XXXI

 

Polissena non riusciva a crederci. Che ci faceva Farios lì? Che avesse a che fare con l’esodo di massa dei Delfici, che avevano abbandonato il Santuario portandosi a presso tutti gli ex voto possibili e buona parte dei preziosi che erano contenuti nei Tesori costruiti lungo la via Sacra da polis vicine e lontane, preziosi ora guardati a vista da uomini che la Pizia in persona aveva scelto? Era rimasta stupita e sgomenta nel vedere quella lunga colonna di persone in fuga e di asini carichi. Negli occhi delle donne e dei bambini si leggevano paura e incertezza. La ragazza pensò che una scena non dissimile doveva essere frequente nelle numerose occasioni in cui le polis si erano disputate, ricorrendo alle armi, il controllo del Santuario di Apollo Pizio. Provava rabbia nel considerare che alla devozione ad Apollo molti anteponevano il valore economico del Santuario e dei ricchi affari che garantiva a chi lo controllava. Certo in quei giorni di devoti e pellegrini se ne dovevano vedere ben pochi. E quindi, concludeva, Farios cos’era venuto a fare? La risposta non tardò ad arrivare.

"Miacle" disse perentorio Farios "torna all’accampamento e attendimi là. Io devo salire a Delfi."

"Mi avevi promesso che ti avrei accompagnato fino al termine del viaggio…" azzardò il ragazzo.

"Non se ne parla!" replicò brusco. "Polissena, avremo modo di parlare quando tornerò." E se tornerò, pensò cupo. "Per ora ti prego di prenderti cura di Miacle. Fa in modo che non provi a seguirmi."

"Sarà difficile, maestro, dal momento che sono io la prima a volerti seguire!" disse lei spavalda.

Maestro? Pensò stupito Miacle. Come e quando Farios le era stato maestro?

Il vecchio scosse la testa. "Non ho tempo per discutere. Devo raggiungere il Santuario di Delfi, la resa dei conti ha già avuto inizio."

Polissena non aveva bisogno di udire altro per comprendere.

"Se mai mi hai considerata degna di essere tua allieva, portami con te!"

"No! E adesso andatavene." Mosse pochi passi poi, preso da rimorso per le sue ultime, brusche parole, si arrestò e disse: "Polissena, sono felice di averti rivisto. Se potessi mi tratterrei volentieri con te. Leggo nei tuoi occhi che hai ritrovato la felicità, quella che tutti avevamo apprezzato il giorno che arrivasti tra noi." Non disse altro che alcuni ricordi erano amari. Polissena annuì. La felicità… "Abbiate cura di voi. Miacle, restale vicino."

"Lo farò." Non aveva certo bisogno di sentirselo dire. Non avrebbe deluso Farios.

"E se proprio non riuscite a resistere alla tentazione di sapere, parlate con la Pizia. Polissena, se tu le riveli chi sei non ti negherà la verità. Ora è tardi, devo andare. Rientrate."

I due ragazzi lo videro allontanarsi in direzione della valle e del Santuario, con una logora bisaccia sulla schiena che sembrava contenere una corazza o qualcosa di simile. Miacle lo riconobbe: lo strano oggetto che era comparso come una luce durante il primo giorno di navigazione verso Corinto.

***

"Minosse, sei rimasto solo!" disse freddo Astylos.

Era vero dovette ammettere il Giudice. Anassilao e Archita avevano sgominato la sua truppa. "E allora attaccatemi tutti e tre e preparatevi a raggiungere le ombre del Tartaro!" disse con tono di sfida.

"No, regolerò i miei conti con te personalmente!" ruggì Astylos.

Fu allora che la loro attenzione venne attratta da un cosmo che si elevava e una luce dorata che saliva al cielo. Archita alzò lo sguardo e capì. Tese i sensi e ben presto individuò i cosmi amici, solo che erano deboli, troppo deboli. Qualcosa non stava andando come sperato.

"Che accade Archita?" chiese Anassilao.

Il compagno rispose a bassa voce, per non farsi udire da Minosse. "Temo che Kyriakos e gli altri siano in difficoltà."

"Allora corri in loro aiuto. Penseremo noi a Minosse."

"Che aspettate?" li sfidò ancora il Giudice degli Inferi in attesa dell’attacco.

"Forse non mi hai udito, Minosse?" disse Astylos. "Prova a evitare questo. Sagitta!" Le frecce dorate si diressero verso il Giudice, che evitò facilmente il colpo.

"Niente male, ma trovo che il tuo allievo fosse quasi più temibile di te."

Astylos era una maschera di ghiaccio. "Minosse, se speri di farmi perdere le staffe stai perdendo il tuo tempo."

Anassilao era ancora lì ad osservare la scena quando un’altra esplosione cosmica attirò la loro attenzione. Restarono in attesa. Questa volta pure Minosse sembrava prestare attenzione a quanto stava accadendo. Astylos era combattuto ma mentre pensava a come agire ecco una nuova esplosione cosmica seguita da un lampo dorato nel cielo.

Archita chinò il capo e Astylos capì. Quello che avevano temuto era davvero accaduto. Kyriakos, che aveva sostenuto assieme loro battaglie durissime, soprattutto nella precedente guerra sacra, non c’era più. Il gelo calò nei loro cuori. Sopra il loro sgomento però si impose una parola di Minosse.

"Fratello…"

"Che stia vaneggiando?" pensò Astylos.

"Mio fratello… è davvero sceso in battaglia. Avevo percepito la sua presenza ma stentavo a crederci. Ed ora il suo cosmo si è estinto. No, non può essere!"

Astylos parlò a muso duro. "Vedo che la battaglia sta mettendo a dura prova i tuoi nervi. Radamante è ancora laggiù, purtroppo. Non temere, dopo di te mi occuperò pure di lui!"

"Sarpedonte, non Radamante." disse secco Minosse. "Non posso dire di essere sempre stato in buoni rapporti con lui ma che sia caduto a causa vostra è cosa intollerabile." Si fece minaccioso e attaccò. "Dominio Cosmico!"

Astylos evitò il colpo con un balzo e poi planando sulle ali di Sagitter contrattaccò. "Per il Sacro Sagitter! Tempesta di Dardi!" Stiletti di pura energia si abbatterono su Minosse, che subì il colpo, cadendo di schiena.

"Non male, ma non illuderti. Abbiamo appena iniziato."

Un altro bagliore si accese nella notte e un cosmo divenne flebile, salì in alto e fu sul punto di svanire. Poi si riaccese, divenne luce e piombò sul Santuario di Atena Pronaia.

Astylos era esterrefatto. "Che fosse… Pegasios?" Lanciò un’occhiata a Minosse e disse a gran voce: "Dici il vero, Giudice degli Inferi. Abbiamo appena iniziato. Qualcosa di grande ha avuto inizio non lontano da qui e lo scoprirai presto a tue spese."

***

Farios sentiva l’antica fierezza rinascere in lui ad ogni passo. Più si avvicinava a Delfi e meno avvertiva la fatica dell’ascesa. Percepiva la presenza della dea e l’avrebbe presto rivista ai piedi del Parnaso. Posò la bisaccia a terra e ne estrasse il contenuto. Una profonda malinconia si fece strada in lui mentre guardava i bracciali, fortunatamente intatti. Il resto della corazza era ridotto poca cosa, dorsale e schinieri a parte. Il pensiero di come doveva essere caduto chi la indossava gli faceva male. Si alzò, chiuse gli occhi e diede forza al suo cosmo. L’armatura brillò ed egli la indossò, avvertendo una presenza, un ricordo, forse un ultimo saluto.

"Non servirà a un granché così ridotta, maestro."

"Polissena!" disse Farios con un moto di stizza. "Che si fai qui?"

La ragazza non era sola. Miacle guardò il vecchio Farios ed esclamò: "Polissena ha ragione, Farios! Quell’armatura è una rovina. Non potevi procurartene una migliore a Corinto?"

"Ti assicuro che per quello che è destinata a fare non manca di nulla." replicò duro Farios unendo le braccia e subito dopo puntando un dito contro il ragazzo. "Che ci fate qui? Mi sembrava di essere stato chiaro."

Polissena si avvicinò a lui. "Maestro, davvero non immaginate perché sono qui?"

"Lo immagino ma non è il tuo posto. Non puoi fare quello che vorresti, non sei ancora stata pronta e ne conosci bene la ragione." disse ma subito si pentì di quelle parole. Talvolta, considerò con amarezza rimproverandosi, un rimprovero fatto a fin di bene finisce per essere un colpo ben più duro del voluto.

La ragazza tuttavia non si scompose e la sua reazione lo stupì piacevolmente. "Sì, non sono pronta e ora ho capito che questo non è dipeso solo dall’incidente." Istintivamente si portò la mano al viso, come a proteggersi da chissà quali spettri del passato.

Miacle le prese la mano. "Non cacciarci." disse. "Per Polissena è importante andare dove stai andando, anche se non so il perché. Se lei vuole seguirti io farò in modo che possa farlo."

"Miacle, non capisci." rispose rabbonito. "Un grave pericolo incombe su tutti noi. Non voglio che tu ti esponga a inutili rischi e tantomeno che lo faccia Polissena. Ho qualcosa di importante da fare, lo sento, e non voglio dovermi occupare anche di voi. Tornate a valle, coraggio."

"No!" disse Polissena a gran voce. "Mi sono nascosta abbastanza. Maestro, se tu devi affrontare una prova io l’affronterò con te. Non avrò altre occasioni."

Farios comprese che discuterne non avrebbe portato a nulla, salvo ad inutili perdite di tempo e qualcosa gli diceva che doveva agire in fretta, molto in fretta.

"E va bene, Polissena, seguimi se vuoi ma lascia che Miacle torni a valle."

La ragazza si voltò verso Miacle, gli prese le mani e lo baciò. "Fa come dice Farios, ti prego. Aspettami, tornerò al mare e sarò ancora la tua Oceanina."

"Quando tornerai" rispose lui con trasporto "ci tufferemo assieme. Ma avrai molte cose da spiegarmi." L’abbracciò e poi si perse nei suoi capelli che profumavano di mare.

"State attenti." disse infine senza capire fino in fondo il senso delle proprie parole.

***

Anassilao non gradiva l’idea di allontanarsi ma c’era bisogno di lui. Rapido, si diresse verso valle.

Minosse e Astylos restarono a fissarsi per lunghi istanti fino a che una voce profonda risuonò alle loro spalle.

"Sempre che la truppa di Ade sia in difficoltà!"

"Minosse, sei certo di poter reggere lo scontro da solo?" disse una seconda voce, più morbida della prima ma tale da far comunque agghiacciare chiunque. Nello stesso tempo due aure cosmiche di vastissime proporzioni si spandevano tutt’intorno costringendo tutti i presenti a restare immobili. Minosse ebbe un moto di stizza, i Cavalieri di Atena di sgomento.

Archita si portò presso Astylos: "Questi cosmi sono… immensi!"

"Il cosmo di Minosse è un pallido sole a confronto." rispose l’amico.

"Rivelatevi!" disse Archita sulla difensiva.

Minosse, stizzito, ripeté il comando: "Rivelatevi! O credete che non vi abbia riconosciuto?"

L’aria stessa parve tremare, come la terra, le piante e le loro stesse corazze. Due figure erano apparse nella notte, quasi dalla notte stessa. Indossavano armature assai simili, tendenti al nero, l’una con sfumature argentate e l’altra con sfumature dorate. Placche coprenti facevano vedere ben poco di chi si celava sotto di esse ma una cosa si poteva dire, per statura e per fattezze di qualcuno di temibile doveva trattarsi. I volti dei nuovi arrivati erano distesi: uno guardava gli astanti con un ghigno, l’altro con fare sornione.

"Che ci fate qui, sommi tra le creature degli Inferi?" disse Minosse nascondendo a stento rabbia e sorpresa.

"Veniamo in vostro aiuto dal momento che, è evidente, i guerrieri di Atena vi hanno decimati."

"Conto solo tre Spettri ancora in vita." disse placido l’altro. "I tre Giudici. Ben poco è rimasto dell’armata di Ade. A meno di non annoverare tra di voi una traditrice."

"Perché dunque rischiare che il Sommo Ade debba patire una sconfitta a causa della vostra superficialità?"

Minosse era assai infastidito dal commento ma tacque, seppur trattenendosi a fatica.

"Chi siete?" intervenne allora Astylos, che temeva la risposta. Vicino a lui Archita stava mormorando. "Cosmi divini, stiamo in guardia."

I due nuovi venuti si portarono a fianco di Minosse, che al confronto appariva di piccola statura.

"Permettete che vi presenti il sommo Thanatos!" disse colui che indossava la corazza sfumata d’oro.

"E questi è il mio congiunto, Hypnos!" continuò l’altro.

Minosse fece una smorfia e concluse: "Pure se mi secca la vostra interferenza ormai è chiaro: per i cavalieri di Atena non vi è scampo. Il Fato si è schierato contro di voi, improvvidi servitori di Atena. Il Sonno e la Morte sono scesi in campo e tanto per voi che per i vostri compagni la fine è giunta."

***

Plistene spalancò gli occhi sgomento. Vedi Atena che era scattata in piedi e Policrate che la fissava incredulo. Metoneo era sbiancato. Che avessero pure loro avvertito quelle presenze? Allora non si era sbagliato, non era stata una fugace impressione, un tenebroso pensiero che gli aveva attraversato la mente, ma una tragica realtà.

"Cavalieri…" disse Atena con un filo di voce. "E’ tempo che io combatta. Non uno, ma tre Numi sono schierati contro di noi ora." Con fare deciso afferrò l’Egida. "Ci attende una prova durissima."

Nessuno trovava la forza di dire nulla.

Fu Plistene a parlare: "Se tre divinità sono contro di noi, come potrete contrastarle tutte assieme? La vostra aura vitale divina ora è fulgida e vigorosa, lo sento, ma se vi attaccassero tutti assieme che potrebbe accadere? E soprattutto…" disse con evidente frustrazione nella voce "come potremmo noi esservi di sostegno? Gli eroi talvolta riescono, al meglio delle loro possibilità e travalicando i confini della natura umana, a tener testa ad un dio, ma a tre? Se Ade combatte con due simili alleati cosa dovremo inventare per poterci opporre a loro? La guerra sacra contro Ares ci ha insegnato tanto, ma questa prova appare qualcosa che sta al di là dei nostri limiti."

"Plistene" disse dolcemente Atena "quello che dici è vero. Vi sono limiti che un uomo, un eroe non può oltrepassare e che risultano invalicabili pure per un gruppo di eroi come alcuni di voi che, in passato, hanno compiuto imprese inimmaginabili ai più e forse persino a loro stessi. Tuttavia c’è qualcosa che non tutti voi sapete e che ci sarà di grande aiuto."

Ci fu un rapido incrocio di sguardi. A parlare fu Policrate. "Atena aveva prospettato una simile eventualità fin dai tempi del mito, Plistene. Ora il tempo ci è tiranno ma sappi questo: le gerarchie dei Cavalieri di Atena non necessariamente corrispondono al loro grado di forza assoluto, non sempre almeno. La dea ha fatto in modo che più soluzioni ci fossero offerte e che l’aiuto ci potesse venire anche da chi, a torto, è considerato un combattente di secondo ordine solo perché non indossa una delle dodici corazze maggiori, quelle dorate. I combattimenti in atto lo stanno dimostrando, se avete percepito il cosmo di uno dei più giovani tra noi e la risonanza nuova che si sta creando con la sua armatura. C’è tuttavia dell’altro. Qualcuno sta ora giungendo a Delfi e si tratta di un alleato la cui opera potrebbe esserci preziosa. Qualcuno che può mettere i suoi poteri direttamente al servizio della dea, combinandoli con quelli di uno dei presenti. Ben ha fatto la dea a tenere in disparte alcuni dei suoi fedeli servitori." E il suo sguardo si posò su Metoneo, che annuì.

***

Astylos, Archita e Anassilao si erano istintivamente stretti a cerchio.

"La vostra fine è segnata. Vedete almeno di cadere con onore." disse velenoso Minosse.

"Facile parlare avendo le spalle coperte!" replicò a tono Astylos.

Minosse rise, ma fu per poco. Un lampo di luce tagliò l’aria e il suo elmo volò via.

"Chi osa?" gridò stizzito portandosi una mano alla fronte sanguinante.

"Eccomi, Minosse! Ti ricordi di me? Ho un conto da saldare e un amico da vendicare." Callimaco era piombato tra loro come una furia, il braccio teso e l’armatura lucente nella notte. Solo allora si rese conto che gli altri due nemici non erano Spettri comuni. Si arrestò, esitante davanti alla nuova minaccia che ora era chiaramente percepibile e che aveva l’aspetto di due guerrieri all’apparenza straordinari. Era stato troppo incauto e probabilmente, temeva, non avrebbe portato a segno tanto facilmente un altro colpo.

"Stai in guardia, Callimaco. Quelli sono Thanatos e Hypnos." disse asciutto Archita. Il consiglio era rivolto al compagno ma anche a se stesso. I quattro cavalieri compresero che uscire da quella situazione incolumi avrebbe richiesto un’impresa al limite delle loro possibilità. Callimaco maledisse la sua foga ma evidentemente il Fato aveva deciso che fossero quattro i Cavalieri d’Oro ad affrontare quella prova tanto ardita. Pensò a Melissa e mia l’aveva immaginata così lontana come in quel momento. L’avrebbe più rivista?

***

Pegasios subì un colpo, un altro e un altro ancora. Barcollò più volte, ma non cadde.

"Allora, è tutto qui Radamante?" disse.

"Se davvero non temi la morte preparati: l’ora è giunta!"

Eaco era teso, pronto ad intervenire. Radamante stava indugiando troppo ed egli non si fidava di quel ragazzo. Il fatto che la sua armatura fosse evoluta significava che pure il suo spirito, il suo cosmo vitale dovevano essersi evoluti e un ragazzo che mostra tali qualità è da temere a priori. Qualcosa ad un tratto lo distrasse. Due presenze. Due cosmi immensi. Li riconobbe ma non capiva perché si trovassero lì. Che Ade avesse deciso di porre fine alla guerra in modo brusco e repentino, invocando altre divinità per chiudere in fretta la partita? Non si fidava dunque dei suoi Giudici? E se era così che dipendesse dagli Spettri che avevano costituito la sua armata ed erano stati debellati, faceva fatica a ammetterlo, quasi con facilità? E sì che, nonostante tutto, lui e Radamante stavano vincendo la loro battaglia. Che fosse la schiera di Minosse fosse talmente in difficoltà da richiedere un simile intervento? Che lo stesso Minosse fosse… No, non poteva essere.

Una voce lo riscosse. "Eaco… li hai sentiti vero? Non dirmi che davvero Ade li ha voluti in questa Guerra Sacra…" A parlare era stata Maia.

Eaco lesse negli occhi della ragazza la sorpresa e lo sgomento. Negli occhi di colei che era stata una Furia, strano a dirsi, vi era paura ma doveva ammettere che pure lui era spiazzato e a disagio messo davanti a quella prospettiva. "Non lo so, Maia. Non dovrebbero essere qui. Di una cosa sono sempre stato certo. Questa è la nostra guerra!"

***

Due divinità, due nuovi avversari. Era possibile lottare contro nemici di quel calibro? Già abbracciare l’idea di sfidare un dio, un Cronide come Ade metteva i brividi e faceva vacillare la mente, già questo costituiva una sfida ai limiti delle possibilità umane. Sfidare anche il dio della Morte e quello del Sonno. Era davvero possibile farlo? O era follia, come folle era stato Icaro a sfidare il Sole Iperione, e Marsia a sfidare Apollo e tanti altri che si erano confrontati con una divinità uscendone sconfitti, umiliati e spesso pagando l’ardire con la morte o con punizioni anche più atroci? Si trattava solo di miti o di storie reali? Erano vissuti davvero gli eroi del tempo del mito e coloro che si erano trovati faccia a faccia con le divinità? Ora tutto ciò aveva una relativa importanza. Quello che stavano vivendo non era un mito, nemmeno era un sogno, e neppure un’allucinazione: era dura, cruda realtà. La sola presenza delle due divinità scuoteva nel profondo le loro certezze, la loro fiducia in sé stessi, quasi il loro essere Cavalieri di Atena perché, al di sotto della corazza che li proteggeva e nel profondo del loro animo, temprato e forgiato dalla vicinanza e dalla famigliarità con la Dea, vi era una consapevolezza che diventava in quell’ora un’angoscia sottile: erano pur sempre uomini e la loro natura umana, ben lo sapevano, poneva ora dei seri limiti alle loro possibilità.

Stretti in cerchio Astylos, Archita, Anassilao e Callimaco erano in attesa che qualcosa accadesse. Ognuno di loro poteva udire il respiro dell’altro e di fronte a loro Minosse, Thanatos e Hypnos sembravano percepire i loro dubbi e i loro timori.

Minosse parlò per primo: "Ebbene, seppur malvolentieri affido a voi il compito di eliminare costoro. Uno tuttavia spetta a me!" E fissò Astylos.

"Ci affidi?" disse secco Thanatos. "Da quando delle divinità ricevono ordini da uno come te?"

"Non è la vostra guerra." replicò stizzito Minosse. "E fino prova contraria sono io a guidare le armate di Ade."

Thanatos gli si parò davanti, con fare minaccioso. "Lascia che finisca con costoro e poi ti spiegherò come funzionano davvero le cose nell’Ade!"

"Calma, Thanatos." si intromise più pacato Hypnos.

In quella un cosmo di immane potenza si irradiò nell’aria e pochi istanti dopo Ade, figlio di Crono, fece la sua comparsa.

"Cosa stavi dicendo a proposito di come dovrebbero funzionare le cose nell’Ade, Thanatos?" disse pacato il Cronide.

"Intendevo dire, mio signore…" rispose Thanatos palesemente a disagio.

"Basta così!" Ade aveva un’espressione stizzita e severa. "Minosse, vedo che la tua schiera è distrutta e che Atena ancora non si mostra."

"Credo di sapere dove si trovi, sommo Ade. Quanto a questa sfortunata azione…"

"Minosse, so benissimo dove si trova Atena. Percepisco il suo cosmo, ora."

"Non ne dubitavo, mio signore." replicò il Giudice chinando il capo.

"Quanto a voi, una sorpresa vedervi qui. Devo intendere che facevate poco affidamento sui Demoni che ho schierato contro Atena e i tre Giudici degli Inferi che ho posto a capo del mio esercito? O forse qualche altro motivo vi spinge lontano dalle vostre dimore abituali? Vi ho forse comandato di comparire? Come avete l’ardire di lasciare incustoditi gli abissi del Tartaro? Parlate, in fretta!"

Fu Hypnos a prendere la parola, che la collera di Thanatos stava montando e non era il caso fosse lui a replicare con parole dure e inopportune. Disse dunque Hypnos: "Sommo Cronide, se abbiamo mancato è stato per troppa devozione alla causa, non certo per altro. La truppa dell’Ade che hai allestito è stata in gran parte spazzata via e noi stessi stentiamo ancora a crederlo. Stavamo in attesa degli eventi e gli eventi ci dicono ora che vi è bisogno di noi per portare a termine velocemente l’impresa. Atena è una comoda preda per il signore degli Inferi, certo, ma qualcuno deve pur occuparsi dei temerari di cui la dea si circonda. Non sporcatevi le mani con i mortali, lasciate a noi il compito di liberarvi di loro."

"I tre Giudici sono ampiamente all’altezza!" intervenne Minosse con fierezza.

"Davvero? Eppure non mi pare che te la passassi bene contro tre di questi Cavalieri d’Oro!" lo irrise Thanatos.

"Perciò" continuò suadente Hypnos "occupatevi pure di Atena, noi faremo in modo che nessuno si intrometta nel vostro scontro. Pochi istanti e non vi sarà più un solo uomo che combatte per la dea."

I quattro Cavalieri d’Oro non osavano dire una parola. Solo rapide occhiate intercorsero tra loro e il loro proposito a quel punto era uno e uno soltanto. Se proprio erano giunti alla fine del viaggio sarebbero caduti combattendo. Dovevano solo cogliere il momento propizio per far ardere i loro cosmi e scagliarsi contro il nemico. Avrebbero probabilmente inflitto ben pochi danni ma era pur sempre meglio di restare in attesa e morire come cani. Già Astylos stava per gridare "Per Atena!" quando Ade parlò.

"Ebbene, sia come desiderate. A voi il compito di sconfiggere i Cavalieri di Atena, fianco a fianco ai miei Giudici."

"Non dubitate, faremo in fretta."

"Sia chiaro però" aggiunse Ade con un sorriso sardonico "che il comando spetta a Minosse."

Era troppo per i due. "Io non servo un semidio!" sbottò Thanatos.

"In tal caso puoi tornare alla tua dimora. Ma così facendo mi manchi di rispetto poiché prima mi offri il tuo aiuto e poi me lo neghi."

"Sommo Ade" disse allora Hypnos "credo Thanatos intendesse dire semplicemente che non siamo abituati ad agire di concerto con altri. Il nostro potere ci consente di agire da soli e di non temere avversario e questo fa si che non ci troviamo mai a combattere per conto di qualcun altro. Le forze primordiali che ci alimentano non hanno bisogno di guide, di ordini, di azioni coordinate: esse sono e agiscono, tanto basta."

"Se le cose stanno così" disse Ade con solennità "disponete a vostro piacimento degli avversari che vi si pareranno davanti ma fate in modo che i miei Giudici possano coprirsi di gloria. Ricordate che questa è la sacra guerra tra Ade e Atena, non la vostra. Voglio questa vittoria per render manifesto alla figlia di Zeus come il circondarsi di mortali non giovi a nulla rispetto al poter contare su collaboratori e combattenti assai più nobili e meritevoli."

Ade espanse il suo cosmo e i quattro Cavalieri d’Oro e lo stesso Minosse furono sollevati in aria. "Minosse, ti riunisco a Radamente ed Eaco, che sono impegnati in battaglia davanti al tempio di Atena Pronaia. Là dimostrerete di cosa siete capaci. Devi pur sempre vendicare il sangue del tuo sangue: Sarpedonte è caduto per mano di quegli insolenti."

Minosse arse di orgoglio e di trepidazione. La sua furia non si sarebbe fatta attendere. "Non vi deluderò sommo Ade!"

"Thanatos, Hypnos! A voi il compito di far piazza pulita dei temerari che si accompagnano ad Atena. Siate letali e discreti al tempo stesso."

"Come desideri, Ade." disse Hypnos. Thanatos tacque.

Archita, Astylos, Anassilao e Callimaco videro tutto per un istante diventare ancora più buio. Poco dopo erano davanti al tempio della dea e Minosse era a poca distanza da loro. Si accorsero subito della presenza di Radamante ed Eaco e di quella delle due divinità, che erano giunte in quello stesso istante. Ma vi erano altre presenze e altre situazioni che fecero loro gelare il sangue.

***

Metoneo aveva ancora gli occhi rigati di lacrime quando percepì due nuovi cosmi oscuri. Ci aveva messo un po’ a capire e aveva sperato di essersi sbagliato. Poco prima Policrate lo aveva gratificato e sapeva che era giunto il momento di mostrare quale fosse davvero il suo potere, tuttavia poco dopo quella sensazione e quella triste consapevolezza lo avevano sfiorato ed era stato preso dallo sconforto. Elettra… Si asciugò il viso e corse dov’era Atena. Policrate e Plistene erano con lei, una timida fiamma a illuminare i loro volti.

Il Grande Sacerdote annuì grave. "Mia signora, qualsiasi cosa decidiamo di fare ora, facciamola in fretta. Credo che il tempo sia tiranno con i nostri compagni di battaglia." Atena, lo sguardo fisso alla vallata, non proferì parola.

"Plistene" disse Metoneo "se credi che sia il momento io…"

Il cavaliere di Virgo fissò il compagno e comprese a cosa alludeva. "Non sta a me dirlo, ne ti chiederei mai di farlo. Tu sai per quale motivo sei stato addestrato. Se le circostanze lo richiedessero…"

"Io sono pronto." rispose Metoneo. Vi era in lui la fredda determinazione di chi ha perso la cosa più cara che ha al mondo e non stima di nessun valore tutte le altre, compresa la propria vita.

"Metoneo" disse finalmente Atena "i Cavalieri di Atena combattono per gli uomini e per la vita. Perché avverto la disperazione nel tuo cuore? Non è la paura, vero?" La voce di Atena era come una malia e Metoneo ne fu colpito. Esitò prima di rispondere.

"Mia Signora, non potrei ingannare voi che sapete leggere nel profondo dell’animo nemmeno se lo volessi. Il tempo ci è nemico e non voglio dilungarmi. Il mio essere cavaliere è dedicato a voi e a quanti amo. Tra coloro che amo qualcuno non è più. Se posso far buon uso delle facoltà che mi sono concesse e se posso far sì che la mia vita, o la mia morte, possano giovare a qualcuno voglio senz’altro che sia per voi e per la vostra causa e per quella degli uomini mortali che vivono sotto il cielo stellato."

Policrate comprese ma non disse nulla. La situazione stava precipitando e presto sarebbe arrivato il momento delle decisioni estreme.

"Chi è là!" gridò d’improvviso Plistene scattando verso l’esterno. Tre cuori sussultarono alle sue parole, tre cosmi si accesero.

La figura che si fece avanti non aveva tuttavia nulla di minaccioso. Abiti che testimoniavano un lungo viaggio, un bastone, un carico sulle spalle, barba e capelli grigi.

L’uomo si inginocchiò e disse: "Al vostro servizio, mia dea."

Policrate gli andò incontro e antichi ricordi di risvegliarono in lui. "Amico mio, ben giunto tra noi! E’ una gioia rivederti dopo tanto tempo. L’ora è grave e più che mai gradita è il tuo arrivo." I due si abbracciarono come vecchi compagni di battaglia.

"Policrate, se sono giunto è proprio perché l’ora è grave. Lo è per tutti."

"E per te lo è in modo particolare. Perdona le mie parole e accetta il mio cordoglio per la tua perdita." disse il Grande Sacerdote.

"Sono certo che è caduto da cavaliere." E così dicendo si levò il carico dalle spalle e ne estrasse un’armatura. "Pettorale e coprispalle sono quasi distrutti, come pure l’elmo, ma il dorsale è intatto. Non è fuggito di fronte al nemico e se posso rimproverargli qualcosa è solo di non aver potuto fare di più."

Plistene aveva veduto quell’uomo in un tempo lontano ed faticava a ricordare. Le parole di Atena lo illuminarono. "Tuo fratello Yarios ha affrontato tra i primi l’assalto che Ade ha sferrato al Santuario. Vegliava sui compagni e ha sfidato la prima ondata di Demoni. Lo ho caro come tutti coloro che son caduti con lui e dopo di lui."

"Vi ringrazio delle vostre parole, mia dea." Dopo un attimo di silenzio aggiunse: "E ora permettetemi di tornare al vostro servizio."

"Sei più che benvenuto, Farios della Coppa."

***

"Mi sono stancato di te, taci!" Radamante era un furia. Che erano venuti a fare Hypnos e Thanatos? La guerra contro Atena non era affar loro. Lui doveva abbattere i cavalieri di Atena, lui e gli altri Giudici, dal momento che ormai gran parte degli Spettri era caduta. Afferrò Maia per i capelli e la colpì una, due, tre, infinite volte. La ragazza non riusciva a difendersi a causa della frattura al polso e solo l’armatura d’oro che indossava faceva in modo che i colpi violentissimi di Radamante non le fossero fatali. Per finire il Giudice la scaraventò lontano, vicino ad Elettra.

Maia ebbe appena la forza di sollevare il capo. La vista era annebbiata, la mente sconvolta fin dal momento in cui aveva percepito i due cosmi divini. Conosceva bene Hypnos e Thanatos, più volte li aveva incrociati quando era stata Aletto la Furia. Timore e brivido provocava la loro solo presenza. Ed ora erano lì, da qualche parte, pronti a colpire, inesorabili. A gettarla nella più cupa disperazione fu però il fatto di vedere da vicino il volto di Elettra, che giaceva esanime.

"No, Elettra!" disse con voce rotta. "Mi dovevi portare al Santuario, ricordi?" Avvertì l’ultimo alito di vita della ragazza e ne percepì i pensieri.

"No ha più importanza, Maia… Il Santuario di Atena non è un luogo… il vero Santuario è in chi crede, è nello spirito dei cavalieri della dea… Ed è anche nel tuo, lo sento… Sei una di noi, come lo sono stati i tuoi fratelli… Porta un fiore sul mio sepolcro e su quello dei tuoi fratelli … Fallo con Metoneo… digli che…"

Il pensiero svanì, leggero come la colomba che Elettra era stata tante volte indossando le vestigia argentee per servire la sua dea.

"No, resisti Elettra!" La mano della ragazza si posò sulla compagna ma i suoi ultimi pensieri volarono via leggeri assieme alla vita di lei.

"Non disperarti per lei, presto la seguirai." disse freddo Radamante. "Poi dovrò occuparmi anche di Pegasios.

"Radamante, lascia a me Maia." disse con tono perentorio Eaco.

Radamante sorrise sardonico. "E perché mai? Era una mia sottoposta, io punirò il suo tradimento!"

Pegasios nel frattempo si era rialzato ma era malfermo sulle gambe. Stava per provare a fare qualcosa quando due cosmi potenti e aggressivi lo fecero sobbalzare. Dal nulla apparvero due figure, fieramente fasciate delle loro corazze e terribili a vedersi.

"E se a occuparmi della Furia che si faceva chiamare Aletto fossi io?" Maia ebbe un sussulto di terrore. Thanatos si era manifestato e la sua sentenza di morte era stata pronunciata.

Eaco e Radamante distolsero lo sguardo, infastiditi. In quella apparve Minosse e parlò a nome del Sommo Ade: "Eaco, Radamante, per prima cosa sappiate che il vostro umore è tale al mio. Tuttavia il nostro signore ci dà la facoltà di terminare il nostro lavoro. Questi due" disse sprezzantemente "sono venuti solo a far pulizia sommaria."

"Bada a come parli!" disse Thanatos.

Minosse non reagì. In quella apparvero Archita, Anassilao, Astylos e Callimaco, negli occhi lo stupore per via dello spostamento istantaneo.

Hypnos li degnò appena di un’occhiata e parlò: "Giudici, scegliete il vostro avversario. Degli altri ci occuperemo noi."

Minosse incrociò lo sguardo con Astylos: "Abbiamo un conto in sospeso noi due."

"Certo. Ho un allevo da vendicare!"

"No, maestro, lasciatelo a me!" gridò Pegasios. Tutti gli sguardi furono sul giovane e solo allora Astylos e gli altri Cavalieri d’Oro si avvidero dell’avvenuto cambiamento dell’armatura di Pegaso e la meraviglia si fece largo nei loro cuori, scacciando per un poco il timore che l’imminente scontro contro due divinità aveva suscitato nei loro animi.

"Archelao era più di un compagno per me…"

"Lo so, Pegasios." disse Astylos pensieroso. Fece una significativa pausa poi disse: "Pegasios, Minosse è tuo. Sono certo che sarai all’altezza."

"Grazie maestro, non vi deluderò."

"Mi sembri molto affaticato." Aggiunse Astylos sottovoce vedendo che si reggeva a stento. Eppure vi era una nuova luce nei suoi occhi e pure il suo cosmo, il suo cosmo…

"Sarà il peso della nuova armatura." rispose il giovane e, incredibilmente, rise.

Astylos sorrise a sua volta: "Molto bene allora. Sai quello che devi fare."

"In questo caso" s’intromise Thanatos "il prode Astylos è affar mio! Coraggio, mostrami il tuo bell’arco dorato." Lo irrise.

Eaco non poteva tollerare oltre l’arroganza del dio e osò rispondere a tono. "Stai al tuo posto, dio della morte. Astylos combatterà con me! Ha osato scagliare una freccia d’oro contro il sommo Ade dopo che aveva conquistato il santuario di Atene. Per poco non ha ferito la divina Persefone. Un atto scellerato che merita di essere punito." Guardò verso Maia e subito si pentì delle sue parole. In un modo o nell’altro sapeva di aver decretato il destino di lei.

"Dal momento che mio fratello Minosse combatterà contro Pegasios, che avrei voluto essere io a sconfiggere, mi dovrò scegliere un altro avversario." disse Radamante guardandosi attorno a ponderar la scelta ma qualcun altro scelse per lui.

"Cercavi me, non è vero?"

"Qual è il tuo nome?" disse il Giudice che non aveva mai visto l’uomo.

"Archita di Thera."

"Ora che avete finito" ruggì Thanatos "Hypnos ed io ci daremo da fare con gli altri. Ammirate come si sgominano degli avversari in pochi istanti. Ventus Mortis!"

Apparentemente senza muovere un muscolo Thanatos sprigionò un colpo di pura energia che colpì Anassilao, facendolo volare lontano. L’elmo del cavaliere si disintegrò sul colpo e i suoi capelli dorati si rigarono del sangue di numerose ferite da taglio. Anassilao provò a sollevarsi ma cadde riverso e sprofondò subito nell’oblio.

"Anassilao!" gridarono in coro i compagni. Ma non vi fu tempo di dolersi per lui che pure Hypnos si apprestava a colpire.

"Somnium Aeternum!" Callimaco non riuscì nemmeno ad alzare la guardia. Le sue membra si sciolsero e cadde.

Maia si sollevò e mormorò: "Nemmeno la possibilità di difendersi avete concesso loro… Siete dei vigliacchi."

Thanatos rise: "Non ce n’era bisogno. Non avrebbero potuto far nulla. Per loro è già finita."

"Sono dunque già morti?"

"Certo che no!" replicò divertito Thanatos. "Lascia che prima mi diverta un po’. Che gusto c’è a combattere contro degli uomini? Lo scontro non ha nemmeno il tempo di iniziare. Su tutto vince la morte, dovresti saperlo traditrice!"

"Mi ero sbagliata sul vostro conto, e dire che vi ho visti molte volte nell’Ade. Siete assai peggio di quanto pensassi."

"E tu non sei migliore di noi, Maia." disse Hypnos "Fedifraga e spergiura. Ma ora è il tuo turno. Quei due che abbiamo colpito moriranno presto ma prima tocca a te. Ade ci ha chiesto di fare un bel lavoretto con la traditrice. E incrociò lo sguardo con Thanatos che sembrava attendere solo e soltanto quel momento.

"Vedi" proseguì Hypnos "se fossi io a finirti scivoleresti nel sonno e poi nell’oblio della morte ma non sarebbe la fine adatta per te. Tra l’altro sei già moribonda. Lascia invece che ti regali alcuni incubi in modo che poi Thanatos possa aggiungere le sue sofferenze corporali a quelle dell’animo che ti avrò inflitto io." Il suo cosmo si fece nero. "Visum Somni!"

Maia fu avvolta da una luce dorata che presto mutò al viola. Vide i suoi fratelli, vivi davanti a lei. Ma lei era Aletto, indossava la nera corazza dell’Idra e ora li stava colpendo a ripetizione e con un attacco frontale trapassava il torace di entrambi, mentre i loro corpi andavano in pezzi e si diffondeva nell’aria un tanfo di morte.

"No!!!" gridò Maia.

Fu la volta di Thanatos. Afferrò la ragazza, le torse il braccio fino a spezzarlo. Poi passò alle dita della mano. Gli sarebbe bastato un colpo, un unico colpo fatale per mettere fine alla sua vita, ma voleva prima godersi la sofferenza e il terrore di lei.

"Nel profondo del Tartaro sarai precipitata e persino i tuoi fratelli malediranno il tuo nome nel terrore che i tormenti che ti attendono possano diventare i loro. In ginocchio, donna!" Con un calcio a spazzare mandò frantumò gli schinieri e le ginocchia della ragazza cedettero. Maia gridò e il suo grido fece rimbombare d’orrore le pareti rocciose del Parnaso.

"Ed ora" si intromise Hypnos "maledici gli uomini e ripudia Atena. Sei nata per essere ombra e hai rifiutato la possibilità che ti era stata concessa. Il tuo destino era il Tartaro, ci dimorerai da ombra tormentata!"

"Maledici gli uomini!" le impose Thanatos sollevandole il capo e guardandola dritta negli occhi.

"Maledico voi!" Nei suoi occhi vi era terrore ma ora anche la fierezza per quello che era diventata, ossia un Cavaliere di Atena. E assieme a questo il disgusto per la crudeltà delle due divinità. Con il braccio sano colpì il dio, ma era come contrastare la furia del mare a mani nude. "Per il Sacro Leo!!!"

Thanatos bloccò il colpo con il palmo della mano, senza scomporsi. "Te la sei voluta. La Morte è su di te. Ventus…"

In quella si manifestò un cosmo vigoroso e una voce sicura e calma disse: "Lasciala! Sarai pure un dio ma ti farò a pezzi se osi toccarla!"

Plistene era giunto sul campo di battaglia. Guardò Maia e abbozzò un sorriso.

***

Atena avvertì due cosmi affievolirsi e un terzo vacillare. Terribile era il potere del Sonno e della Morte. Cercò con lo sguardo Policrate, poi Metoneo e infine Farios.

"Il tempo ci è nemico e Ade sta venendo qui. Posso, a limite delle mie possibilità attuali, tener testa a stento al signore degli Inferi ma ciò a che gioverebbe se nel frattempo i miei Cavalieri fossero spazzati via? Il Fato ci è nemico e quando pareva che la vittoria fosse possibile un nuovo sacrificio è richiesto a tutti noi." Tanto nelle sue parole quanto nel suo sguardo vi era amarezza.

Metoneo annuì. Sarebbe bruciato. Sì, sarebbe arso perché comunque stava già bruciando nel profondo dell’animo, di passione e di dolore. Sentì la mano vigorosa di Policrate posarsi sulla sua spalla.

"Coraggio, ragazzo. So che puoi farlo."

"Tutto per la dea. Tutto per i miei compagni." disse fiero a denti stretti.

Farios si fece ugualmente avanti. Indossava quel che rimaneva dell’armatura della Coppa. I bracciali tuttavia parevano non aver patito nessun danno e brillavano nell’oscurità.

"Siano stato addestrato per eventualità come questa. Mi farò valere come avrebbe fatto Yarios se i nostri destini fossero stati invertiti."

Atena sorrise, anche se era un sorriso malinconico, come un tramonto che arriva troppo presto, come uno spiraglio di luce che viene meno proprio quando sembra che l’alba sia vicina. "Vi ringrazio, Cavalieri. Non vi deluderò."

Policrate si avvicinò alla dea. "Perdonate, mia signora."

Sollevò il braccio. Si udì solo un sibilo e nel contempo Excalibur calò sulla figlia di Zeus.

***

Pegasios aveva visto di sfuggita cosa stava capitando a Maia ma non aveva tempo di soccorrerla, così come non ne aveva per sincerarsi delle condizioni di Anassilao e Callimaco che erano stati messi a terra dalle due divinità con un solo gesto della mano. Elettra rimaneva immobile a terra e l’espressione di Maia lasciava ben poche speranze riguardo la sorte della Colomba. Pegasios ricordò quando al Grande Tempio Elettra aveva insegnato a lui e a Miklos a captare i cosmi dei compagni lontani. Erano passati forse due o tre giorni… Miklos… Elettra… Provò un’angoscia senza fine.

La voce di Minosse lo riportò alla realtà: "Sarà pure evoluta la tua armatura ma i tuoi colpi restano assai modesti. Mi stupisco che i miei parigrado non ti abbiano annientato."

"Che tu non abbia a pentirti delle tue parole!" ruggì Pegasios. Troppi compagni, troppi amici aveva visto cadere.

"Sono stanco di giocare con voi miserabili. Volete una lezione? E una lezione avrete. Non vi ho ancora mostrato tutto il mio potere!"

"Parli troppo per i miei gusti! Meteora di Pegaso!" urlò il giovane mentre il suo attacco baluginava nella notte. Pegasios aveva i volti di Archelao, Miklos ed Elettra fissi nella mente e avrebbe fatto di tutto per vendicarli. "Evita questo colpo, Minosse!"

Il Giudice sparì in un lampo di luce azzurra e si avvertì uno stridio sinistro. Quando il bagliore lasciò nuovamente spazio alle tenebre Minosse era sparito.

"L’ho dunque annientato?" si chiese speranzoso Pegasios.

"Illuso!" Pegasios alzò gli occhi e vide che Minosse si librava sopra di lui, sorretto dalle grandi ali della sua armatura. "La tua Meteora è davvero un attacco vigoroso, lo devo ammettere, evidentemente quella tua nuova armatura ti sta facendo progredire in fretta e sta velocizzando i tuoi colpi. Non male per un semplice cavaliere di Bronzo. Ora però scoprirai cos’è la vera forza!"

"Conosco il tuo attacco!" disse Pegasios e l’immagine della fine atroce di Miklos e di Archelao si affacciò minacciosa alla sua mente. "Saprò evitarlo."

"E allora evita invece questo." Il cosmo di Minosse brillò più vivido, alto nella notte. "Tuono di Minosse!"

Pegasios vide arrivare il colpo e lo evitò usando le ali della propria armatura. "Non sono un bersaglio inerte come credevi, Minosse!"

Minosse si posò a terra e rise. "Stolto, sei prevedibile. Ammira cosa ho in serbo per te. Dominio Cosmico!" Un braccio di Pegasios fu avvinto dai lacci di Minosse, il cavaliere provò a divincolarsi ma il Giudice lo tratteneva e il suo bicipite si gonfiava fiero nello sforzo. Intanto Minosse si preparava a colpire ancora. "Raggiungi il tuo amico Archelao, impudente! Tuono di Minosse."

"Fulmine di Pegasus!" Il colpo era indirizzato ai lacci, unica possibilità per divincolarsi ed evirare il colpo, ma l’attacco di Minosse fu più rapido. Pegasios pagò gli sforzi ripetuti sostenuti fino a quel momento. La vista gli venne meno, l’aria gli uscì dai polmoni e avvertì solo la sensazione del volo, per un tempo indefinito. L’impatto fu duro. Per pochi istanti ebbe ancora percezione della realtà. Svenne e tutto si fece buio.

Minosse, soddisfatto. guardò i suoi parigrado e vide che si stavano ben comportando. "Vado a terminare il lavoro con quell’insolente! Quel Pegasios mi inquieta, meglio accertarsi che sia sprofondato nel Tartaro." disse a gran voce "Al mio ritorno spero sarà avanzato un cavaliere d’Oro anche per me." Guardò dov’era Maia, sovrastata dalle due divinità. Presto la traditrice avrebbe avuto il fatto suo e in quell’istante fu soddisfatto che Hypnos e Thanatos fossero scesi in campo.

***

"Melissa! Dove sei Melissa?"

Il Santuario stava bruciando. Le ondate stavano spazzando via Corinto e tutte le città del golfo. I compagni di battaglia defunti stavano sprofondando nel Tartaro ed Erinni, Ciclopi e Centimani stavano facendo scempio dei loro cadaveri. Atena stava ora subendo i colpi di Ade e lui non poteva fare nulla perché un torpore sempre più grave lo stava piegando. Ma a rendere ancora più amara la fine di tutto era vedere Melissa stretta ad un olivo mentre la furia del mare e del vento cercavano di strapparla via.

Callimaco provava dolore e vergogna per come Hypnos lo aveva colpito senza che avesse nemmeno il tempo di abbozzare una difesa, senza nemmeno provare a reagire. Ah che terribile potere quello degli dei! Follia sfidare uno di loro. E provare addirittura a sfidarne tre… era al di là della loro portata, oltre i confini dell’arroganza e della follia umana, hybris imperdonabile da punire con i più atroci tormenti del Tartaro.

Guardò ancora attorno a sé e le immagini si fecero più terribili. Atena era piegata, in ginocchio, gli occhi verdi arrossati, Ade trionfante su di lei, pronto a finirla. Provò rabbia. Non poteva far nulla. Era come se il suo stesso cosmo si fosse dileguato. Che fosse la fine? Volle dire addio a Melissa che come la dea pareva sul punto di cedere. Eppure no, non cedeva ancora, si aggrappava con tutte le forze al ramo di quell’olivo, incurante del vento e delle onde, incurante del fatto che le mani le dolevano e cominciavano a sanguinare, incurante del proprio corpo spossato. Stava ancora parlando, Melissa. Callimaco compì un ultimo sforzo, per poterne afferrare le parole prima della fine. E quelle parole lo destarono.

"Callimaco! Dove sei Calliaco? Torna, torna da me, torna a Corinto! Lo so che sei più forte del mare in tempesta e del tuono celeste! Io resisterò, resisterò fino al tuo arrivo!"

Il suo cosmo sopito si accese e cominciò a bruciare. Sì, doveva tornare, ma come? Se solo avesse trovato il modo di uscire da quell’incubo.

Percepì un cosmo e lo riconobbe. Si riconobbero. Anassilao!

"Callimaco, il Tartaro, vedo il Tartaro ed è orribile! Stiamo forse morendo?"

"Io non lo so, Anassilao… Vedo ovunque la terra di Grecia bruciare, le città sprofondare, la gente morire."

"Eppure ti sento vicino, sei qui! Come può essere che io veda invece solo le anime straziate del Tartaro?"

Restarono per un attimo pensierosi poi la risposta fu ovvia. Grande era il potere di Hypnos e Thanatos. Erano vivi ma prigionieri dei colpi fatali delle due divinità che, probabilmente, stavano solo aspettando di dar loro il colpo di grazia.

"Come usciremo da qui? Come potremo salvare Atena, Callimaco?"

Callimaco vedeva Atena ferita e sottomessa ad Ade ma in quell’istante seppe che era un’illusione.

"Anassilao, pensa a chi ti ama! Pensa a chi è vivo sulla Terra, a chi vuole vederti tornare." Melissa era vera e solo quello contava, pensò Callimaco. Per lei, sarebbe tornato per lei e grazie a lei. La guardò di nuovo e ora stava in piedi, un solido olivo dietro di lei, le foglie verde argento nella luce della sera. Una civetta si stava infine posando su un ramo.

Il cosmo di Anassilao si accese al pari del suo. Entrarono in risonanza e bruciarono la loro forza vitale. Infine, qualcosa accadde ma per qualche istante non seppero dire cosa.

***

"Plistene, sei pazzo! Non sai chi sono costoro, vattene!"

"So benissimo chi sono costoro. Due lestofanti al servizio del sommo Ade. O forse dovrei usare l’espressione tirapiedi di Ade?" Plistene parlava con tono monocorde, quasi che l’essere alla presenza di due divinità che avrebbero potuto annientarlo all’istante non lo turbasse affatto. Nessuna emozione, nessuna preoccupazione traspariva in lui.

L’umore di Thanatos era invece tutt’altro. "Tirapiedi di Ade hai detto? Allora sappi che non ho bisogno del suo consenso per procurarti la morte ora!"

"Plistene, vattene!" lo implorò Maia.

Troppo tardi. "Ventus Mortis!" urlò furioso il dio della Morte.

E la morte, lesta e implacabile, fu su Plistene con le sue gelide dita, un violaceo alone cosmico che si protese per ghermirlo e trascinarlo nel Tartaro. Lo aveva quasi afferrato quando qualcosa deviò il colpo che si perse nella notte mentre cristalli iridescenti cadevano tutt’intorno.

"Che presa in giro è mai questa!" disse Thanatos.

Hypnos si avvicinò al compagno. "Una barriera difensiva. Interessante. Tuttavia al prossimo attacco non gli servirà più." Non ebbe il tempo di finire la frase.

"Sottomissione dei Demoni!" Thanatos fu colpito da una sfera di luce in pieno addome. Non si piegò, non fu ferito, non avvertì dolore ma una smorfia si dipinse sul suo viso.

"Non so se la tua è insolenza o follia. Il terrore deve aver fatto perdere il senno a tutta la soldataglia di Atena."

"Tu dici?" replicò beffardo Plistene. Thanatos scattò per colpirlo ma Plistene si abbassò, scartò di lato e lo colpì con un calcio dietro il ginocchio, sulla gamba d’appoggio e che fosse una gamba divina fece poca differenza. Sbilanciato il dio cadde a terra in maniera poco elegante.

Hypnos trasalì: "Thanatos, che fai? Ti basta un colpo, il solo pensiero per ucciderlo. Fallo!"

Il compagno rinsavì e fece un solo gesto, liberando il colpo fatale. "La morte è su di te!"

"Kahn" urlò Plistene.

"Inutile difesa, la morte supera qualsiasi difesa e vince ogni ostacolo!"

"Allora ciò vale anche per te!" disse una voce femminile che sembrava provenire dalle tenebre stesse. "Sigillo di Atena!"

Thanatos si trovò prigioniero di un cosmo poderoso, il suo attacco vanificato, il cosmo divino sopraffatto. Atena apparve di fronte a lui, reggendo l’Egida. "Torna alla tua dimora nel Tartaro, Thanatos!"

Il dio fu avvolto dal cosmo lucente della dea. Il suo urlo feroce si perse nella notte e in pochi istanti sparì. Poco dopo di lui rimaneva solo il ricordo. Atena, riparandosi ansimante dietro l’Egida, tirò un sospiro di sollievo.

"Ben fatto Plistene." disse poco dopo.

"Non abbiamo ancora finito, purtroppo." rispose Plistene pensieroso mentre Hypnos, furente, si piazzava davanti a lui.

"E così hai usato il Sigillo per annientare Thanatos! Molto bene, figlia di Zeus. Ora però sei inerme e Ade avrà sicuramente percepito il tuo cosmo quindi a momenti sarà qui e non avrai scampo, come non ne avranno i tuoi Cavalieri. Due divinità contro una. L’esito dello scontro è già scritto." Rise poi continuò, sarcastico. "Certo non è da te combattere in modo tanto avventato e con una strategia così lacunosa."

"In guerra bisogna saper fare di necessità virtù, Hypnos. E se ho agito in un determinato modo è perché costretta dagli eventi ma seguendo una tattica precisa."

"Tattica invero fallimentare. Hai consumato quasi totalmente la tua energia cosmica per annientare Thanatos. Ora sei inerme, dea della guerra."

"Non sarei degna del nome di dea della guerra se davvero avessi adottato una strategia così fallace. Strategia che invece ora mi permetterà di annientare anche te."

"Non ne hai la forza." disse Hypnos preparandosi ad attaccare.

"Invece ce l’ho e di questo ringrazio i miei Cavalieri che si fanno trovare pronti nel momento del bisogno."

La dea si rialzò e la sua figura parve rinvigorirsi. Era come se il suo cosmo stesse recuperando vigore in modo istantaneo. Un’aura di luce brillò tutt’attorno alla figlia di Zeus, gli occhi verdi smeraldo scintillanti nella notte, i neri e lucenti capelli a fluttuare nelle tenebre.

"Che prodigio è questo? Sfida le leggi divine! Sento che il tuo cosmo aumenta e si allarga all’inverosimile. Come può accadere?"

Atena sorrise. "Le leggi divine sono immutabili come la nostra natura e quella degli uomini. Tuttavia mi stupisco che tu non sappia che il sangue e il cosmo divino, a differenza di quello dei mortali, mantengono il loro potere pure se distaccati dal corpo."

Hypnos intuì quello che era accaduto. "Il tuo sangue, l’Ichor vitale… che ne hai fatto?"

"L’ho rigenerato e ora me ne servo. Di questo ringrazio i miei fidati Metoneo e Farios."

Solo allora il dio intravide i due Cavalieri d’Argento dietro la dea, il loro cosmo che si espandeva fino al parossismo.

Atena parlò ancora e le sue parole suonarono come una sentenza: "Saluta questo mondo, Hypnos!"

Hypnos comprese che era la fine e che la saggia Atena aveva escogitato un modo per mettere fuori gioco non una ma due divinità e ciò le era stato possibile anche grazie a quelle armature che nei tempi del mito Efesto aveva forgiato su sua richiesta. Aveva creduto, e con lui molti altri, che quelle d’oro fossero le più temibili ma forse non era così. Chi indossava le vestigia d’oro costituiva sì il nerbo dell’esercito della dea, ma pure chi si adornava di quelle d’argento acquisiva grazie ad essere grandi poteri. Poteri di diversa natura, più insidiosi, più sottili, basati non sulla padronanza di tecniche supreme e raffinate, non sulla forza e la fisicità, ma su altri elementi, legati alla sacralità stessa della divinità. Lo consolò il pensiero che quel potere congiunto avrebbe messo in seria difficoltà lo stesso Ade, forse lo avrebbe al pari suo annientato. Provava quasi ammirazione per la figlia di Zeus: il sacro fuoco degli dei e l’arte della guarigione combinati insieme per mezzo di due comuni mortali e le loro vestigia di fattura divina. Immaginò che al suo posto ci fosse Thanatos: la sua ira sarebbe stata incontenibile. Sorrise amaro. Quella non era la loro guerra, qualcuno lo aveva pure fatto notare loro. Terribile verità. Il tempo tuttavia avrebbe fornito a Thanatos, a Ker e a lui altre occasioni.

Il colpo di Atena lo investì e fu come avvolto dal suo cosmo. Tuttavia prima che Atena potesse completare l’attacco riuscì a togliersi una soddisfazione. Qualcuno doveva seguirlo nell’Ade. Non i due Cavalieri d’Argento, protetti dietro la dea. Scelse dunque il bersaglio più facile, più comodo, quello cui bastava poco per scivolare nel baratro.

"Sigillo di Atena!"

"Incubo Demoniaco!"

Hypnos svanì e con lui il suo cosmo divino e gran parte dell’energia cosmica della dea che nuovamente si trovò ansimante, appoggiata all’Egida e con un rivolo di sudore sul viso. Nessuno dei suoi cavalieri doveva averla mai vista così, allo stremo. Lo sforzo era stato notevole, notevolissimo il risultato. Due avversari insidiosi erano stati debellati, e con quale rapidità, ma ora contro Ade avrebbe potuto poco o nulla. Gran parte delle sorti della guerra sacra poggiavano sulle spalle dei suoi devoti cavalieri. Sperò che il prezzo da pagare non fosse per loro troppo alto. Se alcuni avvenimenti avessero preso una piega diversa forse la guerra si sarebbe già conclusa ma, lo sapeva, non sempre le cose vanno come le divinità desiderano. Il Fato incombe su tutti, mortali e olimpici ed ora anch’essa ne pagava lo scotto, come era capitato spesso al padre degli dei, ad Apollo e ad altri suoi congiunti. Non ebbe tuttavia tempo di dolersi troppo dei capricci del Fato che un urlo e una voce rotta dalla disperazione la riportarono alla realtà.

***

Eaco evitò l’ennesima Sagitta di Astylos, che cominciava a dare segni di impazienza. "Che c’è, Astylos, lo scontro non è forse di tuo gradimento? O semplicemente ti distrae il fatto che il tuo allievo, Pegasios, sia in seria difficoltà contro Minosse?"

Astylos sapeva che il suo avversario diceva il vero. Pegasios stava subendo gli attacchi micidiali di Minosse, così come poco più in là Maia stava subendo quelli delle due divinità. Archita era stato portato lontano durante lo scontro con Radamante e ora non lo vedeva più, anche se poteva percepirne il cosmo. Era tuttavia inutile preoccuparsi della sorte dei suoi compagni. Doveva aver fiducia in loro così come in tempi addietro si era fidato di altri compagni. La guerra era giunta all’epilogo ed era chiaro che un alto tributo di vite sarebbe stato pagato. Terribile pensiero, certo, ma le passate esperienze non gli permettevano di illudersi.

Eaco affondò il colpo e Astylos questa volta si sottrasse planando sulle sue ali dorate.

"Se è un combattimento nei cieli, cui aneli, soddisferò questo tuo desiderio!"

"Eaco, credi non conosca la tua tecnica? Le Ali di Garuda sono un colpo micidiale, come mi hanno confermato i miei compagni, ma hanno un vistoso punto debole: sono un attacco fisico, che deve essere portato a distanza ravvicinata. E mi pare che fino ad ora tu non sia stato ancora in grado di avvicinarti a me."

"Mi sembra che tu sottovaluti la mia velocità." disse stizzito Eaco.

"E tu sottovaluti la mia precisione. Sagitta!" L’ennesima freccia dorata saettò verso il Giudice che l’evitò all’ultimo. Il dardo però strisciò sulla nera corazza e vi impresse un segno, chiaramente visibile.

"Sorpreso Eaco?"

"Un colpo fortunato." replicò a denti stretti.

"Tu dici? Allora preparati a subire qualcosa di più insidioso. Devo avere ragione di te al più presto, troppi nemici sono ancora presenti sul campo di battaglia."

"Troppi nemici e sempre meno amici." Eaco aveva mutato la sorpresa in soddisfazione.

"Pegasios!" disse ad alta voce Astylos. Il suo allievo era stato bloccato da Minosse che poi lo aveva colpito in modo violento. Il giovane era stato centrato in pieno ed era volato via, inerme, sparendo nel buio della notte.

"Ali di Garuda!" Eaco fu addosso ad Astylos che poté sfuggire solo all’ultimo. La distrazione stava per costargli cara.

"Sempre meno compagni e niente più allievi!" insistette duro Eaco. "E quand’anche mi sconfiggessi, che potresti fare contro Thanatos e Hypnos? La vostra resistenza è senza senso, una corsa all’autodistruzione. Arrenditi adesso e ti risparmierai tormenti terribili."

"Arrendermi? Replicò schifato Astylos e sul suo volto vi era la fierezza e l’orgoglio di chi aveva combattuto numerose battaglie e non si era mai tirato indietro. "Un Cavaliere di Atena non si arrende! Combatte, se necessario combatte fino al sacrifico estremo!" L’armatura di Sagitter si accese del suo cosmo, i muscoli si tesero nello sforzo, le braccia assunsero la posizione d’attacco e gli occhi puntarono fisso il bersaglio. "Eaco, la tua proposta mi ripugna e mi offende. Ora conoscerai la vera forza di un Cavaliere di Atena! Per il Sacro Sagitter! Tempesta di Dardi!"

Le frecce d’oro illuminarono la notte e fu come se una cascata di luce si fosse riversata nella valle. Eaco vide i dardi provenire da ogni dove e comprese che nemmeno la sua velocità lo avrebbe potuto salvare. Subì il colpo e la sua armatura rimbombò tutta e in alcuni punti si incrinò. Tuttavia proprio all’ultimo era riuscito a replicare all’attacco. Quando l’aura di luce si dissolse Astylos restò inchiodato da una visione. Il suo nemico era a terra, le nera vestigia fumanti, ma lui in quel momento non poteva muovere un muscolo.

"Che succede! Cosa mi trattiene?" Astylos aveva la vista annebbiata e avvertiva un forte dolore all’addome.

"E me lo chiedete? Credevo sapeste riconoscere il tocco della Cuspide Scarlatta!" disse Archelao comparendo dal nulla, un’ombra sul viso.

"No, come può essere? Tu sei…"

Archelao sorrise. "Morto? Anche voi lo eravate in quella caverna, nella penisola di Mani, ricordate? Una frana vi colse poco dopo che avevate affrontato il Demone del Vampiro."

Astylos ricordava. Ma ricordava pure quello che gli era stato detto a proposito dell’allievo. "Tu sei morto, Archelao! E’ solo un’ombra che vedo però… perché mi colpisci?" E nel pronunciare queste parole avvertì una cupa disperazione farsi strada nel suo animo.

Sul viso di Archelao comparve un’espressione più triste. Il giovane scosse la testa. "Vorrei che fosse così, credetemi, ma la realtà è ben più amara. State recitando bene la vostra commedia."

"Di cosa parli?"

"Coraggio, Astylos o come vuoi essere chiamato!" disse Archelao cambiando tono e puntando il dito contro di lui. "Smettila di ingannare te stesso e soprattutto i miei compagni di battaglia! Sei tu ad essere morto, anzi forse la tua condizione è ancora più misera della morte. Ridotto alla stregua di un’ombra degli Inferi ancor prima dell’ora fatale, costretto a trascinarsi in un’esistenza vuota come un’armatura che si conduca da sé. La tua fiamma vitale si è spenta e io ora non sto parlando realmente al mio maestro Astylos ma al Demone che ne ha assunto le sembianze e che attende solo il momento propizio per schierarsi fianco a fianco dei Giudici dell’Ade. Hai recitato bene la parte, pure con Minosse e con Eaco ma non puoi ingannare me, che come allievo ti ho conosciuto meglio di chiunque altro."

"Tu sei pazzo! Sei tu ad essere un’ombra!"

"Sì, sono un’ombra e mi dolgo del mio stato. Ciò tuttavia non cambia quello che tu sei diventato: il nemico, il Demone del Vampiro che Astylos credeva di aver sconfitto, in realtà era solo agonizzante. Si trascinò fino alla frana e colpì con il suo tocco fatale. La sua vita si spense poco dopo ma anche quella di Astylos era perduta. Con non so quale orrendo prodigio il Demone vive ora in te e l’aura vitale che fu di Astylos è invece svanita e probabilmente ora vaga inquieta sulle sponde dell’Acheronte." Il cosmo di Archelao si espanse: "Non ti permetterò di portare a termine il tuo malefico piano. Io, Archelao dello Scorpione, mio malgrado, precipiterò il corpo che fu di Astylos nelle profondità del Tartaro, affinché possa ricongiungersi con l’ombra del mio maestro e avere pace."

"Tu menti!" urlò Astylos provando a muoversi ma le Onde di Scorpio lo bloccavano inesorabilmente. "Se davvero sei il mio amato allievo aiutami piuttosto in questa battaglia."

"La tua sfacciataggine, demone, non ha limiti. Il mio compagno di addestramento Pegasios sta per soccombere al cospetto di Minosse e io dovrei credere che proprio Astylos, che dopo avermi perso aveva solo lui come allievo, avrebbe permesso al mio compagno di prendere il suo posto nello scontro con il più temibile dei Giudici degli Inferi? Se davvero fossi Astylos non avresti mai agito in modo tanto scellerato! Il mio maestro è nobile e non manda al macello chi ha addestrato!"

"Sei pazzo!"

"Pazzi, loro malgrado, sono stati i miei compagni che non hanno riconosciuto l’inganno. Hai tenuto bene la scena, te lo concedo. Pure la freccia d’oro scagliata contro Ade! Una bellissima sceneggiata ma, l’ho capito solo dopo, null’altro era se non un segnale convenuto, un modo per far sapere al Sommo Ade che Astylos, uno dei più temibili guerrieri di Atena, era caduto. Perciò ora lasciami portare a termine il mio compito." disse preparandosi ad attaccare.

"No, Archelao, non puoi fare questo! Tu sei…" ma non riuscì a completare la frase.

"Cuspide Scarlatta!" Tredici colpi lo fecero urlare di dolore, tredici punture che si andavano ad aggiungere alla prima ricevuta all’addome. Subito dopo fiotti di sangue si allargavano sotto di lui.

"Archelao, tu sei un demone!" ruggì Astylos tra i tormenti.

Una lacrima solcò il viso di Archelao: "E invece il demone siete proprio voi. Rivedrò il mio maestro nell’Ade e giustizia sarà stata fatta. Addio! Cuspide Antares!" Il colpo rosso scarlatto saettò verso di lui e lo colpì in pieno stomaco, perforando l’armatura. Astylos cadde in avanti mentre il mondo si faceva nero e la terra rossa del suo sangue.

***

Maia percepiva il cosmo di Atena sempre più debole. Pure lei si sentiva sempre più debole. Il solo cosmo che avvertiva vigoroso era quello di Plistene. Avrebbe voluto che fosse lì, vicino a lei, che la prendesse ancora tra le braccia, che le parlasse e che… la baciasse. Solo in quel momento si rese conto di amarlo. Plistene, dove sei? Stai vicino a me, non lasciarmi sola! Avrebbe voluto gridare ma le forze le venivano meno, così come la percezione del mondo esterno. L’uomo che l’aveva salvata e restituita alla vita era lì, a pochi passi eppure era allo stesso tempo lontano, forse irraggiungibile. Il mondo cominciò a diventare nero tutt’attorno a lei.

Fu un attimo e un cosmo dorato l’avvolse. "Maia" disse una voce "puoi sentirmi sorella mia?"

Un giovane dai capelli chiari, dalla pelle abbronzata e dai muscoli ben delineati stava di fronte a lei.

"Sono Pisandro, Maia. Come puoi non riconoscermi? Eppure dicono che somiglio molto a mio fratello!" E scoppiò in una risata.

"Sei l’ombra di mio fratello… eppure sei così reale…" Finalmente percepiva il cosmo di uno dei suoi fratelli perduti. E poteva parlare con lui, in quell’effimero spazio che si dilata tra la vita e la morte. Pisandro che non aveva potuto rivedere da vivo ora era lì, davanti a lei, ombra evanescente ma al tempo stesso viva presenza.

"Fratello, perdonami se sono stata al servizio di…" implorò ma Pisandro già l’aveva abbracciata e la stava consolando, accarezzandole dolcemente i capelli. "Perdona piuttosto tu il nostro non essere riusciti a strapparti prima al tuo triste destino! E non dolerti di essere stata la Aletto la Furia. Sei forte e la forza del tuo cosmo infine ha prevalso sull’oscurità." La ragazza avvertì il tocco del fratello e si lasciò andare in quel abbraccio fraterno, così a lungo desiderato. "Certo" continuò lui "c’è voluto un modesto aiuto da parte del nostro amico Plistene." E rise ancora.

"Pisandro, tu sai…" Il fratello annuì.

"Ascolta sorellina" disse a quel punto guardandola negli occhi "c’è qualcosa che devi fare per me prima che sia troppo tardi."

"Qualsiasi cosa, Pisandro." La gioia di poter far qualcosa per il fratello la riscosse e fece pulsare il suo cosmo.

"Devi fare arrivare un messaggio ai nostri compagni di battaglia. Puoi farlo tramite Plistene, che ti è più vicino di quanto tu creda. Espandi il tuo cosmo per parlare con lui e riferisci quanto sto per dirti, è importante per far sì la battaglia volga a nostro favore."

"Lo farò, fratello." disse Maia e Pisandro parlò rapido ma con dolcezza, rivelandole i segreti che aveva appreso nei suoi ultimi istanti di vita.

"So che non mi deluderai." disse alzandosi e allontanandosi.

"No, non andare via!"

Pisandro si fermò e abbassò lo sguardo. "Non temere, Maia. Non sarà per molto." E sparì.

Maia lo stava ancora chiamando quando udì un’altra voce.

"Maia, mi senti sorella mia?"

La ragazza non poteva ingannarsi sull’identità del nuovo venuto.

"Sono Lisandro, il tuo amato fratello." disse il giovane avvicinandosi.

"Lisandro, perdona se sono arrivata troppo tardi…" implorò, ma Lisandro accarezzandole i capelli la tranquillizzò e la tenne stretta a sé.

"Perdona piuttosto tu il nostro non essere riusciti a strapparti prima al tuo triste destino e per non aver compreso prima dov’eri finita."

"Mi basta che ora tu sia qui." disse lei che sentiva la viva presenza del fratello che aveva rivisto solo da morto poche ore avanti.

"Ascolta sorellina" disse infine "devi fare qualcosa per me."

Maia non esitò nemmeno quella volta: "Qualsiasi cosa, Lisandro." E la gioia di nuovo si fece strada nel profondo dell’animo.

Lisandro parlò, rapido e cordiale e in ultimo le mostrò un oggetto. Maia comprese quello che doveva fare. "Fai arrivare questo messaggio a chi sai." disse Lisandro sorridendo compiaciuto dell’acutezza della sorella. "Plistene ti è vicino, tramite lui e grazie al tuo cosmo giungerà a destinazione."

"Lo farò fratello." disse stringendolo e temendo quello che stava per accadere.

"Mi fido di te." disse Lisandro e sciogliendosi dal suo abbraccio si allontanò.

"No, non lasciarmi sola anche tu!" gridò Maia.

Lisandro abbassò lo sguardo e lo tenne basso: "Non sarà per molto, Maia." E sparì.

Maia provò ad alzarsi ma le forze le venivano meno ed era come non avesse più corpo. Espanse il suo cosmo finché le fu possibile, lo sguardo a scrutare nel buio nella speranza di veder aprirsi uno spiraglio di luce e di riconoscere il bel viso di Plistene, che doveva essere lì, a pochi passi da lei. Sì, doveva essere così! Le apparvero invece i volti di Pisandro e Lisandro, finalmente insieme: "Coraggio Maia! Brucia le tue stelle!" dissero incitandola. Un ultimo sforzo e Maia riebbe una pallida coscienza di sé, percepì il proprio corpo e soprattutto riconobbe il tocco di una mano e non ebbe dubbi. Era la mano di Plistene.