XXXII
Archita e Radamante stavano l’uno di fronte all’altro, in attesa di sferrare un attacco. Il loro scontro era iniziato più con attacchi di studio che con affondi veri e propri. Archita sapeva che il suo avversario era temibile: Alcmene e Lisandro erano caduti per mano sua. Radamante, per contro, aveva compreso di trovarsi di fronte ad un avversario in possesso di notevoli abilità sia in difesa sia in attacco. D’altro canto però il Cavaliere dell’Ariete sembrava in difficoltà quando il Giudice saltava o planava grazie alle ali della sua corazza. L’equilibrio non si spezzava e ripetuti attacchi non avevano dato esito. Schivando, facendosi avanti, arretrando e sottraendosi di lato i due avevano finito con il trovarsi lontano dal campo di battaglia dove si confrontavano i loro compagni. Archita aveva percepito il cosmo di Pegasios innalzarsi e spegnarsi. Radamante aveva assistito attonito alla sparizione del cosmo divino di Thanatos. Entrambi avevano percepito la presenza, non lontana, di Atena. Il cosmo della dea ora pulsava e s’allargava, ora appariva fiacco.
"Sembra che la tua dea non stia troppo bene." esclamò lì Radamante rompendo il silenzio.
"Nemmeno il vostro alleato Thanatos sembra stare poi così bene." replicò gagliardo Archita.
Radamante incassò. "Lascia che Ade la raggiunga e vedremo chi avrà la peggio."
Proprio in quel momento il cosmo di Atena si allargò ancora e per contro quello di Hypnos svanì nel nulla, dopo vana resistenza.
"Forse il prossimo sarà proprio il tuo signore." disse placido Archita. In realtà sapeva che qualcosa di prodigioso doveva essere accaduto e difficilmente la dea avrebbe avuto la forza di fronteggiare il signore degli Inferi. Doveva pertanto liberarsi al più presto di Radamante ma sapeva sarebbe stata un’ardua impresa.
***
"Maia! Resisti Maia!" gridava Plistene. Nessuno dei suoi compagni di battaglia lo avrebbe riconosciuto in quel momento. Il volto acceso dal dolore e dall’ira, gli occhi gonfi di lacrime, un tremito appena percettibile nelle mani, i gesti convulsi. Lui, solitamente compassato, distaccato, imperturbabile, a momenti glaciale.
"Plistene" disse la ragazza in un soffio "i miei fratelli…"
Sta delirando, pensò Plistene, ma la ragazza continuò ed egli avvertì il suo cosmo farsi intenso, seppur con doloroso sforzo, e concentrarsi nella sua mano delicata.
"I miei fratelli… questo è l’aiuto che tramite me hanno voluto inviarvi…"
"Non ti sforzare Maia…" Sembrava che il tempo si fosse annodato su se stesso. Gli pareva di rivivere la medesima scena di qualche giorno avanti. Ma se quella volta Maia gli era apparsa debole ora lo era assai di più e più gravi e profonde erano le sue ferite.
"Apri la mano, Plistene." Il cavaliere accostò la mano a quella di lei e il cosmo di Maia splendette luminoso ancora una volta. "Fallo arrivare a chi sai…" Plistene percepì delle presenze eteree e i loro pensieri e ampliò il suo cosmo, per far sì che quelle fugaci impressioni, quelle memorie evanescenti, arrivassero a chi di dovere. Oh meravigliosa potenza di chi sa risvegliare in sé il cosmo! Quale gioia, quale senso di potenza e allo stesso tempo quale delusione quando se ne scopre il limite. Esseri divini, ma a metà. Servitori della dea, ma pur sempre uomini. Capaci di grandi imprese ma sottoposti pur sempre al destino comune di ogni essere umano, all’invecchiamento e alla morte, nonostante il cosmo.
Maia aprì i suoi verdi occhi e fissò Plistene. Riusciva ancora a vederlo e voleva fosse quella l’ultima immagine da portar con sé. "Pisandro e Lisandro… sono certa che ti stanno ringraziando…"
"Io ringrazio te, Maia…" si accorse di star tremando. "Il tuo cosmo…"
"E’ troppo tardi e lo sai… Ho resistito per merito dei miei fratelli… e per rivederti l’ultima volta. Ti amo, Plistene. Ti amo fin da quando mi hai abbracciata dopo che mi avevi sconfitto… e mi hai riportato alla vita… quella vera."
"Ti amo anch’io, Maia… " Non riuscì a dire altro. La baciò e la guardò per l’ultima volta. L’ultimo alito di vita e il cosmo della ragazza si dissolsero insieme.
***
"Castigo infernale!"
"Per il Sacro Ariete! Rivoluzione Stellare!"
Radamante e Archita sembravano due Titani nella notte e luci e fulmini sfolgoravano tutt’attorno a loro. Tesi nel massimo sforzo cercavano l’uno di sopraffare l’altro ma la situazione restava in equilibrio.
"Radamante, devi cadere e al più presto cadrai. La dea Atena ha bisogno di me."
"Allora attenderà invano. Il nostro scontro potrebbe anche non terminare subito ma questo gioverebbe soltanto a noi. Atena ora è debole, posso percepirlo chiaramente, e presto il Sommo Ade avrà ragione di lei. Quindi non ho fretta, Archita dell’Ariete. Posso attendere, ma non temere. Presto diventerai il terzo Cavaliere d’Oro che cade per mano mia."
A quelle parole Archita ricordò quanto gli era stato riferito la sera prima. Lisandro, il suo amato allievo, era caduto per mano di Radamante. Quel pensiero annebbiò la sua mente, quel tanto che basta per rompere l’equilibrio. Il nemico lo colse alla sprovvista e Archita fu colpito dall’onda d’urto dell’attacco nemico. Fu scagliato indietro ma riuscì a cadere in piedi, seppur ansimante.
"Vedo che dai segni di cedimento. Non resisterai a lungo."
Archita si mise sulla difensiva. Lisandro. La notizia della sua morte lo aveva scosso e frastornato ma non aveva voluto darlo a vedere. In quel momento la priorità era proteggere Atena e non ci si potevano concedere distrazioni, neppure dovute a dolorose perdite come quella. Ogni stilla di energia, anche mentale andava alla guerra che stavano combattendo. Era normale che nelle guerre sacre si morisse. Aveva già visto altri compagni cadere nella precedente guerra sacra contro Ares, chi in modo eroico, chi con sofferenza, chi in modo repentino. Ma veder cadere un allievo era come veder cadere un figlio. Astylos, nel comunicarglielo, aveva abbassato la sguardo. Pure lui, aveva pensato Archita, soffriva la perdita di Archelao. Triste destino il loro, maestri che sopravvivevano agli allievi. Si erano stretti forte la mano, senza dire nulla, che a volte il silenzio e uno sguardo profondo offrono più comprensione delle parole. Poi vi erano stati altri fatti, altre notizie, altre azioni da preparare e non aveva più pensato a Lisandro. Si era imposto di non pensarci, nemmeno quando avesse avuto Radamante di fronte a sé. Ma per quale motivo, se non per vendicare l’allievo, lo aveva sfidato apertamente dichiarandosi suo avversario? Certo, era suo dovere di cavaliere affrontare i nemici di Atena, questo diceva a se stesso, ma ora vi era un motivo in più e proprio Radamante sembrava volerglielo ricordare.
"Sembri stanco, Archita. Lascia che ti dia requie, un’eterna requie!"
"Non così in fretta, Radamante!"
"Il tuo cosmo è vigoroso, il tuo attacco temibile ma saprai respingere questo attacco?" disse il Giudice sicuro di sé. "Cerchi di Spirito!" Radamante aveva già il sorriso del trionfo stampato in volto.
Archita non si mosse e solo all’ultimo aprì le braccia davanti a sé. L’attacco fu disperso.
"Che prodigio…" Radamante non credeva ai suoi occhi. Già Lisandro aveva vanificato questo suo colpo letale, ora Archita lo aveva addirittura dissipato. "Come ci sei riuscito?"
"Muro di Cristallo. Così si chiama questa tecnica. Strano che nessuno te ne abbia parlato, è piuttosto celebre." replicò il cavaliere con sarcasmo e rabbia.
"Vuoi dire che quella barriera può contenere i miei attacchi?"
"Certo. E se tra un po’ sarò costretto ad abbassarla sarà solo per farti assaggiare i miei e costringerti a mordere la polvere. Vedremo se le tue capacità difensive sono pari a quelle di attacco."
"Mi stai sfidando? Stolto! Un Giudice degli Inferi non teme il tuo ridicolo Muro di Cristallo! Guarda come lo mando in frantumi. Castigo Infernale! Potenza dei Demoni!!!" Centinaia di anime dannate proruppero dal nulla con urla e grida da far accapponare la pelle. L’informe turbine di ombre si diresse a gran velocità verso Archita. L’orrore e la sofferenza degli Inferi parvero essere vivi e immanenti sulla Terra. Chi si fosse trovato nei paraggi avrebbe provato un terrore senza pari e difficilmente avrebbe retto all’udire quel coro di urla demoniache. Archita tuttavia non si scompose. I dannati impattarono sul Muro di Cristallo, che fletté, si incurvò, mandò bagliori iridescenti ma non cedette. Il cavaliere dell’Ariete espanse il proprio cosmo e con un urlo liberò l’energia accumulata. Il Muro di Cristallo divenne pura luce, esplose e spazzò via l’orda di demoni. Radamante non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi che subì il contrattacco. La velocità di esecuzione di Archita era stata impressionante. "Per il Sacro Ariete! Rivoluzione Stellare!"
Meteore lucenti precipitarono su Radamante. Il suo elmo andò in pezzi e frastornato il Giudice cadde riverso sulla schiena. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla fronte.
"Ed ora chiudiamo la partita." disse asciutto Archita.
Radamante digrignò i denti poi incredibilmente si produsse in un ghigno. "Archita di Thera, lode a te per avermi ferito e aver danneggiato la mia corazza. Peccato che ora sia il mio turno di mostrarti che qual è la vera forza di Radamante, Giudice degli Inferi!" Il tono della sua voce si era fatto più profondo, l’espressione minacciosa e il suo cosmo nero brillava spaventoso nella notte.
"Muro di Cristallo!" replicò Archita avendo intuito il pericolo di esporsi ad un altro attacco.
Radamante non si aspettava la mossa difensiva ma non desistette dal suo proposito. Contro i Cavalieri d’Oro, ormai lo aveva imparato, serviva la sua tecnica suprema e a quella sarebbe ricorso. "Di’ pure addio al tuo bel muro, Archita! Sto per abbatterlo!"
***
Il rumore di un mantello scosso dal vento si udiva chiaramente nel pronao del Tesoro dei Corinzi, il piccolo tempio voluto pochi anni addietro da Cipselo, tiranno di Corinto. La figura di nero vestita avanzò e vide un lampo bianco sparire tra le colonne ben scolpite.
"Mostrati, non puoi fuggire ancora!" Avrebbe voluto mandare in pezzi quella costruzione ma ne ammirava la bellezza, ancorché opera di uomini mortali. Non mancava in lui l’ammirazione per la techné che aveva permesso la realizzazione di opere tanto mirabili e di eccelsa fattura, cosa di cui talvolta avvertiva la mancanza nella sua dimora.
"Mostrati, ormai è finita." disse in tono perentorio.
Il rumore di un passo, poi un altro, poi un piede che usciva dall’ombra, un mantello e infine l’uomo. L’uomo e non la donna, o meglio la dea che si attendeva. E non un uomo qualunque, ma quell’uomo.
"Policrate, il Grande Sacerdote! Che significa questo?"
"Non cercavate me, Sommo Ade?" rispose l’uomo reprimendo la paura. Il piano era riuscito. Ora la sua sorte era segnata, ma aveva compiuto il suo dovere.
"Ho percepito il cosmo di Atena, ella è qui, non ingannarmi. Tu non possiedi certo un cosmo divino e presto spegnerò in te quello umano…" Le parole gli morirono in bocca quando vide l’urna che Policrate reggeva.
Il Grande Sacerdote prevenne il suo stupore e parlò con la calma che gli era consentita in quel frangente. "Sì, Sommo Ade, ecco Atena, o meglio quel che ne rimane. Il suo Ichor, il suo sangue divino, che ho fatto stillare dal suo nobile braccio con la spada Excalibur. Credo sia questo il cosmo divino che avete percepito. Il cosmo di Atena che tanto avete cercato. Cercatela ancora, a quest’ora ella avrà già portato a termine la sua impresa."
Ade sollevò la sua spada, pronto a colpire, ma trattenne l’ira. "Due volte… due volte beffato da un mortale. Policrate, la tua sorte sarà terribile ma prima dimmi, che avete in mente tu e Atena?"
Un cosmo divino si elevò, un altro gli si oppose. Uno dei due infine svanì. Ade abbassò la spada, guardando verso valle. "No, è assurdo… Thanatos…"
"Uno è andato." disse Policrate improvvisamente colmo di speranza.
"Sei uno stolto, Grande Sacerdote! Atena avrà anche sigillato Thanatos, è evidente, ma ora è inerme. Tanto più ora che parte del suo Ichor è custodito in quell’urna che reggi…" Ma a quel punto una comprensione più profonda si fece strada nella sua mente. "No, Atena non è sciocca al punto da andare incontro ad una sconfitta sicura solo per creare un diversivo e trarmi in inganno."
"E infatti è proprio così, Sommo Ade."
Il Cronide espanse il suo cosmo e si piantò davanti a Policrate che istintivamente si ritrasse nel pronao del Tesoro dei Corinzi. "Parla e la tua fina sarà dolce, anche se ben altro meriteresti!"
"I miei meriti dipendono da Atena, non certo da voi. La morte e la discesa in Ade sono destino ineluttabile per ogni uomo, posso forse temere più di altri il mio sprofondare nel vostro regno se già qui, sotto il cielo stellato, mi trovo al cospetto di Ade figlio di Crono? Non potete apparire certo più terribile nella vostra dimora sotterranea."
Proprio allora un nuovo cosmo divino si elevò, ma un altro lo fronteggiò, lo domò e lo fece svanire. Ade non poteva credere a quello che percepivano i suoi sensi divini. "Hypnos… anche lui!"
"E due." disse Policrate con più decisione. Tutto era andato come doveva andare, ora restava la parte più difficile. Resistere ad Ade.
"Atena, sei degna d’essere figlia di Zeus!" disse stizzito Ade. "Due divinità sopraffatte. Il modo in cui ciò è potuto avvenire mi è ora chiaro." Con un fulmineo colpo di spada mandò in pezzi l’urna che Policrate reggeva, versandone l’Ichor divino. Il Grande Sacerdote restò ferito ad un braccio e il suo sangue gocciolò a terra, a mescolarsi con quello della dea.
"Ora non vi è più pericolo che il rito del fuoco sacro e quello della guarigione possano nuocere nuovamente. Atena in questo momento è debole nel cosmo e ha perso parte del suo sangue divino. Soggiogarla sarà anche troppo facile."
Policrate era sgomento per quello che era appena accaduto. "Voi…" disse ad alta voce, quasi un rimprovero.
"Voi cosa, stolto?" fece Ade infastidito.
"Voi… avete versato il sangue di una divinità! Di una vostra congiunta! Come potete aver commesso un tale atto sacrilego, per di più qui nel Santuario…"
"Taci, uomo. Ho sparso il sangue di Atena ma tu lo avevi fatto prima di me, o non è forse così?"
"L’ho fatto… su comando della dea, per raccoglierlo e conservarlo in un’urna consacrata, affinché potesse servire in futuro."
"A cosa potrebbe mai servire? Non impedirà la caduta di Atena. E almeno non potrete servirvene per provare ad usarlo sui vostri compagni di battaglia, il cui destino è segnato."
"Potreste pentirvi del vostro atto e delle vostre parole." disse fiero Policrate.
"Chi deve pentirsi e pagare sei tu. Addio Policrate! Per troppo tempo ho sopportato la tua arroganza e le tue beffe. Il Tartaro ti attende!" Sollevò la spada e si apprestò a colpire.
Policrate si ritrasse nel tempio, Ade avanzò per finirlo ma quando la spada stava per calare sul Grande Sacerdote questi disse: "Due volte mi sono fatto beffe di voi, permettete che lo faccia una terza!" E allungando la mano tra i tesori e gli ex voto ivi ammucchiati prese un elmo ad Ade molto familiare. La spada calò ma Policrate era sparito. Il dio ne percepì comunque il cosmo e menò altri fendenti, nell’etere vano, ma rapido era Policrate e si sottrasse correndo invisibile lungo la via sacra. Il Cronide era furente ma sapeva che il tempo gli avrebbe consegnato Policrate. La sua priorità era Atena. Non poteva indugiare oltre.
***
Eaco si alzò, seppure a fatica. La sua corazza era stata incrinata dall’ultimo colpo di Astylos e il pettorale era profondamente danneggiato. Se era ancora vivo lo doveva ad essa. Si guardò attorno, ancora frastornato per il colpo ricevuto e ciò che attrasse la sua attenzione non fu Astylos, che giaceva inerme a pochi passi da lui, ma il grido di disperazione che si levava poco lontano. Il Giudice si alzò e allora li vide. Plistene stringeva tra le braccia Maia, piangente.
"Maia… perché… Perché hai tradito? Oggi avresti trionfato assieme a noi. Perché non mi hai dato retta?" Stizzito tirò un calcio al proprio elmo che giaceva a terra, scagliandolo lontano. "Se vittoria ci attende di certo sarà amara."
Si avviò verso Plistene e in quella scorse Atena, appoggiata all’Egida e con lo sguardo basso, e altri due cavalieri d’argento. Ponderò il da farsi e decise che il suo avversario sarebbe stato Plistene. Maia si era perduta passando dalla parte di Atena a causa sua.
"Cavaliere!" disse a gran voce. "Smettila di piangere la mia compagna d’armi! Preoccupati piuttosto della tua sorte!"
Plistene levò lo sguardo, gli occhi taglienti come lame. "La tua compagna? Quella che fino a poco fa avete chiamato traditrice, quella che avete fatto massacrare a quei due mostri che vi ostinate a definire divinità?"
"Bada a come parli." disse Eaco con tono di rimprovero, sebbene la definizione di mostro si attagliasse molto bene a Thanatos.
"Segui tu stesso il tuo consiglio, maledetto!" Plistene si levò in piedi, furente.
"Non eccedere nell’ira, che non si addice ad uno come te! Per te vi è il rimorso, solo quello. O forse non senti il peso della tua colpa?"
"Che dici, Eaco!"
"La verità. Se Maia fosse restata al suo posto, se fosse rimasta fedele ad Ade, forse ora vivrebbe."
Plistene guardò la ragazza e il dubbio sfiorò la sua mente. Se si fosse limitato a salvarle la vita e avesse evitato di parlarle di Atena… No! Aveva agito bene. Aveva fatto quello che doveva fare in quel momento. "Eaco, non provare a confondermi!" disse con tono monocorde.
Eaco rise. "Se le mie parole ti sembrano menzognere ti chiedo scusa. Farò parlare i miei atti." Aprì le braccia e mille occhi apparvero dietro di lui, nella notte. "Illusione Galattica!"
"Kahn!!!" gridò Plistene.
"Sei uno sciocco, Plistene. La tua barriera ti protegge da ciò che può colpirti, non da ciò che puoi vedere!"
Era vero, realizzò Plistene. Cercò di distogliere lo sguardo ma era troppo tardi. L’ultima cosa che udì fu la voce di Atena. "Attento Plistene!"
Vide Maia, viva, nell’atto di attaccarlo. Lo chiamava traditore e lo incolpava della morte dei fratelli. Una stupida, sciocca illusione creata ad arte! Non poteva esser tratto in inganno riguardo i sentimenti che la ragazza nutriva per lui. Si riscosse e aprì gli occhi. Vide Atena, sempre più debole, cedere sotto i colpi di Eaco. La dea veniva scagliata in aria all’urlo "Ali di Garuda!" No, non poteva essere! A tal punto poteva essere sacrilego un Giudice degli Inferi? Sarebbe Zeus Tonante rimasto impassibile davanti a tutto questo? O era una nuova illusione? Lo avrebbe scoperto di lì a poco perché qualcosa stava già accadendo.
Eaco aveva guardato Plistene restare immobile, lo sguardo perso. Si apprestava ad attaccarlo quando una voce lo fece sussultare.
"Non così in fretta, Eaco! Prima devi finire con me." Astylos era in piedi, fiero e battagliero.
"No, tu eri perduto!"
"Perduto, certo. Ucciso dal mio allievo Archelao con quindici cuspidi." rispose beffardo Astylos. "Sì, Eaco, avevi quasi raggiunto il tuo scopo. L’illusione era tremendamente reale e mi ero davvero convinto che l’ombra di Archelao fosse davanti a me. Sei maestro nell’inganno, te ne do atto. Tuttavia la voce di un amico è giunta a me mettendomi sull’avviso."
"Chi… chi ha potuto tanto?" si chiese Eaco.
"Pisandro del Leone!"
"Non può essere, io l’ho ucciso e dall’Ade non possono giungere voci fin sulla Terra!"
Astylos rise. "Proprio tu, che negli Inferi sei Giudice, vuoi farmi credere che ciò non possa accadere in situazioni particolari? Oh no, stento a crederlo. Il pensiero di Pisandro, e con esso il suo avvertimento, mi è giunto da qualcuno che a te era molto vicino. Qualcuno che tu chiamavi Maia, anche quando tutti la chiamavano Aletto! E’ stata una di voi, ora vaga sulle sponde desolate dell’Acheronte, eppure prima di lasciarci ha potuto farsi tramite tra gli Inferi e la Terra!" Concluse ad alta voce.
"Maia…" disse Eaco a denti stretti. "Quanto è profondo il tuo tradimento! Conoscevi l’Illusione Galattica… No, un momento! Pisandro però non l’aveva mai vista, non ho usato quella tecnica contro di lui!"
"Pisandro aveva provato sulla sua pelle un potere che è insidioso al pari delle tue illusioni. Il potere della musica, delle onde sonore. Il combattimento con Apofis, ricordi? Il valoroso cavaliere del Leone, che mi onoro di aver avuto come compagno di battaglia, era svelto di mente e non solo di braccio. Dovrei fare io ammenda per non aver tenuto conto del fatto che inganno e illusione dovevano essere all’ordine del giorno in un combattimento contro di voi. Pisandro aveva conosciuto i vostri inganni. Tramite Maia, che certo ti conosceva molto bene, mi ha messo in guardia. Pertanto non dolerti se l’arcano è stato svelato, Eaco. Preparati piuttosto a terminare la battaglia."
Eaco guardò dritto negli occhi il suo avversario. "Devo ammettere che Pisandro del Leone è stato un avversario più che degno. Con giusto merito gli dissi che avrei reso omaggio alla sua ombra. Non temere, lo farò anche con la tua, Astylos del Sagittario. Se è la guerra che vuoi, guerra avrai! Lampo di Garuda!" Il colpo fu veemente e Astylos lo schivò all’ultimo.
"Non credere sia così facile, Eaco!"
Per tutta risposta Eaco caricò a testa bassa concentrando il cosmo nel pungo. Colpi in sequenza scaturirono a grandissima velocità. Del pari Astylos rispose con l’Onda Saettante. I due si sfiorarono, si scambiarono di posto, furono sul punto di mettere a segno un colpo decisivo ma all’ultimo l’avversario si sottrasse.
All’ennesimo assalto Eaco usò ancora l’Illusione di Garuda.
"Mi sottovaluti Giudice, so come evitare questo colpo!"
"Lo so e infatti non è per questo che ne ho fatto uso." replicò sibillino. Astylos non capì il significato delle sue parole. Mille occhi erano attorno a lui, ammalianti, ma ormai sapeva come non cadere vittima dei loro inganni. Bastava… Fu colpito al braccio. Si sbilanciò e un altro colpo arrivò a segno all’addome e infine uno al volto. Sputò sangue e si trovò mani a terra. Eaco gli fu sopra ma all’ultimo Astylos riuscì a scagliare una Sagitta e a ferire il Giudice. Nello scontro tuttavia era lui ad aver avuto la peggio.
"Sorpreso Astylos? L’illusione era assolutamente inutile ma un effetto l’ha ugualmente avuto: ti ha distratto quel tanto che basta da rallentarti e così ho potuto mettere a segno i miei colpi."
Astylos stava per replicare ma non ne ebbe il tempo.
"Lampo di Garuda!" D’istinto il cavaliere si protesse con le braccia ma il colpo era troppo ravvicinato. Volò indietro e i suoi bracciali dorati si incrinarono. "Alla lunga cederai!" disse solenne Eaco.
"Alla lunga, mio fedele Giudice, cederanno tutti." disse una voce.
Astylos e più in là Atena, Plistene, Metoneo e Farios percepirono il cosmo divino allargarsi sempre più ed ecco che dalla notte Ade comparve in mezzo a loro.
"Termina la tua opera, Eaco." disse solenne Ade. Poi rivolto ad Atena: "Abbiamo un conto da regolare, figlia di Zeus!"
***
Giunto ai piedi del Santuario di Apollo Policrate si arrestò. Aveva il fiato grosso e un dolore molto acuto al braccio sinistro. Si tolse l’elmo e si avvide che la ferita infertagli da Ade non era superficiale come aveva sperato e il sangue usciva copioso. Aprì il palmo, strinse il pugno e mosse le dita. La funzionalità dell’arto non era compromessa ma doveva medicarsi al più presto.
"Posso aiutarvi, Policrate?"
Il Grande Sacerdote, preso alla sprovvista, sussultò. "Polissena!"
"So come si curano quelle brutte ferite, ne ho curate molte in passato." disse la ragazza avvicinandosi. Esaminò il braccio dell’uomo e concluse. "Ho bisogno di bende. Ne possiamo trovare qui?"
Policrate annuì. "Dove accolgono i pellegrini credo ci sia tutto il necessario, ma io devo correre in aiuto di Atena. Non c’è tempo da perdere."
Polissena, senza alcun timore reverenziale, disse sicura: "Un cavaliere dissanguato sarebbe di poco aiuto. Non ci metterò molto."
Colpito da un dire così deciso non osò contraddire la ragazza. "Se la tua abilità nel curare ferite è pari alla tua determinazione sono in buone mani. Coraggio dunque!"
Poco dopo la ragazza si dava da fare con un unguento e con delle bende. "Posso chiedervi una cosa, Grande Sacerdote?" disse mentre lo fasciava.
"Dimmi pure."
"Il maestro Farios sta davvero lottando contro Ade in questo momento?"
Policrate sussultò. "Perché mi chiedi questo?"
"Perché io… io lo sento! Percepisco il cosmo di Farios e un altro cosmo grandioso, immenso. Deve per forza essere quello di Ade. Ma il cosmo di Atena…" e il suo sguardo era preoccupato.
Policrate si alzò di scatto. "Allora devo andare!"
"Non ho finito!" disse lei. Un’ultima applicazione di unguento, un paio di giri attorno al braccio, un nodo ed ebbe finito, con un’abilità sorprendente. "Ed ora che vi ho aiutato non chiedetemi di rimanere qui. Dove andrete, io vi seguirò e sarò al fianco di Farios."
Policrate ammirò il lavoro ben fatto di Polissena, poi la fissò, le poggiò una mano sulla spalla e disse con tono disteso. "Credo che star qui a discutere della cosa sarebbe inutile, quindi mi limiterò a dirti questo: pericoli e morte, questo incontrerai sulla tua strada se vorrai essere al nostro fianco." Seguì un breve silenzio poi aggiunse, con dolcezza mista a malinconia. "Cerca di non esporti troppo. Sei giovane, troppo giovane e io ho già visto perdersi troppi cavalieri..."
Polissena a quel punto parve esitare. Restò muta per un attimo, mentre Policrate si avviava. Poi si riscosse e disse: "Se il mio cosmo vi dimostrerà che sono all’altezza di essere un cavaliere, di poter servire Atena, mi concederete di usare un’armatura? Correrei meno rischi."
Intelligente, acuta, risoluta. Non era cambiata poi tanto dai tempi in cui era vissuta al Santuario di Atene, pensò Policrate. "Una giusta osservazione, Polissena. Tuttavia non ti posso promettere che ci sarà un’armatura per te." Anche se lo temo, aggiunse mentalmente pensando a quanti erano caduti o sarebbero caduti di lì a breve.
***
Il Muro di Cristallo si incrinò. Archita stentava a credere a quello che vedeva. Negli occhi di Radamante brillava una determinazione feroce. Aveva lanciato la Potenza dei Demoni e pareva che da un momento all’altro persino quel lembo di terra sul quale stavano combattendo sarebbe sprofondato negli Inferi.
"E’ inutile che tu resista Archita! Quella barriera andrà in pezzi!"
"Non esserne così sicuro!" Il cavaliere dell’Ariete concentrò tutta la potenza del suo cosmo nelle mani a fortificare la barriera di Cristallo.
Radamante replicò assumendo una nuova posizione d’attacco. "Saranno i fatti a rendere manifeste le mie intenzioni. Preparati al colpo risolutore! Voragine del Tartaro!!!"
La notte divenne un abisso nero e cupe fauci di tenebra e lamento si spalancarono mentre da una voragine prorompeva un’energia carica di malvagità, ferocia e tristezza. Tutte le anime dannate del Tartaro sembravano essersi date convegno in quel luogo e ombre scure che emettevano grida scomposte e raccapriccianti si proiettarono come un turbine sul Muro di Cristallo. Archita puntò i piedi, provando con uno sforzo supremo a contenere quella pressione. Sulle prime parve resistere poi comprese un’amara verità. Avesse anche contenuto quel colpo stava bruciando il suo cosmo troppo oltre e ciò significava che avrebbe conservato ben poche energie per l’assalto successivo. Ricordò le parole del suo vecchio maestro, quell’uomo dagli occhi sottili, venuto dal mare, giunto ad Atene da una terra ai confini del mondo. La sua saggezza era pari alla sua abilità nel combattimento, che era straordinaria. "Archita!" aveva detto un giorno durante l’addestramento "Ricorda che a volte la forza va assecondata con dolcezza, anche se ciò può sembrare debolezza. Sappi sfruttare la forza del tuo avversario a tuo vantaggio quando se ne presentasse l’occasione, e soprattutto impara a non dissipare inutilmente le forze. Due forze che si contrastano creano stasi equilibrio… e un’immane dispendio di energie. Una cosa sciocca come il mare in tempesta e il vento quando contendono per stabilire chi sia più forte." A quel punto aveva sorriso. "Se invece saprai sfruttare una forza a tuo vantaggio, piegarla con delicatezza al tuo volere, allora Archita…" Ed erano seguite delle dimostrazioni pratiche e lui si era trovato più volte a terra. Il vecchio maestro… chissà se in quel momento era approdato alla sua terra d’origine o se era ancora lungo la via, con il prezioso dono che Atena gli aveva affidato, affinché ne avesse cura e lo serbasse chi, un giorno, lo avrebbe potuto reclamare. Archita considerò dunque in pochi istanti che la superficie del Muro offriva un ampio bersaglio a chi lo stava attaccando con quella tecnica dall’elevatissima portata cosmica. Vi era una sola cosa da fare, anche se veder vanificata quella tecnica che era il suo orgoglio, che aveva impiegato per la prima volta nel corso della guerra sacra contro Ares, era dura da accettare.
Fece un balzo all’indietro mentre si staccava del Muro di Cristallo. La barriera andò in pezzi e la Voragine del Tartaro lo investì. Fu spinto con violenza all’indietro ma riuscì a mantenere l’equilibrio e controllare quella poderosa onda d’urto, i muscoli tesi fino allo spasmo. Realizzò allora di aver corso un grave rischio e di essere vivo grazie alla sua inusuale manovra difensiva, al Muro che aveva attutito il colpo e alla sua armatura dorata.
Radamante non credeva ai suoi occhi. "Resisti dunque ancora?" disse alterato. "Poco male. Questa è stata la tua ultima resistenza! La tua difesa è ora annullata ed il prossimo colpo sarà fatale!"
"Questo è quello che credi tu, Giudice degli Inferi."
"Non hai la forza di difenderti e attaccare insieme. Il tuo cosmo è affaticato. Riedifica pure il tuo Muro di Cristallo. In quel caso però non potrai più attaccarmi e allora sarai alla mia mercé. Oppure tenta pure di attaccarmi e di esporti alla mia replica, a tuo rischio. Sei in un vicolo cieco, Archita!"
"Oh no, Radamante, non lo sono affatto." disse Archita con calma e padronanza di sé. "Ho già deciso quale sarà la mia prossima mossa."
***
"Atena, spero stavolta vorrai evitare di fuggire. Un resa onorevole è preferibile alla fuga." Ade parlava con calma, ma la sua spada che scintillava nella notte era come una sfida e al contempo come la promessa di una sentenza.
"Ade, sai che non posso arrendermi senza combattere."
"Sei poco ragionevole, nipote mia. Questa volta è davvero finita. Il tuo cosmo è allo stremo. Hai usato un espediente davvero notevole per piegare Thanatos e Hypnos ma ora il gioco è terminato." E dicendo questo guardò Metoneo e poi Farios.
D’istinto Atena si interpose tra il Cronide e i suoi cavalieri. "E’ con me che ti devi confrontare."
"Atena, lasciatelo a noi." disse allora Farios con voce ruvida. "Se devo cadere, voglio farlo in prima linea, difendendovi come è mio dovere."
"Farios…" mormorò Atena.
"Sono con te!" disse sicuro Metoneo portandosi al fianco del parigrado.
Ade era una presenza che incuteva terrore ma entrambi in quel momento riuscivano a vincere facilmente il pensiero della morte. Farios era tutt’altro che un ragazzo e nell’esperienza e nelle meditazioni di anni e anni aveva accettato l’ineludibilità della morte, tanto più se per una tal causa. Il ricordo del fratello più giovane, caduto per i suoi stessi ideali, gli infondeva coraggio e determinazione. Metoneo invece era dominato da una passione violenta e amara al tempo stesso, che l’esperienza non poteva essere pari a quella del compagno più anziano. Il dolore per la perdita di Elettra lo aveva spinto a trovare dentro di sé energie inesauribili e una forza che non sapeva di avere. Terribile è il potere distruttivo di chi attinge al profondo del suo animo dopo aver perso una persona che ama e di chi è pronto a sacrificare se stesso nel ricordo di lei. In questo stato d’animo i due si pararono di fronte ad Ade.
"Levatevi." disse freddo il dio. Bastò un gesto della sua mano per farli cadere a terra. "Ed ora Atena…"
Non riuscì a finire la frase.
"Sacro fuoco dell’Altare!"
"Sacro cosmo della Coppa!"
L’attacco simultaneo di Metoneo e Farios centrò il dio degli Inferi, che tuttavia ebbe solo un’espressione di fastidio.
"La vostra impudenza vi condanna. Peccato, avrei potuto essere clemente." Concentrò il cosmo nella mano e colpì prima Metoneo e poi Farios. I due gridarono di dolore mentre le loro armature andavano i pezzi. Farios in particolare fu ferito gravemente poiché l’armatura della Coppa era già compromessa.
"E così il vostro potere sacrale e risanatore, che così bene avete saputo combinare, è vanificato. L’armatura della Coppa aveva la proprietà di rigenerare il cosmo e di sanare ferite. Quella dell’Altare è legata per sua natura al fuoco sacro delle divinità. Chi le ha ideate e forgiate sapeva il fatto suo, così come il committente. Dunque, combinandone i poteri hai rigenerato il tuo cosmo e questo ti ha permesso di sconfiggere sia Thanatos sia Hypnos. Non è forse così Atena?"
La dea annuì.
"Per fare ciò hai però dovuto privarti di parte del tuo Ichor divino. Ichor che grazie al potere della Coppa e del Fuoco Sacro ti è servito come un accumulo di energia cosmica. Dopo il primo attacco in pochi istanti il tuo cosmo è tornato ai livelli originari."
"Non ti inganni Ade." C’era fierezza nella voce di Atena.
"Sfortunatamente non potevi privarti di una quantità troppo elevata di Ichor, per non indebolirti troppo e dunque hai potuto utilizzare questo stratagemma una sola volta, bruciando l’Ichor accumulato. Tra l’altro ne avevi versato parte pure in un’urna che hai affidato al tuo Grande Sacerdote, con l’intento di creare un diversivo che mi distraesse. E infatti ho seguito prima quell’emanazione cosmica, ma in fondo è stato meglio così. Avresti potuto decidere di eliminare Thanatos e me, e vedertela poi con Hypnos, ad esempio. Ora però non vi sono più una Coppa e un Altare e soprattutto tu non puoi continuare a privarti dell’Ichor vitale."
"Ho scelto di eliminare Thanatos e Hypnos perché sono assai più infidi e brutali di te. Era la cosa giusta da fare. Ne comprendi il motivo? Saranno i miei cavalieri a vincerti, Ade."
"Ne dubito!" disse freddo il dio ma il ricordo della beffa patita da parte di Policrate divenne vivo nella memoria. "Questi tuoi devoti muoiono ora. Ti hanno ben servita, ma l’ora del congedo è giunta."
Farios comprese di essere il primo obiettivo dell’attacco di Ade. Raccolse le sue forze e attaccò a sua volta. "Sacro cosmo della Coppa!"
"Vecchio scellerato!" mormorò Ade e si lanciò in un affondo con la sua lama rosseggiante, sicuro di ghermire la vita del vecchio. La voce e il grido che seguirono erano però quelli di un ragazzo e il Cronide per un attimo restò confuso e arrestò l’attacco.
Farios ci mise qualche istante a capire, poi vide il sangue, il ragazzo che si contorceva a terra mentre una macchia di sangue di allargava sotto di lui e si udiva un rantolo uscire dalla sua bocca.
"Miacle no!!!" Il ragazzo che era stato suo allievo era apparso all’improvviso dalle tenebre e si era posto a difesa del maestro.
Miacle realizzò solo nell’estremo istante che colui che aveva attaccato Farios era il signore degli Inferi. Un terrore ancestrale lo colse. Con gli occhi vagò alla ricerca del maestro mormorando "Farios…" ma senza trovarlo. Trovò invece il volto luminoso della dea e scivolò nella morte con una scintilla di speranza in fondo al cuore.
"Maledetto tu sia!" gridò Farios stringendo i pugni e mostrandoli al Cronide.
Atena provò un’infinita tristezza alla vista del ragazzo che era caduto. Nulla, non era riuscita a fare nulla per lui.
Farios si lanciò contro Ade, barcollando, che le sue ferite non gli consentivano di muoversi come avrebbe voluto. Il dio degli Inferi volle essere misericordioso: gli trapassò il cuore con un deciso colpo la spada. "Vecchio impudente, ti avrei sprofondato nel Tartaro ma ti sono debitore di una vita." E guardando Atena con aria di sfida aggiunse. "Come vedi so essere magnanimo: ora allievo e maestro sono ricongiunti nella morte."
"Morte…" disse piano Atena. Poi più forte: "Morte! E’ questa la tua magnanimità, Ade?"
"E’ il mio potere, il mio ruolo, il mio posto nel cosmo. Come Poseidon nel mare e tuo padre Zeus nel cielo così io nel Tartaro e nel regno dei morti. Con il Fato ti dovresti lamentare, ma sarebbero lamenti vani. E comunque sì, a mio modo sono stato magnanimo. Per te sarebbero comunque morti combattendo, io ho dato loro una morte rapida, indolore e onorevole. Se qualcuno canterà mai le loro gesta dirà che sono caduti al cospetto di un dio, là dove tutti i mortali sono destinati a cadere."
"Forse non tutti, Ade." replicò Atena.
"Non illuderti oltre." Puntò Metoneo. "Prenderò anche la sua vita se non ti arrendi ora."
Metoneo disse allora a gran voce: "Non cedete mia dea! La mia vita non vale così tanto. Se voi cedete cosa ne sarà dei miei compagni, cosa delle genti che vivono sotto i cieli? Coraggio! Battetevi fino alla fine!"
Ade scosse la testa. Avrebbe voluto comprendere quella cieca ostinazione, quel vano furore, quella sciocca speranza di vittoria, ma non ci riusciva. "Ebbene addio, cavaliere dell’Altare!"
Il colpo fatale scaturì dalla sua mano aperta, ma Atena si parò davanti a lui, intercettandolo. Debole com’era fu piegata in due e le sue mani, nel voler contenere quel colpo, sanguinarono.
"Atena no!!!" gridò Metoneo.
La dea sorrise, con la dolcezza che le era propria. "Metoneo, non ti preoccupare. Io me la caverò in un modo o nell’altro. Brucia il tuo Fuoco Sacro, fa sapere ai miei cavalieri di venire al più presto, che Atena non si arrende! Ade deve essere sconfitto, ora." Chiuse gli occhi, indebolita dal dolore dello sforzo. Poi sollevò l’Egida davanti a sé ma l’artefatto le sembrava ora più un impaccio che una difesa. Pesante, era così pesante. Fu allora che Metoneo la udì dire. "Di’ a miei cavalieri che possono, anzi devono far uso delle armi della Libra. Il momento lo impone."
***
Plistene si riscosse totalmente dal torpore che lo aveva colto nel momento in cui udì l’urlo disperato di Farios. Fu allora che vide quel ragazzo a terra, privo di vita. Poco dopo era stata la volta di Farios della Coppa cadere al cospetto di Ade. Le parole del dio degli Inferi gli erano parse confuse, come provenissero da molto lontano, ma quando ne aveva colto il senso aveva provato un misto di tristezza e disprezzo. Ora vedeva Atena fronteggiare il nemico e piegarsi lentamente sotto il peso del cosmo del Cronide. Si riscosse e si diresse verso la dea, prima barcollando, poi acquistando sicurezza passo dopo passo.
"Plistene, attento!" gridò Metoneo che era a terra, ferito.
In tutta riposta il compagno si parò davanti alla dea e gridò: "Kahn!!!" La barriera si frappose tra le due divinità e Atena avvertì l’Egida farsi più leggera. "Mia dea, non resisterò a lungo… Mettetevi in salvo!" disse Plistene tra i denti.
"No, Plistene! Sta a me sostenere questo peso!"
"Se così fosse… quale sarebbe lo scopo della nostra esistenza? Per voi… combattiamo! Con voi condivideremo la vittoria o la sconfitta!"
"La sconfitta senza dubbio." disse glaciale Ade. "Che termini questo confronto!" Mulinò la spada di lato poi si produsse in un affondo mentre una vivida e rossa fiamma avvolgeva la lama. Il Kahn andò in pezzi e il pettorale e i coprispalla dell’armatura di Plistene si incrinarono e si ruppero in più punti. Il giovane fu catapultato indietro e con lui Atena e l’Egida che rimbalzò su una pietra con un suono sgraziato e rotolò nella polvere andando a fermarsi poco distante. Su tutto scese il silenzio, interrotto solo dal singhiozzo disperato di Metoneo che aveva assistito al tutto senza poter fare nulla.
***
Poco oltre la battaglia tra Astylos ed Eaco infuriava selvaggia.
Astylos incalzava l’avversario da lontano, Eaco cercava di sorprendere il cavaliere di Atena, forte della sua velocità e della sua micidiale tecnica nel corpo a corpo. Quello che accadeva attorno a loro stava sfumando sempre più nella notte. Astylos vedeva solo Eaco ed Eaco era concentrato solo su Astylos. Solo quando Ade colpì duro Plistene e Atena i due riebbero percezione piena della realtà che li circondava.
"La battaglia volge al termine, Astylos. Comunque vada il nostro scontro l’esito della guerra sacra è segnato. Atena non può più nulla contro Ade, questione di attimi e la resa sarà inevitabile. Desisti e forse ti sarà fatta salva la vita. O ambisci piuttosto a raggiungere i tuoi compagni nel Tartaro? Vana è stata anche la loro resistenza."
"Atena sarà sconfitta veramente solo quando saremo sconfitti anche noi, tanto sul campo quanto nell’animo. Finché l’ideale che ci sostiene perdura, finché vi è una possibilità di vittoria, finché una scintilla di cosmo arderà nell’ultimo di noi che sarà rimasto vivo, fino ad allora Atena non cadrà."
"Le tue parole sono nobili, il tuo orgoglio, seppur cieco, è ammirevole. Dico davvero, Astylos. Tuttavia ciò non cambia la realtà dei fatti. La battaglia la state perdendo e con essa perderanno la vita i tuoi compagni. Poco fa ne è caduto un altro. Chi sarà il prossimo? Forse Plistene?"
"E della tua schiera di demoni, dimmi, che ne è stato?" replicò sarcastico Astylos.
Eaco fu punto sul vivo: "Che io combatta solo, ora, mi pare faccia poca differenza. E se posso dirla tutta, l’esserci levati dai piedi Thanatos ed Hypnos renderà ancora più glorioso il nostro trionfo. Avete combattuto con onore, con devozione e abnegazione, ma siamo all’epilogo."
Astylos rise. "Proprio tu parli di onore. Eppure mi pare che siate voi quelli che hanno goduto del privilegio di una seconda possibilità. O forse dovrei dire…" lasciò per un istante la frase in sospeso, ficcando lo sguardo in quello di Eaco. "… di una seconda vita? Non sei tu miracolosamente scampato al mio attacco letale? Eri perso, come perso ero io. Un amico mi ha soccorso, e non mi vergogno ad ammetterlo. Tu invece, a cosa devi la tua salvezza?"
Eaco parve infastidito. "La prospettiva della sconfitta ti fa vaneggiare. Lampo di Garuda!"
"Onda Saettante!"
Scartando rapidamente evitando l’uno il colpo dell’altro.
"Cosa rispondi, Eaco?"
"Nulla! Sono stanco di questa nostra danza bellica."
"Se vuoi posso mettere la parola fine, ora. Prima però mi piacerebbe che mi illustrassi il vostro segreto."
"Non ho nulla da nascondere. Salvo, solo, la tecnica con cui ora avrò ragione di te." Eaco si sentiva a disagio messo di fronte alla cruda verità e soprattutto si chiedeva come Astylos potesse aver capito. O era solo intuito? Oppure stava solo tirando ad indovinare? Dopo tutto poco importava, stava per eliminare il problema alla radice.
"Sto ancora aspettando una risposta, Eaco. La tempesta sta arrivando, sento montare la sua furia dentro di me. Parla, prima che sia troppo tardi!"
Eaco si preparò all’attacco e tese i muscoli. La sua armatura emanò una luminescenza violacea, vivida e intensa. Subito tuttavia si spense e il Giudice parlò con voce rassegnata: "Sei un guerriero di prim’ordine, Astylos del Sagittario." Abbassò la guardia e abbandonò le braccia lungo i fianchi. "Hai detto che ero perso ed in effetti così è stato. Sarei dovuto tornare nell’Ade, come un comune mortale, e il mio corpo si sarebbe rigenerato solo dopo parecchio tempo. Certo il mio spirito avrebbe continuato ad esistere, per permettermi di presiedere ai miei incarichi nel regno degli Inferi. Gli Spettri, o i demoni come li chiamate voi, che hanno la ventura di cadere in battaglia non muoiono, tornano ad essere ombre. E’ loro impedito far ritorno sulla Terra finché non abbiano recuperato il loro corpo, cosa che avviene di solito dopo anni… in alcuni casi dopo secoli. Non credere tuttavia che gli Spettri abbiano libero accesso al mondo dei vivi. Come Caronte, Cerbero, le Erinni e le altre creature che popolano gli Inferi pure i Giudici e gli Spettri al servizio di Ade non possono metter piede nel mondo dei vivi se il nostro signore lo vieta o se non è in corso una guerra sacra: gli Inferi danno accesso a molti, a pochi permettono di uscire, sia pure tra chi vi dimora. Capisci ora perché Ade brama il mondo sotto le stelle?"
Astylos aveva ascoltato con attenzione. "Il vostro desiderio può essere comprensibile, tuttavia che ne sarebbe dell’ordine cosmico?"
"Non è stato forse esso più volte infranto, rivoluzionato, sovvertito dai tempi di Urano e Gea in avanti? Non era un mondo godibile, equilibrato, prospero quello governato da Crono? E Giganti e Titani non provarono forse a migliorare la loro situazione in passato? E che dire di voi, mortali? Non avete forse goduto del frutto del coraggio di Prometeo, che tanto pagò il suo atto di insubordinazione a Zeus per donarvi il fuoco?"
"Non sta a me rispondere a questi quesiti, Eaco. Ci sono domande cui un mortale non può dare risposta. Tu però mi devi una risposta ben precisa. Quindi ora parla."
Eaco fece qualche passo in avanti. "Se proprio ci tieni, sappi questo. Il fatto che gli Spettri maggiori sembrino tornare alla vita dipende da un dono… un dono che è anche un sacrificio…"
"Un sacrificio?"
"Esatto. Sai cos’è un sacrificio? Comprendi quanto può essere profondo? Dobbiamo ringraziare…"
"Chi?"
"Vuoi conoscere il suo nome?" disse a bassa voce Eaco.
Astylos cominciava a perdere la pazienza. Fece un passo avanti e disse sicuro di sé: "Parla!"
In quella però Eaco scattò in avanti. Si era fatto vicino, troppo vicino e Astylos non aveva modo di evitare l’attacco. Il cosmo del Giudice brillò, le sue braccia si tesero in avanti mentre Eaco gridava: "Artiglio di Garuda!" E due artigli parvero materializzarsi davvero.
Astylos incrociò le braccia davanti a sé per parare il colpo, ma l’attacco passò oltre le sue spalle, poi si richiuse su di lui. Avvertì uno stridio e un clangore metallico ma non ebbe tempo di pensare troppo a quanto accadeva che il suo cosmo si doveva concentrare nella sua mano destra e produrre un attacco: "Per il Sacro Sagitter!"
Eaco tuttavia era troppo vicino e deviò il colpo con facilità. Subito lasciò la presa e disse beffardo: "Ed ora, caro il mio Sagittario, vediamo se sai davvero volare!" Nei suoi occhi vi era un lampo di soddisfazione per come l’aveva giocato distraendolo e cogliendolo scoperto. Solo allora Astylos comprese quello che era accaduto. Quel clangore, quel colpo oltre le spalle… Gli artigli di Garuda… non era lui il bersaglio ma le ali della sua armatura, ne vedeva i frammenti ai suoi piedi. Eaco aveva sbriciolato, o quasi, quell’appendice caratteristica della sua armatura.
"Non te lo aspettavi, vero Astylos? Così combatte un Giudice degli Inferi. Ed ora addio! Ali di Garuda!"
Eaco afferrò Astylos. Era incredibile come fosse riuscito a espandere il suo cosmo e caricarlo di potenza nel mentre parlava, con fare conciliante, dimesso, quasi che volesse concedersi una pausa. E lui, come poteva essere caduto in un simile tranello? Perché aveva abbassato la guardia? Eaco era stato indubbiamente molto scaltro ed abile ma lui si era fatto ingannare come un combattente alle prime armi. Il colpo di Eaco giunse ad effetto e Astylos si sentì sollevare. Riuscì sì a lanciare un altro Sacro Sagitter ma ormai la sua parabola verso il cielo era iniziata e il cosmo di Eaco lo aveva avvolto.
"Consolati Astylos, pure Pisandro era un valoroso e pure lui è caduto allo stesso modo. Il volo fatale ti condurrà nell’Ade! Addio!"
***
Policrate si fermò di colpo e quel che vide lo agghiacciò. Atena era riversa a terra, la candida veste sporca e lacera, le mani ferite, il volto adombrato. Gli occhi, quegli occhi verdi che sempre infondevano speranza e serenità erano chiusi e un rumoroso silenzio imperava su tutto, quasi irreale. Plistene giaceva a pochi passi dalla dea, una mano irrigidita nello sforzo di elevare il proprio cosmo, che brillava in una tenue sfera di luce dorata sul suo palmo, un esile lume sul punto di cedere alle tenebre. Discosto da loro giaceva Farios, in un lago di sangue. Della sua armatura restavano solo i bracciali. Non lontano da lui, orrore, un ragazzo che non aveva mai visto prima, evidentemente ucciso con un violento colpo di lama. Su tutti e su tutto incombeva Ade, immenso, oscuro, avvolto nel suo cosmo divino. A passi lenti stava muovendo verso la dea. Nel suo sguardo vi era la ferma consapevolezza di chi è a un passo dal trionfo. Se Atena era caduta chi mai poteva opporsi al suo potere? Policrate si sentì nudo e inerme al cospetto del dio. Avesse potuto indossare la sua armatura avrebbe almeno coltivato l’illusione di poter quantomeno provare ad opporsi al dio degli Inferi. Se durante il loro primo incontro, al Santuario, aveva provato timore, paura e straniamento al cospetto di Ade, ora provava orrore, impotenza, senso amaro di resa. Quella volta era andato oltre, sfidando il dio e le proprie ancestrali paure di mortale, ma allora vi era la dea a supportarlo, la dea da difendere, Atena ad infondere coraggio e speranza. Pure nell’incontro di poco prima il Grande Sacerdote si era sentito protetto dal cosmo della dea, che emanava dall’urna che portava con sé, e infatti ancora una volta aveva trovato la forza di sfidare il figlio di Crono. Ora era solo e si sentiva inerme al cospetto della manifestazione di Ade, la cui potenza divina e il cui potere mortifero erano evidenti, manifesti, immanenti. Se solo Atena avesse aperto i suoi occhi, anche solo per un attimo. In quel mare di verde avrebbe trovato la forza di reagire, almeno di dire qualcosa.
Avvertì la presenza di Polissena che, vedendo Ade, si era accosta a lui, come a cercare istintivamente protezione. Avvertì il suo tremore e udì il suo gemito di paura. Il suo viso si era fatto pallido, spettrale e nulla sembrava essere rimasto della sua fierezza, delle sue aspirazioni da combattente di Atena: era solo una fanciulla terrorizzata al cospetto della morte.
Fu allora che Ade, e poco oltre Metoneo, notarono la loro presenza.
"Policrate…" mormorò Metoneo non sapendo che dire e che fare. Poi d’un tratto ricordò le parole della dea e disse: "Le armi di Libra. Atena ha detto che… "
Policrate non poté fare a meno di pensare che a poco sarebbero valse in quel momento contro il figlio di Crono. Volle tuttavia rassicurare il Cavaliere d’Argento. "Falle giungere a noi. Tu puoi farlo!"
Ade sorrise beffardo. "No che non può farlo. Il suo cosmo è quasi estinto e se dovesse perdurare provvederò di persona a spegnerlo. Prima tuttavia devo regolare un conto con te, impudente e folle mortale."
Policrate considerò la prospettiva di morte, che ormai credeva ineludibile. Se però avesse resistito qualche attimo ancora forse avrebbe dato ad Atena il tempo di riprendersi, di rialzarsi. Forse si poteva ancora…
Le parole di Ade arrestarono il flusso dei suoi pensieri. "Il mio elmo, prego!" disse imperioso tendendo la mano. "Ridammelo ora e ti darò una morte rapida e indolore."
Policrate prese l’elmo da sotto la veste. Perché non lo aveva indossato? Avrebbe potuto avvicinarsi indisturbato… L’orgoglio. La sua dignità di cavaliere. Quali e quante virtù possono perdere un uomo, considerò amaro.
"Coraggio, impudente. L’elmo, ridammelo!"
Policrate lo allungò davanti a sé. "Eccolo, sommo Ade." Ma con un gesto fulmineo lo lanciò di lato, verso Metoneo, gridando nel contempo. "Celati e fai quello che devi fare!"
Ade tuttavia reagì con pari prontezza. Fu su Policrate all’istante. Excalibur e la rossa lama degli Inferi si incrociarono ma fu la prima ad avere la peggio. Il braccio ferito del Grande Sacerdote sanguinò di nuovo, la fasciatura lacerata. Policrate si accasciò allontanando da sé Polissena con una spinta vigorosa. Nel frattempo tuttavia Metoneo aveva afferrato l’elmo, lo aveva indossato e si era reso invisibile ed ora, spinto dalla disperazione, si stava allontanando. Ad Ade però non importava più. Prima avrebbe regolato il conto con Policrate, poi con Atena. Un cavaliere d’argento non poteva costituire un pericolo, tanto più nelle condizioni di Metoneo.
"Addio Policrate!" Calò la lama su di lui ma all’ultimo qualcosa lo sbilanciò e lo fece cadere. "Chi osa!"
Polissena lo guardava con gli occhi sbarrati, tremante, terrorizzata per quello che aveva appena fatto.
"Sciocca ragazza." disse freddo Ade. "Estinguerei la tua vita ora non fosse che ho già preso una giovane vita quest’oggi. Vattene."
Una giovane vita. Quelle parole rimbombarono pesanti e angosciose nella mente di Polissena. Un presagio la colse e fu allora che vide una sagoma nell’ombra, una chioma nota, un corpo irrigidito nella morte. Miacle… No… Non poteva… Non era… Perché si trovava lì? Perché? Perché? Perché?
"No!!!!!!" Il suo urlo, acutissimo, lacerò la notte. Colui che l’aveva amata, che le aveva dato affetto e dolcezza al di là di ogni speranza e di ogni sua aspettativa, colui che aveva abbattuto il suo muro di diffidenza, che l’aveva riconciliata con il mondo… Miacle, che l’aveva cercata, inseguita, che da lei era stato picchiato ma non aveva desistito, che l’aveva ingannata per avvicinarsi di nuovo a lei, le era saltato addosso solo per farla sua, per abbracciarla, per baciarla… Per dirle che era bella… Non c’era più… Miacle non c’era più… Morte. Morte. Morte. Solo la morte. Perché? Perché? Perché?
Avrebbe voluto versare lacrime fino ad inondare il mondo, impazzire di dolore, gridare fino a far collassare il Parnaso con i suoi lamenti disperati. Invece accadde tutt’altro. Le lacrime divennero rabbia, la disperazione divenne forza, il dolore si fece cosmo e il cosmo fu una luce argentina, che brillò fulgida e violenta nella notte.
"Voi!" disse furente guardando Ade dritto negli occhi. "Siete stato voi!"
"E con questo?" replicò algido il dio, seppur stupefatto da tale emanazione di cosmo in una mortale così giovane. "Bada, ragazza!"
"Perché?" gridò Polissena "Perché l’avete fatto? Siete malvagio!"
"Il Fato ha agito, non io." rispose con noncuranza il dio. "Ed ora fatti da parte."
"No. Prima vi devo affrontare. Combatto per Atena! E ora combatto anche per Miacle, per il mio unico amore!" Metoneo, poco lontano, udì quelle parole e non le dimenticò.
"Devi essere impazzita, sciagurata fanciulla mortale."
Accadde allora qualcosa di inatteso. L’Egida brillò di vivida luce, si sollevò da terra e si mise in verticale, rivolta verso la ragazza. D’improvviso parve sdoppiarsi, rivelando l’armatura dello Scudo. Quelle vestigia d’argento che per secoli in tanti avevano cercato invano erano nell’unico posto dove era logico fossero. Fasciata di lamine argentee e dorate ora Polissena si ergeva davanti ad Ade.
"Puoi essere orgogliosa, Atena!" disse Ade a gran voce. "Pure le giovani donne si ergono a tua difesa, si fanno guerriere e osano sfidarmi. Oh, non c’è dubbio sul fatto che tu abbia addestrato bene questi mortali. Tuttavia mi chiedo, a che pro? Temo che tu ti ritenga più saggia di quanto le tue azioni e i loro esiti stiano a dimostrare. Chi combatte per te, chi ti difende finisce per perdere il senno, non spiego altrimenti il modo in cui i tuoi devoti sembrano voler affrettare la loro fine. Tu stessa giaci senza forza, sopraffatta, e tutto questo perché? Per aver voluto salvare alcuni dei tuoi fedeli da morte certa? Ne valeva la pena? Atena, e voi a lei devoti, siete tutti vittime di voi stessi, della vostra follia e della vostra presunzione." Poi vedendo che Polissena non accennava ad andarsene aggiunse: "Cosa pensi di poter fare questa con quella ridicola armatura indosso?"
"Posso combattere, ad esempio!" disse sicura Polissena e senza distogliere lo sguardo da Ade.
Il dio, che ora la stava osservando da vicino, ebbe a quel punto un attimo di esitazione. Non fosse stato per quella cicatrice che rendeva il suo volto meno grazioso… gli occhi… i capelli… il taglio della bocca… avrebbe potuto essere… Troncò quei pensieri. "Combatti pure e cadi per la tua dea, se lo desideri. Atena ha perso la sua battaglia, se tu e gli altri cavalieri volete perdere battaglia e vita insieme vi accontenterò!"
"Atena non ha perso la sua battaglia!" disse a gran voce Policrate.
"Mi ero quasi dimenticato di te, Grande Sacerdote! Lascia che ti dica una cosa, prima di spedirti nell’Ade. Forse non te ne sei reso conto ma Atena ha preso le decisioni errate in tutti i momenti cruciali di questa guerra sacra. Ha fatto allontanare i Cavalieri dal Santuario per una cerca che a nulla vi ha giovato, ha consumato il suo cosmo una prima volta per sigillare la Megas Drepanon e poi lo ha nuovamente fiaccato per liberarsi di Thanatos e Hypnos, ben sapendo che sarebbe stata sconfitta nello scontro contro di me. La dea della guerra si è rivelata poco accorta e poco avveduta. Se avesse riflettuto a fondo sulle sue scelte non si sarebbe certo trovata in questa situazione. Hai fallito, nipote mia! E ciò è imputabile alla tua testardaggine e al tuo sciocco amore per gli uomini!"
Policrate si portò vicino a Polissena e ardì guardare Ade dritto negli occhi: "Come già vi dissi una volta, sommo Ade, siete voi a non capire. La vostra scala di valori, i vostri ideali sono distorti, non quelli della dea. Atena ha sempre posto la salvezza degli uomini e della Terra prima di ogni altra cosa, anche dell’eventuale vittoria in questa guerra sacra, a differenza di quanto avete fatto voi." Il tono del Grande Sacerdote era grave. "Possibile che ancora non ve ne rendiate conto? Per questo motivo, non per altro, impresse un sigillo alla Megas Drepanon, quando invece avrebbe potuto ardire affrontarvi. Ella preferì non far correre rischi all’umanità, temendo che voi voleste davvero impadronirvi dell’arma paterna e seminare il terrore su tutta l’ecumene per sottometterla al vostro dominio. Volle evitare la discesa in campo di Zeus Tonante, che a quel punto sarebbe stata inevitabile, e con essa una ben più temibile guerra sacra che avrebbe sconvolto il mondo intero. Come potete essere tanto cieco da non capirlo?" Fece una pausa e poi riprese, più ardimentoso. "Vi dirò di più: fossimo stati tutti al fianco di Atena quando attaccaste il Santuario e la dea avesse potuto disporre della pienezza del suo cosmo, la guerra sacra si sarebbe già conclusa con la nostra vittoria!"
"Ti lascio alle tue illusioni." commentò Ade con freddezza. Sollevò la spada che subito cominciò a fiammeggiare. "Addio, Policrate!" Il dio vibrò il colpo, si udì un suono metallico e poi un gemito soffocato. Polissena si era posta a difesa di Policrate sollevando lo scudo d’argento della sua armatura. L’artefatto non poteva essere efficace contro l’arma del Cronide, forgiata ai tempi del mito da Efesto, e infatti la lama lo aveva intaccato in profondità fino a incidere il braccio della ragazza che lo sosteneva. Un rivolo di sangue colò lungo il suo braccio fino al gomito e di lì in terra mentre lacrime di dolore rigavano il viso della ragazza che però non cedeva.
"Polissena, no!" gridò Policrate afferrando lo scudo e opponendosi al peso del braccio del dio che stava per schiacciare entrambi.
"Sono… un cavaliere di Atena... non mi tiro indietro!" disse tra i denti la fanciulla.
Ade alleggerì la pressione. "Levati, sciagurata. Non è te che voglio."
"Se dovete fare i conti con Atena e con il Grande Sacerdote allora dovete fare i conti con me!" Detto questo il dolore divenne troppo intenso e dovette mettere un ginocchio a terra.
"Bene così. Ora non ti muovere e non interferire. Ti faccio salva la vita. Vattene soddisfatta di questo dono!" Seguì un altro affondo ma pure questa volta non fu possibile per la lama del dio colpire Policrate.
"Kahn!!!" Plistene si mise di mezzo, l’armatura danneggiata scintillante nella notte, l’espressione affaticata ma la volontà indomita. "Non ve lo permetterò!"
"La tua difesa è ben poca cosa, dovresti saperlo. La renderò vana, come poco fa!" Concentrò il suo cosmo divino nella mano libera e colpì. Il colpo tuttavia non andò a segno. Ade mutò espressione.
Atena stava ritta davanti a lui e reggeva l’Egida. "Ade, sono io il tuo avversario!"
***
Le sue ali erano spezzate. Sentiva l’aria fischiare sulle estremità metalliche spezzate e incrinate. Le vibrazioni si trasmettevano al dorsale della sua armatura. Stranamente gli venne in mente che era stato quasi più difficile imparare ad usare quell’appendice straordinaria della sua armatura che padroneggiare a fondo il suo cosmo, la sua aura vitale. Il cosmo è qualcosa di profondo, intimo, che diventa parte di sé. L’armatura, che col cosmo entra in risonanza, era diventata dopo qualche tempo una seconda pelle. Invece quelle ali dorate, che pure erano in stretta relazione con il suo cosmo, gli erano sembrate a lungo un accessorio estraneo, di difficile controllo, altro da sé. Ricordava i primi tentativi di volo, la paura di staccarsi da terra, le goffe ricadute. Poi c’erano state le prime planate, incerte e cariche di tensione; con esse anche qualche caduta e botte e graffi. Ricordò le risate e gli incitamenti vigorosi di Callistrato, che lo invitava ad abbandonarsi alla carezza del vento. Infine si era abbandonato davvero e, novello Icaro, aveva scoperto l’ebbrezza inebriante del volo. L’armatura del Sagittario… era veramente un artefatto prodigioso creato da un dio. L’arco e la freccia dorata ne erano forse la caratteristica più celebrata nelle azioni belliche ed eroiche ma senza dubbio le ali dorate erano qualcosa di più, qualcosa che rendeva chi la indossava simile… non osò pensarlo. Novello Icaro, stava ora precipitando e avrebbe salutato la vita in modo violento, con un lungo grido, con un tonfo pieno d’orrore. Chissà se anche Pisandro se ne era andato con gli stessi terribili e tristi pensieri che attraversavano in quel momento la sua mente. Pochi istanti ancora e sarebbe finita.
Quando stava per abbandonarsi all’oblio, quando la discesa in Ade era prossima, avvertì un abbraccio e fu abbagliato da una luce argentina, la caduta parve interrompersi e qualcosa o qualcuno, con uno strattone violento, lo tirò verso l’alto, tanto da fargli male alle braccia e alle spalle con una presa energica e vigorosa. Quando Astylos si rese conto di cosa era accaduto e di chi lo aveva soccorso restò per lunghi istanti a bocca aperta.
"State bene, maestro?" disse Pegasios rivestito della sua scintillante armatura, due grandi ali bianche a sfidare il vuoto.
Ci volle ancora un momento prima che Astylos trovasse la forza per rispondere. "Sì, Pegasios… sto bene! A te devo la vita ma… quelle ali?"
"Queste ali?" disse sorpreso Pegasios "Credevo le aveste già vedute quando…"
"La tua armatura… si è evoluta ancora! Possibile che non te ne sia accorto?"
Pegasios visse l’osservazione del maestro quasi fosse un rimprovero anziché un moto di meraviglia. "Come dite? Io non me ne ero accorto… Però, sì, è vero, mi muovo meglio che la prima volta e la ali si sono fatte più ampie!"
"Hai imparato in fretta l’arte del volo e con quanta leggerezza ti muovi! Ben fatto, Pegasios." disse Astylos compiaciuto. "Sono orgoglioso di te."
"Maestro, non credo sia solo merito mio… voi…"
"Stai combattendo bene questa sacra guerra. Posso solo dirmi fiero di averti avuto come allievo e, se fosse qui, anche Archelao sarebbe felice oltre ogni dire. Fiero di aver fatto di te un valoroso guerriero di Atena, fiero che tua abbia portato alla sua massima potenzialità l’armatura che indossi. Fiero soprattutto di quanto tu sia cresciuto in questi ultimi giorni. Non ne sono passati moltissimi da quel giorno in cui eravamo tutti al cospetto della dea e io ti dovetti riprendere per la tua irruenza, eppure per certi versi ora mi pare siano passati anni da quel momento. Molta strada hai percorso, Pegasios!" Si guardò un attimo attorno, gustando quel volo che si era fatto sicuro, protettivo. "Ora però devi andare in aiuto di Atena, più che mai ha bisogno di te!" disse poi con fervore.
"Avrà bisogno anche di voi, maestro."
"Ho qualcosa da fare, Pegasios. Portami a terra." I suoi occhi fissarono un punto, il suo cosmo ne individuò un altro. "Laggiù!" disse con trasporto.
Poco dopo i due posarono piede a terra e Pegasios vide l’espressione esterrefatta di uno dei Giudici degli Inferi.
"Tu… chi sei?" disse Eaco.
"Pegasios, cavaliere di bronzo, devoto di Atena."
Eaco trasalì. Assurdo. La battaglia con Astylos era già vinta e invece… "Astylos, il Fato ti ha accordato una seconda possibilità. Me ne dolgo, la mia vittoria era stata conquistata sul campo e tu dovevi già essere tra le ombre. Se non fosse stato per…"
"Taci!" disse grave Astylos. "Osi parlare di seconda possibilità dopo che tu e un gran numero di demoni avete avuto in dono, da non so chi, un potere che vi concedeva una doppia vita, se così la si può definire. Bene, ho pareggiato il conto. Ma a differenza tua posso dire di aver contribuito in modo diretto alla mia salvezza. L’allievo che ho addestrato mi ha salvato. Suo il merito dell’azione, mia almeno la soddisfazione di averlo indirizzato sulla giusta strada. Chi semina prima o poi raccoglie, Eaco. E ora in guardia!"
"Sono pronto, Astylos."
"Pegasios, vai in aiuto di Atena. C’è bisogno di te. Con Eaco me la vedo io."
"Vi precedo maestro, non tardate!"
Astylos sorrise. No, non tarderò, pensò tra sé e sé.
"Fermo tu!" disse perentorio Eaco rivolto a Pegasios.
"Lascialo andare." fece Astylos ponendosi sulla traiettoria di Eaco. "Per il Sacro Sagitter!"
"Non perdi tempo, ti sei fatto ardimentoso! Lampo di Garuda!" gridò Eaco. I due si incrociarono a mezz’aria, in uno sfavillio di luci. Girarono su se stessi e di nuovo partirono all’assalto. Un lampo sfiorò il capo di Astylos, un raggio luminoso il fianco di Eaco e ancora una volta l’affondo si risolse in un nulla di fatto.
"Ora non c’è più Pegasios a salvarti!" esclamò Eaco sollevandosi sulle proprie ali. Cosa avesse in mente, Astylos non seppe dire. "Artiglio di Garuda!" fece gettandosi a capofitto sull’avversario che rispose con una scarica di Sagitta. Frecce e artigli di pura luce si confusero gli uni dentro gli altri. Astylos fu ferito al volto, Eaco ebbe una ferita proprio sotto la spalla, dove il braccio non era coperto né dal bracciale né dal coprispalla.
"Un colpo… serve un colpo risolutore…" disse ansimando Astylos.
Eaco partì, con rinnovato slancio. "E allora sia! Ali di Garuda!"
"Sei lento!" gridò Astylos per provocare l’avversario, ma Eaco non reagì troppo male quando si rese conto che l’attacco era andato a vuoto. Astylos non cedeva e combatteva con più foga, con più determinazione. Se ne chiese il motivo. Lo chiese a lui, per curiosità e per guadagnare tempo, mentre pensava alla mossa successiva.
Astylos non fu troppo sorpreso della richiesta. "Non lo hai capito, Giudice? Il mio allievo non mi ha solo salvato la vita, ma mi ha dimostrato con i fatti che ognuno di noi può travalicare i propri limiti e spingersi fin dove pure l’immaginazione, il più spregiudicato ottimismo, la più flebile speranza possono giungere. Se un cavaliere di bronzo ha saputo far tanto, forse che non potrò io avere ragione di te?"
"Belle parole le tue, ma saprai tradurle in azioni?"
"Certo." fece sicuro di sé Astylos "Io so per cosa combatto, puoi tu dire lo stesso?"
"Certo che posso! Credi che le mie motivazioni siano meno nobili?"
"Non lo credo. Ne ho la certezza. Nessuno di voi fuoriusciti dell’Ade può combattere per uno scopo nobile, nessuno di voi combatte per una nobile causa, per amicizia, per amore."
Per amore. Eaco pensò a un volto gentile e si chiese se non stesse combattendo anche per lei, per dimostrarle qual era l’unica scelta giusta possibile, quella del più valoroso, del più forte, del trionfatore. O forse combatteva per vendicarla. Oppure solo per attirare l’attenzione di lei. Sempre che le fosse concesso di tornare ad essere più di un’ombra dopo la colpa di cui si era macchiata, cosa di cui ora dubitava. L’aveva persa e questo pensiero lo incupì.
"Astylos del Sagittario!" disse infine. "I miei attacchi fisici sono vani e vana sarebbe l’Illusione di Garida per te che già una volta l’hai saputa eludere. Mi trovo dunque costretto a ricorrere ad una tecnica che non avrei pensato di usare qui sulla Terra, una tecnica che è propria del mio essere Giudice degli Inferi. La sperimenterai essendo ancora vivo, primo a farlo. Si tratta infatti di una tecnica raffinata che è destinata a colpire le ombre di coloro che coltivarono violenza e malvagità." Strinse con violenza i pugni dopo aver disteso le braccia. I suoi occhi parvero illuminarsi. "Vivo proverai il dolore che patisce un’ombra del Tartaro e ombra diventerai a tua volta, Astylos!" Il suo cosmo esplose. "Lamento dell’Ade! Giudizio di Eaco!!!"
Astylos reagì d’istinto. Il Giudizio di Eaco… Una voragine nera, mille lamenti che laceravano la notte, un turbinio di pensieri cupi, malvagi, feroci e rivoltanti, come se tutte le ombre del Tartaro fossero lì ad espiare le loro colpe, a confessare i loro peccati e pure lui fosse sul punto di confessare a Eaco ogni usa mancanza. Gli parve che il suo spirito stesse per esserli strappato via per essere messo a nudo, lacerato, rivoltato da capo a fondo ed era una cosa che non poteva avvenire senza sofferenza. Gli occhi di Eaco erano occhi indagatori, severi, implacabili, il suo cosmo pronto ad attirare a sé, ad inghiottire, a fagocitare la sua aura vitale.
Fu lo spazio di un secondo, ma tanto bastò. Agli occhi di Eaco Astylos contrappose, istintivamente, quelli della dea. E al giudizio degli Inferi la sua mente associò allora… quello dell’Olimpo. Istinto… intima consapevolezza… solo dopo avrebbe saputo dire cosa lo aveva portato a reagire così alla svelta e in tal modo.
L’arco del Sagittario fu tra le sue mani, scintillante d’oro. Incoccò una freccia dorata e scoccò, il tutto in pochi istanti. "Per Atena!!!" Una scia dorata si perse nel buio di quel cosmo oscuro e il dardo stesso parve spegnersi. Il Giudizio di Eaco fece rapidamente effetto e Astylos si trovò a terra, sulle ginocchia, la mente confusa, le membra irrigidite, un urlo terrificante nelle orecchie. Un urlo atroce… ma non era lui a gridare.
Solo allora si rese conto che l’attacco del nemico era cessato e che era Eaco a gridare. La freccia dorata era conficcata nel petto del suo avversario, poco sotto il cuore. Il Giudice istintivamente l’aveva afferrata ma sapeva di non poterla estrarre altrimenti la sua aura vitale si sarebbe immediatamente estinta. Il sangue fluiva copioso, correva lungo la freccia, lordava le mani di Eaco e la sua lucida e nera corazza per gocciolare infine a terra.
"Astylos… come è potuto accadere…" disse con un filo di voce, negli occhi la consapevolezza della sconfitta.
"Per cosa combatti tu? Per il tuo signore, il Cronide che governa in Ade. Ma in Ade alberga la morte. Io combatto per gli Uomini e per Atena. Per la salvezza di chi vive sulla terra, per chi sa cosa significa amare. Combatto per la vita. Tutto qui, Eaco. Tutto qui."
"Per la vita…" disse Eaco con un rantolo.
"La tua tecnica, tu lo hai detto, è la tecnica che come Giudice sei solito adoperare tra i morti. Ma qui sei tra i vivi. L’istinto mi ha portato ad opporre ad esse l’unica risorsa in grado di contrastare il potere del tuo attacco. La freccia dorata del Sagittario, la freccia che la dea in persona donò al primo dei suoi cavalieri, ormai molti, molti anni fa. La freccia di chi porta speranza e giustizia, la freccia della dea da scoccare per difendere l’umanità e portare luce dov’è il buio."
"Un colpo fortunato… ma un gran colpo, lo riconosco…" Eaco tossì sangue.
"Sì, lo ammetto. Un colpo fortunato. Ma se il Fato ha guidato la mia scelta ebbene sono convinto sia stato perché le mie scelte passate, al servizio di Atena e in favore dei miei compagni, sono sempre state univoche e giuste. Non sapevo razionalmente come oppormi al tuo attacco, ma lo sapevo nel profondo, nell’anima. In fondo al cuore. Fossi stato razionale avrei usato contro di te il Sacro Sagitter Tempesta di Dardi, ma così mi avresti spazzato via."
Eaco si guardò una mano, sporca di sangue. Sangue che brillava vermiglio. Forse la scelta di lei non era stata poi una scelta tanto diversa da quella di Astylos. Un animo puro nel profondo non può essere intaccato, nemmeno dalla più profonda oscurità, nemmeno nelle condizioni più avverse. Può apparire cupo, livido, desolato, ma inevitabilmente prima o poi la purezza e la luce tornano ad avere il sopravvento. E lui, che sovraintendeva alle ombre di tanti malvagi, doveva pur saperlo. Il Fato spinge chi negli abissi del Tartaro chi verso i Campi Elisi. Chissà se pure lei… Forse allora ci sarebbe stata ancora una possibilità… Sperò che fosse così.
"Astylos…" disse infine. "La vittoria è tua."
Il devoto di Atena si avvicinò. Eaco parlava sempre più a fatica. "Non so come concluderai questa sacra guerra… ora però sono consapevole … che quando la vittoria arriderà… al Sommo Ade… sarà vittoria meritata. Che validi avversari siete stati… La determinazione di Pisandro… la tua fiducia e la tua fede in Atena e nei tuoi compagni… Ammirevole."
Astylos disse a bassa voce. "Il confine tra la sconfitta e la vittoria, tra la vita e la morte è spesso molto labile, Eaco. L’ho sperimentato in passato, l’ho imparato una volta di più oggi."
Eaco rise, ma fu scosso da un tremito e sputò sangue. "Amara verità… per gli uomini."
"Tu che sei vicino al signore degli Inferi" decise allora di provare Astylos "fa che desista da questa follia. Quanti tra voi e tra noi dovranno ancora cadere?"
Eaco fissò Astylos e sul suo volto si disegnò qualcosa di molto simile ad un sorriso. "Per noi ci saranno altre occasioni… Questo lo sai vero? Però devo riconoscere… che mai avrei pensato che… in tanti dovessimo cadere…" Ormai la sua voce era poco più di un sibilo. "Astylos… anche se volessi e se potessi… il Sommo Ade non mi ascolterebbe… perché… ti sembrerà assurdo… ma pure lui, nel profondo, combatte per qualcosa… che va oltre la sete di conquista… la volontà di avere un dominio sotto le stelle… Vuole il potere ma anche…"
"Cosa, Eaco? Dimmelo"
Il Giudice non aveva più voce. Si portò la mano insanguinata al petto. Pensò a lei e sperò che, se quello che stava per dire riguardo ad Ade era vero, ci fosse veramente per lui la possibilità di rivedere ancora i verdi occhi e la chioma vermiglia di colei che aveva amato invano.
Astylos vide il suo avversario reclinare il capo, piegarsi sulle ginocchia e restare immobile. Provò soddisfazione per aver vendicato Pisandro, per aver piegato uno dei più temibili avversari di Atena, ma non provò gioia. Qualcosa gli diceva che luce e tenebra a volte si possono mescolare tra loro e che come il male può erompere facilmente dall’Ade e dagli abissi del Tartaro così il bene può arrivare fino nei recessi più remoti.
Ora però Atena aveva bisogno di lui. La battaglia decisiva era iniziata.