troppo vicina, pensò Atena con sgomento. L’Egida era fuori della sua portata. Fu un attimo e un’ombra si parò di fronte a lei e un cosmo scintillante arse repentinamente e uno scudo d’argento, di puro cosmo, si materializzò tra lei e la figlia di Demetra. "Scudo della Dea!" gridava nel frattempo Polissena che stava bruciando ogni stilla di energia dando fondo alla sua aura vitale.
Persefone era sbigottita: "Uno scudo d’argento… Non può essere." Aumentò l’intensità dell’attacco e lo scudo vacillò.
Polissena si rese conto che avrebbe resistito ancora per poco. La sua aura vitale si andava esaurendo, non sarebbe rimasto nulla di lei. Non importava,Atena si sarebbe salvata.
"Polissena no!" gridò la dea. "Non puoi tener testa a una divinità! Desisti!"
No, non avrebbe desistito. Era suo dovere lottare fino all’ultimo. Le vennero in mente le parole di Callimaco. "Non gettare la tua vita, Polissena. Il maestro ne avrebbe dolore." No, non la stava gettando. Policrate era caduto per dare ad Atena e ai suoi compagni una possibilità di vittoria. Altri erano caduti prima di lui. Era arrivato il suo turno? Certo il Fato era davvero beffardo. Non si era mai sentita tanto viva come negli ultimi due giorni. L’amore di Miacle. L’armatura dello Scudo finalmente sua. La stima dei Cavalieri e della dea. Quello che aveva a lungo desiderato le era stato infine concesso. Ma a che prezzo. Miacle era morto. L’armatura era in pezzi. La stima e la considerazione dei Cavalieri rimanevano ma presto, temeva, pure loro sarebbero potuti morire. Prima tuttavia sarebbe toccato a lei. All’improvviso, mentre già la vista le si annebbiava, le risuonarono nella mente delle parole. "Forse vorrebbe anche che tu vivessi!"
***
Pegasios non credeva ai suoi occhi. Lo aveva avuto fino a poco prima come compagno di battaglia ed ora eccoli entrambi sulla soglia dell’Ade.
"Questa tua armatura… E’ lei che ti tiene ancora ancorato alla vita." disse l’altro invidiando un po’ la sorte di Pegasios.
"Ancorato alla vita? Io credevo di essere…"
"Sei vivo, ma ancora per poco. Solo l‘armatura divina ha fatto in modo che la tua vita non si dileguasse all’istante. Però abbiamo poco tempo."
Pegasios continuava a non capire. "Poco tempo per cosa?"
"Espandi quel che resta del tuo cosmo, presto!" disse perentorio. Egli espanse il proprio ma era un cosmo debole, come è quello di tutti coloro che scendono in Ade. Ombra, era solo un’ombra e come tale non poteva disporre che di un briciolo della forza che aveva posseduto da vivo.
"Forse posso essere d’aiuto, maestro." risuonò una voce e Pegasios vide apparire un’altro compagno di battaglia.
Allievo e maestro si scambiarono uno sguardo d’intesa ma il volto del secondo era adombrato dal momento che avrebbe preferito non rivederlo lì in quel momento. La tristezza e il rimpianto per la vita lasciarono però subito il posto all’urgenza del momento. "Facciamo che sia la nostra ultima, grande impresa! Sono certo che possiamo farcela, l’armatura divina lo renderà possibile." L’altro annuì. Quanto restava dei loro cosmi brillò.
Pegasios guardava senza ancora capire quello che sarebbe accaduto. Attirate da quel piccolo microcosmo altre ombre si fecero avanti. Pegasios le riconobbe e il suo dolore si rinnovò. Un uomo che appariva saggio e severo ma allo stesso tempo magnanimo. Un’altra aveva gli occhi verdi e sorrideva. I loro volti erano tristi ma determinati. "Per Atena!" disse il primo. "Per tutti coloro che vivono sulla Terra." aggiunse la seconda.
Il microcosmo crebbe. Pegasios vide il primo che lo aveva raggiunto sollevare in alto il braccio e una luce irradiarsi dal suo dito a sfidare le tenebre. L’energia si sprigionò. Tutto fu luce, tutto fu buio.
***
Polissena era spossata. Resistere, resistere, resistere ancora. Per Atena, per Policrate e per coloro che non c’erano più, per chi ancora resisteva al suo fianco. Per Miacle che l’aveva amata per quello che era e che l’aveva restituita sé stessa. D’improvviso fu il vuoto, la bocca secca, gli occhi bui, le membra molli. Forse è così che si moriva. Cadde.
Un braccio forte e sicuro la sostenne. Come da un mondo lontano udì una voce parlarle: "Mi senti, piccola?" Poi dopo un tempo che parve infinito: "Stai bene, Polissena?" E l’abbraccio si faceva più caldo e il mondo cominciava a riapparire attorno a lei.
***
Archita e Astylos erano soli davanti ad Ade. Un dio. Un altro. Dopo il dio della Guerra, il dio degli Inferi. Che il Fato stesse per riprendersi quanto aveva loro concesso contro Ares? Una cosa era certa. Se il dio della Guerra era stato un avversario implacabile e terribilmente determinato, pronto a spargere il loro sangue, Ade non era da meno, anzi era ancor più temibile. Più ampio, infinitamente più ampio il suo cosmo. Allo stesso tempo più freddo e calcolatore, meno portato a commettere errori e a lasciarsi cogliere alla sprovvista.
Atena era sottoposta all’attacco di Persefone e Polissena non avrebbe resistito ancora per molto. Anassilao era impegnato con Trittolemo. Callimaco era ferito e lontano. A tutto questo pensava Archita e mentalmente aggiunse: "E tu, Astylos, amico mio, a stento ti reggi in piedi." Lo schiniere del Sagittario era imbrattato di sangue e il cavaliere stringeva i denti.
"Chi di voi cadrà per primo?" disse Ade sicuro di sé. "Il prode arciere o il gagliardo combattente dall’isola di Thera?"
A nome della propria terra Archita sussultò. Non aveva dimenticato il terremoto e lo strazio della sua gente, la disperazione di donne e uomini e le abitazioni devastate.
"O forse volete riconoscere la sconfitta?" insinuò il dio.
Astylos fece un passo avanti, un rivolo di sangue che gli correva lungo a coscia. "Finché Atena combatte, finché la luce della speranza…"
"Quante parole! Quante vane dichiarazioni! La luce della speranza…" guardò verso il Santuario di Apollo. "Spegnerò con essa le vostre illusioni e riconoscerete che la resa è la cosa che più vi si addice. Oppure morirete da eroi, se questo agognate, ma da morti sarete ben poco utili alla dea." Il cosmo divino si espanse, nel palmo del dio apparve una sfera di luce e lo sferrarla lontano con forza e precisione fu un tutt’uno. "Nera Volta dell’Ade!"
Poi, come se tutto ciò non gli fosse costato che uno sforzo ben misero tornò fissare i suoi avversari. "Il vostro sole sta per spegnersi. E con esso chi lo genera."
Il cuore di Archita sussultò. Metoneo... Lo aveva mandato alla rovina.
***
Anassilao e Trittolemo erano nuovamente l’uno di fronte all’altro.
"Una domanda, giudice." esordì Anassilao. "Persefone ha attaccato Atena con una delle tue tecniche. Che legame c’è tra di voi?"
"Lo saprai al termine dello scontro, se sarai ancora vivo. Ma mi stupisco che tu ponga la domanda. Mi avevano detto che al Santuario di Atena la sapienza è coltivata al pari dell’arte della guerra. Evidentemente le voci che mi giungono non corrispondono al vero, oppure non sei stato un discepolo molto versatile."
Detto questo, si preparò all’attacco. Poco distante da loro Persefone e Atena erano già impegnate in uno scontro.
Anassilao attaccò senza indugio e colpì Trittolemo con rapidi colpi in successione, per destabilizzarlo, ma quello li schivava con grande agilità. Fu poi il Giudice a colpire con un calcio a mezza altezza e Anassilao dovette parare col braccio. Ora bisognava usare il cosmo, pensò il giovane. Lo concentrò nella mano destra e fintò un colpo all’addome, ma all’ultimo colpì verso il basso. Trittolemo avvertì il colpo al ginocchio e come una scossa percorrergli la gamba, tuttavia l’avversario ora era sbilanciato in avanti: affondò un pugno alla schiena di Anassilao che allora, per reggersi, lo afferrò alla vita.
"Ed ora, Trittolemo, ti mostrerò qual è la vera forza dei Gemelli, di Castore e Polluce."
"Non credere sarà così facile. Mistero dell’acqua!" La colonna d’acqua scaturì come dal nulla, sotto i piedi di Anassilao, che ne fu travolto. Respirò a fatica per un po’ ma non mollò. Mutò poi la presa per afferrarlo sotto le spalle, poi avvicinando il volto a quello del Giudice disse sicuro di sé. "La piena del tuo cosmo travolgerà anche te!" Era vero, considerò Trittolemo, ma egli sapeva come muoversi in quell’elemento.
Anassilao tuttavia era pronto per l’affondo decisivo. "Per il Sacro Gemini! Furia dei Dioscuri!" Un colpo fisico, due pugni violenti, che andarono a segno uno in pieno petto, l’altro all’addome. Trittolemo su spinto indietro e cadde riverso. Anassilao fu invece portato in alto dalla colonna d’acqua. Chi avesse osservato la scena avrebbe pensato che difficilmente uno dei due si sarebbe rialzato.
***
Metoneo era al limite dello sforzo. Per quanto avrebbe resistito ancora? Elettra… forse si sarebbero rivisti presto sulle sponde dell’Acheronte. Elettra… Se il suo cosmo brillava ancora era solo grazie a lei. Era talmente forte il ricordo della ragazza che gli pareva di avvertirne il cosmo, cosa che non poteva essere. Eppure un cosmo… un cosmo era vicino. Desiderò che fosse il cosmo di lei. Fino alla fine.
D’un tratto un bagliore. A stento vide la meteora che stava piombando su di lui. Non ebbe tempo di pensare né di agire. Un’esplosione cosmica, uno scontro poderoso di energie. Un lampo illuminò la valle e le pendici del Parnaso. La copertura del tempio di Apollo deflagrò in parte, il resto arse, tenue tremula luce irridente sulla valle muta.
***
Astylos guardò Ade. Com’era simile ad Ares l’armatura e il suo fare bellicoso. Più temibile tuttavia, in quanto più controllato, più razionale, più freddo. Per certi versi, si sorprese a pensarlo, più umano. D’altro canto chi, a parte Atena che aveva scelto di vivere a contatto con gli uomini, conosceva meglio i mortali se non il dio degli Inferi? Inferi… Campi Elisi… là era destinata ad approdare gran parte dell’umanità, ancorché sotto forma di ombra, di puro spirito. Ade doveva aver osservato più e più volte visi ed espressioni, doveva aver studiato comportamenti, reazioni e modi di rapportarsi. Doveva conoscere pressoché tutte le storie di eroi e uomini comuni, per il semplice fatto che esse stavano lì, tra le ombre di coloro che non ritornano. E poi vi era Persefone. Persefone che costituiva un ponte tra il mondo dei vivi e gli Inferi, lei che nel suo eterno pellegrinare tra la dimora del proprio sposo e l’Olimpo percorreva stagionalmente i sentieri del mondo.
Ade ora aveva un’espressione soddisfatta sul volto. Soddisfatto e quasi estraneo ai suoi stessi atti, come chi ormai è padrone della situazione e sa che ogni suo movimento lo avvicina alla meta, alla vittoria.
"Chiunque avesse generato quella luce ora sicuramente si trova sulle sponde dell’Acheronte." Si limitò a dire commentando il suo precedente attacco.
Astylos non poteva non restare impassibile. Metoneo. Atene doveva dunque piangere un'altra vittima. Archita, poco distante da lui, era adombrato.
"Ade" disse "credi di indurci alla resa eliminandoci uno ad uno? Credi che abbandoneremo Atena al suo destino, che il terrore della morte l’avrà vinta sul nostro dovere di Cavalieri?"
"No, affatto." rispose il nume. "Ormai ho capito che preferite immolarvi per Atena. Stolti mortali, a che vi giova una morte eroica? Desiderate così tanto diventare oggetto di narrazioni e di canti? Volete innalzarvi ad esempio, a faro splendente, a guida per chi verrà dopo di voi? Volete assurgere ad esempio di fedeltà assoluta, di massima devozione in una causa, di attaccamento supremo a degli ideali? Amicizia, amore, pace, fratellanza, cosa vi spinge a tanto?"
"Tutto questo e molto altro." replicò sicuro di sé Astylos. "Tutto questo e il desiderio di difendere l’ecumene e quanti vivono sotto le stelle da voi. Anelate ad un mondo di tenebra, desiderate un mondo da dominare o forse volete solo un mondo nuovo da contrapporre a quel mondo che il sommo Zeus ha creato per sé sull’Olimpo, dimora di dei, e dal quale vi sentite escluso? Difendere il mondo e proteggere gli uomini, questo a me basta. Che nessuno canti le imprese di Astylos e dei suoi compagni, che nessuno mi prenda mai ad esempio, che svanisca il ricordo di noi e di quanto abbiamo compiuto se è il prezzo da pagare per sconfiggervi. Lo pago assai volentieri."
"Lo paghi per cosa? Ti credi maestro con le parole, forse pure saggio. Eppure tu dimentichi quello che proprio un mortale è riuscito a far dire ad un’ombra che soggiorna in Ade. Non ricordi i versi che esprimono il rimpianto di Achille per la vita? Quel poeta che chiamate Omero si è avvicinato molto alla verità. Tutti i giorni io posso vedere, posso quasi sentire i pensieri di coloro che dimorano nei Campi Elisi e ti assicuro che raramente rimpiangono la gloria e gli atti di coraggio, spessissimo invece la vita. Ma se alla morte eroica aspiri vedrò di accontentarti." Astylos si fece cupo in volto. "Tutto questo e molto altro, ciò è quello che mi hai detto." riprese sardonico Ade. "Ecco invece cosa desidero io: il dominio, una rivincita e poi molto, molto di più."
"Voi dunque aspirate…" si intromise Archita. "All’Olimpo? Volete forse sconvolgere l’ordine cosmico?"
"L’Olimpo, sede degli dei e dimora del grande Zeus. No, cavaliere, non è quello il mio obiettivo. Almeno per ora. Non sono così sciocco da volere quello che non posso ottenere. E questo perché a mio modo questo mondo mi piace così com’è e non aspiro ad una disputa che coinvolga tutti i figli di Crono e tutte le divinità olimpiche."
"Siete abile a mascherare i vostri propositi con belle parole." sentenziò Archita.
"Non ti dimostri più avveduto del tuo compagno! Guardate le rovine fumanti del tempio di Atena Promachos. Credete che l’abbia fatto a pezzi a cuor leggero? Siete così sciocchi da credere che io voglia solo distruggere? Il Santuario di Atena ad Atene non l’ho toccato, né oserei farlo. Si tratta pur sempre dell’opera di una divinità e come tale lo rispetto. Potevo tuttavia conquistarlo ed è quello che in effetti ho fatto."
"Mentre il Santuario di Atena Promachos" chiosò Archita "potevate permettervi di raderlo al suolo, all’occorrenza, in quanto opera di uomini. E’ questo che intendete dire?"
"Affatto." rispose Ade. "Lo avrei volentieri occupato e lo avrei apprezzato per quello che era. Quanto a quello di Atene fin da principio, anche fosse stato opera di mortali, avevo stabilito di farne un dono."
"Un dono?" dissero due voci all’unisono.
"Sì, un dono per la bella Persefone, che tanto lo desiderava." Per un attimo calò il silenzio. Poi il Cronide espanse il suo cosmo, in modo repentino. "Il tempo delle parole è terminato. Ora non vi resta che soccombere. Uno ad uno o tutti assieme, scegliete voi il vostro destino!"
***
"Callimaco…"
La voce di Polissena era poco più che un sussurro, la sua aura vitale più leggera di un battito d’ali. Era evidente che ogni sua energia era bruciata per Atena. Callimaco adagiò a terra la ragazza. Addosso non le rimanevano che frammenti consunti di quella che era stata l’armatura dello Scudo. La veste era sporca di terra e sangue. Le braccia della ragazza erano solcate di ferite e completamente imbrattate di sangue. La cicatrice sul suo volto rosseggiava.
Callimaco sollevò lo sguardo ad incrociare quello di Persefone, colei che aveva condotto l’attacco contro la fanciulla. Avrebbe voluto proferire parole di sfida, parole forse empie, urlando che i Numi non dovrebbero rendersi responsabili di azioni tanto meschine e ignobili. Atena non lo avrebbe mai permesso. Avrebbe voluto sfidare lui Persefone e morire a difesa della propria dea, così come era probabile che i suoi compagni sarebbero caduti al cospetto di Ade. Molte cose avrebbe voluto dire e fare ma quel che vide cancellò quei pensieri.
Lo sguardo di Persefone era attonito. Bella, splendente nella notte come solo una dea può esserlo, neri capelli a cadere sul suo manto trapunto di stelle. Che contrasto con Polissena. Eppure le vedeva così simili, per quanto l’una fosse il ritratto della sofferenza e l’altra dell’armonia e della bellezza divina. Bellezza, sì, ma anche spavento. No, forse non era spavento, forse qualcosa di più profondo, viscerale, intimo che evidentemente angosciava la dea e cui Callimaco non sapeva dare nome. Qualunque cosa fosse desistette da ogni suo proposito.
"Callimaco" disse Atena rivolgendosi a lui con gentilezza "lascia subito questo posto. Raggiungi i tuoi compagni. Sono io a dover affrontare Persefone."
Il Cavaliere del Capricorno prese in braccio Polissena e si allontanò con passo incerto, le ferite alle braccia e alle gambe che pulsavano in modo indicibile. Eppure nemmeno per un momento ebbe timore che Persefone potesse colpirlo. Sapeva che non lo avrebbe fatto per non colpire Polissena. Il confronto era ormai una questione tra divinità.
"Persefone, io posso comprendere il tuo risentimento e non ti biasimo per questo. Allo stesso tempo tuttavia colgo ora in te qualcosa di più profondo, più alto e splendente. Lascia che i tuoi sentimenti trovino libero sfogo e non coltivare il rancore. Ho visto i tuoi occhi accendersi. Se è la vita che brami perché vuoi seminare la morte? Perché non fermi Ade? A te darebbe retta, ne sono certa."
Persefone restò in attimo in silenzio poi disse con tono pacato. "Sei una sciocca, Atena. Tu che non conosci le gioie e i dolori del letto nuziale non puoi capire cosa significhi avere un compagno accanto. Nei primi mesi con lui, ho odiato Ade. Egli lo sa. Ma ora lui è il mio signore e il mio splendido sposo. Io desidero stare al suo fianco, perché lo amo. Sai" e per un attimo rise "è anche merito tuo se ho ottenuto tutto questo. Tu che potevi salvarmi e invece mi hai lasciata sprofondare negli Inferi."
"Ascolta, Kora, io…"
"No, Atena. Io amo Ade ma nonostante tutto non posso smettere di odiare te. Tu, paladina dei mortali, non hai saputo, non hai voluto aiutare me, che sono tua congiunta!" E poi, quasi inavvertitamente aggiunse. "Nonché sorella e amica. Questo non posso perdonartelo."
"Il volere di nostro padre… lo sai che tutto era deciso e io non potevo oppormi, che Hermes aveva parlato in nome di Zeus, là sui campi di Trinacria."
"Eppure mi pare di ricordare che proprio Zeus tonante abbia avanzato delle grosse riserve quando hai manifestato la tua intenzione di andare a vivere con i mortali, per addestrarli all’uso del cosmo vitale."
"E per renderli partecipi delle mie conoscenze, avviandoli sulla strada della sapienza." puntualizzò Atena.
"In quell’occasione non hai dato retta alla parola, al volere di nostro padre! Cosa dovrei pensare di te?" continuò Persefone. "Pure gli uomini mortali hai anteposto a me! Hai lasciato me al mio destino e ti sei invece prodigata per il loro."
"Non pensi che forse l’ho fatto anche per rimediare a quell’errore? Che mi rimproveravo di non aver potuto far nulla per te? Che essere d’aiuto agli uomini è nobile quanto essere d’aiuto agli immortali o a una sorella? Tu, che dici di conoscere le gioie del talamo nuziale, come puoi non comprendere tutto questo, come puoi non apprezzare la totalità dell’amore?" Tuttavia mentre diceva queste parole realizzò perché Persefone non poteva farlo, non del tutto almeno.
"Atena, io combatto per il mondo che Ade, mio sposo, vuole costruire. Ho fatto tutto quanto era in mio potere per concedere a lui la palma della vittoria e intendo continuare a farlo. Ho avuto il tuo Santuario, uno splendido dono. Ma io voglio ora la vittoria su di te. Combatti, oppure soccombi!"
Cieca e sorda. Non vi era nulla da fare. Persefone avrebbe condannato gli uomini e il mondo a subire il dominio di Ade. Avrebbe causato la morte dei suoi Cavalieri. Avrebbe rischiato di scatenare un conflitto tra i figli di Crono, conflitto che avrebbe sconvolto la Terra. Com’era diventata simile ad Ade! Questo pensiero fece divampare la rabbia in lei. Timori, riserve e sensi di colpa svanirono all’istante. Aveva scelto secoli addietro proteggere gli uomini e la Terra ed era quello che avrebbe fatto.
"Persefone!" disse a gran voce. "Combatti! E’ la dea della Guerra che hai di fronte!" Il cosmo di Atena si accese di pura luce, vivido, come se si fosse rigenerato all’istante. Ora le due dee erano l’una di fronte all’altra e pari era la loro determinazione.
***
La spada di Libra scintillava nelle mani di Archita. Astylos reggeva il tridente dorato. Le due armi s’accesero di luce propria proprio mentre Ade si apprestava a colpire.
"Siete patetici. Quelle armi, per quanto forgiate da un dio, non possono nullo contro di me. Ve lo dimostrerò subito. Spada di Ade!"
Il fendente lasciò una scia rossastra e si abbatté sui due Cavalieri, energia divina allo stato puro. Il tridente e la spada finirono in pezzi e a stento Archita e Astylos salvarono il proprio braccio. Le loro mani dolevano ed era come se un fuoco le divorasse da dentro.
"Ora che non avete più modo di offendere annullerò pure la vostra capacità di difendervi e prenderò le vostre vite. Non contate sulle vostre vestigia dorate, nulla possono contro un cosmo divino."
Archita osservò Astylos sofferente. Le parole di Ade erano una sentenza ed egli sapeva benissimo che quello che il Cronide aveva dichiarato era vero. Le loro certezze riguardo le armature d’oro e le armi della Libra erano andate in pezzi assieme alla spada e al tridente.
"Lascialo a me, Archita." disse a bassa voce Astylos. "Almeno uno dei Cavalieri d’Oro deve sopravvivere e devi essere tu."
"Astylos, non dire sciocchezze."
"Vai!" disse a gran voce il Cavaliere del Sagittario levandosi in piedi. "Ade, prendi la mia vita adesso!" Ma nel dir questo aveva incoccato la freccia dorata. "Prendila, ma evita il mio colpo, se riesci a fare entrambe le cose."
"Te la sei voluta. Spada dell’Ade!" tuonò Ade.
"Excalibur!"
Callimaco, apparendo all’improvviso, aveva sorpreso il dio incrociando il fendente con il suo, incurante della frattura al polso. Le ossa dell’avambraccio si fratturarono all’istante ma il cosmo di Excalibur era quantomeno riuscito a deviare il colpo diretto ad Astylos, che gridò con furia: "Per il Sacro Sagittario!" La freccia dorata fu un lampo che tuttavia il dio deviò con un repentino gesto del braccio. Tuttavia era stato colto quasi di sorpresa e questo riaccese le speranze di Astylos.
"Callimaco!" gridò Archita vedendo il compagno gemente a terra.
Il giovane si rialzò e disse tra i denti. "Non temere per il mio braccio, tanto non potevo più usarlo per attaccare, il polso mi fa troppo male. Come vedi però almeno è stato un colpo a vantaggio di Astylos."
"Certo, però ora dobbiamo attaccare Ade e tu non ci potrai essere più d’aiuto." lo rimproverò Archita.
"Ti sbagli!" e così dicendo con la sinistra raccolse uno degli scudi di Libra. "Coraggio, attacchiamolo con le armi rimanenti. E nel caso riparatevi dietro di me."
Archita sorrise. Le armi della Libra erano sei coppie. Vi erano ancora un tridente e una spada. I loro cosmi dovevano ardere al massimo delle loro potenzialità e colpire Ade in successione per coglierlo alla sprovvista. Guardò Astylos e si scambiarono un cenno d’intesa. Vi era un’arma ulteriore da usare. Arma che per poco non aveva già colto nel segno.
"Ardi, cosmo dell’Ariete!"
"Ardi, cosmo del Sagittario!"
"Ardi, cosmo del Capricorno!"
Ade non era rimasto a guardare. "E’ tutto inutile. Siete perduti!"
Colpì prima Callimaco, che era il più vicino, mandando in pezzi lo scudo della Libra e facendo volar via il giovane. Il tridente era già minaccioso alla sua destra ma lo schivò colpendo al fianco Astylos, che gridò di dolore. A quel punto però la spada impugnata Archita lo colpì in pieno petto, facendo vibrare l’armatura divina. Per un attimo il cavaliere s’illuse di aver affondato il colpo, ma era una vana speranza. Il pettorale dell’armatura divina era intatto. Realizzò appena in tempo di doversi difendere e alzò il Muro di Cristallo che però Ade violò con la propria arma imprimendovi il proprio cosmo.
"La tua difesa è poca cosa!" esclamò il dio.
Archita avvertì un cosmo. Si rallegrò e colse l’occasione. Fissò Ade e gridò: "E le vostre difese, sommo Ade, sono pronte?"
Ade non capì subito che cosa stesse accadendo. Una figura si materializzò nella notte. Come poteva non averne avvertito la presenza? Cosa lo aveva distratto?
"Ardi, cosmo dei Gemelli! Demone dell’Oscurità!" Esclamò Anassilao apparendo alle spalle di Archita. Ade non riuscì ad evitare il colpo e per un attimo la vista gli si appannò. Un istante solo, ma bastò a qualcun altro per agire. Fu un sibilo a mettere Ade in allarme. Si girò e vide la freccia dorata. Non poté evitarla ed essa lo centrò al bicipite destro.
Astylos si era rialzato e aveva colpito con precisione. Callimaco trattenne il fiato. Archita sperò. Anassilao restò teso in attesa. Ade, con un gesto lento e studiato, portò la sinistra al dardo e lo estrasse. Sulla sua pelle poco più di un livido.
"Notevole, ma non sufficiente. O davvero credevate che ferire un dio, pur non protetto da un’armatura, fosse impresa alla vostra portata?" disse gelido. "Nemmeno l’insperata comparsa del vostro compagno d’armi vi ha permesso di mettere a segno un colpo." Si guardò attorno, come a cercare qualcuno. "Il cosmo di Trittolemo… debole, ma ancora presente. Bene, il mio fidato Giudice presto sarà nuovamente al mio fianco." Gettò la freccia dorata a terra. "Avete fallito su tutta la linea, Cavalieri di Atena!"
I quattro compagni d’armi raggelarono. La speranza era morta e ora toccava a loro. Uno ad uno sarebbero caduti. Per quanto avessero provato, per quanto avessero dato fondo alla loro aura vitale, tutto era stato inutile. Per Atena e in nome di Atena avevano battuto tutti i percorsi possibili eppure Ade era ancora là, inviolato e inviolabile. Cosa restava di intentato? Nel cuore e nella mente di Archita si fece largo un pensiero, terribile. Vi era ancora una strada da tentare. Se la morte era il loro orizzonte più prossimo forse valeva la pena di provare. Che la morte dell’animo fosse davvero più orribile della morte fisica? Archita rabbrividì. Sì, lo era senza dubbio. Questo gli era stato insegnato e questa era anche la sua intima convinzione. Tuttavia sarebbero morti comunque. Altri, forse, sarebbero sopravvissuti grazie a loro.
"Astylos, Anassilao, Callimaco!" disse grave Archita. "Uniamo i nostri cosmi. Due di voi bastano."
Astylos sollevò il capo e capì, adombrandosi. Callimaco era piegato in due dal dolore, il braccio destro che pulsava. Anassilao guardò Archita ed esclamò: "Due? Perché solo due?" Guardò Callimaco interrogandolo con lo sguardo, cercando di capire quali fossero le possibilità del compagno. Poi entrambi guardarono Archita e finalmente compresero.
"Il colpo proibito." sussurrò Anassilao. "Davvero non ci resta che questo?"
Astylos si tirò. "Se altro non ci resta… Che la dea ci perdoni. Archita, a questo pensavi, vero?"
"Vorrei riuscire a reprimere quel pensiero." rispose il compagno.
Astylos considerò la loro situazione. Non avrebbero resistito a lungo. Ora qualcuno doveva assumersi l’onere di quella decisione. Il peso terribile di quella decisione e dell’infamia che ne sarebbe derivata. Astylos decise che toccava a lui.
"Compagni… amici… Tenteremo l’Urlo di Atena su Ade!"
L’urlo di Atena…
Callimaco ripensò alle parole del maestro riguardo il colpo proibito. "L’onore dei suoi guerrieri ne usciva compromesso. Atena, che aveva fondato il suo ordine sulla lealtà, si era vista costretta a concedere l’uso di una tecnica d’attacco che era sì risultata vincente, ma che aveva violato i principi dell’onore in battaglia."
Ma ora era un dio il loro avversario, non un uomo. Che fosse diverso? Che fosse lecito usare l’Urlo di Atena in quel caso? Callimaco leggeva negli occhi di Astylos, Anassilao e Archita lo stesso dubbio.
"Pensi potresti vantarti di una vittoria ottenuta in quel modo?" Le parole di Policrate gli risuonavano nella mente. "Si può vincere sul campo ma perdere nello spirito, perdere nel cuore." Allora, nei giorni dell’addestramento, lontano da pericoli e da prove estreme, che possono far vacillare nel profondo pure l’animo più giusto e nobile, aveva convenuto con Policrate. Ma nella presente situazione che potevano fare? Astylos era allo stremo delle forze e pure lui non avrebbe retto a lungo. Se tanto dovevano cadere cosa sarebbe cambiato?
"Archita" disse d’un tratto Astylos "se non te la senti… se credi ci sia altra via…"
Archita era combattuto. I suoi compagni non avrebbero retto a lungo. Avevano pochi istanti prima che Ade attaccasse di nuovo. Se Astylos e Anassilao o Callimaco fossero caduti quanto avrebbe potuto resistere da solo? D’altro canto come potevano altrimenti provare a valicare le difese apparentemente insuperabili di Ade?
Simili erano i pensieri di Astylos. La dea non li avrebbe perdonati per quello che stavano per fare, ma era forse meglio cadere in battaglia e vederla soccombere? Che fossero pure da lei disprezzati per il loro atto ma che nessuno potesse dire che non avevano lasciato qualcosa di intentato. Solo gli spiaceva trascinare con sé nell’infamia due compagni.
Infine Archita parlò: "Ade deve cadere. Che il nostro onore cada con lui, se è necessario. Atena non deve soccombere! Questo mondo non deve soccombere!"
Astylos e Anassilao annuirono e assunsero la posizione d’attacco della triade. Dovevano colpire Ade prima che lui colpisse loro. Espansero i loro cosmi, pronti a liberare l’energia delle stelle.
***
Atena librò il proprio potere e indirizzò un colpo verso Persefone. Ancora incredula per quella reazione la figlia di Demetra fu colpita. Il colpo di Atena si abbatté come una frustata su di lei e lacerò il suo bel manto.
In quello stesso momento un fulmine colpì nuovamente la cima del Parnaso e la valle per un attimo fu rischiarata a giorno.
"Il tuo cosmo… dovrebbe essere quasi estinto!"
"Le persone per cui combatto lo riaccendono!" esclamò con foga Atena attaccando ancora.
"Mistero del Profondo!!!" urlò Persefone contrattaccando.
Tutto si fece nuovamente buio attorno alle due dee. Atena rivide i Cavalieri di Bronzo, d’Argento e d’Oro che erano caduti nel corso di quella Guerra Sacra. Passeggiavano su verdi prati con il viso illuminato dal Sole e la invitavano a unirsi a loro. No, non aveva senso… Li guardò nuovamente, uno ad uno. Scrutò i loro visi, piantò i suoi occhi azzurri nei loro. Finalmente colse la loro tristezza e capì.
L’illusione svanì e Atena e Persefone si ritrovarono nei pressi delle rovine del tempio di Atena Promachos.
"Persefone!" disse Atena con trasporto "Non cercare di ingannare la mia mente con le tue illusioni. Ricorda con chi hai a che fare! E soprattutto attenta a quel che fai: anche il tuo cosmo è debole, lo avverto chiaramente ora."
Persefone trattenne il fiato. La battaglia sarebbe stata più impegnativa del previsto. Si chiese se non avesse osato troppo scendendo in campo. No, si disse, Atena aveva bruciato il suo cosmo divino già due volte, non poteva resistere ancora a lungo. Qualunque cosa la sostenesse presto sarebbe venuta meno. Quanto a quello che sosteneva lei, la metà del suo cosmo divino, era certa che sarebbe bastato a sconfiggere la sua avversaria.
***
"Adesso!" disse a gran voce Archita. Ma nell’istante in cui stavano per sferrare l’attacco che poteva essere quello decisivo qualcosa li fece desistere, increduli.
Callimaco si era posto davanti ai tre, malfermo sulle gambe, trattenendo a stento il dolore, come si comprendeva dal suo viso. Lo sguardo era tuttavia determinato e la voce gli uscì sicura e perentorie furono le sue parole.
"Archita, Anassilao, Astylos! Desistete da questa follia!"
Archita replicò determinato e fermo. "Callimaco, non vi è altra via. Lo sai quanto teniamo al nostro nome di Cavalieri di Atena, sai bene per cosa abbiamo combattuto e soprattutto come. Credi forse che lo faccia a cuor leggero? Ben batterei altre vie, se solo le intravedessi. Il nostro nome sarà associato all’infamia, certo, ma non possiamo lasciare nulla di intentato. Non è più il tempo dell’indugio. Spostati ora o Ade ci spazzerà via."
"Allora spazzami via con lui!"
"Callimaco no!" gridò Polissena.
Atena avvertì sgomenta i cosmi dei quattro Cavalieri d’Oro che parevano spingersi all’autodistruzione. Il confine tra eroismo, onore, nobiltà e fede nella causa era ora molto sottile, forse si affacciava su uno strapiombo di pazzia. Persefone la incalzava, sarebbe stato il Fato, o chi per esso, a decidere gli eventi successivi e questo urtava profondamene la sua razionalità e la sua istintiva fede negli uomini e nelle loro scelte.
"Archita, è una follia e lo sai."
"Callimaco, ti prego." Le parole di Astylos erano quasi una supplica.
Anassilao abbassò lo sguardo.
"Non vi servirà a nulla! Cancelli…" Ade non ebbe tempo di scagliare il suo attacco. Una pioggia di meteore illuminò la notte e dovette evitarle arretrando.
Poi una voce giunse ad unirsi a quella di Callimaco.
"I Cavalieri di Atena non usano tecniche tanto vili. Maestro, non eravate proprio voi ad insistere su questo punto con Archelao e me? L’Urlo di Atena… perché questa follia?"
Pegasios! Pegasios in armatura divina era giunto dal mondo delle ombre o forse era solo un inganno, una visione e nel mentre discutevano Ade li aveva colpiti ed erano già morti e assieme al Cavaliere di Bronzo ora attendevano mesti la barca di Caronte.
Fu il verso di una civetta, proveniente da un vicino bosco, a richiamarli alla realtà, a confermare che erano ancora nel mondo dei vivi.
Astylos guardò incredulo l’allievo tornato dall’Ade. Fu Callimaco a parlare. "Il mio maestro, Pegasios, andava insegnandomi le stesse cose e sono sicuro che se ne ricordano bene pure i nostri compagni. Non è forse così?"
Archita, in fondo, non attendeva altro che qualcuno trovasse le parole e ricordasse loro chi erano davvero. Anassilao e Astylos dovevano avere pensieri non dissimili. Il Cavaliere dell’Ariete disse quindi: "Ricordiamo bene quelle parole così come molte altre, nonché il vivo esempio che Policrate è sempre stato per tutti noi."
"Maestro" disse Pegasios avvicinandosi ad Astylos "sono certo che esiste un modo per abbattere Ade e lo troveremo."
"Sì, nobile Pegasios, lo troveremo."
Poi il giovane cavaliere si rivolse al dio, che appariva stupefatto: "Bentrovato, Sommo Ade! Abbiamo un conto da regolare!"
"Pegasios... Come può essere? Nessuno può tornare dall’Ade."
"Non ero ancora morto, se ben ricordate!"
"Ti saresti dovuto spegnere lentamente. Solo la tua armatura divina ti teneva ancora in vita. E ad ogni modo non avevi modo di tornare nel mondo dei vivi!"
"Esatto, sommo Ade." Pegasios era quasi divertito. "Io non ho questo potere di muovermi tra i mondi…" Astylos cominciò a capire. "Però indosso un’armatura divina e su di essa certi poteri, anche quelli di chi ha il cosmo pressoché spento, possono davvero molto. Poteri tipo…" stava dicendo Pegasios.
"Strati di Spirito!" esclamò Astylos. "Kyriakos!"
Pegasios sorrise al maestro. "La sua ombra indugia ancora sulle rive dell’Acheronte. Kyriakos, che da vivo molte volte si è spinto nel luogo dal quale non si ritorna, ha voluto farci un ultimo regalo. E Plistene, che al pari suo conosceva l’arte di muoversi tra i mondi, ha unito il cosmo al suo."
"Non avevano più cosmo, ciò non è spiegabile con la sola armatura divina. Sarebbe servito un potenziale troppo alto per far sì che l’aura vitale di Kyriakos potesse sprigionare un potere sufficiente per usare gli Strati di Spirito e riportarti qui."
"Ve l’ho detto. Plistene ha unito il cosmo a quello del proprio maestro. Ma si sono aggiunti anche quelli del nostro Grande Sacerdote Policrate e quello di Maia. Tutti nel nome di Atena, in nome dei legami tra gli uomini. Il loro ultimo atto prima di imbarcarsi sul legno di Caronte. Pertanto, Sommo Ade, ora io devo ricambiare questo dono, devo dimostrarmi degno della loro impresa. E il dono che voglio fare loro e il modo che ho per dimostrare la mia gratitudine è uno solo: sconfiggervi!"
Archita, Astylos, Anassilao e Callimaco videro l’armatura di Pegaso diventare luminescente, una luce bianca irradiarsi da essa. L’aria stessa parve vibrare. Se Pegasios osava tanto, se tanto poteva… Vi erano altre vie per affrontare Ade. Che esistessero, ora, era una certezza.
"Comincio ad averne abbastanza di voi." disse Ade con tono perentorio. "Cancelli dell’Ade!"
Pegasios fu il primo ad agire. "Fulmine di Pegasus!"
"Inutile!" lo irrise Ade. "I tuoi compagni sono perduti!"
"Lo credete davvero?"
Ade si rese conto che il suo colpo era stato neutralizzato, quantomeno rallentato da quello di Pegasios che vi si opponeva. "No, non è possibile!" E poi con rabbia: "Brucia, cosmo divino di Ade!!!" I Cancelli del Ade si aprirono e parvero inghiottire tutto. Quei pochi istanti erano bastati però ad Archita e Anassilao per togliersi dalla traiettoria, portando con sé, rispettivamente, Astylos e Callimaco. L’attacco del dio andò a vuoto.
"Interessante, impertinente d’un Cavaliere di Pegaso. Ma quanto credi di riuscire a fermarmi ancora? Fiaccherò presto i tuoi compagni, per primi quei due che sono feriti. E’ questione di pochi attimi ancora!" Ade attaccò lanciando l’uno dopo l’altro la Spada di Ade e l’Eterno Oblio. Astylos ebbe una nuova ferita, alla gamba sana e crollò a terra, Anassilao evitò l’altro colpo solo all’ultimo ma ebbe una ferita al braccio e dovette lasciare cadere Callimaco.
"Come vedi, mio sciocco Pegasios, è solo questione di attimi. Chi sarà il primo a cadere?"
"Questione di attimi dite? E allora velocizzate la vostra azione, che il mio intento non è resistervi, ma abbattervi. Fulmine di Pegasus!"
"Conosco quel colpo, è tutto inutile." Replicò Ade che era già in procinto di colpire Astylos per eliminarlo. Con la sinistra, pochi tocchi, provò a bloccare l’attacco di Pegasios e attaccando contemporaneamente con la destra ma le cose non andarono come aveva creduto. Il Fulmine di Pegasios, anche se parzialmente, oltrepassò le sue difese.
Archita e Anassilao si lanciarono all’attacco con spada e tridente. "Pegasios, prosegui nel tuo attacco!"
Il giovane cavaliere non se lo fece ripetere. Ade parve subire il colpo delle armi della Libra ma per l’ennesima volta le speranze dei Cavalieri andarono in fumo. Ade liberò il cosmo dalla propria destra e fece volare lontano Archita, poi colpì Anassilao con il gomito sinistro facendolo piegare in due e sputare sangue. Con il tridente strappato al nemico si oppose a Pegasios, ne evitò i colpi lo colpì all’addome. L’armatura divina di Pegaso si incrinò sotto la potenza del cosmo divino di Ade, e la punta del tridente penetrò nella viva carne. Pegasios ebbe solo una smorfia di dolore. L’attacco successivo era imminente. Doveva pensare, e agire, più veloce del Cronide.
***
Le lunghe vesti garrirono nella notte come bandiere, i capelli si abbandonarono al vento poi le due dee si incrociarono. Bagliori si liberarono al contatto della loro furia divina.
Atena non poteva resistere a lungo e dovette cedere per prima, cadendo a terra ansimante. Non fosse stato per l’Egida sarebbe stata sopraffatta. Tuttavia anche Persefone appariva provata. L’attacco della sua rivale non era stato totalmente vano. Con un gesto di stizza lasciò cadere a terra il manto trapunto di stelle.
"Dea della guerra! Se è lo scontro totale che vuoi, ciò avrai!" Espanse il suo cosmo divino. "Come ben sai l’essere sposa di Ade mi consente di far uso delle tecniche d’attacco proprie del signore degli Inferi!"
Atena si mise in guardia. "Persefone, non ti temo. Ciò nonostante nemmeno voglio che tu cada."
"Sarai tu a cadere per prima."
"Sicuramente non sono in grado di avversarti come vorrei e come potrei nel pieno delle mie possibilità. Ma nemmeno tu sei nelle condizioni migliori. Il tuo cosmo… o si è fatto oscuro oppure non capisco. Sei spossata… troppo perché sia il frutto del tuo attacco precedente."
"Taci!" urlò Persefone e la colpì con violenza, ma Atena evitò il colpo scostandosi e poi usò il proprio scudo di taglio per colpirla all’addome. Finirono ambedue a terra.
Un lampo spaccò il cielo. La tempesta era imminente.
***
Pegasios guardò il proprio maestro. "Mi avete insegnato tanto, ora è tempo che io metta a frutto i vostri insegnamenti. Assistetemi, maestro, ve ne prego! In questo colpo, in quest’attacco metterò tutto me stesso, per Atena e per voi." E mentalmente aggiunse: e per il mio compagno di addestramento Archelao e tutti coloro che hanno combattuto con me.
"Io credo in te, Pegasios! Mostrami di cosa sei capace!"
Ade stava per sferrare il suo attacco, il prossimo bersaglio sarebbe stato Astylos o Callimaco.
"Veloci, veloci ardete tredici stelle di Pegaso! Brucia cosmo di Pegasios, brucia ed espanditi fino ai limiti della costellazione!" Con le mani tracciò in aria quelli stessi confini e le tredici stelle parvero accendersi davvero alle sue spalle.
Ade avvertì quel cosmo ostile e decise che doveva colpire per primo quel giovane tornato dall’Ade.
Una luce vivida, intensissima, avvolse Pegasios e onde di luce danzarono, prima tremule e poi rapide, come impazzite, sulla corazza divina. "Ade, alza le tue difese!" Gridò liberando la sua energia cosmica nella mano destra. "Sto arrivando! Cometa di Pegaso!!!"
Il ragazzo divenne un lampo di luce nella notte senza stelle. La sua armatura e il suo cosmo ardevano. Parve scomparire tanto fu rapida l’azione. Una scia di luce azzurra balenò verso Ade. Il signore degli Inferi non si fece impressionare ed espanse la sua aura divina.
"Sciocco, per quanto le tue vestigia siano divine, per quanto il tuo cosmo s’accresca in potenza resti pur sempre un uomo. Soccomberai al tuo stesso colpo, non puoi sopportare tale energia. Eterno Oblio!!!" Il nume distese il suo braccio, come a voler emettere una sentenza. Sentenza che sarebbe stata definitiva. Pegasios impattò sul pugno di Ade.
La potenza dei due colpi che si opponevano l’uno all’altro creò uno spostamento d’aria che fece cadere a terra, con violenza, quanti ancora si reggevano in piedi. Due ammassi stellari, due nubi cosmiche, sfrigolavano sul campo di battaglia e mandavano lampi e bagliori. Per un istante che parve lunghissimo sembrarono dover restare sospese nel cielo per l’eternità.
Ad un tratto due voci spazzarono la notte.
"Muori, Pegasios!"
"Per voi, Atena!!!"
La luce si fece più intensa e chi osservava dovette distogliere lo sguardo. L’equilibrio infine si ruppe. Pegaso, mantello e ali splendenti, galoppò in cielo. Potenza, forza nonché eleganza e fierezza erano con lui.
Un urlo e qualcuno cadde rovinosamente. I presenti trattennero il fiato. Si udì il rumore sordo di schinieri che strisciavano su terra pietrisco. Un’ombra si accovacciò. Poi tutti videro Pegasios alzarsi, ansimante.
Ade, poco più in là, era a terra. Il bracciale destro della sua armatura era incrinato in più punti. Il dio guardava bracciale e arto, attonito e sgomento. Poi una goccia di sangue corse lungo il palmo della mano, indugiò su un dito e gocciolò a terra. Alcuni rivoli rossi cominciarono a segnare la mano del Cronide.
Il cavaliere di Pegaso aveva inflitto una ferita al dio degli Inferi e lo aveva atterrato.
***
"Ade!" gridò sgomenta Persefone avvertendo un cosmo incredibilmente luminoso opporsi a quello del proprio sposo.
"Pegasios…" mormorò Atena. Che davvero l’allievo di Astylos fosse stato capace di tanto? Se era così, allora nulla era loro precluso.
"Atena!" disse Persefone con trasporto. "Questa battaglia deve terminare ora! Mistero della Vita!" Gridò la bella Kora aprendo le braccia e liberando il proprio cosmo.
L’Egida fermò l’attacco solo per un istante, poi Atena volò in aria. Tuttavia prima di essere spazzata via riuscì a sua volta ad assestare un colpo. Un’arma era apparsa nella sua mano. "Lancia di Nike!"
Persefone si rese conto troppo tardi di quanto stava accadendo. Presa dal pensiero di Ade si era distratta quanto bastava per non riuscire ad evitare di essere colpita al braccio. La sua veste si macchiò del suo stesso sangue. Tenne l’arto ferito con la destra e guardò Atena, con rabbia. La dea era riversa a terra ma si stava rialzando. Pure lei era ferita ma un’incredibile forza di volontà la spingeva a combattere ancora. Come poteva farlo ora che il suo cosmo era quasi spento, si chiese Persefone? Poi la sua attenzione fu attratta dalla lancia di Atena. Da dove era apparsa? La risposta fu immediata. Nike, la Vittoria, brillava sopra Atena, presenza evanescente. Che fosse un presagio della sconfitta imminente sua e di Ade? Non volle crederlo possibile.
"Atena, come può Nike esserti accanto? Ora che il tuo cosmo non può più nulla o quasi? Da dove attingi la tua forza?"
Atena piantò i suoi azzurri occhi in quelle della sua avversaria: "Non ha importanza, Persefone. Ora desisti, ti prego. Sei ferita e debole, non tentare la sorte. Questa Guerra Sacra… saranno il tuo sposo e i miei cavalieri a deciderne l’esito."
"No, Atena, devi prima devi spiegarmi perché io non capisco…" Persefone appariva ora tormentata dai dubbi.
"Prima ferma Ade. Non hai udito nostro padre?"
Persefone lo aveva udito, certo, come tutti coloro che si trovavano nella valle. Poteva rischiare di costringerlo ad intervenire personalmente, non sapendo cosa questo avrebbe comportato per lei e per Ade? Per sua madre? Per Atena e i suoi cavalieri? Ma perché questi pensieri? Che stava facendo? Doveva correre in aiuto di Ade, lo sentiva.
"Atena, sei sconfitta. O credi di potermi impedire di schierarmi al fianco di Ade? Non ti basterà avere Nike al tuo fianco, la tua lancia non ti consentirà di cogliere la vittoria."
"Desisti, Kora, ti prego. Sei ferita e credo che…"
"Basta!" replicò rabbiosa Persefone. "Se non vuoi spiegarmi le tue ragioni, che pure ora ero disposta ad ascoltare, nemmeno io sono tenuta a spiegarti nulla. Tu temi quello che può avvenire ma chi può sapere cosa il Fato ha deciso per noi? Io tuttavia combatterò al fianco di Ade." E così dicendo si allontanò. Atena temeva per lei, non per se stessa, ma Persefone non poteva, anzi non voleva ammetterlo.
***
Guardò la propria mano. Era esterrefatto. Un mortale… era stato ferito da un mortale! Era una cosa inaudita, assurda. Che la sua armatura fosse di livello divino, che avesse imparato a bruciare il proprio cosmo fino nel profondo, che la sua capacità di concentrazione fosse tale da permettergli di attingere ad ogni più remota energia della sua aura vitale e sfruttarla a pieno negli attacchi non cambiava il dato sostanziale: era un uomo, un mortale. E aveva osato ferirlo.
Ade si rialzò e fu come se un ammasso di costellazioni si alzasse con lui. La sua armatura divenne lucente ed egli stesso parve farsi più alto e imponente. Il signore degli Inferi era furioso e il suo cosmo sprigionava una luce blu intensissima. Gli occhi e l’espressione, che avevano sempre manifestato la sua calma e il suo pieno controllo delle situazione, nonché a tratti quasi un compiaciuto distacco, ora lasciavano trapelare la vera furia di un dio.
Pegasios, Archita e Anassilao istintivamente si allontanarono, timorosi davanti a tale maestosa e rabbiosa potenza. Astylos e Callimaco erano inchiodati a terra dalle proprie ferite e non potevano che osservare sgomenti davanti a quella marea montante.
"Sciocchi mortali!" gridò il dio. "La vostra empietà vi condanna. Già non mi capacitavo del fatto che aveste sconfitto Ares, che in battaglia ha pochi rivali, ma che qualcuno osasse ferire me, Ade, figlio di Crono, questo no davvero!" Fece qualche passo avanti, poi scattò, pronto a colpire. "Morirete tutti! Quanto a te, Pegasios, ti farò a pezzi!"
"Attento, Pegasios!" gridò Astylos.
Il cavaliere di Pegaso si trovò difronte Ade, che lo attaccò con i Cancelli dell’Ade. Le ali di Pegaso furono ancora una volta la sua salvezza. Si levò in aria e osò dire al Signore degli Inferi: "Sciocchi, empi, immorali, sia pure come voi dite! Ciò non toglie che noi combattiamo per la difendere gli uomini, per proteggere questo mondo, per allontanare le vostre tenebre. Soprattutto noi combattiamo al fianco di Atena, che con saggezza, giustizia e temperanza ci guida nella nostra missione. Per questo non desisteremo fino all’ultimo!" Bruciò il suo cosmo e si lanciò all’attacco: "Meteora Lucente!!!"
Nuovamente i due cosmi si scontrarono ma quello aggressivo del Cronide parve fagocitare quello di Pegaso. Quando la luce si dissipò i due erano in piedi l’uno di fronte all’altro. L’espressione di Ade era trionfante e feroce al tempo stesso.
"Ora sì che sei pronto a sprofondare nel Tartaro!" disse con durezza.
Pegasios era sgomento, gli occhi sbarrati. Questa volta il suo attacco non aveva sortito effetti. Un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca. Gli mancò il respiro. La spada di Ade lo aveva passato da parte a parte, sfondando il pettorale dell’armatura divina. Il cuore pareva scoppiargli nel petto. La vista gli si annebbiò. La sua vita stava volando via, ma prima dell’estremo istante trovò ancora la forza di alzare il braccio come a voler colpire Ade mentre mormorava: "Atena…"
Ade svelle la spada del petto del cavaliere e prima che questi cadesse a terra privo di vita lo colpì decapitandolo. La testa rimbalzò a terra con tonfo sordo, mandando schizzi di sangue.
Ad Astylos, Archita, Anassilao e Callimaco il sangue si gelò nelle vene, lo stomaco si chiuse, ogni umore vitale parve prosciugarsi.
"E questo, Pegasios, è il giusto castigo per gli empi." risuonò con gravezza la voce di Ade.
***
Atena era impietrita. Pegaso era caduto, lo avvertiva chiaramente. Il cosmo di Ade si era fatto imperioso e violento. E Persefone stava andando a unirsi a lui. I suoi Cavalieri… Strinse forte la lancia della Vittoria e si incamminò verso il luogo dove la battaglia infuriava. Sperava di fare in tempo.
"Atena…" disse un voce come un soffio leggero dopo che ebbe mosso pochi passi. Atena vide Polissena, adagiata su un costone erboso. "Ade…è stato ferito, vero?"
"Sì." rispose la dea realizzando a pieno l’impresa di Pegasios. "E’ stato ferito ma ciò è costato un alto tributo. Ora devo andare ad affrontare Ade di persona."
"Siete ferita, lasciate che vi guidi."
Atena guardò la ragazza. La situazione era assurda. Polissena era piena di ferite e lividi, le sue braccia erano incrostate di sangue e terra, eppure il suo spirito ardeva. Quanto a lei non aveva che poche ferite superficiali ma era invece il suo cosmo ad essere ferito, debole, consumato dalla battaglia contro tre divinità. Sì, aveva bisogno di qualcuno il cui cosmo bruciasse ancora d’ardore e di speranza di vittoria. Qualcuno che si facesse luce dove ora s’addensavano tenebre e morte.
"Presto Polissena, prima che sia troppo tardi!" disse tendendole la mano.
"Atena…" chiese la ragazza, timorosa nello scendere in campo contro Ade, che ora appariva più terribile. "Dicono che i vostri occhi possono vedere le cose per quello che sono realmente, possono scavare nel profondo, all’origine delle cose, dei fenomeni, degli eventi, possono indagare i pensieri… Dicono che sanno vedere oltre… Potete vedere oltre questa tenebra che si fa sempre più fitta?" La sua voce era diventata un sussurro.
"Sì, dicono il vero." rispose Atena sorridendo e aiutandola ad alzarsi. "Coraggio dunque. Non temere l’oscurità."
I Cavalieri avevano bisogno di loro, pensavano le due donne. Affrettarono il passo, affrontando la notte.
***
Astylos era un uomo distrutto. I suoi allievi erano morti. Tutti e due. Caduti in modo eroico, abbracciando gli ideali e gli insegnamenti di Atena. Ma erano morti. Pegasios si era spinto là dove nessuno mai, o quasi, ma era caduto, era stato annientato. Con orrore guardò il volto del ragazzo, rotolato tra polvere e sassi e coperto in parte di sangue. Un’espressione di paura e sgomento. Non riusciva a staccare lo sguardo, sebbene fosse sconvolto. Fu allora che vide dell’altro: in fondo agli occhi di Pegasios sembrano brillare ancora speranza e fierezza. Pur nella sua comprensibile paura di uomo di fronte alla morte la sua devozione alla causa non era mai venuta meno.
"Maestro, questo è Pegasios, il nuovo allievo."
"Bene, Archelao. Spero lo tratterai con riguardo."
"Maestro Astylos, aiutatemi diventare un vero cavaliere della dea, ve ne prego!"
"E che cavaliere vorresti diventare?"
"Un cavaliere d’Oro, così da poter essere più vicino possibile ad Atena."
"E’ dura diventare Cavaliere d’Oro, sappilo! In molti aspirano a quelle corazze, cosa credi?"
"Archelao, non aggredirlo!"
"Scusate maestro. Pegasios, che se c’è un’armatura d’oro da conquistare, sappi che sarà mia."
"Fai presto a parlare tu che ti alleni chissà da quanto tempo!"
"Ahah! Ma sto scherzando! Benvenuto tra noi. Sei fortunato ad avere Astylos come maestro."
"Archelao, con il tuo atteggiamento e le tue parole confondi il tuo nuovo compagno."
"Voi dite, maestro? Pegasios, se vuoi considerami tuo amico."
"Dici davvero? Non temi che possa essere un rivale e batterti?"
"Se accadrà vorrà dire che Atena avrà al suo fianco un degno guerriero e ne sarò felice lo stesso."
"Ben detto, Archelao. Mi compiaccio delle tue parole."
"Grazie maestro. Sono certo però che Pegasios non mi batterà facilmente."
"Vedremo, Archelao! Dammi tempo di imparare! Maestro, quando inizierò l’addestramento?"
"Che solerzia! Domani mattina, un’ora dopo l’alba."
"Così presto?"
"Ahah! Che razza di compagno d’addestramento! E’ dura la vita del Cavaliere di Atena, sai?"
"Saprò essere all’altezza, Archelao! Stai a vedere."
Parole di un tempo che sembrava lontano, perduto. Parole che sapevano di freschezza, di allegria, di gioventù, di speranza ma che ormai si erano perdute nel tempo. Archelao e Pegasios non c’erano più.
Astylos sollevò lo sguardo a cercare Ade. E fu allora che la sua collera esplose.
"Ade!" urlò alzandosi a fatica.
"Ecco il prossimo che raggiungerà le sponde dell’Acheronte! Cancelli…"
Ade non riuscì a dire altro. In un attimo Astylos aveva incoccato la freccia dorata e il colpo lo aveva raggiunto. Lo respinse ma questo volta gli costò fatica. Stava per replicare all’attacco quando un altro dardo dorato gli fu scagliato contro. Lo deviò. Un altro era già in arrivo. Com’era possibile? La sacra freccia del Sagittario era una sola, cosa stava accadendo?
Guardò Astylos e capì. Il cosmo del Cavaliere bruciava rabbioso e spumeggiante, al punto che l’armatura stessa sembrava pulsare di vita. Ma soprattutto le frecce dorate si materializzavano di continuo nella sua mano.
Archita aveva visto solo un’altra volta il cosmo di Astylos brillare a tal punto. Ma quello che stava compiendo ora gli mise paura. Non era un’impresa gloriosa, come contro Ares, quando aveva compiuto qualcosa degno di essere ricordato per sempre, era un’impresa disperata perché disperate erano le sue condizioni. Per generare quei dardi dorati era evidente che il cosmo di Astylos bruciava assieme a… "No, Astylos!!! Non rimarrà nulla di te!" gridò.
Ma Astylos non poteva o non voleva udirlo. Nella sua mente solo un pensiero, abbattere Ade. "Per il Sacro Sagittario!!!"
Una serie di frecce fu scagliata contro Ade, che però riusciva a evitarle o a deviarle.
"Pegasios, la tua morte non sarà stata invano. Hai dimostrato che una breccia si può aprire nelle difese di Ade. Io, Astylos, seguirò la via tracciata da te. Ardi, cosmo! Sacro Sagittario!!!"
I dardi si fecero lampi di luce e cominciarono ad andare a segno, rimbombando cupamente sull’armatura del dio.
"Questo è stato il tuo ultimo oltraggio, mortale! Vai a raggiungere Pegasios e gli altri!"
Anassilao era incredulo nell’osservare i ripetuti colpi di Astylos. "Archita, pensi che possa davvero…"
Il volto di Archita era scuro. "Anassilao, espandi al massimo il tuo cosmo. Dobbiamo colpire Ade ora, prima che Astylos… prima che Astylos cada!"
"No, Astylos! Se è così dobbiamo difenderlo."
"E’ inutile." disse Archita con tristezza. "Concentrati su Ade. Non hai ancora capito?"
"Cosa?"
"Astylos sta bruciando il suo cosmo e sta usando il suo stesso sangue per generare una freccia dopo l’altra. Tu sai che il sangue di chi possiede un cosmo può servire a riparare o a rigenerare una corazza. Ebbene, Astylos sta usando il suo per attaccare a fondo. Non resisterà ancora per molto. Cogliamo l’occasione." Strinse il pugno con rabbia. "Inutile illudersi che possa finire diversamente. Non vi era molta speranza prima di scendere campo, quello che abbiamo visto ci ha dimostrato che solo lottando oltre il limite delle nostre possibilità avremo qualche speranza."
Anassilao era sconvolto ma non esitò neppure un attimo. "Sono con te, Archita."
Un voce si udì poco lontano. "Archita, conta anche su di me." Callimaco sanguinava copiosamente ma era nuovamente in piedi.
"Coraggio allora!"
Nel frattempo Ade era piombato su Astylos, che per un attimo aveva interrotto il suo attacco. Ora però stringeva in mano una freccia dorata che aveva intinto nel suo stesso sangue. "Dardo dorato, caricati della mia aura vitale e colpisci in nome di Atena!"
"Stolto, sei finito!"
"Lo stolto siete voi. Ora siete un bersaglio fin troppo facile!" Un lampo, un colpo sordo e uno stridio, poi Ade fu respinto e dovette puntellarsi per non cadere. Quattro paia di occhi lo fissarono, incredule e trionfanti al tempo stesso. La freccia aveva perforato il pettorale del dio. Il sangue divino gocciolava lungo il dardo.
Se Pegasios aveva potuto tanto e Astylos aveva replicato l’impresa voleva dire che il Cronide era battibile. Un ardore nuovo e potente si impossessò dei Cavalieri di Atena.
"Colpiamolo ora!" gridò Archita rivolto ai compagni e assunse la posizione d’attacco. Il suo colpo più potente, il cosmo concentrato nella sua mano, un raggio di energia stellare da scaricare sul nemico, solo così poteva sperare di valicare le difese del dio. Le stelle della sua costellazione dovevano brillare con lui e dentro di lui. Distese il braccio e riversò tutto se stesso nel gesto avvertendo il suo cosmo fluire attraverso il suo corpo, come una marea cosmica.
"Onda di Luce Stellare!!!"
Anassilao strinse i pugni e chiamò a sé la forza di Castore e Polluce. Un attacco deciso, portato alla massima potenza, dove la corazza del dio fosse meno spessa. Avvertì dentro di sé il potere delle stelle, come mai lo aveva avvertito fino a quel momento.
"Furia dei Dioscuri!!!"
Callimaco sapeva di non poter attaccare con la destra, ma non se ne curò. Doveva fendere le difese del dio. Avrebbe dato fondo al suo cosmo, conscio che, a causa delle sue ferite, questo avrebbe significato fine certa. Ma in quel momento l’esempio del suo maestro, il sacrificio di Pegasios e la determinazione autodistruttiva di Astylos erano il suo unico pensiero. Il suo stesso cosmo si fece lama e il suo bersaglio fu davanti a lui.
"Excalibur!"
Astylos aveva incoccato l’ennesima freccia. Sapeva che non ce ne sarebbe stata un’altra e pregò che, unita agli attacchi dei compagni, bastasse.
Ade svelle il dardo che lo aveva offeso urlando di collera e si preparò al contrattacco. Tale era la sua espansione cosmica che parve ingigantirsi. Evitò la freccia di Astylos, che sibilò al suo fianco, e fu su di lui per finirlo. In quella però Anassilao scaricò sul dio i propri pugni. Ade fece perno su un piede e evitò il sinistro ma non il destro, che lo colpì tra corpispalla e pettorale, incrinando la corazza. Il colpo lo sbilanciò ed Excalibur lo colse, mentre il braccio di Callimaco cedeva nell’impatto con l’armatura divina. Infine l’attacco di Archita lo colse al torace facendolo volare indietro. Il figlio di Crono mise un ginocchio a terra gemendo di dolore.
"Il colpo è andato a segno!" gridò Anassilao.
"Speriamo possa essere decisivo." Gli fece eco Archita speranzoso.
Callimaco era a terra, immobile. Dopo l’impatto uno dolore lancinante, qualcosa che si spegneva dentro e tutto si era fatto scuro.
Astylos si piegò in avanti sulle braccia. Era allo stremo. L’ultima cosa che vide fu Ade provare a rialzarsi, con tre nuove ferite. Se non fosse caduto ora sarebbe stata la fine.
"Avete versato il sangue di un dio! Farò scempio di voi!" gridò Ade fuori di sé. "Non mi avete ancora sconfitto, preparatevi…"
Fu allora che una voce supplichevole lo fece sussultare. Ciò che vide gli assestò un colpo che lo fece vacillare, un colpo micidiale a confronto con quelli già patiti. Persefone era giunta sul campo di battaglia e, vedendo lo sposo ferito dalla freccia, si era lanciata all’attacco dei suoi aggressori. Era stato allora che la freccia di Astylos, schivata da Ade, l’aveva colpita in pieno petto. "Ade…"
Il dio vide la propria sposa accasciarsi a terra, la freccia che brillava nella notte. Colpita vicino al cuore, maledettamente vicina al cuore. Non avvertì più il dolore per le ferite, ma qualcosa di più profondo.
"Persefone!!!"
***
Trittolemo si alzò, dolorante. Anassilao… avevo colpito duro. Dove si trovava adesso?
Un lampo e poi un tuono, violento. Un’esplosione di cosmi e una luce, laggiù. Qualcosa stava accadendo ed era qualcosa di stupefacente. Il cosmo di Atena era debole ma pulsava ancora. Quello di Persefone provava a contrastarlo. Ma più lontano percepiva quello di Ade, rabbioso e violento, messo a dura prova da… da chi? Cosa stava accadendo?
Si alzò e si diresse dove infuriava la battaglia. Un urlo nella notte e poi altri cosmi ad innalzarsi nella notte, come scintille al vento, come lucciole impazzite. Non scintille, realizzò avvicinandosi, ma frecce dorate. Si precipitò giù per sentieri appena visibili e poi intravide la sua signora. Eccola sbucare là dove infuriava la battaglia. Avrebbe voluto gridare ma non ne ebbe il tempo.
Quattro cosmi contro uno, il Sommo Ade che pativa il colpo, Persefone che espandeva il cosmo e si apprestava alla difesa del suo sposo, la freccia che era scoccata, aveva sfiorato Ade e colpito…
Persefone che si accasciava, l’orrore e lo sgomento di Ade.
Un urlo d’orrore materializzò le sue paure più profonde: "Persefone, mia signora!!!"
Si precipitò verso la dea ma proprio allora la collera di Ade esplose violenta. "Pagherai per questo, cane!" urlò all’indirizzo di Astylos e si lanciò all’attacco. Astylos non aveva la forza di reagire e il vedere una dea ferita lo aveva mortificato. Pensò istintivamente: se al suo posto vi fosse stata Atena? Come avrebbe reagito? Il viso sofferente di Persefone fu per lui come una pugnalata. Tuttavia era un Cavaliere di Atena e come tale aveva il dovere di lottare contro Ade e provare a sconfiggerlo. Istintivamente alzò l’arco ma ormai del suo cosmo non rimaneva nulla.
"Per Sacro Sagittario! Tempesta di Dardi!" esclamò sperando ancora di poter attingere a chissà quali energie nascoste, ma solo un lampo incerto scaturì dal suo pugno.
Archita si lanciò su di lui, per difenderlo con il Muro di Cristallo, ma tutto fu vano.
"Cancelli dell’Ade!!!" Il portale luminoso che conduceva negli Inferi si aprì. Astylos si contorse, urlò per il dolore, si dimenò ma fu attratto da quel varco. Prima di scomparite riuscì a gridare: "E’ tutto nelle tue mani, Archita!"
Il cosmo del Cavaliere del Sagittario si spense. Tra i presenti calò il gelo ma non ci fu tempo per disperarsi troppo. Era evidente che Ade voleva spegnere altre vite. Già stava per colpire Archita quando qualcosa lo trattenne.
"Sommo Ade!"
Lo sguardo che lanciò a Trittolemo avrebbe fatto vacillare chiunque. "Lasciami!" disse con tono glaciale. Guardò Persefone, poi ancora Trittolemo. C’era qualcosa che non andava.
"Sommo Ade, preservate il vostro cosmo per lei, ve ne prego."
"Che intendi dire, Trittolemo?"
Trittolemo non aveva mai provato paura né timore al cospetto di Ade, non aveva mai avuto ragione di temerne la collera, ma in quella situazione era diverso. "Ha bisogno delle vostre cure, ora." disse con quanta più fermezza gli era possibile.
Ade si avviò dove giaceva Persefone.
Archita e Anassilao assistevano increduli e disorientati a quanto stava accadendo.
Trittolemo e Anassilao si scambiarono qualche occhiata. "Come vedi il tuo colpo non è bastato a sconfiggermi." disse severo il Giudice. "Ora quello che sta accadendo mi mortifica ma allo stesso tempo mi sprona a combattere per punirvi di ciò che avete compiuto."
"Credi forse che le vite dei nostri compagni non giustifichino il nostro risentimento?"
"Tu non ti rendi nemmeno conto della gravità di quanto sta accadendo." L’ennesimo fulmine squarciò l’aria e la valle fu illuminata a giorno.
"La collera dell’Olimpo…" mormorò Anassilao.
Archita guardò verso il Parnaso. Qualcosa di tremendo stava per accadere e bisognava impedirlo. Il suo pensiero andò ad Astylos, l’amico e il compagno con il quale aveva combattuto e vinto molte battaglie. Non era riuscito a proteggerlo. Ora certo il suo nobile amico stava per ricongiungersi alle ombre di chi aveva amato e se il destino degli eroi erano i Campi Elisi forse là avrebbe ritrovato i suoi allievi. "Guidaci dal luogo in cui sei." mormorò a bassa voce.
In quel mentre Ade sollevò Persefone delicatamente ed espanse il suo cosmo divino, incurante degli sguardi dei Cavalieri di Atena che ancora non capivano. Pose le mani sulla ferita sanguinante. Estrarre la freccia era fuori discussione. Il viso della dea era una maschera di dolore, le labbra contratte e lineamenti tesi.
"Espandi il cosmo Persefone, farò sparire questa freccia e rimarginerò la ferita ma non posso farlo da solo." Gettò un’occhiata d’odio ai Cavalieri di Atena. "Le mie ferite… è assurdo ma…"
Persefone strinse la sua mano: "Come ti hanno ridotto…" Bisbigliò dolcemente. Egli si rese conto solo allora di quanto gravi fossero le sue condizioni.
"Devi espande il cosmo, per arrestare l’emorragia. Lo faremo insieme. Io…" non trovava le parole per dire, per dover ammettere quella dura realtà: ferito e umiliato da dei mortali. "Io sono troppo debole, il mio sangue divino… troppo ne ho versato."
In quella il cielo si fece meno scuro e su come se l’aurora fosse ormai prossima. Archita e Anassilao alzarono gli occhi e avvertirono che qualcosa stava accadendo. La cortina di tenebre stesa sul mondo da Ade si andava dissolvendo poco a poco e la luce cominciava ad aumentare.
Persefone sorrise amara: "Ade, se pure tu hai versato troppo del tuo sangue divino allora non c’è nulla da fare. Il mio cosmo… il mio sangue divino… Dovevo dirtelo… l’ho fatto per te…"
"Cosa hai fatto, Persefone!" mormorò spaventato il Cronide.
Trittolemo si era avvicinato e il suo viso era terreo. Ade lo inchiodò con lo sguardo. "Ti sai, parla!"
"L’avevo invitata a desistere ma non ha voluto darmi retta. Come non è stato possibile trattenerla quando ha deciso di scendere in campo e di raggiungervi qui. Era convinta che il rischio fosse minimo, che avrebbe donato a voi una rapida vittoria e così lo ha fatto, nonostante io abbia fatto di tutto per dissuaderla."
"Fatto cosa, Trittolemo?"
"La divina Persefone…"
"Ade… ho donato parte del mio sangue, del mio Ichor divino ai Giudici e agli Spettri maggiori." disse lei d’un fiato.
Ade raggelò.
"Volevo che la vittoria fosse certa. Desideravo vederti sconfiggere Atena al più presto."
Ade si alzò e fece per scagliarsi su Trittolemo. "Tu, traditore!"
"No!" disse con un filo di voce Persefone. "Lui non ha accettato il mio dono."
"Mio signore, io…" Il Giudice degli Inferi era mortificato.
"Basta così Trittolemo." disse brusco Ade. "Devo donarle il mio Ichor…" Espanse il suo cosmo e posò la sua mano offesa sulla ferita della dea. No, non sarebbe bastato, se ne rese conto subito. Entrambi avevano versato troppo sangue. Si sentì venir meno e l’aura divina di Persefone vacillò.
"Perdonami Ade… L’ho fatto per te…"
"Persefone!" In quel momento rivide Policrate, il Grande Sacerdote, indignarsi davanti a lui per aver distrutto l’anfora che conteneva l’Ichor di Atena. Fu come un colpo di maglio. Sarebbe potuto servire, aveva detto Policrate. E ora ne avrebbe infatti avuto estremo bisogno. Policrate si faceva beffe di lui anche da morto.
In quella anche Archita si era avvicinato. "La divina Persefone… sento venir meno il suo cosmo. Com’è possibile? Una divinità non può morire…"
Ade lo fulminò. "No che non può morire, stolto! Immortalità ed eterna giovinezza… questi sono i doni concessi agli dei. Tuttavia se l’Ichor, il sangue divino, viene meno o se non è più sufficiente, di una divinità non rimane che l’aura vitale, il cosmo. Il corpo, per quanto divino è pur sempre un corpo vivo e senza sufficiente Ichor… perde la sua giovinezza e va in rovina e possono passare secoli prima che il cosmo, rigenerando l’Ichor vitale che promana da esso, riesca a rigenerare un corpo divino. Ma è raro che un dio riporti ferite tali da ridurlo in questo stato, inaudito che ci accada per opera di mortali…" Il nume strinse il pugno con frustrazione. "Persefone, come puoi essere stata tanto sconsiderata?"
Trittolemo intervenne con cautela. "Demetra… Solo Demetra può salvare la propria figlia, mio signore. Dobbiamo farla intervenire subito."
Ade incrociò lo sguardo con quello di Persefone. Un nuovo lampo si abbatté sul Parnaso. "Demetra non arriverebbe in tempo, Trittolemo. E io non posso fare nulla."
"Demetra forse non può arrivare in tempo, io sono già qui, Ade." disse Atena avanzando a fatica, il viso illuminato dal sole che ormai stava comparendo al di sopra dei monti. "Il tuo cosmo è ancora forte nonostante le ferite, è l’Ichor che ti necessita, ma quello posso dartelo io." Così dicendo Atena usò la lancia di Nike su di sé per procurarsi una piccola ferita. Poi si avvicinò a Persefone ed espanse il proprio cosmo.