XXXIV

"Fulmine di Pegasus!!!"

Ade, suo malgrado, dovette farsi schermo con un braccio, talmente era potente l’attacco che gli veniva mosso e tanto intensa era la luce che sprigionava da esso. Qualcosa sfrecciò al suo fianco, si posò a terra e ripartì all’attacco con decisione. Quei colpi erano veloci, precisi, ma riusciva facilmente ad evitarli. Certo si chiedeva chi potesse essere capace di tanto.

"Pegasios!" esclamò Astylos.

Policrate non credeva ai suoi occhi. "E’ stupefacente."

Pegasios, dopo l’ennesimo attacco a vuoto si era fermato davanti ad Ade, studiandolo per attaccare ancora.

"Bene, pare che presto ti unirai a coloro che saranno spazzati via." disse il dio.

"Non ti basteranno le minacce per vincermi. Ti avverto, bada a non alzare più il tuo braccio sul mio maestro e sul Grande Sacerdote altrimenti pagherai caro l’azzardo! Fossi anche più temibile di Minosse ti abbatterò, Spettro dell’Ade!"

Ade lo guardò stupefatto, poi rise.

"Non farti burla di me. Fulmine di Pegasus!" L’attacco fu vano. "Maestro, riparatevi dietro di me, tengo a bada io costui."

Astylos era sconcertato nel comprendere quel che stava accadendo. "Pegasios!" disse con trasporto "Colui che hai di fronte è il sommo Ade!"

Pegasios, incredulo, sgranò gli occhi: "Quello è… il sommo Ade?"

"Proprio lui."

"Ma maestro, ne siete certo? Ade dovrebbe essere… dovrebbe essere…"

"Terribile come la morte, orrendo a vedersi?" replicò sarcastico il dio. "Hai un’idea alquanto distorta e banale delle divinità, impudente!"

Pegasios era come paralizzato. "Non è possibile…"

"Attento Pegasios!" gridò Astylos.

"Eterno Oblio!" disse con voce solenne Ade indirizzando il colpo verso il giovane.

Il colpo intercettò qualcosa, deviò e ciò diede modo a Pegasios di sottrarsi prima che Ade potesse replicare l’attacco.

"Ma cosa…" Il dio guardò a terra, dove brillavano i frammenti argentei di quello che era stato lo scudo dell’armatura indossata da Polissena. La ragazza si era alzata, aveva agito e ora guardava tremante il figlio di Crono mentre le sue braccia ferite cominciavano a sanguinare copiosamente. "Non c’è verso di fermarvi, non vi arrestate davanti a nulla." meditò il Cronide ad alta voce.

"Così è infatti!" disse fiero Pegasios, che dopo aver visto Polissena porsi a sua difesa si era scosso.

In quel mentre la sua attenzione fu attirata da un sibilo, sempre più forte. Ci mise poco a capire di cosa potesse trattarsi. Riconobbe un cosmo. Tutti lo videro saltare, sorretto dalle ali di Pegaso che adornavano la sua armatura divina. Ormai aveva acquisito una certa padronanza del volo. Videro una sagoma sfrecciare. Pegasios la intercettò, fu spinto verso il basso e poi rotolò a terra, nella polvere. Si rialzò quasi subito, aiutando qualcuno a rimettersi in piedi. Qualcuno che, come molti dei presenti, portava addosso i segni di una dura battaglia.

"Tutto bene, Callimaco?" chiese Pegasios.

"Non potevo sperare in un impatto migliore." rispose il Cavaliere del Capricorno appoggiandosi al compagno. Era ferito, come tutti potevano notare, ma l’intervento di Pegasios aveva evitato il peggio. Guardandosi attorno comprese quanto grave fosse la situazione e provò una stretta al cuore vedendo Policrate ferito giacere a terra, il viso sofferente. Poi vide Persefone che aveva immobilizzato Atena e quello fu un altro duro colpo per lui. Tuttavia niente di paragonabile al realizzare che l’unico a stagliarsi fiero e indomito sul campo di battaglia era il sommo Ade.

***

Trittolemo vide sparire i campi, inghiottiti dalla notte, il cielo spegnersi, vide le stelle luccicare per brevi istanti, poi tutto farsi buio. Calò il silenzio. L’unica cosa che continuava a vedere era Anassilao, davanti a sé, un’espressione di sfida sul volto.

"La Dimensione Oscura…" mormorò.

"Esatto Trittolemo. Ora sei tu ad essere nel mio territorio."

"Il tuo territorio? Mi prendi in giro?" rise il Giudice. "E da quando tenebre e notte sarebbero terreno ideale per un mortale?"

"Questo è il potere della mia costellazione, i Gemelli. La luce e l’oscurità. La vita e la morte."

"Il bene e il male?" s’intromise Trittolemo. "Suvvia, Anassilao dei Gemelli, deliziami, stupiscimi ancora con simili perle, dilettami con la tua saggezza!"

Anassilao non rideva, anzi si fece ancora più serio. "Forse che i miti sono delle sciocchezze e con essi pure quello legato al tuo nome? Eppure mi era parso, dai tuoi precedenti discorsi, che dessi molto credito ai racconti di dei ed eroi! Vuoi farmi credere di non conoscere la vicenda di Castore e Polluce?"

"Ti fai gioco di me?" Trittolemo era tornato serio.

"I due gemelli, che non potevano condividere lo stesso destino. L’uno sull’Olimpo, tra gli immortali, l’altro nell’Ade, tra le ombre. Eterna giovinezza e destino di morte. Così era stabilito. Ma le cose andarono diversamente, come ben sai. Proprio come Persefone, e come te, i due gemelli continuano in eterno a spostarsi tra l’Olimpo e l’Ade. Vuoi forse farmi credere di non averli mai incontrati? Ti stupisci che io padroneggi una tecnica che mette in contatto con la notte, ma è realtà che invece devi conoscere molto bene. Il continuo passaggio dalla luce alle tenebre è insito nella mia costellazione, così come sembra esserlo nel tuo destino."

"Se così stanno le cose" dovette ammettere Trittolemo "si prepara uno scontro interessante tra noi due, ne convengo."

"Lo sarà, Trittolemo. Eccome se lo sarà." disse Anassilao preparandosi alla lotta.

***

Ade guardò quel giovane che indossava quell’armatura bianca bordata d’argento e d’oro. Non doveva farsi ingannare dall’età, doveva trattarsi di un guerriero temibile, o forse solo molto fortunato. Indubbiamente fuori del comune. Quelle vestigia, era chiaro, dovevano essere di natura diversa rispetto a quelle dorate che indossavano altri devoti di Atena. Pareva che Efesto avesse voluto conferire loro una qualche particolarità. Forse valeva la pena occuparsi subito di lui. Gli altri suoi avversari erano ormai sull’orlo dell’abisso, sarebbe bastato poco per spingerli oltre.

"Hai evitato il primo attacco, non sarai così fortunato ancora una volta. Credo che Atropo stia per troncare la tua vita, cavaliere!"

Pegasios aveva posato a terra Callimaco e si era piazzato davanti al Cronide. Aveva superato in fretta lo sgomento dell’aver scoperto l’identità del proprio avversario. Che fosse un dio, in quel momento, non faceva differenza. Una determinazione rabbiosa si era impadronita di lui, soprattutto dopo aver visto come erano ridotti i compagni d’armi e soprattutto la dea Atena. Non poteva tollerare tutto ciò e se era in suo potere provare a capovolgere l’esito del conflitto, lo avrebbe fatto senza alcun timore reverenziale, senza alcuna esitazione.

"Eterno Oblio!" Ade si lanciò in avanti, rapido e letale. Furono le ali di Pegaso la salvezza per il giovane. Il dio degli Inferi non aveva messo in conto che il suo avversario, oltre a schivare i colpi, poteva sottrarsi agli attacchi sfruttando lo spazio sopra di sé. Brandì la spada e attaccò ancora. L’avversario evitò nuovamente il colpo. Il dio però sapeva con certezza che quel ragazzo si sarebbe stancato ben prima di lui e a quel punto sarebbe giunta la sua fine. Per quanto fosse abile a sottrarsi non poteva replicare agli attacchi e alla prima distrazione, alla prima esitazione sarebbe caduto, in tutti i sensi.

Nel frattempo Callimaco si era trascinato verso Policrate e Astylos ma ad un tratto si era avveduto che, riverso a pochi passi da lui, giaceva Plistene.

"Plistene!" lo chiamò a gran voce, spaventato per la posa scomposta dell’amico.

Plistene udì distintamente quella voce. Già gli era parso di udire altre voci, suoni e rumori di battaglia. Dunque Ade non lo aveva privato di tutti i sensi. Poteva udire. Forse poteva pure parlare. Provò ad articolare parole ma non udì nessun suono. Era certo di avere gli occhi aperti, eppure non vedeva. Non percepiva il peso del proprio corpo, non avvertiva il contatto dell’armatura sulla pelle né il contatto con la nuda terra. A tanto lo aveva ridotto il Cronide.

"Plistene, rispondimi!" lo incalzava Callimaco.

Avrebbe voluto gridare ma non sarebbe servito a nulla. E allora usò il cosmo per far giungere il suo pensiero all’amico. "Callimaco, sento la tua voce. Parlami."

Callimaco percepì il messaggio, come se una voce parlasse dentro di lui. "Plistene, cosa ti è accaduto?"

"Credo di aver perso l’uso delle mie facoltà sensoriali, a parte l’udito. Ma non ha importanza. Dov’è Atena? E Ade? Lo avete forse sconfitto? Che sta accadendo ora?"

Callimaco esitò prima di rispondere. "Sta combattendo con Pegasios. Vedessi come combatte, come si muove, e l’armatura che indossa…"

"Il mio cosmo è debole Callimaco… Chi altro c’è?"

"Policrate e Astylos, ma sono feriti." Quasi si vergognò nel dover aggiungere. "Pure io sono ferito." Siamo tutti in condizioni precarie ma tu sembri stare anche peggio, pensò amaramente.

"Ascolta, Callimaco. Devi descrivermi cosa sta accadendo. Dov’è Atena. Soprattutto devi dirmi dov’è Ade. Dobbiamo agire, in fretta!"

In quel mentre Ade stava contrattaccando duramente Pegasios. Un colpo ben assestato e il giovane cavaliere precipitò. "Per troppo tempo ti sei fatto beffe di me!"

"Mi avrai pure messo a terra ma io mi rialzerò, in nome di Atena!" urlò Pegasios.

"Risparmiati la fatica, è finita!"

In quel mentre Callimaco stava dicendo a Plistene: "Sono proprio davanti a noi. Ade è in piedi, non più lontano di una ventina di passi."

La risposta di Plistene fu: "Colpisci quando te lo dirò io!"

"Farò quanto è in mio potere, per quanto il mio braccio sia ridotto male. Ma che hai in mente, Plistene?" In quel momento provò paura per quello che poteva accadere.

"Sta a vedere." rispose Plistene. Seguì un breve silenzio, ma in realtà Plistene stava comunicando pure con Astylos e Policrate. Infine disse: "Callimaco… Ade è ancora davanti a noi?" "Sì Plistene." "Bene. Ascolta Callimaco… quando verrà il tempo… fatemi riposare vicino a Maia."

Callimaco a quelle parole si sentì gelare, allungò il braccio verso l’amico ma quello si alzò di scatto e, pur con andatura scomposta, fu subito su Ade, che si preparava a finire Pegasios. "Nera Volta…"

Plistene lo afferrò e lo strinse a sé.

"Chi osa? Come, ancora tu?" esclamò irato il nume.

"Kahn!!!" Ade fu avvolto da una luce intensa.

"Stolto, speri di fermarmi con la tua barriera?" Stizzito affondò un colpo nella schiena di Plistene. Solo in quel momento si ricordò di averlo privato del senso del tatto e realizzò che se ne sarebbe andato senza nemmeno avvertire il dolore. Fu allora che percepì le parole di quel cavaliere di Atena, come provenissero da dentro la sua mente.

"Abbandono dell’Oriente!!!"

Policrate, Astylos e Callimaco guardarono esterrefatti il dio e Plistene ardere come su una pira, le vivide e guizzanti fiamme trattenute dal Kahn. Si udì qualcuno gridare: "Plistene desisti!!!" ma non si capì chi fosse.

Persefone a quella vista lasciò Atena, che si accasciò a terra, e si portò le mani al volto vedendo il Sommo Ade sottoposto a così dura prova da un cosmo luminosissimo.

Fu allora che Policrate, Astylos e Callimaco udirono la voce di Plistene: "Adesso, colpite adesso!"

I tre, comprendendo che l’occasione non si sarebbe ripresentata e obbedendo all’istintiva fede in Atena, colpirono con quanta forza avevano in corpo, pur a rischio di colpire anche Plistene. Il Kahn deflagrò poco prima che i loro colpi arrivassero a bersaglio. Un’onda di luce accecò tutti i presenti.

Quando la luce si fu dissipata Atena scrutò nella notte e vide una figura stagliarsi alta, fiera e severa. Ade era illeso: nessuna ferita sul suo corpo, nessun danno alla sua corazza divina. Ai suoi piedi Plistene era agonizzante, in una pozza di sangue.

"Un uomo contro un dio. Un mortale che per di più nemmeno indossava la propria armatura. Cosa speravi di ottenere, Plistene di Virgo, se non la morte?"

Atena inorridì.

Persefone si rivolse al Cronide. "State bene mio signore?"

"Naturalmente, mia diletta." le sorrise Ade. Poi il suo volto si fece severo e abbassò lo sguardo su Plistene. "Come vedi, Persefone, i nemici hanno cominciato a cadere. Tra non molto questa Guerra Sacra sarà conclusa."

***

"Esplosione Galattica!"

Trittolemo dovette ammettere che Anassilao era un avversario insidioso. Quella sua Dimensione Oscura era temibile: un non luogo, una tenebra stesa tra i cieli, un vuoto nel quale era fin troppo facile andare alla deriva. Solo alcune zone del Tartaro erano più cupe, più sinistramente silenziose. E ora era attaccato con un’esplosione cosmica di stelle, una deflagrazione di pianeti. Si sentiva come un misero corpo celeste che dovesse opporsi a masse stellari senza aver la possibilità di sottrarsi, di schivare il colpo, condannato all’impatto dalla forza di gravità e da traiettorie già segnate, stabilite.

Si fece scudo con le braccia. Il colpo fu terribile e udì sinistri scricchiolii emessi dalla propria corazza. Ma ciò che più lo colpì fu il calore, quel calore intenso che quel colpo emanava.

"Trittolemo, forse è il caso che tu ceda il passo. Devo raggiungere la mia dea!"

Il Giudice incrociò lo sguardo con il suo avversario. "Non così in fretta, cavaliere. Sei un combattente vigoroso, temibile, ma sei uno sciocco se speri di avermi in pugno."

"Lo spero perché credo di essere molto vicino all’obiettivo. Mi pare infatti che tu non gradisca molto la tua posizione attuale."

"Certo, ma si tratta di una situazione passeggera. Lascia che ti mostri come mi toglierò d’impaccio."

La corazza del Giudice fu circondata da un azzurro che si fece via via più intenso, così come la sua emanazione cosmica. "Non hai ancora percorso abbastanza stadi sulla strada della conoscenza, Anassilao. Guarda e temi quello che sta per accadere! Mistero dell’acqua!"

Sì udì come un’eco lontana, un mugghiare profondo che crebbe via via d’intensità. La tenebra della Dimensione Oscura parve risuonare al montare furioso di un’onda. Una colonna d’acqua invase presto il loro campo d’azione e si levò dritta tra di loro.

"Non puoi colmare d’acqua la Dimensione Oscura!" osservò Anassilao, che però era stupito da tanta potenza.

"Non la posso colmare, certo, e infatti non è quello il mio proposito. L’acqua sa essere gentile, sa essere mite e spesso porta la vita e come la vita ama occupare tutti gli spazi a sua disposizione. Ma l’acqua sa anche seminare morte e devastazione se giustamente indirizzata, se incanalata. Dovresti saperlo tu, che eri compagno di Pelopida dei Pesci, che nel controllare le acque e la loro energia era maestro. Mistero dell’acqua! Colonna d’acqua, colpisci! E’ Anassilao il tuo bersaglio!"

L’onda si contrasse, diventò una colonna azzurra spumeggiante, si innalzò e scrosciò impetuosa su Anassilao.

"Esplosione Galattica!!!"

Le due onde cosmiche cozzarono l’una contro l’altra ma l’acqua ebbe il sopravvento. Anassilao fu travolto e spazzato via.

***

"Cominciamo a scrivere la parola fine." disse glaciale Ade sovrastando Plistene. "Ora ti restituirò i sensi, sventurato, così che tu possa apprezzare e soppesare la tua follia e le sue conseguenze!"

Plistene ebbe un sussulto e gridò di dolore, sbarrando gli occhi. Poteva vedere ma avrebbe preferito restar cieco. Ade era illeso, nessuna traccia di scalfittura sulla sua armatura, nessuna ferita sul suo corpo. Inutile, era stato tutto inutile. Il dolore si fece lancinante in ogni membro del suo corpo.

"E ora occupiamoci del prossimo." disse il dio guardando in direzione di Policrate e Astylos.

Callimaco si trascinò fin dove giaceva il compagno ferito. Ade, che se ne stava allontanando, nemmeno badò a lui.

"Plistene, resisti amico mio!"

Il cavaliere posò sul compagno uno sguardo stanco, dopo aver mosso gli occhi a cercare Policrate, Astylos, Pegasios e soprattutto la dea Atena. "Callimaco… è finita…"

Callimaco affondò con rabbia la mano nella nuda terra e contrasse le dita. Non avvertiva più il dolore per le proprie ferite, la vista dell’amico morente gli stava lacerando l’animo. Come Archelao. Non poteva fare nulla e lo sapeva. Con la mano destra prese la sua destra, reprimendo il dolore dovuto alla frattura.

"Callimaco… ti ricordi quel giorno… la tua prima missione… su nel nord… oltre le Meteore…"

Ricordava. Plistene era un guerriero inarrivabile per lui, allora. La lunga corsa per portare aiuto a Pelopida, la prima battaglia, l’amico Cavaliere dei Pesci ferito, il rientro ad Atene, i complimenti ricevuti per quella sua prima missione sia dallo stesso Plistene che dalla dea Atena in persona. E poi le lunghe serate a confrontarsi con quel nuovo amico, dal quale c’era tanto da imparare. Se Archelao era stato il giovane compagno d’addestramento, con cui confidarsi e passare dei momenti di svago, Plistene era stato un consigliere, un fratello maggiore ricco di esperienza.

"Ricordi quello che ti ho detto… Maia…"

Callimaco annuì, trattenendo a stento le lacrime. "Sarà così, Plistene." E poi aggiunse, non seppe nemmeno lui come. "Ora va’. Tu che ti sei mosso tante volte sul limitare dell’Ade non devi aver paura. Va’ e illuminaci la strada per i Campi Elisi, che presto pure noi potremmo seguirti."

Plistene chiuse gli occhi ed ebbe ancora la forza per dire: "No, Callimaco… Per te c’è tempo… Tornerai da Melissa." Strinse la sua mano e se ne andò.

Il volto di Callimaco di riempì di lacrime ma non ebbe il tempo per pensare, dire, fare molto altro. La battaglia stava per infuriare di nuovo attorno a lui e doveva combattere, nonostante tutto.

***

Metoneo alzò gli occhi a mirare gli acroteri del tempio di Apollo. Come era diverso da quando, poco più che bambino, vi era arrivato la prima volta, colmo di stupore e meraviglia, ansioso di potervi entrare coltivando la speranza di poter magari vedere la Pizia, la sacerdotessa che interpretava i responsi del dio. Ora non vi erano responsi da cercare, non vi era lo stesso bel sole primaverile, non vi erano le voci di pellegrini, il suono di una musica che proveniva da chissà dove e soprattutto non vi erano i suoi genitori che lo avevano condotto fin lì da Atene, rigorosamente a piedi. Era solo e tutto taceva.

Doveva trovare il modo di issarsi lassù, solo così avrebbe potuto portare a termine nel migliore dei modi l’incarico affidatogli da Archita dell’Ariete. Solo da lassù sarebbe stato visibile dalla vallata sottostante. E forse là, nel Santuario di Apollo, anzi sopra il Tempio stesso del dio, quello che doveva fare gli sarebbe riuscito nel modo più appropriato.

***

Pegasios era l’unico che avesse ancora energie per attaccare e soprattutto che fosse ancora in condizione di farlo. Perciò fu lui a pararsi davanti ad Ade.

"Non un altro passo!" disse sicuro di sé.

Il Cronide ne aveva abbastanza. "La morte del tuo compagno non ti ha dunque insegnato nulla?" Liberò il cosmo stendendo il braccio ma Pegasios schivò il colpo.

"Il confronto con i cavalieri di Atena ha insegnato poco anche a voi, sommo Ade. E non è una mia opinione, è una certezza."

Una cosa era indubbia, meditò Ade, quel giovane non aveva paura.

"A me qualcosa ha insegnato, questo confronto!" tuonò una voce in quel momento "I servitori di Atena vanno schiacciati uno ad uno, come bestie sacrificali. Sono infidi e testardi. Soprattutto non sanno comprendere quando l’ora della loro fine è giunta! Troppo a lungo il Sommo Ade, la divina Persefone, che mi compiaccio di vedere qui, e io stesso abbiamo tollerato la vostra impudenza!" Minosse mosse rapido verso il suo signore. "Sommo Ade." lo salutò rispettosamente.

"Minosse." lo accolse il Cronide "Pare che tu arrivi in tempo per goderti la conclusione di questo conflitto. La tua forza e la tua determinazione in battaglia sono ben accette in questo momento."

"Non necessitate certo del mio aiuto, mio signore, questi guerrieri che qualcuno si compiace di chiamare cavalieri di Atena sono ormai finiti, basta guardarli per rendersene conto. Solo questo giovane impudente può darvi ancora qualche fastidio ma sono certo che vi libererete presto di lui."

"Naturalmente."

"Con il vostro permesso, vorrei terminare un lavoro lasciato a mezzo." disse glaciale guardando verso Callimaco.

"Lascia a me lo spavaldo giovane e il Grande Sacerdote e fa degli altri quello che vuoi." replicò Ade quasi con noncuranza.

Un sorriso si dipinse sul volto di Minosse. "Con immenso piacere." Poi, come notando solo in quel momento Atena, disse con tono beffardo: "Vogliate scusarmi, divina Atena, la bellezza della mia signora Persefone vi oscura e non vi avevo notato. Spiacente di incontrarvi nel momento in cui matura la vostra sconfitta."

Detto questo si preparò ad attaccare Callimaco. "Dominio Cosmico!" Il cavaliere non aveva la forza per sottrarsi, le ferite alle gambe e alle braccia lo avevano indebolito e gli arti erano rigidi. Schivò un primo affondo poi fu di nuovo preda dei terribili vincoli di Minosse, che cominciarono ad sfregare con forza l’armatura e a incidere le carni là dove essa non lo proteggeva. Callimaco urlò di dolore e i lacci si impregnarono del suo sangue.

"Arrenditi e dichiara il mio trionfo. In alternativa morirai dissanguato o avrai gli arti troncati. Uno a uno proclamerete la superiorità di Ade e della sua schiera che io rappresento!"

Pegasios scattò istintivamente per soccorrere il compagno ma Ade lo intercettò. "Spada dell’Ade!" Il fendente colse il giovane in controtempo e incise l’armatura divina nella regione dell’addome, seppur in modo superficiale.

Dietro di lui Astylos aveva gli occhi sbarrati dall’orrore. Aveva visto morire uno dei suoi più valenti compagni di battaglia, Plistene, ed ora vedeva Callimaco in procinto di subire una fine altrettanto orrenda e simile a quella toccata in sorte al suo allievo Archelao. L’altro suo allievo si stava confrontando con Ade. Per quanto potesse pensare ad un’azione e ammesso fosse nelle condizioni di portarla a termine non sapeva risolversi con la rapidità che avrebbe voluto. Così accadde che fu il Grande Sacerdote a precederlo.

Policrate aveva perso molto sangue a causa della ferita alla spalla vedere Callimaco straziato a quel modo lo aveva scosso a tal punto da fargli attingere energie che non credeva di possedere. Fu così che lo spirito guerriero, sopito e latente dal giorno in cui era stato nominato Grande Sacerdote, si destò repentinamente, fulgido come ai tempi della Guerra Sacra contro Ares.

"Giudice degli Inferi! Minosse!" ruggì Policrate e la sua espressione metteva paura. "Affronta me se credi di essere tanto potente. Per la Sacra Excalibur!!!"

Il fendente baluginò nella notte ma Minosse lo evitò senza danni, tuttavia i lacci con i quali aveva avvinto la sua vittima furono stati recisi. "Come preferisci, Grande Sacerdote! Ce n’è anche per te! Dominio Cosmico!"

Ade non ebbe nemmeno il tempo di adirarsi, di ricordare al Giudice degli Inferi che era suo privilegio versare il sangue di Policrate che quello era già avvinto nei lacci e gridava di dolore, la veste lacera e intrisa di sangue. "Hai perso la parola, nobile Policrate?" lo schernì Minosse.

"Lascialo Minosse, è mio!" disse Ade con tono perentorio.

Minosse riacquisì il controllo di sé ed ebbe timore di recare oltraggio al suo signore. Mantenendo in tensione i lacci disse come a giustificarsi. "Lo tengo prigioniero per voi, per quando sarà il momento."

Non riuscì a finire la frase che una voce gridò e un lampo dorato attraversò il suo campo visivo. "Per voi, maestro!"

Policrate si accese di luce dorata, i vincoli di Minosse furono fatti a pezzi mentre l’armatura del Capricorno si disponeva sulle membra del Grande Sacerdote. Che sensazione piacevole ritrovare dopo anni il contatto con quelle vestigia con le quali aveva compiuto imprese su imprese. Fu come se gli anni della sua giovinezza gli fossero restituiti ad un tratto e con essi il ricordo dei volti di amici e compagni che non c’erano più. Si sentì d’un tratto più vigoroso, più determinato. Rivisse la stessa emozione provata nel lontano giorno della sua investitura davanti al sorriso e agli occhi benevoli della dea.

"Cosa speri di fare?" lo apostrofò Minosse.

"Coraggio, maestro!" lo incitò Callimaco parlando tra i denti a causa del dolore.

Policrate guardò all’allievo, piegato e sanguinante. Guardò Pegasios, affrontare Ade in persona con la sfrontatezza dei suoi vent’anni. Guardò Atena, sul cui volto gli parve di vedere l’accenno di un sorriso. Non avrebbe deluso nessuno di loro. Come compagno d’armi, come maestro, come Grande Sacerdote e soprattutto come devoto di Atena. Il nemico andava abbattuto e subito. Era quello che avrebbe fatto.

Cominciò ad espandere il suo cosmo. "Callimaco, guarda!" disse con voce tonante.

"Maestro…" mormorò il giovane sollevando lo sguardo ammirato. Policrate era avvolto da un cosmo radioso come mai aveva visto prima, uno cosmo che espandendosi illuminò la notte e lasciò attonita la stessa Persefone, fece indietreggiare di un passo Minosse e attirò l’attenzione dello stesso Ade.

Policrate infine parlò: "Callimaco, questa è la tecnica sulla quale mi stavo esercitando prima dell’inizio della Sacra Guerra contro Ares. Nominato Grande Sacerdote alla fine del conflitto, non ho avuto più tempo per affinarla. Le recenti vicissitudini mi hanno però portato a indagare nel profondo del mio animo, a mettere ancora alla prova il mio cosmo vitale e a raggiungere la consapevolezza necessaria per far uso di tale potere. Posso solo sperare che esso sia sufficiente per abbattere l’ostacolo che ci si para davanti. Cerca di cogliere l’essenza di quel che vedrai e forse un giorno sarai tu a replicare questo colpo."

"Sono con voi, maestro!"

Policrate avvertì in sé, come fosse cosa viva, la stima e la fiducia che Callimaco nutriva nei suoi confronti. Pure Atena lo stava incoraggiando con lo sguardo e allora comprese che era il momento di liberare il proprio cosmo. "Guarda, Callimaco! Questo è il più grande potere di Excalibur." Portò il braccio in avanti e gridò: "In nome vostro, Atena! Per il Sacro Capricorn! Lame Scintillanti!!!"

Mille lame si sprigionarono dal suo braccio, lame di luce, lame che impazzite saettarono in ogni direzione. Solo apparentemente in ogni direzione. Il loro bersaglio era uno soltanto e in pochi istanti lo raggiunsero. Minosse non ebbe nemmeno il tempo di abbozzare una difesa. La sua armatura parve diventare incandescente, poi cominciò ad andare in frantumi mentre fendenti lo colpivano in ogni dove, facendolo a pezzi tra urla e clangore metallico.

"No, non può essere!" gridava il Giudice impazzito di dolore. Espanse il suo cosmo e un’espressione malvagia comparve sul suo volto. "Non otterrai questa vittoria! Scendi in Ade, sacrilego sacerdote di Atena! Tuono di Minosse!!!" L’attaccò si sprigionò poderoso ma fu smorzato dall’attacco di Policrate e poi si spense repentino assieme alla voce stessa del Giudice.

Le Lame Scintillanti imperversarono ancora per un po’ nella notte, anche dopo che l’avversario era caduto a terra, vinto, annientato e con un’espressione stralunata, poi si spensero nella notte e tutto fu silenzio.

Pegasios e Ade non erano lontani dalla traiettoria di quel colpo devastante. Il cavaliere di bronzo avvertì un bruciore ad una guancia e, portata una mano al viso, si rese conto di essere stato ferito. Tornò a concentrarsi su Ade, quasi spaventato per quella distrazione che poteva essere fatale e allora lo vide. Vide che uno dei coprispalla di Ade era stato intaccato dal colpo del Grande Sacerdote. Una scalfittura, poco più, ma abbastanza per accendere la speranza nel suo cuore. Se l’armatura di un dio poteva essere offesa e danneggiata allora forse egli stesso poteva essere colpito, poteva essere ferito, poteva essere vinto. Vi era solo un modo per saperlo. Provare.

Ade sgranò gli occhi. "Con un solo colpo… Hai abbattuto un Giudice degli Inferi con un solo colpo!"

Policrate si piegò sulle ginocchia, spossato dallo sforzo.

"Maestro!" gemette Callimaco.

"Policrate!" gridò Astylos.

"Cavaliere!" lo invocò Atena.

Il Grande Sacerdote fissò Atena e sorrise, seppur a fatica. "Ora tocca a voi. Il mio compito è terminato." Guardò poi Callimaco. "Questa appartiene a te. Ti ringrazio di avermela fatta indossare ancora una volta." Espanse il suo cosmo, o quel che ne rimaneva, e si liberò dell’armatura, che tornò a rivestire Callimaco.

Ade si fece avanti. Colpì Pegasios e lo fece arretrare con un colpo che scaturì dal suo pugno. Brandì la sua lama e fu si Policrate. "Spada dell’Ade!"

"Excalibur!"

Le lame scintillarono in aria ma lo scontro era impari e Policrate lo sapeva. Pegasios provò ad intervenire e lo stesso fece Astylos, mentre Callimaco gridava. Troppo tardi. Ade spezzò la resistenza del Grande Sacerdote di Atena e si preparò a menare il fendente fatale.

***

Anassilao si sollevò a fatica. Era fradicio. Il colpo di Trittolemo era stato duro. Si rimise in piedi e si guardò attorno: sembrava che finalmente fossero tornati nel mondo reale. Era buio, era fresco e si intravedevano nella penombra pini e latifoglie della valle, cosa che diede un gran sollievo al cavaliere dei Gemelli.

Trittolemo stava davanti a lui, pensieroso.

"Ti stupisci che sia ancora vivo?" chiese Anassilao

"No, affatto. Non sei certo tu al centro dei miei pensieri." Lo guardò con aria assorta. "I tuoi compagni si stanno facendo valere. Ho avvertito un cosmo splendente espandersi in modo prodigioso."

"Mi sembri preoccupato. C’è dell’altro, parla." insistette Anassilao.

"Minosse è caduto. Tre dei Giudici degli Inferi sono stati sconfitti."

"Temi quindi che la tua ora sia vicina?" lo irrise Anassilao, ma subito capì che ci doveva essere dell’altro.

"Saresti uno sciocco se credessi questo. Temo quello che può avvenire ora, nello scontro tra divinità."

"Atena…"

"Lo so benissimo che non può combattere, ma ora Ade è solo e Persefone vorrà combattere al suo fianco." disse il Giudice con aria assorta.

"Allora devo vincerti al più presto e poi prepararmi a combattere contro due divinità."

Trittolemo aveva un’espressione grave. C’era qualcosa che lo preoccupava e Anassilao voleva assolutamente capire di cosa si trattasse.

***

"Spada di Ade!"

"Excalibur!"

Il braccio di Policate, già indebolito dalla ferita alla spalla, cedette di schianto. Uno schizzo di sangue, poi un altro affondo di Ade alla testa del Grande Sacerdote. No, non alla testa, al collo. Un colpo preciso e micidiale. Un altro fiotto di sangue e Ade fu soddisfatto.

Policrate ebbe la vista annebbiata e si accasciò sulle ginocchia. Sapeva benissimo che stava morendo ma nell’estremo istante ebbe più paura per la dea che lasciava indifesa che per la sua stessa sorte, che sapeva segnata da tempo. La collera del dio degli Inferi lo aveva infine raggiunto. I Campi Elisi… Sì, dovevano essere là, da qualche parte, oltre l’Acheronte, e forse presto si sarebbe trovato al cospetto di Pleistarco di Sounio e Callistrato di Egina, i Grandi Sacerdoti suoi predecessori, sperando di essere degno di appartenere allo loro schiera. Aveva compiuto il suo dovere e servito la dea come meglio poteva. Udì le voci disperate di Astylos, Callimaco, Pegasios, Polissena e di Atena invocare il suo nome. Cadde in avanti ma prima di esalare l’ultimo respiro riuscì a mormorare: "E’ tutto nelle vostre mani…"

A Callimaco, già prostrato dalle ferite, i sensi vennero meno. Astylos raggelò e restò rigido, con il dardo dorato in mano, senza riuscire ad incoccarlo. Polissena scoppiò in lacrime.

"Vuoi vederli morire tutti uno ad uno, Atena?" Chiese Persefone alla dea. "O preferisci dichiararti vinta ora?"

Atena avrebbe voluto riversare su Ade la furia del suo cosmo. Avrebbe voluto riprendere duramente la figlia di Demetra per le sue parole. Persefone ora sembrava essere solo e soltanto la moglie di Ade, la signora degli Inferi, e affatto la figlia della dea delle messi. Avrebbe certo avuto una considerazione maggiore per la vita se avesse posto mente agli insegnamenti materni. Stava infine per parlare ma qualcuno la prevenne.

Pegasios urlò contro Ade con furia. "Come avete osato?"

"Modera i toni, mortale. Tu sarai il prossimo."

"Come desiderate! Ma le mie azioni non saranno affatto moderate. Cometa di Pegasus!!!"

Ade scattò di lato ma il colpo era ad ampio raggio e fu centrato ugualmente. La sua corazza nera emise un suono sinistro e per un istante brillò. Il dio piantò gli occhi in quelli del giovane.

"La tua forza aumenta di attacco in attacco. Sei sbalorditivo, ma non sarai mai a livello di un dio, sebbene le tue vestigia siano indubbiamente di natura divina. Mi chiedo cosa abbia spinto Efesto a realizzare un artefatto del genere sapendo che era destinato ad un mortale. Avrebbe fatto meglio a fare un uso più avveduto della sua arte. D’altro canto perché stupirsi? Non sarebbe certo l’unico tra gli Olimpici ad aver perso il senno. Dico bene Atena? Che hai deciso?"

"Lasciala in pace, sono io il tuo avversario!" dichiarò Pegasios imprimendo maggior vigore all’attacco.

"Lo credi davvero?" Ade aprì un palmo e vi concentrò il proprio cosmo. "Sei uno sciocco e un presuntuoso. Addio Pegasios, via a raggiungere il Grande Sacerdote! Cancelli dell’Ade!!!" Un portale luminoso si aprì nelle tenebre. Pegasios balzò all’indietro per sottrarvisi ma fu tutto inutile. Si contorse, si dimenò ma fu attratto da quel varco e scomparve nella notte con un urlo disperato.

"La tua armatura divina non ti gioverà nel tuo viaggio verso l’Ade!"

Astylos, incurante del dolore alla gamba si era alzato in piedi, gli occhi sbarrati. "Dove… Dove lo avete andato?"

"Sulle rive dell’Acheronte. Là la sua vita si spegnerà poco a poco e una volta diventato un’ombra passerà oltre il fiume e si avvierà verso il Tartaro, dove è giusto che stia. Ma non ti dar pena per lui. Il prossimo a cadere sarai tu. Almeno che Atena non chieda la resa e la chieda ora!"

La figlia di Zeus si liberò della stretta di Persefone e fissò il Cronide con i suoi occhi verdi. "Il mio cuore piange lacrime di sangue per la fine dei miei devoti, ma tu Ade sei un folle se credi che io ceda e ti lasci mano libera sull’umanità, su coloro che vivono sotto le stelle. Quanti più orrori, quante altre morti dovrei sopportare? No Ade, se questa Guerra Sacra deve giungere alle estreme conseguenze allora sia! Sono pronta a combatterla fino in fondo!" Il suo spirito ardeva ora indomito e la sua determinazione era quella del loro precedente incontro, al Santuario di Atene. Pure Persefone era impressionata dal repentino cambiamento nello stato d‘animo della sua congiunta e nella forza indomita del suo cosmo divino che era come una scintilla che emanasse tuttavia una luce intensissima.

"Come preferisci, nipote mia." disse gelido Ade. "Le estreme conseguenze… Sono la morte di Astylos!"

Astylos tese l’arco. "Non mi lascerò abbattere tanto facilmente. Per il Sacro Sagitter!!!"

"Stolto, diventerai tu stesso il tuo bersaglio, dovresti averlo capito ormai." Il dardo rimbalzò infatti sulla corazza di Ade e saettò indietro, verso Astylos. Lo stava per colpire quando intercettò qualcosa che lo deviò e lo fece cadere a terra.

"Che succede?" esclamò sorpreso il dio.

Astylos guardò alla sua destra e vide una figura con le braccia spalancate che gli sorrideva.

"Perdona il ritardo, amico mio." disse Archita dell’Ariete.

Ade non si scompose. "Un altro devoto di Atena è venuto a offrirsi in sacrificio per la propria dea. Dovrei essere sorpreso ma ormai non mi stupisco più di nulla. Devo ammettere però che la tua tecnica difensiva è interessante."

Archita comprese che doveva stare in guardia.

"Come vedi, cavaliere, in molti sono già caduti per difendere Atena. Compreso il vostro Grande Sacerdote. Tu che conti di fare?"

Fu allora che Archita vide Policrate riverso a terra, il sangue che lordava la sua stola. Inorridì e un brivido lo scosse. Policrate, la loro guida. Policrate, l’amico di lunga data. Policrate, un combattente formidabile. Policrate, una vita al servizio della dea e a fianco dei suoi compagni.

"Rispondo io per te, mortale. Resterai in attesa che Atena decida di dichiararsi vinta o vedrai morire il tuo compagno Astylos, che dal canto suo sarà ansioso di raggiungere il suo allievo Pegasios. Poi, se la tua dea non avrà maturato miglior consiglio, verrà il tuo turno."

Astylos mosse un passo in avanti. "Che tu sia maledetto, figlio di Crono."

Nessuno riuscì ad aggiungere o fare altro. Una luce si accese alle pendici del Parnaso. Prima tremula nella notte poi sempre più vigorosa, fino a diventare una fiamma, chiaramente visibile.

Ade era stupefatto. "Si direbbe si trovi al Santuario di Apollo." mormorò.

"Non vi sbagliate." si intromise sicuro di sé Archita. "Quello è il Sole. Il nostro Sole. L’ora di scuotere le tenebre che avete steso sull’ecumene è giunta!"

***

Trittolemo guardò ammirato la luce che ardeva lontana. "Un cosmo potente. Un cosmo che però è malinconico e triste. Direi… che sta consumando se stesso."

Anassilao guardava rapito quel bagliore notturno. "Chi può essere capace di tanto? Sembrerebbe… No, non ci credo. Come può riuscirci?"

"Un tuo compagno d’armi, suppongo. Una cosa è certa" continuò Trittolemo "se continua ad illuminare così la notte e ad ardere a tal punto il suo cosmo tra un po’ non rimarrà niente di lui. A che scopo un’azione tanto sciagurata?"

"Una luce di speranza…" disse a mezza voce Anassilao.

"Come dici? Non può esservi speranza per chi brucia se stesso a quel modo."

"Quella è la speranza che vuole donare a noi. Ma non pretendo che tu capisca queste piccolezze da mortali. Che ne sai tu di speranza e amore?"

"Dimentichi forse che sono stato un uomo? Credi che non sappia cosa può lacerare l’animo umano? Ma quest’espansione di cosmo fine a se stessa, che non può nuocere a noi e non può giovare a voi… faccio fatica a comprenderla."

"Pure io. Ma intuisco quale sia la disperazione di Metoneo dell’Altare. Solo una cosa può averlo spinto oltre i suoi limiti. La perdita di qualcuno che amava. Qualcuno cui era sommamente legato. Solo un nome si affaccia alla mia mente e mi rattristo al pensiero che non sia più con noi."

"Una donna…"

"Elettra…" mormorò Anassilao. "Metoneo sta squarciando le tenebre per noi bruciando il suo cosmo col suo amore per Elettra." Si voltò a guardare il suo avversario. "Non posso più indugiare, Giudice degli Inferi. Devo salvare la dea. Devo soccorrere i miei compagni di battaglia. E per far questo devo sconfiggere te e il tuo signore."

"Impresa che è al di là della tua portata, ne sei conscio?"

"Non lo saprò mai finché non avrò provato. Ardi cosmo di Gemini!" La sua costellazione brillò dietro di lui. "Per il Sacro Gemini! Esplosione Galattica!!!"

Trittolemo rispose da par suo. "E sia, Anassilao. Dal momento che la resa dei conti è giunta, resa dei conti sia." La sua aura vitale si espanse e una luce dorata lo avvolse. "Dici che non conosco speranza e amore? Quanto ti sbagli, Anassilao! Mistero dell’Amore!!!"

Il nome di quella tecnica sorprese a tal punto Anassilao che per un istante esitò. L’Amore… un Giudice degli Inferi possedeva una tecnica che avrebbe potuto benissimo essere propria di un cavaliere di Atena. Fu un attimo solo, ma tanto bastò perché l’Esplosione Galattica non riuscisse a contenere a pieno l’attacco di Trittolemo. L’emanazione cosmica del Giudice ebbe il sopravvento e il Cavaliere dei Gemelli sentì che stava per essere sopraffatto.

***

"Il vostro Sole…"disse sprezzante Ade. "Ai tuoi devoti non fa difetto il senso dell’umorismo, Atena. Cosa sperate di ottenere con tutto ciò?"

"Forse dimostrare le vostre tenebre non possono imperversare in ogni dove, Sommo Ade!" rispose Archita.

"Una scintilla nella notte… che bruci pure." replicò freddo Ade. "Si consumerà presto, ma ben prima di essa si sarà consumata la vostra vita."

In quella però il bagliore aumentò, prima in modo lieve e poi con maggior decisione. La luce era sufficientemente forte da proiettare delle ombre, seppur vaghe e incerte.

"Metoneo, non fare pazzie…" mormorò Archita. Poi a gran voce. "Questa che avete definito scintilla potrebbe ora far divampare un incendio, non credete?"

"Le tue parole mi hanno stancato." disse gelido Ade.

Atena non era però rimasta a guardare. Se un Cavaliere d’Argento poteva portare conforto e speranza travalicando i propri limiti, ella doveva fare altrettanto. Il suo cosmo divino era solo una scintilla? Ebbene, lo avrebbe fatto ardere con maggiore intensità. Era un dea, la dea della guerra. E che guerra fosse!

Atena fece brillare il proprio cosmo e richiamò a sé l’Egida. Persefone fu presa alla sprovvista da tale mossa. Atena afferrò lo scudo con decisone e con un lampo d’orgoglio negli occhi e prima che la figlia di Demetra potesse fare qualcosa la colpì di piatto con l’artefatto divino, facendola cadere a terra.

"Perdona, Kora, ma il momento mi impone di essere inflessibile!"

Persefone sgranò gli occhi, incredula. L’abbattimento, il senso di colpa, la remissività che aveva visto negli occhi di Atena fino a poco prima erano del tutto scomparsi. La figlia di Zeus era pronta a scendere in battaglia, negli occhi la stessa determinazione che aveva ammirato quel lontano giorno sui prati di Sicilia, quando Atena era pronta ad affrontare Ade che la stava rapendo, prima che qualcuno giungesse a impedirglielo. Non aveva più ripensato a quello sguardo. Aveva fisso nella mente quello che era accaduto dopo, Atena che rinunciava alla lotta e lei che spariva nel buio…

Atena si portò rapidamente tra Astylos e Archita. "Riparatevi dietro il mio scudo, miei Cavalieri. Sarò per voi difesa, finché le forze mi sosterranno. Voi pensate solo a colpire Ade, ad aprire una breccia nelle sue difese. So che potete farlo."

Rinfrancati da tali parole e dallo sguardo d’incoraggiamento della dea, Astylos e Archita si prepararono alla lotta.

***

Pegasios si rese conto di giacere su una superficie limacciosa e fredda, ma a destarlo completamente furono grida e lamenti. Si alzò, indolenzito, e si accorse di non essere solo. Figure grigie, per lo più smunte ed eteree, dalle espressioni afflitte e impaurite, alcune di anziani altre di giovani, stavano attorno a lui. Tutte parevano accalcarsi verso un punto non definito. Si fece largo e notò che i più sobbalzavano e si ritraevano al contatto con lui. La sua armatura emanava una luce bianca. Percorse una distanza non troppo ampia e poi vide quello cui tutti tendevano. Una distesa d’acqua, un fiume torbido del quale non si poteva scorgere la riva opposta. Alla sua sinistra, oltre le teste di chi stava davanti a lui, notò un’imbarcazione che si stava avvicinando alla riva. D’un tratto si arrestò. Chi reggeva la barra era smunto quasi al pari di chi attendeva e aveva un’espressione corrucciata e affaticata. Un mantello lercio e umido pendeva alle sue spalle e pareva quasi che non ricoprisse un corpo vero. Il demone, perché era evidente che di quello si trattava, sembrava essere pure lui un’ombra. Ciò non aveva senso ma Pegasios aveva altro di cui preoccuparsi. Era evidente che si trovava sulle rive dell’Acheronte. Le gambe gli cedettero.

***

"Per il Sacro Sagitter! Tempesta di Dardi!"

"Per il Sacro Ariete! Rivoluzione Stellare!"

L’Egida subì il colpo del Cronide e Atena serrò i denti nello sforzo di sostenere il peso di quell’attacco. Ade, slanciatosi in avanti, subì i colpi di Astylos e Archita e sparì in un alone di luce.

"Forse lo abbiamo colpito…" mormorò Astylos. Archita annuì.

Il dio tuttavia riapparve quasi subito, senza mostrare nessuna ferita. "Avete quasi raggiunto la potenza che poco fa ha saputo sprigionare il vostro sacrilego Grande Sacerdote, ma ancora non basta. E non basterebbe nemmeno se oltrepassaste tutti e due quella soglia. Avete a che fare con un dio, non dimenticatelo. E non dimenticate cosa è appena accaduto ai vostri compagni d’armi."

Archita scrutò l’armatura intatta e immacolata del dio ma non si fece impressionare: "Voi tuttavia dimenticate che pure Ares è un dio eppure non mi pare abbia avuto la meglio su di noi in battaglia. Quanto a Policrate, che assurdità da parte vostra chiamalo sacrilego. Così definite chi ha combattuto fino all’ultimo per la propria dea?"

"Il vostro Policrate ha osato farsi beffe di me, tanto basta per meritargli quel che gli è toccato. Per quanto Ares possa essere temibile in battaglia egli non è uno dei figli di Crono!" disse severo Ade. "Atena, quanto deve proseguire questo scontro dall’esito già segnato?" aggiunse poi.

"Fino alla tua sconfitta." replicò lei con decisione.

"Vaneggi."

In quella un cosmo si espanse e qualcosa colpì Atena, che dovette portarsi una mano al volto. Persefone stava ritta al fianco di Ade e una sfera di luce brillava nella sua mano. "Atena, è finita. Nemmeno dei tuoi devoti hai pietà? Tutti li vuoi condurre alla morte? La tua ostinazione è incomprensibile di fronte ad un esito già scritto."

"Sarà il Fato a decidere l’esito della contesa, Kora."

Un voce sovrastò quella di Atena. "Credo allora che il Fato abbia già indirizzato verso l’esito finale questo scontro. Pochi tra i devoti di Atena resistono, a quanto vedo." Trittolemo avanzò con passo sicuro, fiero nella sua splendida armatura dai riflessi blu.

"Dei devoti di Ade mi pare che sia rimasto soltanto tu." replicò placido Atena. Il Rosario di Virgo confermava le sue parole. Solo una perla brillava ancora, tutte le altre erano opache. "Eravate una nutrita schiera, se non ricordo male."

Trittolemo ignorò quelle parole. Ade si rivolse al Giudice. "Benarrivato, Trittolemo." Poi ad Atena e di rimando ad Archita. "Due divinità e uno dei Giudici degli Inferi contro una dea spossata, un cavaliere malconcio e un solo combattente nel pieno delle sue forze." Guardando dov’erano Callimaco e Polissena aggiunse "Ah, dimentico quell’altro cavaliere agonizzante e la ragazzina impudente. Che schiera poderosa e temibile! Non ho l’ardire di interpretare il volere del Fato ma credo di immaginare come finirà questa Guerra Sacra."

Trittolemo guardò il suo signore, poi Persefone e sperò che Ade non si sbagliasse.

***

Pegasios si guardò le mani. Erano sporche di fango ma i bracciali della sua armatura rilucevano sotto quella coltre di sporcizia. Non avrebbe mai creduto che potesse finire così. La luce della sua armatura sarebbe stata l’ultima cosa bella che avrebbe visto prima di scivolare oltre l’Acheronte, ma notò che l’intensità andava diminuendo. Pensò alla dea e si dolse di non poterle più essere d’aiuto. Era stato un cavaliere degno di lei? Avrebbe potuto fare di più? Certo, era caduto al cospetto di un dio, al cospetto di Ade in persona però…

Una mano sulla sua spalla arrestò quel flusso di pensieri. Sollevò lo guardo e il volto che vide lo fece sussultare. Quello si limitò ad abbozzare un sorriso ma ridivenne subito serio e porgendogli la mano lo invitò ad alzarsi. "Non credo che questo sia il tuo posto, Pegasios. La tua luce non si è ancora del tutto spenta."

***

Callimaco avvertì una mano posarsi sul suo braccio sano. "Come stai, cavaliere?"

Aprì gli occhi e vide un volto luminoso e una cascata di capelli neri. Pensò a Melissa ma sapeva che non poteva trattarsi di lei. "Chi sei?"

"Mi chiamo Polissena."

Polissena. Ricordava vagamente quel nome. Doveva averla già vista in passato, al Santuario, forse poco prima di completare l’addestramento. Vide le sue braccia coperte di sangue. "Sei ferita."

"Lo sei anche tu." minimizzò lei mentre guardava con orrore le lacerazioni sulle gambe e sulle braccia di lui. Stava perdendo molto sangue. Doveva cercare di arrestare quell’emorragia. Strappò con decisione parte della propria veste, la fece a pezzi e ne ricavò delle rozze bende. Poi espanse il suo cosmo, tremando per lo sforzo mentre le braccia le bruciavano di dolore e sanguinavano. Avvertì il calore nelle proprie mani. Cominciò a fasciare le ferite, comprimendole e serrando con forza i lacci. Ad ogni strattone un gemito. Quando ebbe finito aveva le mani rigide e la vista le si annebbiava.

"Cerca di non muoverti troppo." disse con dolcezza.

"Devo pur alzarmi, prima o poi. Atena…"

"Hai perso molto sangue." Replicò decisa e premurosa al tempo stesso. "Devi restare disteso."

"Sai bene che non è possibile, Polissena." Lei lo guardava interdetta. "Devo tornare a combattere… per Atena!" Il pensiero di Plistene e Policrate, che aveva veduto cadere l’uno dopo l’altro, fece montare la sua rabbia e sentì il sangue pulsargli violentemente nelle tempie.

"Non fare pazzie, sei troppo debole! Devi restare disteso!" disse lei poggiandogli una mano sul petto per non permettergli di sollevarsi. Poi aggiunse: "Sei l’allievo di Policrate, vero?"

Al nome del proprio maestro Callimaco ebbe un tremito. "Sì." Restò un attimo in silenzio poi aggiunse. "E’ anche per lui che devo rialzarmi e combattere, lo capisci?"

Polissena lesse la determinazione nei suoi occhi, poi guardò le proprie braccia ferite e realizzò che ognuno di loro, in quel momento, non avrebbe esitato a sacrificare se stesso per la vittoria di Atena. Era una dura e tragica realtà, ma nessuno di loro poteva sottrarvisi. "Volevo bene a Policrate…" disse con un filo di voce. "Anche se era severo con me… Oggi ho visto troppe persone cui volevo bene… le ho viste…" Non riuscì a trattenere un singhiozzo. "Farios, Policrate e Miacle… Miacle…" Le lacrime rigavano copiose il suo volto. "Ma dobbiamo combattere, dobbiamo lottare per spazzare via queste tenebre. Questo è il compito di chi è devoto ad Atena." Si alzò e si asciugò le lacrime. "Tu resta e riposa ancora un po’. Vado io a proteggere la dea."

"E’ anche il mio compito!" replicò Callimaco.

"Ti aiuterò io quando sarà il momento. Devi recuperare un po’ di energie. Non rischiare di buttare la tua vita ora, sarebbe inutile."

"Lo sarebbe se non dovesse servire alla vittoria. Ma devo tentare, il mio maestro lo vorrebbe!"

Polissena disse con decisione. "Forse vorrebbe anche che tu vivessi!"

"Non se questo volesse dire mancare ai miei doveri verso Atena." Provò a mettersi seduto ma le ferite e la mano fratturata dolevano in modo indicibile.

"Ma non hai qualcuno che ti ama e che ti attende? Non potete morire tutti così!" disse lei accorata.

Callimaco pensò a Melissa e gli si strinse il cuore. "Sì, credo ci sia qualcuno che mi ama e che mi attende. Ha i capelli belli e luminosi come i tuoi."

Polissena si mosse per correre in aiuto della dea. Callimaco la chiamò: "Polissena! Ricorda che hai promesso di darmi una mano a tornare sul campo di battaglia. Voglio combattere e tu dovrai essermi di sostegno." Lei annuì. Ricordando d’un tratto un episodio lontano aggiunse. "Non gettare la tua vita, Polissena. Il maestro ne avrebbe dolore."

"Farò del mio meglio." restò un attimo in attesa e poi chiese: "Come si chiama lei?"

"Melissa."

"E’ un bel nome. Me la farai conoscere?" Entrambi sapevano che in quel momento era solo un’eventualità, tuttavia Callimaco annuì. Polissena corse verso la dea e gli altri cavalieri. Callimaco vide nitidamente il volto di Melissa, rivide il campo con gli olivi, Cratilo, Corinto e il golfo. Non sapeva come, ma doveva tornare. Sì. Avrebbe dato tutto se stesso per Atena ma avrebbe trovato il modo per tornare infine da Melissa.