XXI

 

"Ben fatto, mio giovane amico!"

Alcmene sorreggeva il compagno d’armi, la cui mente era ancora scossa dal colpo del nemico, che non era stato completamente inoffensivo.

"Dovresti riposare, ora. Penserò io a correre in aiuto di Metoneo e degli altri."

La risposta fu orgogliosa e quasi rabbiosa: "Non se ne parla, Alcmene!"

"Qualcosa di prodigioso è all’opera, amico mio. Cerchiamo di non sfidare troppo il Fato."

Archelao alzò gli occhi sull’amico. "Che intendi dire?"

"Non lo so nemmeno io esattamente. Clearco e io abbiamo affrontato Lune assieme, e con lui uno Spettro chiamato Valentine. Detto senza falsa modestia, nonostante avessero colpito duro tenevamo loro testa e il colpo di Clearco, unito alla forza del Grande Corno, avrebbe dovuto annientarli invece…"

"Vuoi dire che…"

Alcmene bolliva di rabbia al pensiero di Clearco caduto. "Dovrebbero essere morti pure loro quando furono imprigionati nella teca di ghiaccio, invece camminano e combattono a quanto pare."

"Combattono?" disse Archelao più che mai stupito.

"Sì, temo che pure Valentine sia sopravvissuto. Egli diceva di provenire da una delle zone più fredde degli Inferi."

"E dunque se Lune ce l’ha fatta…"

"Vedo che comprendi. Come possiamo combattere alla pari contro nemici che così difficilmente cadono sul campo di battaglia se non al prezzo di grandi sforzi o sacrifici estremi. Soprattutto, Archelao, cos’è che li ha resi apparentemente immuni ai nostri colpi più distruttivi?" Fece una pausa e poi disse, con un misto di rabbia e incredulità: "Capisci, Archelao? Oggi ho visto morire Lune due volte!"

Archelato d’istinto si girò verso Lune, che giaceva esanime a pochi passi da lui. "Ascolta, se fosse stato Ade a ridar loro la vita?"

"Prima di affrontare Atena? No, non credo. Avrebbe rischiato di presentarsi alla dea indebolito. Credo che riportare in vita qualcuno sia qualcosa di faticoso, pure per uno dei Tre Grandi che si spartirono il mondo e che è signore degli Inferi. Inoltre tutto è accaduto molto velocemente, non credo che Egli abbia sostato all’undicesima Casa più del tempo necessario per abbattere il muro di ghiaccio. Non avrebbe avuto il tempo di riportare in vita quei due."

Archelao era confuso. Alcmene appariva del pari dubbioso. Entrambi però si riscossero al pensiero dei compagni che stavano combattendo per far sì che tutto il Santuario non fosse occupato. Se Atena era salva, e loro credevano che fosse così, certo non si trovava più al Tempio e quindi era inutile recarsi là. Quindi ridiscesero rapidi le scalinate, per recarsi sul luogo dello scontro.

***

"Pegasios di Pegasus, cavaliere di bronzo. Cosa vorresti fare?" rise Minosse.

"Spazzarti via!" replicò furente il ragazzo.

"Ridicolo. Non riuscirai più a muovere un dito. Hai sviluppato ed esteso in modo stupefacente la tua energia vitale, ma saprò ben contenere i tuoi attacchi. Il tuo cosmo e la tua armatura non potranno resistere a lungo in questa battaglia tanto più grande di te e persino dei Cavalieri d’Oro. Presto verrete tutti a me, negli Inferi, e al mio cospetto saprete quale terribile destino vi attende nelle valli dell’Ade." In quel momento Minosse avvertì qualcosa e sobbalzò. "Com’è possibile? No, non può essere… Lune!"

"Di che parli, maledetto!"

"Non ti riguarda, miserabile! Dominio Cosmico!" In un baleno Pegasios si trovò bloccato dai fili tenaci del cosmo di Minossse. "Non ti libererai più di queste spire e presto sprofonderai in Ade." Il pensiero di Minosse in quel momento era tuttavia rivolto più al suo sottoposto che non al suo avversario. Possibile che Lune fosse stato sconfitto? E da chi? Eppure lo avvertiva chiaramente, la sua stella si era oscurata definitivamente e il suo spirito era tornato nel secondo girone degli Inferi, dove sarebbe rimasto fino alla prossima reincarnazione che sarebbe giunta tra chissà quanti anni, o forse secoli. Questo è infatti il destino di tutti gli Spettri di Ade: una volta caduti in battaglia il loro spirito resta intrappolato in Ade e di là non possono uscire finché non venga loro elargita nuova vita. Per questo vagano come ombre nel Tartaro e più non possono impegnarsi in battaglia; cionondimeno possono terrorizzare, in forma di ombre terribili, quanti approdano all’altra sponda dell’Acheronte. Altri, che appartengono a gerarchie più alte, hanno un ruolo attivo nel mondo delle ombre e in forma di neri spiriti lo esercitano. E Lune, pensava Minosse, probabilmente aveva già raggiunto un luogo che egli conosceva bene.

Nello stesso momento a Pegasios passavano davanti le immagini di tanti volti e gli parve di rivivere alcuni dei momenti che avevano segnato la sua vita al servizio della Dea. Rivide il suo maestro impartirgli i primi rudimenti riguardo l’uso del cosmo, rivide il piazzale dei tornei con gli altri allievi, il compagno Archelao il giorno in cui ottenne l’armatura, il volto sorridente di Miklos che lo incitava a diventare finalmente un Cavaliere di Bronzo, i biondi capelli di Elettra seduta pensierosa nei tramonti ateniesi. Si rivide infine con l’armatura di Pegasus il giorno in cui l’aveva indossata per la prima volta. Che meraviglia! Ed ora pareva essere giunto alla fine dei suoi giorni. Forse per lui già Caronte stava preparando un posto sulla lugubre imbarcazione. Tanto aveva già fatto quel giorno, numerosi limiti aveva travalicato e dubitava in fondo al cuore di poter fare più di così. Astylos, per questo suo pensiero, l’avrebbe di certo rimproverato, ma che poteva fare? Aveva trovato dentro sé energie insospettabili quel giorno, lottato al limite delle sue forze e oltre, eppure al cospetto di Minosse esse parevano essere assai poca cosa.

Uno strattone lo riportò alla cruda realtà.

"Addio Pegasios! Vai a raggiungere il tuo amico Miklos."

Un rivolo di sangue uscì dalla bocca del cavaliere e con esso un urlo disperato: "Atena!!!" Il grido si perse nel vuoto e Minosse diede il colpo di grazia, mettendo in trazione i sottilissimi fili.

"Cuspide Scarlatta!"

"Grande Corno!"

I fili furono tranciati di netto nel momento fatale ed egli ebbe appena il tempo di balzare indietro per non subire in pieno l’attacco devastante di Alcmene. Pegasios cadde a terra, esanime.

"Cavalieri d’Oro! Siete dunque giunti qui per fare la fine che meritate?" disse, quasi li stesse attendendo.

"Che non sia tu, piuttosto, a fare una fine indesiderata!" ruggì Alcmene.

"Sei rimasto solo, le canaglie che ti tiri dietro sono ben poca cosa. Vattene!" aggiunse sprezzante Archelao.

"Non crediate di mettermi paura. Siete fiacchi e d’altro canto nemmeno al massimo della condizione mi terreste testa!" replicò spavaldo. "Inoltre ho un conto da regolare con voi. La perdita del mio sottoposto Lune sarà compensata presto dalla vostra caduta."

"Non ci abbatterai entrambi, questo è sicuro!" replicò Archelao.

"E quando mai uno solo di voi basterebbe a sconfiggere uno dei Giudici degli Inferi?" ghignò Minosse. "La ragione vi abbandona, d’altro canto la vostra situazione è disperata."

"Lo è anche la tua!" disse una voce potente e rabbiosa "O credi forse di poter sostenere uno scontro contro tre di noi?"

Minosse si girò verso il nuovo venuto che si ergeva a poca distanza da lui, alto e battagliero.

"Pisandro!" esclamò Alcmene.

"Amico mio, compagno di addestramento…" disse Pisandro con mestizia nella voce, ripensando ai momenti passati assieme ad Alcmene ad ascoltare gli insegnamenti di Pelopida. "Liberiamoci di questi immondi Spettri e mandiamoli nell’unico posto in cui sono degni di stare."

Alcmene annuì grave: "Con immenso piacere."

Pure Metoneo ed Elettra si fecero avanti: "Siamo con voi, amici. Rispediamo nell’Erebo questo demone."

Minosse parve per un attimo esitare, ma subito una presenza lo rimise di buon umore. "Rivelati, avanti! Pare che tu sia giunto nel momento opportuno." Ed ecco che un viso noto comparve dalle pieghe della notte.

"No, anche tu! Non è possibile!" sobbalzò Alcmene riconoscendo Valentine.

Minosse aveva ora un’espressione distesa. Lo scontro sarebbe stato duro ma qualcosa gli diceva che sarebbero stati i cavalieri di Atena ad uscirne con le ossa rotte.

"Chi è costui?" chiese Pisandro riferendosi al nuovo venuto.

"Ora basta con le parole, abbiamo un compito da portare a termine!" disse Valentine.

Minosse annuì e un ghigno comparve sul suo volto: "Ci vorrà poco, vedrai, a liberarci di questi tre. Ecco giungere a noi un altro prezioso alleato, che avevo lasciato di retroguardia."

"Di cosa parli?" replicò Alcmene.

In quella un’ombra fu su di loro, e poi caldo improvviso e vento di morte. Un Spettro, sostenuto da ampie ali, si era lanciato loro addosso e li tempestava di afflati mortiferi. Nere fiamme piovvero a terra e sulle corazze. Quelle d’oro resistettero senza soverchia fatica all’attacco, ma quelle d’argento, portate da Metoneo ed Elettra, già provati per la dura battaglia, sopportavano a fatica il veemente attacco e presto i due caddero a terra, ansimanti prima ed esanimi poi.

"E tu chi sei?" chiese Pisandro, cercando nel contempo di ripararsi.

Posandosi con leggerezza a terra il guerriero disse con voce sicura: "Sono Kanagos, del Cielo della Stella della Violenza. Vengo a portare morte e distruzione in questa che fu la dimora di Atena. Vi piegherò tutti, uno ad uno."

Replicò determinato Pisandro: "Questa è ancora la dimora di Atena! Cerca di ricordartelo. Quanto ai tuoi propositi, una cosa è minacciare, altro è dare corpo alle minacce!"

I due si piantarono l’uno di fronte all’altro e lo sguardo dell’uno si inchiodò in quello dell’altro mentre la loro aura cosmica si espandeva.

"Non mi hai detto il tuo nome, avventato cavaliere di Atena!"

"Pisandro, cavaliere del Leone. Preparati ad assaggiare le mie zanne!"

"Ridicolo. Non temo simili minacce."

"E io non temo le tue." Nel contempo Pisandro cercò con lo sguardo gli amici caduti. Erano distesi a terra, le corazze splendenti annerite, i biondi capelli di Elettra offesi. Ma almeno erano vivi.

Minosse s’intromise, sardonico: "Pisandro del Leone, da poco sei giunto e subito uscirai di scena. Kanagos non ti lascerà scampo. D’altro canto con un solo attacco ha tramortito due Cavalieri d’Argento. Basterà appena che intensifichi l’attacco e pure tu cadrai! Peccato, avrei provveduto personalmente più che volentieri."

"Minosse, ci sono qui io per te!" fece Archelao. "Non dimentico ciò che hai fatto a Pegasios. Pagherai per questo."

Minosse lo squadrò e si limitò a dire, freddo: "Vorresti vendicare pure Miklos?"

Archelao comprese solo in quell’istante quella nuova, amara verità: "Pagherai anche per questo!"

"A me sembra tocchi dunque Valentine." disse infine Alcmene. "Anche noi abbiamo un conto in sospeso, vero? Vediamo di scrivere la parola fine."

Sei cosmi si accesero nella notte. Una dura battaglia, dall’esito incerto, stava per avere inizio.

***

"Che c’è Lisandro?"

"Avverto il cosmo di mio fratello!"

Plistene si era fermato pochi metri avanti e attendeva i compagni. "Coraggio, tra poco saremo al Tempio e qualcosa mi dice che c’è estremo bisogno di noi. Non avvertite tre cosmi oscuri estremamente aggressivi?"

"Distintamente." disse Callimaco "Ma non sono solo tre cosmi è come se…"

"… è come se tutto il Santuario ne fosse pervaso." disse Lisandro.

"E’ così purtroppo." sibilò Plistene "Ma avverto pure una’altra presenza oscura, anche se flebile. E più ci avviciniamo più la sento crescere."

"Avevate dunque ragione, tu e Kyriakos, quando sostenevate che vi era una relazione tra i luoghi dove avevate avvertito l’oscurità e il Santuario. Qualcosa di demoniaco è all’opera." replicò pensoso Lisandro.

Callimaco aggiunse: "Se solo avessimo capito subito che il pericolo si concentrava su di noi invece che avvicinarsi da luoghi lontani non ci saremmo esposti a tal punto…"

"Non credo le cose stiano così, amici." li deluse Plistene.

"Come sarebbe?" disse esitante Callimaco "A me pare chiaro che il Santuario è al centro di... Forse che il Signore degli Inferi in persona…"

Lisando tese i sensi: "Se così fosse si spiegherebbe perché avvertiamo un’aura nera diffusa sul Tempio della dea e perché altri cosmi si manifestano."

"No, vi sbagliate. La presenza che avverto non proviene da Atene ma da un luogo non molto lontano. Due distinti poteri sono all’opera a mio avviso e sono del pari pericolosi."

"Due?" esclamò Callimaco "Ma allora vorrebbe dire che Ade" e si sorprese nell’aver proferito quel nome "non solo sta attaccando i dodici templi dello Zodiaco ma che qualcun altro lo sta supportando!"

Tanto Lisandro quanto Callimaco stavano pensando in quel momento ad un’eventualità che pareva remota fino a poco prima e che invece ora pareva potersi concretizzare. Il nemico che credevano sconfitto che si unisce al nuovo nemico. In pensieri non dissimili si era avventurato pure Plistene.

"Dobbiamo cercare di capire cosa sta avvenendo." disse infine quest’ultimo.

Lisandro si fece allora ancora più impaziente: "Veloci, temo per i Cavalieri e per mio fratello…"

Callimaco scattò in avanti ma vide che Plistene non li seguiva. "Che fai, amico mio?"

I lineamenti di Plistene si fecero ancora più tesi e sottili. "Ascoltate, c’è poco tempo per le spiegazioni. Credo che ci sia qualcosa di importante da scoprire riguardo all’aura cosmica che avverto oltre il Santuario. Perdonate, ma non verrò con voi, debbo indagare e capire quale mistero si cela dietro questo fenomeno. Se si tratta di una minaccia non possiamo ignorarla."

"No, non se ne parla, non puoi andare da solo!" replicò duro Callimaco. "Se si trattasse di chi pensiamo non puoi affrontarlo da solo!"

"Non ne abbiamo la certezza, eppure dobbiamo appurarlo, pena esporre ad un rischio ancora maggiore i nostri compagni. Qualora fossimo esposti a un duplice attacco difficilmente potremmo reggere lo scontro, quindi è bene che uno di noi indaghi e cerchi, se possibile, di capire che strategia adottare per evitare il peggio."

Vi fu un attimo di silenzio. "D’altro canto è pur vero che ad Atene c’è bisogno di noi." commentò Lisandro. "Va bene, Plistene, fai come credi, ma sii prudente."

Plistene sorrise: "La decisione è presa. Andrò da solo. Voi portate manforte agli amici che difendono la dea. Io non tarderò, siatene certi."

Lisandro e Callimaco annuirono. La cruda realtà dei fatti lasciava loro poca scelta.

"Stai in guardia, Plistene!" gridò Callimaco mentre l’amico si allontanava.

***

"Cuspide Scarlatta!"

"Sei lento!" e stanco aggiunse mentalmente con soddisfazione.

"L’hai evitata, come può essere?"

"La cosa ti stupisce? Hai a che fare con uno dei Giudici degli Inferi, non dimenticarlo. Ed ora guarda come si mette a segno un colpo degno di essere chiamato tale. Dominio Cosmico!!!"

"Ma che succede? Cosa sono questi fili che mi bloccano?"

"La tua condanna a morte! Ora mi divertirò un po’ prima di darti il colpo di grazia."

Archelao sorrise gelido. Si sentiva spossato, è vero, ma il suo avversario avrebbe avuto presto un’amara sorpresa. E lui doveva batterlo, per vendicare l’eroico Miklos, per riscattare l’amico Pegasios che era stato ferito, mentre entrambi apprestavano una difesa che sarebbe toccata invece a lui.

"Addio, Archelao dello Scorpione!" rise Minosse. "Con questo colpo ti spezzerò… No!!!" gridò esterrefatto "Come è potuto accadere? Sono immobilizzato!"

"La tua spocchia, dimmi, dov’è finita adesso? Non sei più tanto sicuro di te, Giudice degli Inferi?" lo irrise il giovane. "Eppure ti davi gran vanto, poco fa. Dicevi che ero lento ma le Onde di Scorpio non le hai nemmeno viste partire, pare. Cos’è accaduto, forse ti eri distratto?"

"Bada, non provocare! Questo tuo ridicolo colpo non avrà effetto eterno e allora mi prenderò la soddisfazione di farti a pezzi."

Archelao gli lanciò un sguardo di sfida e alzando a fatica un braccio avviluppato dalle stringhe di Minosse disse: "Può essere. Intanto, tuttavia, goditi questa. Cuspide Scarlatta!" La puntura vermiglia baluginò e saettò rapida su collo di Minosse che si produsse in un’orrida smorfia. "Come vedi la mia mira sta migliorando!"

In quella egli e il suo avversario udirono un grido, poi un sibilo e infine nere fiamme che li avvolgevano. Archelao stentò a capire cosa stesse avvenendo finché non distinse la voce di Pisandro che gridava: "Tu sia dannato Kanagos! Archelao, sei tutto intero?"

Archelao era stato travolto, tuttavia quel colpo lo aveva liberato dai vincoli di Minosse e ora poteva muoversi libero. "Sto bene Pisandro!" replicò. Ma la sua era una mezza verità. Il colpo era stato duro. Doveva fronteggiare un nemico assai insidioso mentre attorno a lui infuriavano altre due dure battaglie e ciò comportava che alcuni colpi finivano per raggiungere più bersagli.

Nello stesso momento Pisandro stava guardano dritto negli occhi Kanagos e rifletteva a quanto fossero insidiose le sue nere fiamme, che tutto avvolgevano e che potevano espandersi fino a colpire tanto lui quanto Archelao e Alcmene contemporaneamente. Ripensò al suo maestro che si era immolato per proteggere lui e Kyriakos da Pharao. Doveva trovare il modo, come aveva fatto Pelopida, per allontanare Kanagos e i suoi colpi micidiali dai suoi compagni.

"Per il Sacro Leo!" gridò affondando il colpo, mentre lampi di energia avvolgevano Kanagos.

"Tutto qui?" replicò l’altro balzando in alto sorretto dalle sue vaste ali mentre gridava: "Corona Infuocata!" e tutto si faceva incandescente.

Pisandro avvertì nettamente il calore che raggiungeva la sua pelle nonostante la protezione dell’armatura e del pari il dolore alle parti che questa invece lasciava esposte.

"Minosse, coraggio, facciamola finita con questi damerini!" esclamava nel frattempo il nemico. Era fin troppo evidente che a questi non dava fastidio combattere nella mischia, conscio del potere ad ampio raggio della sua tecnica d’attacco. Per questo doveva portarlo via di là al più presto, rifletteva Pisandro, ma come? All’improvviso ebbe un’idea e si sorprese nel considerare quanto la sua attuazione fosse in conflitto con il suo carattere. D’altro canto non vi erano altre vie d’uscita.

"Maledetto, non mi avrai! Troverò certo un rifugio sicuro, tra i Dodici Templi, dove mai potrai agguantarmi." gridò Pisandro con disperazione lanciandosi all’interno della Casa dell’Ariete.

"Dove corri, vigliacco?" fece Kanagos.

Archelao e Alcmene stentavano a credere a quello che stava accadendo. Pisandro fuggiva senza opporre valida resistenza. Alcmene, sbigottito, si chiese se la fine del maestro avesse sconvolto a tal punto il suo antico compagno di allenamento fino al punto da renderlo inerme di fronte all’infuriare degli attacchi del nemico.

In quella Kanagos si infilò anch’esso nel tempio non prima di aver proclamato: "Non temere, Minosse, tornerò presto con le sue spoglie, segno del mio trionfo."

***

"Avvicinati, Valentine."

Lo Spettro si era accostato al seggio del suo signore, seggio che fino a poco tempo prima era appartenuto ad Atena. "A vostra disposizione, sommo figlio di Crono."

Ade aveva sempre apprezzato il modo di fare al tempo stesso fiero e nobile di Valentine, uno dei suoi migliori servitori.

"Che mi dici della battaglia che infuria?"

Valentine si era stupito. Perché mai una divinità doveva chiedere un qualcosa che probabilmente già sapeva per mezzo del suo ampio cosmo, che ormai si estendeva ad abbracciare gran parte del Santuario? Non vi era tuttavia tempo per le consultazioni con se stesso, doveva rispondere cercando di non adirare il suo signore che evidentemente non era soddisfatto. Certo, si era insediato nella dimora di Atena, un inizio molto promettente, tuttavia il fatto che la figlia di Zeus fosse fuggita e un uomo si fosse fatto beffe di lui dovevano averlo molto infastidito, seppure nulla trapelasse dai suoi occhi di smeraldo.

"Minosse in persona conduce l’attacco e i superstiti cavalieri di Atena andranno presto a dimorare nel Tartaro, dove è giusto che stiano."

"Confido che sia così."

"Lo sarà. Avrete di certo avvertito il cosmo di alcuni difensori spegnersi del tutto…"

"Come ho avvertito spegnersi quello di Lune, certo." replicò con autorità.

Come poteva essere caduto Lune, si chiese sbigottito Valentine? Non se lo sapeva proprio spiegare. Possibile che due ragazzi come Clearco e Archelao gli avessero tenuto testa e il secondo lo avesse definitivamente sopraffatto? "Ebbene, mio signore, credo che la spiegazione sia una sola: Lune è uscito molto provato dallo scontro con Clearco e solo per questo ha dovuto cedere di fronte al Cavaliere dello Scorpione."

Ade abbozzò un sorriso. "Ho parlato di persona con Lune, prima di convocare te." Valentine ebbe un moto di stizza. Perché prima di lui e non assieme a lui? "Gli dicevo che in effetti la resistenza che avevate incontrato è stata ben più consistente di quanto potessimo supporre, pur essendo esercitata da pochi difensori. Forse abbiamo sottovalutato Atena e i suoi bravi opliti d’oro rivestiti, ma è un errore che non ripeteremo."

"Certamente, sommo Ade."

"Oltre a questo, con Lune mi sono pure complimentato di come vi siete ripresi in fretta dopo lo scontro che vi ha quasi sopraffatti."

Quell’osservazione era stata come un fulmine a ciel sereno. Aveva esitato un po’ prima di rispondere: "Merito vostro, che ci avete liberati dai ghiacci eterni con il vostro immenso potere…"

Ade aveva assunto un’espressione severa sul viso e i suoi occhi si erano fatti penetranti. "Sì, merito del mio immenso potere…" Valentine si era sentito messo a nudo. Che avesse davvero compreso quel che era accaduto? Non aveva avuto tempo di pensare ad altro che la voce della divinità era rimbombata di nuovo nelle sue orecchie. "C’è qualcosa che desideri dirmi, Valentine?"

Lo Spettro in quel momento aveva sudato freddo e aveva temuto che la sua voce potesse incrinarsi nel mentre che stava per rivolgersi al suo signore; aveva sperato che le parole gli uscissero diritte e sicure e così era stato, seppur a costo di un grande sforzo mentale: "Ecco, desidero dirvi che prima che sorga il sole, avrete le spoglie di coloro che combattono contro Minosse e Kanagos. Io stesso intendo raggiungerli e dar loro manforte. I Santuario sarà presto nelle vostre mani."

"Lo è già." disse freddo Ade. Ed era vero. Il suo cosmo presto avrebbe impedito a chiunque di arrivare fine al Tempio e comunque di non passare inosservato attraverso i dodici templi dello Zodiaco. Tuttavia finché Atena era viva il residuo di aura cosmica che proteggeva il complesso non poteva essere annullato definitivamente e sostituito da quello che era a lui proprio. "Bada dunque a fare in modo che la resistenza sia presto eliminata. Io ora dovrò sforzarmi di individuare Atena. Eliminati lei e i suoi Cavalieri potrò dare il via alla seconda parte della mia impresa."

"Desiderate che cerchi Atena per voi, mio signore?" aveva dichiarato orgoglioso.

"Prima provvedete a liberarmi di quei fastidiosi Cavalieri. Tra l’altro sento che altri custodi dorati stanno facendo ritorno al Santuario."

"Dobbiamo fare in fretta, mio signore."

"Sì, Valentine, ma non preoccuparti eccessivamente. Tra un po’ i devoti della dea avranno altro cui pensare oltre al Santuario." E il suo viso aveva assunto un’espressione soddisfatta.

Valentine si era congedato, sollevato che Ade non lo avesse interrogato a fondo riguardo una certa faccenda, eppure col dubbio che potesse averla intuito. Ora doveva liberarsi in fretta degli ultimi paladini della dea, dando manforte a Minosse. Poi ci sarebbe stato tutto il tempo per trovare Atena e allora Ade avrebbe finalmente potuto prendere definitivamente possesso del Tempio e dare inizio al suo dominio. Ancora assorto in questi pensieri si era infine ritrovato alla Casa dell’Ariete, a regolare un conto con Alcmene.

Il signore degli Inferi si era rilassato sul suo seggio e aveva contemplato la vasta sala. "Avverto ancora la presenza di Atena in questi luoghi, debbo individuarla e sconfiggerla definitivamente." pensava. Ma come fare se il suo cosmo non era più percepibile? Il Fato, certo, sembrava essere dalla sua avendogli permesso di conquistare il Santuario in modo più rapido del previsto, ma ora la conquista andava consolidata. Lo tranquillizzava il pensiero che Minosse e gli altri Spettri, compreso con chi avevano a che fare, sarebbero stati più accorti e avrebbero avuto ragione dei loro avversari. Forse poteva per un attimo lasciar perdere la dea e dedicarsi alla fase successiva. Gettare il mondo nel terrore. Tra l’altro, a quel punto, Atena si sarebbe mostrata per forza per soccorrere gli uomini che tanto amava. "Prima che sorga il sole…" sorrise beffardo.

***

"Cuspide Scaralatta!"

Minosse non riuscì ad evitare il colpo e ciò diede coraggio ad Archelao. Soltanto tre colpi erano andati a segno fino a quel momento. Minosse aveva un’agilità sorprendente e poi poteva contare sulle grandi ali della corazza, che gli permettevano di librarsi in volo e di evitare i colpi a raffica. Ciò che preoccupava maggiormente il Cavaliere era che la nera armatura si era dimostrata più resistente di quella degli altri Spettri: d’altro canto di un Giudice degli Inferi si trattava, uno dei più valorosi e temibili tra i servitori di Ade. Scorpio sentiva il peso della battaglia precedente e stava cominciando a sudare parecchio, pur nella notte fresca. Gettò un’occhiata distratta verso Pegasios, che giaceva ancora a terra, svenuto. Doveva lottare anche per l’amico, e per Miklos. Si rivide durante l’addestramento, assieme a Pegasios, mentre Astylos mostrava loro alcune delle sue tecniche di difesa. Lui era stato più lesto ad apprenderle, Pegasios a quei tempi era troppo impulsivo e così capitava che si esponesse sovente ai colpi dell’avversario. Ne aveva fatti di passi avanti da allora, pensava. Gettò un’altra occhiata nel pronao dove infuriava la battaglia tra Alcmene e Valentine: onde d’urto e correnti ghiacciate spazzavano l’aria.

"Archelao dello Scorpione, questa farsa deve finire!" decretò Minosse.

"Quale farsa?" rispose orgoglioso e punto sul vivo.

"Considera la tua situazione, stolto. A stento mi colpisci e ormai la stanchezza attanaglia i tuoi muscoli e tra un po’ intorpidirà la tua mente. Non hai scampo."

"Lo vedremo. Cuspide Scarlatta!"

Il dardo baluginò, seguito da un altro e un altro ancora. Pure tu, pensava Archelao, avvertirai presto il torpore del veleno delle cuspidi. Minosse scansò tuttavia pure quei colpi e assunse una nuova posizione d’attacco, piegando la testa e portando le braccia incrociate davanti al petto per poi liberare un colpo di energia pura distendendo di scatto le braccia. "Tuono di Minosse! Colpisci!"

Quello che si udì sembrava veramente un tuono e lo spostamento d’aria scaraventò via Archelao che prima sbatte violentemente a terra, perdendo l’elmo, poi su una delle colonne del Tempio. Il colpo era stato tremendo e un rivolo di sangue gocciolò giù per la scanalatura del fusto marmoreo dove Scorpio aveva impattato. Il giovane provò a rialzarsi ma si sentiva debolissimo. Minosse fu su di lui, pronto a dargli il colpo di grazia. Archelao, tuttavia, era forse compromesso nel corpo ma non certo nella mente. Reagì con una Cuspide che conficcò nel piede dell’avversario, mettendoci tutta la forza di cui era capace e sentendo nel contempo fitte di dolore in tutto il corpo. Minosse, colto di sorpresa, gridò di dolore, poi riavutosi assestò un calcio violento in faccia al nemico, facendogli sputare sangue. Lo afferrò quindi per i capelli e lo sollevò di peso.

"Coraggio, lancia ora la tua Cuspide!" lo irrise.

Archelao piegò la testa di lato, quasi a volersi lasciare andare. Vide Pegasios disteso a terra. Se io cado, chi lo difenderà, pensò amareggiato. Fece bruciare le quindici stelle dello Scorpione e sollevò il braccio destro, che però Minosse lesto bloccò.

"Eh no, mio caro, non provarci nemmeno! Si spegnerà presto questo tuo ardore!"

Ma mentre diceva queste parole fu colpito da una Cuspide portata con la mano sinistra. "Il mio ultimo colpo, forse, ma il più doloroso." disse il giovane con la voce rotta.

"L’ultimo, certo!" urlò furibondo e dolorante Minosse. "Dominio Cosmico!" Archelao fu avvolto nella stretta mortale dei lacci di Minosse e questa volte avvertì che l’abbraccio sarebbe stato fatale. Provò ugualmente a liberarsi ma era un tentativo disperato. Il Giudice, gli occhi severi piantati su di lui, aveva deciso di tormentarlo a dovere, per farli pagare le offese patite e la sorte di Lune. Come lame i lacci, stretti con violenza crescente, incisero le carni laddove l’armatura non le proteggeva e copioso il sangue cominciò a lordare le lastre pavimentali. Quando giudicò di averlo fatto soffrire abbastanza, Minosse lo liberò dalla stretta fatale e gli assestò un colpo in pieno petto, schiantandolo sulla colonna. Archelao cadde riverso in avanti e restò a terra, immobile, mentre una chiazza rossa di allargava sotto di lui.