XXXIII
Due ombre si avvicinarono ad una figura inginocchiata. I passi di uno dei nuovi venuti si fecero più rapidi e in un attimo fu vicino a colui che giaceva vinto. Vide la freccia dorata, vide il sangue, udì quel respiro affannoso mentre due occhi, a fatica, si alzavano a cercare i suoi.
"Eaco…" disse il nuovo venuto.
"Tu qui?" rispose il Giudice a fatica. "Arrivi in tempo per prendere il mio posto…"
"Chi ti ha fatto questo?"
Eaco si limitò a scuotere il capo e a stringere la freccia che aveva conficcata nel petto. "Non ha più importanza ormai… è finita…"
"No, non è finita." Si alzò e chiamò chi era venuto assieme a lui.
Una seconda figura si inginocchiò vicino ad Eaco e con voce premurosa disse: "Non temere, Eaco, mio devoto servitore! Atena e i suoi cavalieri non resteranno impuniti per questo. Il tuo spirito gioirà presto per la nostra vittoria." E gli carezzò il volto.
Eaco avvertì la dolcezza di quel tocco e provò sollievo: "Vi ringrazio, mia signora. Avrei voluto… poter fare di più…"
Persefone disse con trasporto: "So che ti sei battuto da valoroso e anche Ade lo sa. Atena… Atena pagherà per questo! I miei timori erano fondati ma vedrai, presto ella sarà sconfitta. Per questo sono qui."
Eaco ebbe istintivamente paura per lei anche se non avrebbe saputo dire il perché di quel presagio. "Persefone… mia signora… state in guardia!" Poi alzò gli occhi sul compagno e disse: "Proteggi la nostra dea, Trittolemo!"
"Hai la mia parola di Giudice degli Inferi." replicò fiero lui.
"State molto attenti a quel ragazzo… quel Pegasios… Ora… me ne torno in Ade…"
Persefone e Trittolemo videro Eaco estrarre la freccia d’oro con un gesto rapido, secco. Un ultimo fiotto di sangue e uno dei quattro Giudici degli Inferi tornò ad essere puro spirito.
Trittolemo fu il primo a rompere il silenzio dopo che Eaco si era accasciato a terra. "Divina Persefone, avverto il cosmo di Ade ardere vigoroso. La battaglia finale dev’essere già iniziata. Ci conviene affrettarci."
"Allora andiamo, mio devoto Trittolemo. Non voglio mancare al momento in cui Atena morderà la polvere e sarà sola in mezzo ai suoi cavalieri, caduti al cospetto di Ade… e al mio!"
Trittolemo colse il moto di stizza nelle parole della dea. Conosceva bene la causa del suo rancore e non poteva che condividerla e appoggiarla. Suo compito tuttavia era principalmente proteggere la sua signora ed era quello che avrebbe fatto. Per nessun altro motivo avrebbe abbandonato le sue sedi se non per essere al fianco della sposa del Sommo Ade.
***
Un duro confronto infuriava altrove in quello stesso momento.
Archita stava concentrando il proprio cosmo in una sfera di luce che pareva contenere tutta la costellazione dell’Ariete e rifulgeva sospesa sopra il palmo della sua mano. Nell’altra mano, ora, reggeva una spada dorata.
"Che significa, Archita? Cos’è quell’arma?" chiese dubbioso Radamante.
Archita sollevò la spada che pareva brillare di luce propria. "Non hai avvertito il cosmo della dea Atena? No, certo, come potresti! L’ora di far ricorso alle armi è giunta. Ne abbiamo la facoltà ed ecco che infatti questa spada è giunta a me. Eri così preso dai tuoi attacchi che non te ne sei nemmeno accorto!"
"Poco male, che può valerti una spada per difenderti?" Ma un dubbio si insinuò in lui.
"Sei uno stolto, Radamante! Davvero non riconosci questa spada?"
Radamante ricordava, certo. La spada della Libra, che Lisandro aveva brandito prima di essere spazzato via. "Sei tu lo sciocco, così come lo era il tuo allievo. Entrambi avete fatto affidamento su un artefatto che non poteva giovarvi." E poi sarcastico: "Almeno tu hai il consenso della tua dea. Ma l’esito dello scontro non muterà."
"Ne sei certo? Questa spada, Radamante, non serve come difesa. Né a Lisandro né a me ora. Non te ne sei reso conto? Eppure dovresti avvertire la sua presenza… la presenza di Lisandro!" Radamante era sbigottito. "Il mio allievo ha impresso in quest’arma parte del suo cosmo e con esso il ricordo, l’essenza del tuo ultimo attacco. Sperava o forse sapeva che qualcuno ne avrebbe fatto uso e avrebbe percepito il suo muto avvertimento." La voce di Archita si incrinò per un attimo. "Ho avuto il suo messaggio. Di questo puoi ringraziare anche la tua antica compagna di battaglia. Con il messaggio sapevo che arma scegliere. Scegli la spada, queste parole mi sono risuonate nella mente. Nel momento in cui, poco fa, Atena ha concesso ad ognuno di noi la facoltà di scegliere una delle dodici armi della Libra, non ho avuto dubbi. Ecco dunque la spada di Libra, tramite la quale Lisandro mi ha fatto sapere quali sono gli effetti del tuo attacco più temibile!"
"Siate dannati! Con l’inganno, solo con l’inganno riuscite a tenerci testa!"
"Proprio tu parli di inganno." disse Archita avvicinandosi a lui. "Tu non sai cos’è virtù."
"Taci! Ti dimostrerò coi fatti che il cosmo di uno Spettro di Ade è superiore!"
"Radamante, ti sei mai domandato cosa sia veramente il cosmo di un cavaliere di Atena e cosa lo distingua da un cosmo qualunque? Ebbene, eccoti la risposta!" Sollevò la mano sulla quale la sfera di luce pareva sul punto di incendiarsi.
Il cielo alle spalle di Archita si accese di stelle, che tremolavano e parevano entrare in risonanza con il suo stesso cosmo. L’armatura brillò più vivida e la luce delle stelle della costellazione dell’Ariete si rifletteva su di essa. Poi il cavaliere di Atena caricò il colpo e distese il braccio aprendo la mano con il palmo rivolto verso il suo avversario. "Per il Sacro Ariete! Onda di Luce Stellare!!!"
Radamante tentò il tutto per tutto, imprimendo il massimo vigore nell’attacco: "Voragine Infernale!" Ma il suo attacco fu spento sul nascere e il cosmo di luce di Archita lo travolse. L’armatura andò in pezzi ed egli sparì nella notte. L’onda d’urto e l’esplosione di luce fecero sussultare tutti coloro che erano nelle vicinanze e poi fu l’urlo di vittoria di Archita a spazzare la notte. "Per voi, Atena!!!"
***
"Cos’è stato, Anassilao?"
"Mai udita una cosa simile. Fa rabbrividire. Ne riconosco il cosmo, tu no?"
Callimaco allora capì. "Archita."
Anassilao annuì: "Sembra che la battaglia infuri intorno a noi."
"Così pare. E avverti pure tu questi cosmi divini?"
"Sì."
"Non perdiamo tempo allora."
"Andiamo. Atena e i nostri compagni hanno bisogno di noi!"
Anassilao e Callimaco mossero pochi passi. Due figure si fecero loro incontro.
"Sembra che abbiamo già trovato alcuni dei nostri avversari, mia signora." disse una voce nobile.
"Chi sei?" disse Anassilao guardingo.
"Trittolemo è il mio nome e sono uno dei Giudici degli Inferi!"
Anassilao e Callimaco restarono interdetti. I Giudici dell’Ade erano dunque quattro. La disputa mitologica sul loro numero era risolta ma nel modo a loro più sfavorevole, pensarono i due devoti di Atena che al Santuario, oltre ad apprendere le tecniche di combattimento, avevano avuto una robusta formazione riguardo i miti di dei e di eroi, dal momento che, pensiero di Atena, chi combatte deve nutrire e alimentare anche la mente ed essere stimolato dagli esempi; vi era poi il vantaggio, non da poco, che al termine delle dure giornate di addestramento i giovani cavalieri avevano modo di rilassarsi e distrarsi ascoltando tutti assieme quei racconti e quei miti che erano narrati, di volta in volta, da uno dei cavalieri più anziani o di più provata esperienza. Si trattava di alcuni dei momenti che i cavalieri di Atena, a distanza di anni, ricordavano solitamente con più piacere anche se la maggior parte di loro, all’inizio, faticava a comprenderne l’utilità o ad apprezzarli; con l’andar del tempo tuttavia in loro scattava qualcosa e si rendevano infine conto di quanto si rafforzassero i vincoli che li legavano, loro che solitamente, durante la giornata, si addestravano separati gli uni dagli altri; si diventava compagni d’armi, devoti della dea stimolati dalla competizione ma anche in virtù della condivisione, di quelle pratiche che per loro natura portano al confronto e generano amicizie. Tuttavia, in quel momento, per Anassilao e Callimaco non fu tanto l’idea di dover affrontare questo nuovo nemico a dar loro inquietudine, quanto affrontare la donna che lo accompagnava. Anzi no, non la donna. La dea. Perché appena si era avvicinata non avevano avuto dubbi circa il suo cosmo divino. E quella dea poteva essere solo Persefone. La sposa di Ade era scesa in campo.
***
Archita crollò a terra, spossato dallo sforzo. Avrebbe voluto rialzarsi subito, correre da Atena ma il suo cosmo era provato dalla dura battaglia contro Radamante. Fece dei respiri profondi e nel contempo udì il battito del suo cuore martellante nelle orecchie. Doveva pazientare, concedersi un attimo di tregua. Passò un tempo indefinito, poi udì un rumore, sempre più forte. Un rumore di passi pesanti sul pietrisco e sulla ghiaia. Alzò lo sguardo e lo vide avanzare, ciondolante. Dell’armatura restavano gli schinieri e poco altro. Il volto era contratto in una smorfia e sporco di sangue. Torace, braccia e mani erano coperte di lividi e ferite. Ma lo sguardo non era cambiato.
"Non è ancora finita…" disse con voce incrinata Radamante.
Archita lo squadrò e replicò: "No, non è finita, infatti ora restano da sconfiggere i tuoi parigrado, ma sono fiducioso che i miei compagni abbiano provveduto. Poi sarà la volta di Ade. Ci attende una dura lotta."
"Che perderete!"
"Chi può dirlo. Di certo faremo quanto in nostro potere per prevalere."
"Taci! Tu non sai nulla del potere di Ade e del regno degli Inferi!" Fece qualche passo avanti. "Ora io…"
"Tu, Radamante? Spiacente, ma non sei più della partita."
Il Giudice urlò fuori di sé: "Come osi, dannato mortale! Il Tartaro… Il Tartaro ti avrà! Adesso!" Le sue ferite buttarono sangue e i suoi occhi odio e disprezzo. "Cerchi di Spirito!!!"
Ad Archita bastò sollevare una mano: "Muro di Cristallo!"
Mentre ergeva la barriera un ricordo si affacciò alla sua mente. Era una calda giornata d’estate ad Atene e il giovane Archita, coperto di modesti abiti intrisi di sudore e polvere, stava provando dei colpi sotto la guida del proprio maestro. Nel pieno della spregiudicatezza dei suoi sedici anni Archita stava dando fondo a tutte le sue energie. "Che ne pensate, maestro?" "Niente male, ragazzo." "Come, niente male? Con questo colpo non avrei forse abbattuto un nemico?" "Può darsi, Archta, ma certo dipenderebbe molto pure dalla natura del nemico e dalla sua forza." "Il mio cosmo, lo sento pulsare! Io credo che difficilmente saprei spingermi oltre questa soglia…" "Colpiscimi." "Come dite? "Colpiscimi, io non contrattaccherò, mi difenderò solo col mio cosmo." "Ma maestro!" "Come fossi il tuo nemico, il più terribile dei tuoi nemici, il più spaventoso. Colpiscimi, avanti." "E se… se vi ferissi, non volendolo?" Il maestro aveva sorriso, lieve. "Oh caro ragazzo. Sarai tu quello che rischia di ferirsi!" Archita aveva stima del maestro, della sua forza e della sua perizia, ma non credeva che potesse difendersi con una semplice espansione del cosmo. Tuttavia, dopo aver esitato ancora un attimo, aveva infine attaccato a fondo, sprigionando la sua energia in un destro che riteneva poderoso. Il maestro aveva espanso il cosmo e aveva fermato il colpo con il palmo della mano, senza scomporsi, senza sussultare e nemmeno arretrare. "Come avete fatto?" aveva chiesto incredulo. "In cosa credi, Archita?" Non capiva il senso della domanda. "In cosa credi?" "Io credo… in Atena. Negli dei dell’Olimpo e…" "No, no, no!" "Io…" "Tu hai troppa fede nelle tue possibilità!" "Ma certo che ne ho! Questa, mi avete sempre detto, è una condizione essenziale per diventare cavaliere della dea! Chi non crede in sé è destinato a fallire." "Certo, Archita. Nessun cavaliere di Atena diventa tale e acquisisce il controllo del proprio cosmo se non crede nelle sue capacità, se non controlla a pieno il settimo senso." "Allora io non capisco." Il maestro si era avvicinato, sorridendo mite. "Oh, è una lezione difficile e semplice al tempo stesso, mio buon Archita. Devi credere in te per essere un cavaliere, per padroneggiare il tuo cosmo, la tua aura vitale, affinare le tue tecniche di combattimento e indossare un giorno l’armatura. Ma devi pure credere anche in qualcosa per poter vincere una battaglia. Capisci? Tu credi in te, hai fede nelle tue possibilità, confidi nel fatto di aver sviluppato il tuo cosmo, di aver affinato la tua tecnica. Tutto questo ti serve, ripeto. Ma ciò non deve essere il tuo unico obiettivo, non deve essere lo scopo ultimo, capisci?" Archita intuì finalmente la verità. "Quindi dite che la mia fede verso Atena…" "E’ sincera, senza dubbio. Ma sei giovane e ora ti preme maggiormente essere un cavaliere, indossare l’armatura d’oro, piuttosto che combattere per lei. Questo, solo questo, può fare di te un vero cavaliere: sapere per cosa e soprattutto per chi combatti. Chi lotta per sé, per la gloria, per compiacere il proprio ego e per l’approvazione degli altri potrà essere un buon combattente ma alla lunga soccomberà di fronte a chi ha una fiamma più vivida che arde nel proprio animo." Archita annuì.
La voce di Radamente lo riportò alla realtà. "Maledetto! Sprofonderai negli Inferi… L’Ade ti avrà prima o poi!"
"Com’è degli uomini mortali, Radamante. Ma non certo ora per mano tua!" L’ultimo attacco del Giudice si esaurì. Archita caricò di cosmo il Muro di Cristallo e lo fece deflagrare verso il nemico, che fu atterrato dallo spostamento d’aria.
Radamante riuscì solo a mormorare: "No… sconfitto con una tecnica difensiva no…" Furono le sue ultime parole.
"La battaglia era già finita, Radamante. In verità è stata l’Onda di Luce Stellare ad annientarti." E il fatto che io combatto per qualcosa in cui credo e che condivido con altri, pensò Archita mentre il ricordo di Lisandro e di altri compagni caduti si affacciava alla mente.
***
"Trittolemo, raggiungo il sommo Ade. Occupati di costoro!" disse leggera Persefone.
"Con piacere, mia dea."
Anassilao e Callimaco si guardarono dubbiosi. Era una dea che avevano di fronte e provare a fermarla sarebbe stata ardua impresa. Tuttavia prima o poi avrebbero dovuto misurarsi pure con Ade quindi perché esitare? La guerra sacra era ormai all’epilogo, timori e sacro rispetto per le divinità andavano messi da parte, pur se ciò faceva a pugni con il buonsenso e la prudenza che era tipica dei devoti di Atena.
"Non così in fretta, divina Persefone." osò dire Anassilao.
"Come ti permetti, incauto? Non temi la signora degli Inferi e il giudizio che calerà su di te una volta che sarai morto?" disse Trittolemo.
"Non più di quanto tema di venir meno ai miei doveri verso Atena. Se per dimostrarmi degno della sua fiducia dovrò confrontarmi con un’altra divinità, poco male."
Persefone guardò il giovane e non poté non provare simpatia per lui, poiché aveva i capelli color delle messi, tanto care a sua madre.
"Sono al tuo fianco, Anassilao." s’intromise Callimaco. "Non proseguirete oltre verso il tempio della dea."
Trittolemo rise: "Il coraggio e l’audacia non vi mancano. Bene, sarà un piacere confrontarmi con voi. Tra l’altro ho un parigrado da vendicare."
In quella avvertirono un’esplosione cosmica. Anassilao riconobbe uno dei due cosmi immediatamente, poi pure l’altro. "Radamante…" disse a bassa voce. "Sembra che Archita ce l’abbia fatta."
Trittolemo gettò uno sguardo nella notte e parve perplesso.
"Ora hai due parigrado da vendicare, giudice degli Inferi." disse grave Callimaco.
"Qualcosa di straordinario sta accadendo qui. Ma non pensate che questo significhi che sarà facile avere ragione di me." Si preparò all’attacco, alla apparenza imperturbabile.
Persefone intanto, si stava avviando verso il tempio, dove percepiva il cosmo di Ade.
"Fermatevi, Persefone!" disse Callimaco, quasi spaventato dal tono perentorio della propria voce. Mai avrebbe ardito parlare in quel modo ad Atena.
"Fermi voi!" esclamò Trittolemo. "Mistero del Profondo!"
Anassilao e Callimaco ebbero la sensazione di cadere. Increduli si guardarono attorno e si resero conto di essere sospesi in un cielo senza stelle. L’unica cosa visibile era lo stesso Trittolemo, che teneva gli occhi chiusi. La sua armatura splendeva. Di nuovo sprofondati in una notte senza stelle, come era già avvenuto per mano di Hypnos poco prima. Che fosse il preludio di nuovi incubi?
Trittolemo lesse i loro pensieri: "Non è un sonno eterno quello in cui vi ho sprofondati. E’ per certi versi qualcosa di peggio. L’abisso che è dentro ciascuno di noi, ciò che potrebbe germogliare ma spesso resta nascosto nelle profondità del nostro animo, il mistero che siamo e che non comprendiamo, la nostra incapacità di far fruttare i nostri talenti, l’attesa piena di speranza e la speranza delusa. Il saper diventare uomini, cavalieri o restare a mezzo del cammino."
Il Giudice aprì gli occhi e vi fu in repentino cambio di scena. Incredibilmente apparve la luce. La luce del Sole! La terra verdeggiante, le messi ad ondeggiare delicatamente, l’acqua a gorgogliare sonora nei rivi, un vento fresco a carezzare la pelle.
"Avete mai pensato che è dal sottosuolo che proviene la vita? Voi che ora siete presi nel vortice di questa guerra sacra certamente associate il sottosuolo al regno di Ade, al Tartaro, alle ombre dei morti, eppure la stessa terra che racchiude gli Inferi è quella che nutre i mortali. Che c’è, la vista del Sole vi commuove? Ah, dimenticavo che non lo vedete da giorni." Concluse con tono lieve.
"Chi sei in realtà?" chiese Anassilao.
"Conosci già la risposta."
"Non sembri uno Spettro dell’Ade." aggiunse Callimaco.
"Il mio incarico è in effetti molto particolare. Passo molto tempo negli Inferi… e altrettanto sull’Olimpo, con la mia signora."
"Com’è possibile?" esclamò Anassilao.
"Tra me e la divina Persefone c’è un legame di lunga data. Non conoscete il mito, cavalieri? Il mio nome è associato a quello di Demetra, possibile che non vi dica nulla?"
Callimaco rimuginava pensieroso poi diede voce ai suoi dubbi. "Ma allora, se le cose stanno come penso, Trittolemo, come hai potuto permettere agli altri Spettri di saccheggiare Eleusi? Eleusi che tanto è cara…"
"Basta così, cavaliere. Non vi devo spiegazioni e comunque sia le cose non sempre sono come appaiono."
"Lo stesso vale allora per questa visione bucolica in cui ci hai sprofondato!" sibilò Anassilao.
"Non vi preoccupate per questo, tra un po’ vi renderò inoffensivi."
Trittolemo sembrava fluttuare nel vuoto ma ora aveva assunto la posizione di attacco. "Con il mio primo attacco vi ho di fatto tolto la possibilità di replicare ai miei colpi e di attaccare a vostra volta dal momento che non potete muovervi liberamente." Era vero, constatarono i due. "Con la tecnica che sto per mostrarvi vi impedirò di combattere. Non amo sbarazzarmi dei miei nemici come i miei parigrado, tanto più che l’esito della guerra sacra ormai è segnato. Eaco e Radamante sono caduti, è vero, ma Atena nulla potrà contro Ade e Persefone. Quanto a voi, quando vi riavrete, sarà tutto finito."
Anassilao guardò Callimaco e sussurrò: "A lui penso io, tu cerca un modo di toglierti di qui." Callimaco annuì anche se non aveva ancora idea di come ci sarebbe riuscito.
"A voi, Cavalieri! Mistero della Luce!" Il cosmo di Trittolemo rifulse e dai suoi pugni si sprigionarono di fasci luminosi, due raggi infuocati.
Anassilao con uno sforzo estremo sollevo il braccio e gridò: "Demone dell’Oscurità!" Fu avvolto da un bagliore, poi tutto si fece buio.
Trittolemo vide i due avversari avvolti dalla luce del propro attacco e scomparire. Udì le loro grida di dolore nell’estremo istante. Poi tuttavia vide le piante e l’erba avvizzire, i torrenti seccarsi, i campi riarsi e gli animali morire. Anassilao e Callimaco tornare alla vita, indosso delle nere armature. "Traditore di Ade! Traditore dell’Ade!" furono le loro parole. La sua corazza si fece d’oro. Fu colpito duramente e piegato. "Giudice, ora sarai giudicato!" diceva Anassilao, uno sguardo da demone.
Fu allora che Trittolemo comprese e riebbe il controllo di sé. "Un gran colpo, lo riconosco. Sei un abile combattente…"
"Anassilao di Gemini." rispose fiero il cavaliere.
"Anassilao. Certo controllare la mia mente con il tuo colpo era impresa ai limiti delle tue possibilità. E’ evidente che mi hai sottovalutato. Tuttavia l’illusione e l’inganno erano notevoli. Molti Spettri dell’Ade sarebbero stati annientati al mio posto. Per tua sfortuna nel bagaglio tecnico dei miei parigrado esistono colpi simile a questo. Non puoi ingannare me dal momento che conosco molto bene l’Illusione Galattica di Eaco."
Anassilao replicò sornione: "E quindi, mi dici, le illusioni sono scomparse della tua mente. Se è davvero così allora forse è stato il tuo attacco a far svanire Callimaco."
L’altro cavaliere non c’era più, realizzò uno stupito Trittolemo. "Sei molto astuto. E pure molto avventato. Sono io ad aver sottovalutato il tuo attacco, lo riconosco. Ora però sei solo. Che non abbia a pentirtene."
Anassilao non diede peso alle sue parole. Callimaco era libero dall’influenza di Trittolemo e presto si sarebbe ricongiunto ad Atena, solo questo contava.
***
Ade era sorpreso di vedere la figlia di Zeus ritta davanti a lui, indomita nonostante il cosmo indebolito. "Non ti dai mai per vinta, vero Atena?"
"Certo, Ade." disse lei. Lo sguardo era fiero anche se il suo spirito era fiacco.
"E allora sia. Scriviamo la parola fine."
Plistene si erse vicino alla dea. "State dimenticando che ci siamo anche noi." Ma dopo aver pronunciato quelle parole si rese conto dell’enormità della loro portata.
Pure Policrate si era rialzato, incolume, e si apprestava ad affrontare Ade. Non vi erano più parole da dire, ciò che andava detto era già stato proferito, restava spazio solo per l’azione.
Polissena guardò le proprie braccia ferite, il sangue che lordava l’armatura e tuttavia non esitò. Se il Fato l’aveva fatta cavaliere dello Scudo allora sarebbe stata scudo della dea e degli altri cavalieri fino all’ultimo.
"La vostra dedizione è ammirevole, ma sconfina nell’arroganza." commentò Ade. Avvertì Atena espandere il suo cosmo, ma era come un piccolo fuoco di legna umida nel mezzo di una tormenta. "Figlia di Zeus, questo è un cosmo divino nel pieno del suo vigore!" disse con trasporto. La sua aura divina era enorme. Il colpo fu durissimo.
Polissena fu strappata da terra e volò lontano, cadendo nei pressi del corpo senza vita di Maia. Policrate e Plistene furono avvolti dal cosmo del dio e giacquero a terra, immobili. Atena resistette giusto un istante, poi capitolò e fu respinta. Cadde a terra anch’essa, sotto il peso dell’Egida e con le vesti lacere e sporche di terra, il viso graffiato, una mano sanguinante nello sforzo di reggere lo scudo, impresa che si era rivelata vana.
"Hai bisogno di un’altra prova di forza, Atena?" disse fiero il dio.
La dea aprì gli occhi e provò ad alzarsi ma le forze l’abbandonavano. "Ade, io non…"
"Risparmia lo sforzo. Sei finita. Questa sacra guerra è finita."
"No, finché i miei cavalieri…"
Ade troncò le sue parole con parole dure. "Finché i tuoi cavalieri cosa? Guardali! Annaspano nella polvere. Che altro possono fare?"
Atena era allo stremo ma riuscì comunque a inchiodare il Cronide con lo sguardo. "Lottare per quello che rappresento."
"Oh, che nobile convincimento! Vediamo dunque subito cosa rappresenti!" disse Ade sarcastico. Concentrò il suo cosmo divino nelle mani e lo diresse verso Atena, che però non era il bersaglio designato. L’arcaico tempio di Atena Promachos che si ergeva poco lontano fu investito in pieno. Le vetuste colonne di legno arsero all’istante, la copertura in laterizio implose, le pietre si sbriciolarono e in pochi istanti scintille ardenti e polvere si dispersero nella notte, mentre pure gli edifici attigui cominciavano a prendere fuoco. "Ecco" disse solenne Ade "questo ormai rappresenti: un mucchio di rovine fumanti!"
Atena era sgomenta.
"Non fare in modo che debba farti fare la stessa fine." chiosò Ade.
Nella mente della dea occhio azzurro passò un turbine di pensieri. Cos’era giusto fare? Non ebbe dubbi. Avrebbe lottato fino alla fine. Questo era ciò che le era stato prospettato dopo che aveva deciso di schierarsi dalla parte dei mortali. Era stata messa in guardia sui rischi. Come aveva detto tempo addietro a Febo Apollo la sua scelta era radicale e non prevedeva ripensamenti. Solo di una cosa si dispiaceva, che la sua rovina causasse altre perdite tra i suoi fedeli, ma non si sentiva, in coscienza, di umiliarli e deludere la loro fiducia e la loro devozione incondizionata chiedendo loro di ritirarsi o desistere proprio in quel frangente. Conoscendoli sapeva quanto avrebbero sofferto nel udire da lei tali parole, ma soprattutto era certa che non si sarebbero mai piegati a tale richiesta.
In quel mentre Plistene stava sussurrando parole all’orecchio di Policrate: "Dobbiamo trattenerlo, mi bastano pochi istanti. Cercate di distrarlo mentre preparo il colpo. Voi preparatevi ad affondare il vostro. Excalibur varrà ben qualcosa contro le sue difese, pur poderose."
"Che intendi fare, Plistene?"
"Lo vedrete." Espanse il suo cosmo e urlò: "Kahn!" Una sfera di luce lo avvolse e nelle sue mani scintillò il rosario di Virgo, i cui grani erano ormai tutti opachi, tranne due tra i maggiori.
"Plistene, sei al limite! Non fare follie!"
"Voglio darvi una possibilità di colpirlo. Un dio ha difese invalicabili o quasi, ma una volta siamo stati capaci di colpire pure Ares. Se Ade non disponesse del pieno controllo di sé allora…"
Policrate cominciò a capire. Un piano folle, ma poteva funzionare.
Il cosmo di Plistene era ormai al limite della costellazione. "Ade, preparatevi a combattere con me!"
Il dio lo degnò solo di un’occhiata distratta: "Se proprio ci tieni a gettare la tua vita..."
Il Kahn esplose liberando tutta l’energia cosmica accumulata al proprio interno, mentre il cavaliere della Vergine gridava: "Privazione del primo senso!"
"Che credi di fare, stolto?"
"Privazione del secondo senso!"
"Come osi?" s’ardirò il dio.
"Privazione del terzo senso!" Il rosario ondeggiava come impazzito tra le sue mani.
Ade caricò il colpo, con furia.
"Privazione del quarto senso!"
Ade sferrò l’attacco mentre Plistene gridava: "Privazione del quinto senso!!!"
Fu un attimo, un istante solo, ma tanto bastò. Ade perse cognizione del tempo e dello spazio e restò immobile, senza alcuna percezione del mondo esterno.
Policrate comprese che quello era l’attimo. Diede fondo ad ogni sua energia e si scagliò sul dio: "Per la sacra Excalibur!" Ade fu colpito in pieno, proprio mentre riacquistava percezione della realtà. Il raggio di luce di Excalibur, il fendente poderoso, imperversava sulla sua armatura.
Policrate sperò che il colpo fosse andato a segno ma l’illusione svanì non appena la luminescenza si disperse. Il dio era assolutamente incolume e la lama forgiata da Efesto ai tempi del mito non aveva lasciato nemmeno un segno sull’armatura del Cronide.
Ade rise: "Una trovata astuta, ma inefficace. Ben poco effetto poteva avere su di me un tale attacco e così infatti è stato." Guardò Plistene con aria di sfida. "Lascia ora che ti mostri come si usa con maestria una tecnica tanto raffinata, sciocco mortale."
"No!" urlò Policrate facendosi avanti.
Era troppo tardi: "Eterno Oblio!!!" gridò Ade. Plistene fu avvolto dal cosmo vermiglio del dio e urlò di dolore, poi perse coscienza di sé. Il suo corpo si contorse in modo innaturale poi cadde a terra. La coscienza gli diceva che stava urlando di dolore ma non udiva la propria voce. Non vedeva. Non aveva percezione del luogo dove giaceva. I suoi sensi… Li aveva dunque perduti?
In quel mentre due figure irruppero sulla scena, quasi contemporaneamente. La prima con fare elegante, con modi placidi e passo leggero, la seconda con irruenza e con un’esplosione di cosmo. La prima guardò benevola Ade e ricevette di rimando un sorriso, la seconda vide i compagni a terra, vide Atena prostrata e rabbrividì.
Persefone disse ad Ade con tono gentile: "Mio signore, concedetemi di parlare con Atena prima di porre fine a questa guerra sacra. Come ben sapete c’è qualcosa che dobbiamo discutere da tempo immemore e io ho attesto a lungo questo momento."
Astylos avrebbe voluto dire tante cose, ma quello che vide lo lasciò senza parole.
***
"Trittolemo, sei pronto alla lotta?"
Il Giudice guardò Anassilao, la sua capigliatura chiara così inusuale tra i Greci. Un uomo strano e, a quanto pareva, un avversario temibile. "Il fatto che tu sia riuscito a distrarmi non deve farti pensare che sarà facile avere ragione di me. Per te muoverti in questo spazio sospeso sarà quasi impossibile. Hai condotto un attacco con successo ma ti assicuro che ciò non si ripeterà."
Anassilao dovette ammettere che era vero. Che strana situazione. Aveva attorno a sé immagini illusorie di un mondo baciato dal sole, un mondo di cui aveva nostalgia dopo giorni di tenebre e buio. Quanti giorni erano passati? Due, tre, quattro? Non avrebbe saputo dire. Ricordava di aver dormito, di essere stato stanco, ma i suoi rari riposi erano coincisi con le notti? O forse erano passati solo un paio di giornate? No, dovevano essere di più, calcolando pure gli spostamenti nei pressi di Atene e quelli verso Delfi. Una cosa altrettanto strana era il fatto che l’illusione di Trittolemo, che pur lo limitava nei movimenti, lo attirasse e gli risultasse piacevole. Avvertiva forte dentro di sé la mancanza dei caldi raggi del sole, delle foglie verdi che brillano alla luce, fossero quelle verde argento degli olivi o quelle scure aghiformi degli odorosi pini. Gli mancavano il colore del mare e il momento della pace del tramonto, quando la giornata si concludeva e ci si poteva abbandonare al riposo. Nonostante questo, lo sapeva, doveva spezzare quell’inganno tanto piacevole. Callimaco era riuscito a sottrarvisi, doveva fare lo stesso ma al medesimo tempo doveva fronteggiare il suo avversario e riuscire a domarlo.
"Trittolemo, tu ami la luce del sole?" chiese a bruciapelo.
Il Giudice esitò prima di rispondere: "Conosci forse qualche vivente che detesti l’astro caro a Febo?"
"Certo" rispose sarcastico "voi Spettri di Ade!"
"Sei uno sciocco se pensi questo. Coloro che dimorano negli Inferi accettano e sopportano la loro condizione, che è connaturata all’ordine cosmico, proprio come fanno negli abissi marini le molte, moltissime creature che dimorano presso il palazzo di Poseidon. Né gli uni né gli alti sono insensibili al richiamo del Sole e della luce."
"Dunque perché, se i Demoni di Ade avvertono questo richiamo, il vostro Signore ha steso un manto di tenebra sulla terra? A che scopo rendere le terre sotto le stelle così simili all’Ade?"
Trittolemo rise: "Vi facevo più perspicaci. Anassilao, non vorrai farmi credere di aver pensato che Ade, conclusa la guerra, avesse intenzione di mantenere l’ecumene avvolta nel buio della notte?"
"Una condizione temporanea, di questo dunque si tratta. E lo scopo ora mi è evidente." realizzò Anassilao.
"E quale sarebbe?"
"Spaventarci, atterrirci, fiaccare il nostro animo, condurci ad abbandonarci ai nostri istinti di sopravvivenza, a lasciarci sopraffare dall’irrazionalità che il timore della tenebra avrebbe destato in ognuno di noi. Sbaglio, Trittolemo?"
"Non sbagli. Vedo che stai diventando sagace."
Anassilao sorrise enigmatico. "Ora però rispondi alla mia domanda. Ami la luce del Sole e i cieli tersi?"
"Certo."
"Questa tua illusione lo dimostra. E conoscendo il mito legato al tuo nome ora ne ho compreso il motivo." Espanse il suo cosmo.
"Cosa pensi di fare?"
"Dal momento che non posso vincerti con il Demone dell’Oscurità, ti combatterò allo stesso modo in cui il tuo Signore ha scelto di combattere noi. Ti porterò dove ti troverai impacciato, come io lo sono qui. Se non posso far calare la tenebra nella tua mente la farò calare attorno a te!" Sollevò un braccio sopra la testa. "Dimensione Oscura!"
***
"Kora…" esclamò Atena vedendo Persefone.
"Non osare chiamarmi così, figlia di Zeus!" replicò adirata la figlia di Demetra. "Kora è un nome che più non mi si addice e tu dovresti ben conoscerne il motivo." Così dicendo si avvicinò alla dea. "In questo stato bramavo di vederti, prostrata e umiliata, impotente e inerme, non per scelta come in quel giorno che dovresti ben ricordare, ma per condizione. E ora alzati!" La sua voce era perentoria e colma di astio e risentimento, pure se il bel viso poco lasciava intravedere la rabbia che traspariva invece dalle parole e dal modo di incedere, fasciata della veste trapunta di stelle.
"Perché parli così… Persefone? Nei nostri incontri sull’Olimpo non hai mai…"
"Sull’Olimpo, hai ben detto! Nei nostri rari incontri sull’Olimpo, dove io dimoro per alcuni mesi e dove tu hai scelto di dimorare pochissimo per mescolarti ai mortali. Ma qui non siamo nella dimora di Zeus." Scorse in quel momento le rovine fumanti del tempio. "E vedo che pure questa tua dimora non può più chiamarsi tale. Davvero non capisci il motivo del mio risentimento? Non sei forse la dea della saggezza?"
Atena abbassò lo sguardo. Dentro di sé cominciava a capire.
"In piedi!" ordinò Persefone e afferrò Atena per i capelli, costringendola ad ergersi, seppur a fatica. Le serrò un braccio con la mano e con l’altra le afferrò il mento sollevandole la testa. "Ora guarda, guarda il mio Signore Ade mentre annienta i tuoi devoti! Guarda senza poter intervenire, come quel giorno sugli ameni prati di Trinacria, dove assieme ad Artemide raccoglievamo fiori e intrecciavamo corone. Guarda come viene distrutto, come muore il tuo mondo e tutto quello che hai amato!"
"Kora, ti prego…" sussurrò Atena con voce rotta.
"Taci!" disse scuotendola. "Ade, mio signore, ponete pure fine a questa sacra guerra."
Ade aveva assistito alla scena senza proferire una parola. Ora guardava la compagna, la fedele sposa. Sapeva benissimo cosa bruciava nel suo animo. C’era voluto tempo perché Persefone si aprisse totalmente a lui, perché trovasse il coraggio esternare sentimenti e sensazioni che erano tanto contradditori. Comprendeva benissimo pertanto il suo stato d’animo, ma allo stesso tempo ne temeva le conseguenze, quindi disse: "Mia amata Persefone, farò quello che va fatto per decretare il nostro trionfo. Tuttavia non calcare troppo la mano. Ognuno di noi è vicino al proprio obiettivo, non rischiare di compromettere tutto proprio ora. Ricorda con chi hai a che fare e temi la collera del più giovane dei Cronidi se la tua ira verso Atena dovesse passare la misura."
Persefone fu toccata da quelle parole e Atena sentì la presa allentarsi ed espanse il poco cosmo che le rimaneva. Persefone allarmata la strinse a sé: "Non ci provare, figlia di Meti!"
"Non agisco più per me stessa…" disse Atena. In quella si materializzarono delle armi dorate, che i devoti di Atena subito riconobbero: le armi della Libra, il cui uso la dea concedeva raramente. "Difendetevi, miei cavalieri." disse accorata la dea.
Policrate, udendo la sua dea proferire la parola "difendetevi" anziché "combattete" ebbe un tuffo al cuore poiché comprendeva la disperazione di Atena nella presente situazione. Ade e Persefone volevano ormai solo il loro annientamento e sembrava ci fosse ben poco da fare per opporvisi.
***
Archita non capiva dove fosse. Il combattimento era stato frenetico e aveva condotto lui e Radamante lontano dal tempio di Atena e ora, nel buio della notte, era difficile ritrovare la via. La stanchezza accumulata rendeva arduo individuare i cosmi di amici e avversari; pareva che molti fossero come tremule luci di lucerna, esposte a troppo vento, sul punto di spegnersi. No, non poteva essere.
Si trovava su un sentiero pianeggiante, cosa stranissima in quella zona tanto aspra. Doveva trattarsi del breve tratto che collegava l’area del tempio di Atena con il santuario di Apollo, che si raggiungeva dopo un’ultima, breve inerpicata. Scegliere la direzione gusta era tuttavia difficile. Pure la mole del Parnaso pareva scomparsa nella notte. Da che parte doveva andare? Tese i sensi. Ciò che non poteva vedere poteva percepire, il cosmo lo avrebbe aiutato a capire dove si trovasse il monte e dove la valle aperta e con essa il tempio della dea.
Avvertì quasi subito un cosmo ben definito. Vicino. Troppo vicino. Si preparò all’attacco e solo all’ultimo riconobbe una presenza amica, mentre la notte stessa sembrava prendere la parola.
"Archita! Sono Metoneo!"
Archita non vide nessuno, poi un elmo brillò nel buio e apparve l’uomo, il cavaliere d’Argento dell’Altare.
"Ma cosa…"
"Merito di questo." disse Metoneo porgendogli l’elmo.
Archita avrebbe voluto porre molte domande per capire come quell’artefatto divino fosse finito nelle mani del compagno d’armi, ma l’espressione di Metoneo lo turbò. "Che è accaduto alla dea?"
Metoneo crollò sulle ginocchia: "Ci stanno massacrando… Elettra, Kyriakos, Maia, il vecchio Farios e poi anche quel ragazzo. Plistene è allo stremo delle forze. Quella ragazza, Polissena… non reggerà a lungo. Capisci? E poi… Elettra… Elettra…" La sua voce si spense.
"Dimmi di Atena!" lo scosse violentemente Archita.
"Il suo cosmo è fiacco, ma sono certo che già lo sai…"
"E tu fuggi maledizione!" Archita era furente.
"Non fuggo, per gli dei!" ruggì Metoneo serrando i pungi mentre due lacrime solcavano il suo viso., ma la sua voce ritrovò d’un tratto la sua aristocratica fierezza: "Cercavo aiuto. Ho trovato te!"
Archita si placò. Il compagno non era pienamente padrone di sé, era evidente. Doveva essere molto provato, d’altra parte a differenza sua e di altri tra i Cavalieri d’Oro non aveva mai combattuto contro un dio prima di allora e si trattava di un’esperienza che lasciava il segno. Vi erano quindi due priorità. Restituire a Metoneo il controllo di sé e poi correre in aiuto della dea. Dire cosa fosse più urgente era arduo. Il morale del compagno era a pezzi. Come doveva esserlo quello degli altri compagni ancora in vita. Che poteva fare? Stavano combattendo contro un dio tra i più potenti e temibili, demoralizzati e senza poter fare affidamento sul pieno supporto di Atena, che avrebbe reso lo scontro alla loro portata. Dovevano essere disorientati, in tutti i sensi. Se solo avessero potuto cogliere un segno che desse loro speranza, che infondesse coraggio nei loro cuori, come un raggio di sole nella notte. Guardò Metoneo ed ebbe l’illuminazione. Sì, poteva funzionare. Con una sola mossa avrebbe risolto entrambe le urgenze del momento.
"Coraggio Metoneo!" disse con convinzione e tono autorevole. "Ho un incarico per te!"
***
Callimaco si guardò attorno. Era libero. Distratto dall’esplosione cosmica di Anassilao, Trittolemo non aveva saputo trattenere pure lui in quella strana dimensione. L’essere ripiombato nella notte gli fece uno strano effetto. Rivedere la luce del Sole, anche solo per pochi istanti, aveva aumentato la nostalgia per l’astro caro a tutti i mortali. Ma non vi era tempo per lagnarsi delle tenebre.
"Coraggio Anassilao." disse a bassa voce. "Ora io devo trovare Atena."
"Non così in fretta!" Dalle tenebre, come un’ombra, apparve Minosse.
Un altro Giudice. Il Fato era indubbiamente beffardo. Callimaco tuttavia alla vista di Minosse ripensò ad Archelao morente alle soglie del Santuario e sentì montare la rabbia.
"Cercavo Pegasios e trovo un Cavaliere d’Oro. Tanto meglio." disse spavaldo Minosse.
"Che non te ne debba pentire!"
"Non crederai certo di tenermi testa?"
Che fosse probabilmente il più temibile degli Spettri di Ade era cosa ben nota a Callimaco. Gli avevano raccontato di cosa era stato capace al Santuario. Tuttavia andava combattuto e vinto, come gli altri avversari. Poi ne sarebbe rimasto solo uno di avversario, al cui cospetto Minosse era poca cosa. Non doveva esitare. E difatti non esitò.
"Excalibur!"
Minosse schivò il colpo. Nonostante la sua poderosa ed elaborata armatura, era agile e rapido nei movimenti. "Se non ricordo male sei tu ad aver vinto Apofis e ad aver eluso il potere della sua musica. Saprai fare lo stesso con la frusta di Minosse?"
"Guardati piuttosto dalla sacra spada!"
"Per usarla devi saper vibrare il colpo, cosa che non ti permetterò. Dominio Cosmico!" Callimaco fu avvolto in lacci e laccioli, generati dal cosmo del Giudice. Gran parte finirono in pezzi sotto i colpi di Excalibur, altri invece lo raggiunsero e infine lo immobilizzarono. "E ora prova a liberarti!" Lo irrise il Giudice.
Callimaco si rese conto che più si dibatteva e più i lacci di Minosse stringevano, mentre l’avversario era già pronto a colpire di nuovo. Doveva escogitare qualcosa al più presto o sarebbe stata la fine.
"Coraggio, fammi assaggiare il taglio della tua spada!" provocò l’avversario. Poi aggiunse: "I lacci che ti avvincono sono intrisi del mio cosmo, sono una manifestazione di esso. Io che giudico e rendo schiave le ombre dell’Ade per mezzo di essi posso controllare i vivi e rendere vana ogni loro azione. Non hai scampo."
Il cavaliere del Capricorno espanse il suo cosmo e si concentrò sulle proprie mani. Doveva spezzare qui vincoli o sarebbe stata la fine. Minosse tuttavia non gli voleva concedere tregua alcuna. Partì all’attacco a testa bassa. "Addio, cavaliere di Atena! Preparati a raggiungere Archelao dello Scorpione e gli altri presuntuosi come lui!"
Quelle parole fecero divampare Callimaco: "Minosse!" gridò a gran voce e gonfiò i muscoli mentre la sua armatura brillava nella notte. Le sue mani liberarono l’energia accumulata e la spada sacra compì il suo dovere. "Excalibur!" Minosse fu preso alla sprovvista e si trovò l’avversario libero di agire, a pochi passi da lui. Non riuscì ad schivare tutti i fendenti. Uno di essi centrò il suo elmo che emise un suono sinistro e si spezzò in due metà, che caddero a terra con un tonfo metallico.
"Salto di Capricorn!" gridò a quel punto Callimaco. Afferrò l’avversario e lo proiettò in alto. Minosse cadde rovinosamente sulla schiena, il viso contratto in una smorfia.
Fu solo un attimo. Il Giudice si rialzò prontamente e la sua espressione era terribile e inquietante. Il suo cosmo oscuro esplose allora in tutta la sua potenza con il suo carico d’ira e fierezza. Callimaco seppe che lo scontro era appena cominciato.
"Colpito e gettato a terra da un mortale! Pagherai caro questo affronto! Tu non hai ancora visto nulla della potenza di un Giudice degli Inferi. Che cosa credi? Che io mi lascerò sopraffare come Eaco e Radamante? Sì, ho sentito i loro cosmi spegnersi. E questa è una cosa inaudita! Pagherete con una fine orrenda tale oltraggio ai Giudici degli Inferi. Vi trascinerò gementi nel Tartaro. Tu, Callimaco, sarai il primo!"
Il Giudice esplose una serie dei colpi in successione, sempre più violenti. Callimaco riuscì a schivare i primi ma poi divennero sempre più fitti, sempre più rapidi, sempre più vigorosi finché cominciò a incassare e subire. Fu spinto indietro e vacillò, la sua stessa armatura sembrava dover cedere da un momento all’altro.
"Ed ora, sciocco mortale, è giunta la tua fine!" Nella sua mano apparve una frusta di color grigio cenere, composta di lunghe spire, ma segnata di ombre e macchie rossastre là dove una spira si congiungeva ad un’altra. "La frusta di Minosse, con la quale l’ombra di ogni mortale è avvolta per sapere a quale luogo dell’Ade o del Tartaro è destinata. Mancanze, debolezze, crimini, delitti e ogni altro immondo comportamento dei mortali non sfugge a quest’artefatto divino. Usato sui vivi, quale tu sei, l’effetto è amplificato poiché il peso delle tue colpa strazierà la tua viva carne. Frusta di Minosse!"
Callimaco era stordito dai ripetuti attacchi e non riuscì a schivare il colpo. La frusta si avvolse attorno al suo braccio sinistro. Sentì l’armatura diventare calda e poi rovente. Lanciò un grido, provò a divincolarsi ma non valse a nulla.
"Frusta, mostrami la superbia e la violenza di quest’individuo." Tuonò Minosse.
Callimaco fu costretto in ginocchio. Si rivide giovane al Santuario, a combattere contro altri aspiranti cavalieri, rivide i guerrieri di Ares che aveva affrontato assieme a Plistene, su nel nord. Rivide gli avversari che aveva abbattuto qualche giorno prima, Gorgia e Apofis. Udì le sue parole, i suoi discorsi. Ogni immagine, ogni parola era un lampo nella mente e un fremito di dolore, mentre il braccio avvolto dalla frusta pulsava.
Si ribellò e stringendo i denti disse a Minosse: "Quella che tu chiami violenza è connaturata ad una guerra sacra. Voi avete scatenato il conflitto! Voi avete per primi usato violenza! Come potevamo non affrontarvi?"
"Silenzio! Non tentare di giustificare le tue mancanze. Violenza e aggressività sono sempre state presenti nel tuo animo."
"Non si può combattere essendone privi. Quand’anche le ripudiassi, non potrei farne a meno nel momento in cui mi trovo di fronte a un avversario che non mi dà tregua. Non si vincono i duelli con i modi cortesi, con le belle parole, con la persuasione. Certo, non sarebbe disprezzabile se potesse accadere." Rise amaro e aggiunse: "O forse mi vuoi far credere che si può lottare contro quel mostro di violenza e superbia chiamato Minosse solo con belle parole e modi gentili da simposio? Di’, Minosse, le tue stesse parole, le tue stesse azioni non sono permeate di ciò che mi contesti?"
"Io sono un Giudice degli Inferi, al servizio del sommo Ade! Tu sei solo un mortale e tra qualche istante sarai un’ombra e come tale alla mia mercé!" Sbottò Minosse.
"Come pensavo… Vorrei poter usare io la tua arma su di te!"
"E questa non è forse superbia?" urlò Minosse. Il bracciale di Callimaco si fece incandescente e le spire terminali della frusta, che avvolgevano il bicipite, incisero la carne viva e il braccio cominciò a sanguinare. Callimaco urlò di dolore e dovette poggiare le ginocchia a terra.
"Excalibur!" gridò al colmo del dolore. Minosse ritrasse lesto la frusta e il fendente andò a vuoto.
"Ahahah! Sei finito, Callimaco. La mia perizia nell’uso della frusta è assai maggiore della tua nel menar fendenti. Ma che differenza farebbe? La tua spada non può nulla contro la frusta, non ha il potere di troncarla né di inciderla. Frusta di Minosse!"
Questa volta il giovane fu raggiunto al braccio destro. Il sinistro doleva troppo e Callimaco non riusciva nemmeno a sollevarlo. La ferita bruciava e il bracciale dorato si stava tingendo di rosso.
"Coraggio, prova a fendere la frusta con Excalibur!" lo sfidò Minosse. Poi aggiunse: "Frusta, mostrami l’egoismo e la cupidigia di quest’individuo!"
Callimaco si rivide mentre correva con Plistene in aiuto di Pelopida. Plistene con la sua corazza dorata, lui con armi ordinarie da allievo cavaliere. Quanto aveva desiderato che la corazza di Plistene fosse sua nel mentre le orde di Ares si facevano sempre più vicine e con esse il pericolo. Come avrebbe potuto fronteggiarle praticamente privo di difese? Perché non gli era stata assegnata almeno un’armatura d’argento? Poi si rivide pochi giorni prima con Alcmene, il quale si avviava ad affrontare Radamante e ad incontrare la morte. Perché non aveva preso il suo posto? Aveva amato troppo la vita? Aveva vigliaccamente scelto di non rischiare, mandando allo sbaraglio il compagno d’armi, già provato da duri scontri precedenti? Avvertì nell’animo e nel contempo sul braccio, lo strazio e il dolore.
"Non hai più nulla da dire, devoto di Atena? Dove le tue belle parole? Ora taci per sempre e avviati verso l’Ade. Il giudizio degli Inferi non perdona!"
Superbo nel voler affrontare avversari al di là della portata di qualsiasi mortale. Egoista nel mandare avanti gli altri, nel pensare prima ai propri interessi. Cupido nel voler diventare ad ogni costo Cavaliere d’Oro, anche passando avanti a chi lo meritava più di lui. Violento nell’aver atterrato compagni di allenamento nella fase di addestramento, nell’aver sbattuto in faccia ad Archelao la sua promozione a Cavaliere d’Oro. Violento nell’aver desiderato fare a pezzi i suoi avversari. Che uomo era? Si vergognò di se stesso. Si immaginò davanti a Melissa, che lo guardava inorridita e cercava di tenerlo lontano. Melissa no… Melissa. Amava Melissa. Almeno questo… almeno questo doveva essergli riconosciuto. Se aveva delle mancanze almeno sapeva cosa voleva dire amare. A qualcosa doveva pur valere! Melissa con i neri capelli al vento e gli occhi verdi. Melissa per certi versi così simile ad Atena. Atena. Le era stato devoto, ma era stato cavaliere degno? Atena che a lui aveva conferito il titolo e che a lui aveva donato la spada sacra. Certo… Atena lo aveva sostenuto. Come lo aveva sostenuto Melissa. Ma… non ricordava rimproveri o lagnanze della dea. La dea che certamente doveva aver visto nel suo animo… ma allora… allora…
Rise.
Una risata fragorosa, che fece sussultare Minosse. "Che significa? Sei forse impazzito?" disse stizzito il Giudice.
Callimaco sollevò il capo e lo guardò fisso negli occhi. Vi era sofferenza sul suo volto ma pure determinazione. "Sì, ero quasi impazzito. Di dolore, ma soprattutto a causa del rimorso. La tua frusta è un’arma terribile. Ma ora ho capito. Quello che vedo… che credevo di vedere… è solo un’illusione, un inganno della mente."
"La cruda realtà. Questo hai veduto!"
"Affatto! A fatica ho realizzato che i ricordi, i miei ricordi… sono stati distorti ad arte dalla tua frusta. Una tecnica sopraffina. Fai leva sulle mancanze insite nella nostra natura di uomini, sul fatto che le situazioni della vita ci inducono a volte ad essere egoisti, superbi, avidi a volte persino violenti se la situazione lo richiede. E forse che una guerra sacra tra divinità non richiede violenza? Ma è violenza pure l’uccidere gli animali di cui nutriamo e forse persino tagliare il grano maturo che se ne starebbe volentieri nei campi a bearsi dei raggi del sole. E noi che abbiamo avuto l’altissimo onore di esser scelti dalla dea Atena in persona, possiamo vivere la nostra condizione senza nemmeno un briciolo di orgoglio? Senza provare mai, in nessun momento, una sensazione di beata superiorità rispetto a chi non ha avuto in dono dal Fato questa possibilità? Non saremmo umani se non cedessimo a queste debolezze. Forse che gli stessi dei, stando a quanto raccontano molti miti, non sono talvolta vittime delle nostre stesse passioni?"
"Le tue parole sono inaudite! Il sommo Ade…"
"Il sommo Ade ha scatenato una guerra, ha provocato morte, ha tolto il sole ai mortali. E io dovrei credere che le mie mancanze, quand’anche fossero maggiori rispetto a quelle di molti uomini che sono vissuti prima di me e di coloro che dopo di me vivranno facciano di me un essere indegno, che merita solo di finire nel Tartaro?"
"Stai forse dicendo che è il sommo Ade a meritare il Tartaro?"
"Sto affermando che il tuo giudizio è alquanto spropositato. La tua frusta opera con l’inganno e voglia Zeus Tonante che non funzioni allo stesso modo con le ombre dei defunti. Questa guerra sacra è un enorme inganno, un atto che va contro l’ordine cosmico. Mi è bastato poco per realizzare tutto ciò. E’ bastato l’amore per… l’amore per chi amo e la devozione per Atena. La luce della verità non può che squarciare le tenebre. Volevi che credessi di essere un mostro ma guardandomi dentro, nel profondo non ho visto un mostro, ho veduto un uomo, pur con le sue debolezze, ho veduto un devoto guerriero di Atena. Per vedere un demone mi basta invece guardare davanti a me!"
Minosse trasalì e la sua ira esplose. "Hai pronunciato le tue ultime parole." Diede uno strattone alla frusta e trascinò Callimaco a sé poi, con un colpo poderoso, lo sollevò e con un colpo di frusta lo sbatté a terra. Il polso destro si torse e si spezzò con rumore sinistro. Callimaco gemette mentre la frusta si ritirava.
"Il prossimo colpo sarà l’ultimo." rise Minosse giganteggiando su di lui.
Callimaco vide la ferita al braccio sinistro arrossare l’erba sotto di lui. Realizzò di non poter più muovere nemmeno la mano destra, che pulsava dal dolore mentre le dita si andavano irrigidendo. La situazione era disperata ma forse non tutto era perduto. Il suo polso era spezzato, vero, ma il suo animo era intatto. Poteva ancora combattere. E cosa sarebbe accaduto non si poteva dire.
***
Astylos ruppe gli indugi e incoccò la freccia dorata. No, non poteva sopportare di vedere la propria dea trattata in quel modo, sottomessa e dileggiata. Tese l’arco e si preparò a scoccare.
Ade rise. "Scocca pure il tuo dardo, cavaliere. Non raggiungerà mai il bersaglio. Posso controllare la direzione della freccia a mio piacimento!"
Astylos esitò. "Mentite…"
"Mettiti alla prova. Sappi però che rischi di diventare tu stesso il tuo bersaglio."
"Prudenza!" disse Policrate che nel contempo teneva gli occhi fissi su Atena e Persefone.
Il cavaliere del Sagittario sapeva che c’erano ben poche alternative. "Sommo Ade, questa freccia è stata scoccata pure contro il dio della guerra. Allora fu necessaria un’impresa mettere a segno un singolo colpo, tuttavia perché non dovrei riuscirci pure contro il dio degli Inferi?" Così dicendo scoccò, mentre il dardo brillava carico del suo cosmo.
Ade espanse la sua aura divina, senza muovere un muscolo. La freccia rimbalzò come su uno scudo invisibile e piombò indietro. Astylos era talmente stupito che solo all’ultimo capì di essere il nuovo bersaglio del dardo. Il terreno sotto i suoi piedi si bagnò del suo stesso sangue. Astylos si piegò in due dal dolore. Il dardo era conficcato nella sua coscia.
"Ringrazia il tuo schiniere. Senza di esso la gamba sarebbe stata trapassata." disse glaciale Ade. Poi: "Vuoi ancora tentare la sorte?"
Astylos si rizzò, mise la mano attorno al tardo e lo strappò dalla propria carne, incurante del dolore. Una smorfia si dipinse sul suo viso poi disse deciso: "Come desiderate!"
"No Astylos!" gridò Policrate.
"Tenterò invece!" Il cosmo del Sagittario si espanse. "Per Atena! Freccia del Sagittario, colpisci nel segno!" Fu un lampo d’oro nella notte. Un lampo d’oro che ancora una volta rimbalzò contro una barriera invisibile e tornò indietro. Veloce, troppo veloce agli occhi di Astylos. L’impatto fu sonoro e il cavaliere non capì cosa fosse accaduto. Quando aprì gli occhi Policrate era davanti a lui. Reggeva uno degli scudi della Libra con un braccio e nell’altro brandiva la spada della stessa armatura. Il dardo dorato, respinto dallo scudo, giaceva ai suoi piedi.
"La freccia è inutile contro il suo cosmo divino. Dobbiamo portare un attacco diretto." disse Policrate. "Solo così avremo speranza di successo."
"Colpire il Sommo Ade… con un affondo."
"Esatto Astylos."
"E allora proviamoci!" esclamò il cavaliere del Sagittario e il tridente della Libra fu nelle sue mani.
A quel punto si levò in piedi pure Polissena, le braccia ferite sanguinanti. "Atena, permettetemi di combattere con loro." Il suo sguardo era colmo di determinazione e speranza.
La dea comprese che un suo diniego sarebbe stato vano. La ragazza voleva combattere ad ogni costo, lo percepiva chiaramente. Mentre la guardava avvertì la stretta di Persefone farsi meno pressante e la dea mormorare. "Ma quella fanciulla… sembra…" Atena realizzò solo allora a cosa alludesse. Come poteva non averlo notato prima? Che fosse quello ad aver condizionato il suo atteggiamento verso la giovanissima Polissena negli anni precedenti? Alla luce di questo paradossalmente era forse Polissena ad aver più possibilità di mettere a segno il colpo che non i due Cavalieri d’Oro, questo perché anche Ade doveva averla vista bene e allora…
La lancia della Libra fece la sua comparsa e Polissena l’afferrò. Erano pronti per l’affondo.
"Per il sacro Sagittario!"
"Per la sacra Excalibur!"
"Per Atena dea!"
Astylos, Policrate e Polissena si scagliarono contro il dio. Policrate menò un fendente che Ade parò con il braccio. Con un colpo della propria lama colpì lo scudo della Libra e la forza impressa fu tale che fece volare via Policrate. Il tridente di Astylos sibilò al suo fianco, lo afferrò e sferrò un calcio che colpì il cavaliere in pieno petto. Astylos cadde e dovette lasciare il tridente, che Ade afferrò e usò per trafiggergli la mano, a terra. La lancia di Polissena era arrivata a bersaglio poco dopo ma Ade, appena colpito Astylos, aveva fatto perno su una gamba, aveva schivato il colpo e colpito allo stomaco la ragazza con l’elsa della spada. Polissena ebbe l’impressione che i polmoni le esplodessero e la vista le si annebbiò mentre impattava con la dura terra.
"Ade non è uso rimangiarsi la parola data, fanciulla mortale!" disse con voce severa. "Ti ho fatto salva la vita, ma se ti ostini a combattere dovrò tenerti fuori dalla mischia con la forza."
Detto questo scagliò il tridente che aveva ancora in mano e colpì Policrate che giaceva poco lontano. Il Grande Sacerdote fu trafitto alla spalla e urlò di dolore. "Un cattivo colpo." Commentò Ade. "Il prossimo tuttavia andrà pienamente a bersaglio."
Si chinò quindi su Polissena e la sollevò di peso, posandola poi su uno spiazzo d’erba poco lontano. "Questo è il tuo posto, giovane combattente di Atena. Restaci e, a differenza dei tuoi compagni, vedrai la fine della guerra sacra."
Polissena era troppo affannata, troppo spaventata dal tocco di Ade per replicare. Le uniche parole che riuscì ad articolare furono: "Atena… io… combatterò…"
Persefone aveva seguito con attenzione l’azione di Ade e ora lo guardava benevola allontanarsi da Polissena. Disse all’orecchio di Atena: "Ade sa essere magnanimo, come vedi. Per i tuoi devoti invece è finita. Dì addio ai tuoi Cavalieri d’Oro."
Astylos aveva una mano lacerata e si era rialzato, zoppicante, il viso contorto in una smorfia. Policrate aveva una profonda ferita alla spalla che non gli permetteva di muovere bene il braccio destro. Excalibur era difficilmente utilizzabile in quelle condizioni. Sollevò d’istinto lo scudo. Astylos si fece presso di lui, brandendo l’arco.
"Amico mio" disse "non credo che riuscirò a scoccare nuovamente un colpo degno della mia fama, la mano mi duole troppo. Tuttavia se questa dev’essere la nostra fine voglio che tu sappia che è stato un onore combattere al tuo fianco ancora una volta. Diamo fondo alla nostra aura vitale, bruciamo il nostro cosmo fino alle stelle e sia quel che il Fato ha deciso per noi. Se la Moira ci coglierà avremo comunque la certezza di aver compiuto il nostro dovere."
"Astylos" replicò Policrate "ricordo quando sei arrivato al Santuario e come hai saputo crescere in fretta ottenendo meritatamente l’armatura che ora fieramente indossi. Non dimenticherò mai quando colpimmo Ares a breve distanza l’uno dall’altro. Credevo quello fosse il momento più bello e al tempo stesso terribile della nostra amicizia, ma mi rendo conto che sbagliavo. La lotta al fianco di Atena ci ha riservato un finale diverso da quello che avevamo immaginato nelle lunghe sere d’estate, seduti sui gradoni del tempio di Atena. Darò fondo ad ogni stilla di energia e chissà, forse la tua freccia, per quanto insicura, e il taglio di Excalibur, per quanto ora fiacco, andranno a segno contro Ade proprio come fecero non molti anni fa contro Ares."
"Per Atena!" disse Astylos.
"Per Atena e per i nostri compagni d’armi!" fli fece eco Policrate.
"Un addio commovente! Siete più adatti a narrare storie d’eroi che a impersonarle. Come aedi avreste ben pochi rivali!"
Astylos e Policrate si lanciarono all’attacco e le loro auree vitali si fusero in un’unica luce, che rischiarò la notte.
Ade scosse la testa di fronte a tanta assurda abnegazione. "La Moira sta per cogliere le vostre vite. Nera Volta dell’Ade!" Il cosmo di Ade avvolse la luce dei due cavalieri e la spense. Astylos e Policrate si contorsero e avvertirono su di loro l’alito nero della morte. Compresero che quella era la fine. Udirono l’urlo disperato di Atena e quello, più debole, di Polissena e credettero sarebbe stata l’ultima percezione che avrebbero portato con sé prima di sprofondare negli Inferi.
Si sbagliavano. Un urlo ben più forte e fiero sferzò la notte. E la luce fu di nuovo su si loro.
***
Minosse guardò il suo avversario con l’aria di chi vuole spazzare via ogni ostacolo. Sarebbe stato facile, Callimaco non poteva più attaccare e presto pure la difesa sarebbe venuta meno.
"Addio, sciocco mortale! Dominio Cosmico!"
Callimaco sollevò il braccio sinistro per fendere i lacci con Excalibur, ma il colpo fu lento e poco efficace. Il suo braccio buono era il destro. Avvinto nei lacci di Minosse provò ad usare il destro ma il primo impatto dell’arto contro i vincoli che lo avvolgevano lo fecero urlare di dolore a causa della frattura al polso.
"E’ tutto inutile, ormai è finita!" disse trionfante Minosse. Diede uno strattone ai lacci, li mise in tensione. I fili si insinuarono nei punti non protetti dall’armatura e incisero le carni di Callimaco. Il suolo sotto di lui si arrossò.
"Ed ora il colpo definitivo!" Minosse sciolse l’avversario dai vincoli. Callimaco ondeggiò in preda al dolore, i sensi che gli venivano meno.
"Tuono di Minosse!" L’aria stessa parve diventare un maglio. Callimaco fu strappato da terra. Con le forze residue alzò il braccio e gridò: "Excalibur!" Vide Minosse avere un accenno di fastidio, poi nulla. L’aura cosmica del nemico lo colpì e lo fece volare lontano. Le sue grida si persero nella notte.