XX
La prua solcava le acque dorate del tramonto e la spuma si alzava alta, sospinta dal vento della sera. Callimaco scrutava con impazienza la linea di costa che si stava facendo sempre più nitida davanti a loro. Le ombre tuttavia cominciavano ad allungarsi e il sole si faceva basso sull’orizzonte. L’Attica! Sbarcati sarebbe stato un attimo attraversare i monti, sfiorare il Pentelico e piombare su Atene. La sera portava con sé foschi presagi e il solido silenzio di Plistene ne era triste conferma.
"Ci siamo quasi. Coraggio, amici, prepariamoci a sbarcare."
Lisando si alzò in piedi, meccanicamente. Più duro e tragico di quello di Plistene il suo silenzio, la preoccupazione e l’ansia dell’attesa lo tormentavano e lo incupivano, lui solitamente aperto e gioviale. Finalmente poterono sbarcare. L’ombra ormai si era ingoiata la costa e si protendeva sul mare, rendendo cupe le acque.
Appena messo piede a terra Lisandro stette un attimo in silenzio, poi parve riaversi. "Avverto il cosmo di mio fratello!" I suoi occhi brillarono e una cortina di malinconia parve sciogliersi repentinamente. "Debole e lontano, certo. Ma vivo." disse con decisione.
"Allora andiamo, coraggio." replicò Callimaco incoraggiandolo. "Ci aspetta una lunga corsa verso il Santuario, ma ora potrai correre più leggero." Lisandro annuì.
Plistene però non si mosse. "Aspettate!" disse con tono severo "Credo stia capitando qualcosa." Teneva gli occhi chiusi, come sua abitudine quando cercava la massima concentrazione. "Un’ombra nera si sta avvolgendo il Santuario e…" si accigliò "… e su Atene!"
"Che dici Plistene?" chiese allarmato Callimaco.
"Un cosmo ostile, nero come la notte. Non lo avvertite anche voi?" Ai due compagni bastarono alcuni attimi per percepirlo.
"Ma questo non vorrà dire che…" azzardò Lisandro.
"Affrettiamoci!" gridò Plistene perdendo la sua abituale calma.
A notte fonda erano già sul crinale della catena montuosa e potevano spingere lo sguardo in direzione della città, ma nulla videro poiché era come se un’oscurità più profonda della notte fosse scesa su Atene e sulle zone circostanti. Era chiaro che laggiù le forze di Atena e quelle dell’oscuro nemico già si stavano scontrando duramente e loro erano in ritardo, terribilmente in ritardo. Affrettarono il passo e cominciarono a divallare, mentre le conifere odorose lasciavano il posto a sparuti olivi e a tratti di muri a secco.
Archelao si riebbe e si sforzò di alzarsi. Tutt’intorno era buio. Un’oscurità densa, innaturale. L’unica cosa che poté distinguere, dopo un po’, fu una sagoma argentea a pochi metri da lui. Si avvicinò e riconobbe il viso di Metoneo. Diede una scossa al compagno che aprì gli occhi.
"Che cosa è accaduto, Archelao?"
Il giovane stentò a rispondere. "L’hai percepito pure tu quella presenza inquietante?"
"Vorrai dire quel cosmo che ci ha schiantati!" replicò Metoneo tirandosi su. "Era di una forza inaudita e può appartenere solo a… solo a una divinità." Le sue stesse parole gli fecero paura e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Aveva dolori ovunque, come se un Titano o un Centimane lo avesse afferrato e sbattuto ripetutamente contro una roccia o sul nudo terreno.
Archelao stentava a dominare la situazione. Se quello che pensava era vero allora erano caduti in trappola e il suo maestro aveva ragione, i Cavalieri d’Oro erano stati attirati lontano da Atene per permettere al nemico di colpirli dritti al cuore. Che però si scomodasse Egli in persona, questo no, non poteva crederlo. Il solo pensiero faceva accapponare la pelle.
"Ascolta Metoneo" disse sforzandosi di mostrarsi padrone della situazione "dobbiamo salire subito al Santuario anche se…"
Lanciarono un’occhiata alla Prima Casa, che distava pochi metri ma pareva anch’essa avvolta in una nera cortina di tenebra.
"Ho capito" fu la risposta "Atena ha bisogno di noi."
"Cerchiamo di raggiungere Alcmene alla Seconda Casa, forse pure lui è stato solamente stordito, proprio come noi." Sperava ardentemente in cuor suo che fosse così.
Metoneo si concentrò e la sua corazza brillò nella notte. "Lo percepisco lontano. Come non fosse alla Seconda Casa. Inoltre..." disse facendo volare lontano il pensiero "non avverto nemmeno il cosmo di Atena, né quello di Policrate e di Clearco…" E divenne più pallido di quanto era già.
"E’ questa dannata oscurità, non c’è altra spiegazione." sentenziò Archelao con rabbia.
Metoneo fece cenno di sì con la testa ma entrambi sapevano che si trattava soltanto di una convinzione illusoria, che probabilmente la realtà era assai più dura e amara da accettare. Essi tuttavia erano vivi e reali e dunque stava a loro recarsi al Tempio per verificare di persona che ne era stato di Atena. Erano in quel momento preda del rimorso e dello sconforto per quello che avrebbero potuto fare e per il fatto di essersi trovati lontano quando sarebbe stato invece necessario essere presenti. Metoneo si rimproverava di aver indugiato a lungo nei dintorni in Atene, per portare aiuto alla gente comune, e un dubbio lo dilaniava. Era più importante star vicino ai suoi concittadini o alla Dea? Ai primi, gli avrebbe detto senza alcun dubbio Atena se fosse stata lì presente, ma ciò non lo consolava affatto. Non erano dissimili i pensieri in cui era immerso Archelao.
Il cavaliere dello Scorpione stava scuotendo Pegasios. "Svegliati, dobbiamo correre in aiuto di Atena!"
"Che succede, Archelao, per gli dei? Perché gridi tanto? E poi dove…" Si guardò attorno stranito e solo allora ricordò. La giornata appena trascorsa gli passò davanti con tutti i suoi orrori e i suoi momenti di tensione. "Atena!" gridò, alzandosi sulle gambe malferme. "Archelao… dobbiamo andare! Non perdiamo tempo."
"Sì, amico, dobbiamo andare." disse rivolto a Metoneo, che aveva destato Elettra e Miklos. Poi con tono grave: "Al Tempio, amici miei, e stiamo in guardia. A quanto pare le tenebre sono penetrate a fondo nel Santuario. Pegasios, credi di farcela?" disse tendendo una mano all’amico.
"Certo, non vedi che sono in splendida forma?" dichiarò l’amico sforzandosi di sorridere.
Si avviarono verso la Prima Casa ma appena arrivati alle grandi colonne che una voce autoritaria li inchiodò sul posto. "Dove credete di andare, miserabili?"
Archelao era stizzito a sentirsi apostrofare a quel modo e si voltò con fare stizzito, al pari dei compagni, ma ciò che vide lo fece trasalire. Sguardi taglienti, sorrisi beffardi e nere armature: l’orda nemica era piombata al Santuario ed ora stava lì, davanti a loro.
Uno Spettro della schiera di Ade dall’armatura adorna di vistose ali stava avanzando sicuro e fieno nella notte. Lunghi capelli gli scendevano sulle spalle da sotto l’elmo. Si avvicinò al gruppo dei cavalieri e disse con voce tagliente e con un tono sarcastico: "Cavalieri di Atena, forse non ve ne siete ancora resi conto, ma ormai questo Santuario non appartiene più alla vostra dea. Il sommo Ade ne ha preso possesso e tra non molto il suo cosmo ne pervaderà ogni anfratto, compresi qui ridicoli templi che voi chiamate Case dello Zodiaco. Io, che mi fregio di essere uno dei più forti condottieri dell’esercito delle ombre dell’Ade, vengo per assicurarmi che questi luoghi siano liberati da presenze fastidiose, come la vostra. Oggi tuttavia mi sento magnanimo e non me la sento di infierire su degli esseri inermi già prostrati dal mio signore. Pertanto vi concedo di abbandonare il campo."
In quel momento notò Elettra e fu colpito dalla sua bellezza, dal suo sguardo profondo e determinato. Disse quindi: "Quanto a te, giovane donna, ti concedo di restare. Ci sarà presto chi avrà bisogno di una dama di compagnia e tu sembri ben più adatta ad indossare un peplo che non quella ridicola armatura."
A quelle parole Archelao sentì il sangue bollirgli nelle vene e stava per replicare a tono quando Pegasios gli sfrecciò accanto e portatosi a pochi passi da colui che aveva parlato lo investì con parole dure: "Chi ti credi di essere? Torna a tormentare le carogne, cane di Ade! Esseri inermi, donna dalla ridicola armatura! Ti farò assaggiare la forza del mio pugno e allora ti pentirai delle tue parole. Fai il gradasso solo perché siete in numero soverchiante, ma sappi che questo non ti basterà perché vi ricacceremo indietro come abbiamo già fatto con coloro che vi hanno preceduti. Troppo sangue è stato versato! Le tue parole e il tuo disprezzo, pagherai entrambi a caro prezzo."
"Ridicolo." Fu la risposta stizzosa "Il meno esperto dei miei uomini potrebbe atterrarti con facilità. Ridicola è la tua armatura, ragazzo, sciocca e avventata è la tua lingua, che corre avanti il tuo pensiero e le tue azioni. Torna a pascolare sui campi dell’Attica, cavallino."
Pegasios partì con furore all’assalto. Dalla schiera nemica uscì un guerriero gridando "Lasciatelo a me, mio signore!" Una selva di colpi fu scagliata contro il ragazzo che lì evitò tutti e rispose da par suo: "Fulmine di Pegasus!" Bagliori azzurri avvolsero i due. Quando tutto fu finito, si udì un tonfo seguito da un gorgoglio. Pegasios stava ritto in piedi a contemplare il suo avversario, abbattuto e sconfitto.
"Chi è il prossimo?" tuonò.
"Pegasios, basta!" lo apostrofò Archelao "Non rischiare!" E si mosse per intervenire.
Ma in quel momento il comandante degli invasori, stupito dall’inaspettata forza di quel cavaliere di bronzo, decise che era ora di impartirgli una lezione. Planò in avanti a colpire Archelao con un destro, facendolo volare, poi con un balzo fu anche su Pegasios che, stupito da tanta rapidità, non seppe reagire. Sentì la mano del nemico afferrarlo per il collo e stringere.
"Ora, idiota, guarda come questo cane di Ade ti spezza l’osso del collo!"
Archelao si rialzò prontamente e gli altri furono subito con lui nel lanciarsi addosso all’assalitore, ma ora anche gli altri Spettri si lanciavano all’attacco.
Nel frattempo Pegasios sentiva il respiro venirli meno. "Ora addio, miserabile!" fece il nemico.
"Onde dell’Unicorno!" Miklos, senza esitare, si era portato a ridosso di Pegasios e aveva colpito, costringendo il nemico a mollare la presa per un attimo.
"Pegasios, stai bene?"
"Sono stato meglio!" rispose ansimando il compagno.
"Dobbiamo contenerli!" disse Miklos preoccupato.
"Ci sono addosso! Fulmine di Pegasus!!!"
Tutto stava accadendo molto velocemente, troppo velocemente pensava il cavaliere di bronzo, guardando preoccupato il comandante di nemici osservarli minaccioso.
"Tempesta di Fulmini!!!" urlò Miklos che finalmente, nel momento di massimo bisogno, poteva mettere alla prova uno dei colpi più potenti appresi durante l’addestramento, avendo finalmente l’occasione e le giuste motivazioni per farlo al meglio delle sue possibilità.
Metoneo e Archelao cercavano pure loro di contenere la nera marea, riuscendovi per il momento benissimo. Fu in quel frangente che Elettra notò che il generale nemico si era fermato dopo che Pegasios gli era sfuggito e stava immobile. La sua espressione era cupa. D’improvviso sfoderò un sorriso sinistro e subito dichiarò: "Ascoltate, cavalieri di Atena! Dato che avete rifiutato la mia generosa offerta non mi resta altra alternativa che spazzarvi via."
"Stolto!" replicò Archelao "Sono i tuoi uomini che stanno cadendo."
In effetti era così. Il fuoco di sbarramento aveva lasciato sul terreno già una decina degli invasori e Pegasios, assieme a Miklos, dotati di una velocità che egli giudicò fuori del comune, stavano imperversando tra i suoi. Era ora di farla finita, pensò. La truppa che aveva portato con sé si stava rivelando poca cosa e di questo era consapevole fin da quando si era congedato dalla Signora. Il piano d’azione tuttavia era stato elaborato e preparato in modo preciso e presto l’attacco risolutivo sarebbe stato sferrato. Ora toccava a lui e la cosa gli procurava uno stato di esaltazione. Si avvicinò ai due combattenti contraddistinti dall’armatura di Pegaso e dell’Unicorno ma quando li ebbe a tiro Pegasios, senza voltarsi e continuando a combattere, gridò rivolto ad Archelao: "Devi raggiungere Alcmene, li tratteniamo noi! Assieme dovete andare a cercare Atena e Policrate e portar loro soccorso."
"Che dici, Pegasios?" replicò "No, non se ne parla proprio, sono l’unico Cavaliere d’Oro presente, non posso abbandonarvi, è mio preciso dovere mantenere la posizione a difesa del Santuario."
"Il tuo posto è vicino alla dea, vai!" insistette nel bel mezzo dell’azione Pegasios. "Atena devi proteggere non il Santuario, che senza di essa è una casa vuota!"
Archelao era combattuto, poiché sapeva esservi del vero in quelle parole. "Non posso farlo!" E in quella abbatté un altro Spettro. "Il maestro non approverebbe che lasciassi il mio posto vicino a chi ha bisogno di me!"
"E’ Atena ad avere bisogno di te!" replicò duro.
"Pegasios ha ragione!" si intromise Elettra "Vai, ti prego."
Con la morte nel cuore, con profonda amarezza, Archelao lasciò la prima linea e si diresse all’interno del Tempio dell’Ariete per muovere poi rapidamente verso il Tempio di Atena, sulla sommità del colle, dove la notte stava celando alla vista la dimora della dea.
"Veloci! L’oscurità si addensa, lo sento!"
Callimaco gettò un’occhiata a Plistene che lo precedeva di poco. Il tono della sua voce tradiva molta preoccupazione.
"Attenti alle pecore!" gridò.
"Più che altro, attenti al montone!" replicò Lisandro con un motto di scherno. L’ebbrezza dell’azione gli aveva ridato slancio e più lievi pensieri gli erano scesi nel cuore. Certo ora pareva che tutti gli ostacoli, umani e divini, financo i miti ovini, si frapponessero tra loro e il Santuario.
Le tre figure dorate, con agili salti, si divincolarono nel bel mezzo di quel gregge che dormiva beato tra gli alberi da frutto e i campi. Lontano, all’orizzonte, il profilo del Licabetto e oltre ancora quello dell’Acropoli, indicava che la meta non era lontana.
"Resistete amici, stiamo arrivando." pensò Callimaco scattando in avanti. Lisandro lo seguiva da vicino e attendeva con ansia il momento in cui avrebbe rivisto il fratello, che sapeva ora essere vivo. Plistene stava chiuso nel suo denso silenzio, colmo di interrogativi.
"Onde dell’Unicorno!"
Uno Spettro venne colpito e cadde a terra, mentre dei bagliori verdastri gli provocavano delle convulsioni. Miklos cominciava a pensare che non tutti i soldati di Ade erano così terribili come quelli che lo avevano intercettato qualche ora avanti.
"Fulmine di Pergasus!"
"Volo della Colomba!"
Vide che pure Pegasios ed Elettra stavano reggendo bene l’urto di quei demoni che stavano tentando di penetrare nel Santuario. Poco più avanti Metoneo imperversava e la sua armatura d’argento emanava lampi di speranza in quella notte che si faceva sempre più nera.
"Ora basta, mi avete seccato!" disse una voce imperiosa.
Minosse avanzò in prima linea, verso Metoneo: "Sarai tu il primo a cadere! Troppo a lungo ci hai trattenuti." Si stava già preparando a lanciare un colpo quando Miklos gli si parò innanzi: "Salto dell’Unicorno!" gridò colpendolo a piedi uniti nel petto. Quando però ricadde a terra ed alzò lo sguardo ciò che vide lo atterrì: l’avversario non era arretrato minimamente e lo guardava beffardo e infastidito allo stesso tempo.
"Come preferisci, piccolo insolente, comincerò con te!"
"Avanti allora" disse con slancio Miklos. "Tempesta di Fulmini!"
I lampi verdi sfrigolarono sull’armatura dell’avversario ma si spensero subito.
"Com’è possibile?" esclamò sorpreso.
"E te lo chiedi pure, stolto?" rise Minosse "Poca cosa è il tuo potere, destinato a spegnersi sulla mia armatura senza sollecitarla troppo. Ora vedrai invece la forza di un Giudice degli Inferi, primo tra i generali di Ade. Dominio Cosmico!"
Ratti e inesorabili dei sottilissimi fili si dipartirono dalla mani di Minosse e avvolsero Miklos. "Ora guarda, impudente, guarda come ti posso controllare a mio piacere, come posso torcere le tue misere membra e comandare ogni tuo movimento. Fine terribile è quella che ti aspetta!" Le sue parole non erano vuote minacce: come fossero quelle di un fantoccio egli muoveva a suo piacimento le braccia e le gambe di Miklos, facendogli assumere posizioni sempre più innaturali, trascinandolo a terra e poi facendolo sollevare, ora contorcendolo ora stirandolo fino a far crepitare le giunture ossee e le articolazioni del malcapitato, le cui grida strazianti si levavano alte e facevano gelare il sangue a tutti gli astanti, assalitori compresi.
"Miklos no!" Pegasios si lanciò su Minosse per portare aiuto all’amico. In quella Minosse lasciò cadere la sua vittima e con un calcio ben assestato respinse l’assalitore.
"Ecco la fine che fanno gli sfrontati! Preparati, tra poco toccherà a te!"
In quella sollevò Miklos e con un rapido colpo di mani mise in trazione i mortiferi fili che fecero nuovamente gridare di dolore il cavaliere di Atena. Il sangue colava copioso dove la carne era stata incisa a fondo. Un ultimo colpo, un sinistro rumore di ossa che si frantumavano, un grido disumano e Miklos cadde.
Rapido Pegasios si chinò sull’amico caduto. Miklos giaceva a terra, in una posa innaturale, gli occhi strabuzzati e la bava alla bocca. Con un rantolo riuscì a sbiascicare: "Salvate… Atena" e furono le sue ultime parole.
Il cavaliere di Pegaso non ebbe nemmeno il tempo di versare le lacrime per l’amico che Minosse lo afferrò per i capelli e lo sollevò di peso, facendolo volare alto sopra gli altri demoni che lesti si avventarono su di lui. "Fatene scempio! Prendete esempio dal vostro comandante!" disse con un ghigno disumano. Elettra, paralizzata dall’orrore, vide gli Spettri gettarsi sul giovane Pegasios. Istintivamente chiuse gli occhi ma anche così non poté non vedere una luce azzurra abbagliante che prorompeva nel mezzo di quelle odiose armature color tenebra. Gli assalitori furono proiettati in aria e alcune delle loro corazze fatte a pezzi mentre un grido poderoso fendeva l’aria: "Comete di Pegaso!" Globi di energia cosmica viaggiavano a folle velocità nell’etere, impazzando ovunque e facendo scempio di chiunque incontravano sul loro cammino. Metoneo e Elettra videro levarsi irato e terribile il cavaliere di Pegaso, gli occhi umidi e un’espressione terribile sul volto, che una folle, devastante collera si era impadronita di lui.
"Minosse!" tuonò la sua voce facendo rimbombare anche le sale interne del tempio dell’Ariete. "Tu maledetto demone, preparati a tornare nel Tartaro! Troppo orrore hanno veduto oggi gli occhi di Pegasios ed egli non può più tollerarlo! Compagni e amici cadono in modo brutale per mano di esseri immondi e senza onore che disprezzano la vita quasi fosse la peggiore della calamità sulla Terra! Tu che hai giocato con quella di Miklos pagherai con la tua, che ti strapperò poco a poco per farti soffrire tanto quanto a sofferto chi hai offeso! Preparati, la tua ora è giunta!"
Minosse stentava a credere che tutta quell’energia fosse frutto del cosmo di un cavaliere di Bronzo.
"Comete di Pegaso!!!"
Il giudice degli Inferi fu investito in pieno e fu respinto indietro, cadendo rovinosamente. Si rialzò quasi subito, indispettito e allo stesso tempo stupito da simile, devastante potenza. La Surplice che lo proteggeva aveva contenuto i danni ma era stata messa a dura prova, pur non presentando danni.
"Un gran colpo davvero! Da tempo non mi capitava di essere messo a terra sul campo di battaglia." disse con tono stranamente compiaciuto. "Tuttavia il risultato è assai modesto. Come vedi sono di nuovo in piedi e ora tocca a me contrattaccare. Saprai essere pronto nella difesa così come lo sei stato nell’attacco?"
Pegasios non rispose e si limitò a fissarlo intensamente, con gli occhi iniettati di sangue.
Archelao era giunto fino al tempio dello Scorpione, la dimora che solitamente presiedeva. Entrò deciso ma un’ombra gli si parò innanzi.
"Alcmene!" disse sorpreso.
Il viso dell’amico era turbato e l’espressione appariva stanca e demotivata. "Sono entrati… Egli è entrato! Il tempio della Dea è stato occupato e noi non siamo riusciti a fermarli…"
Il cavaliere dello Scorpione si avvicinò e cercò di consolare l’amico: "Non darti colpe che non sono tue. Di noi tutti fu l’errore, di noi che non capimmo che allontanarsi da Atene era quanto il nemico voleva. Ora cerchiamo di porre rimedio a questo scempio, è la cosa migliore che possiamo fare."
Alcmene, rincuorato, annuì.
"Hai idea di dove sia Atena?"
"No, ho avvertito il suo cosmo sparire." replicò con rabbia il cavaliere del Toro. "Vi è un solo nemico davanti a noi e, francamente, credo sia al di là della nostra portata. Come una tempesta che arriva dal mare si è abbattuto sul Santuario ed è arrivato fin lassù. Mi ha piegato con una facilità disarmante, neanche mi sono reso conto di quello che stava avvenendo."
Il senso di impotenza e frustrazione era evidente per cui Archelao disse: "E’ capitato lo stesso pure a me giù alla prima Casa, amico. E pure agli altri che…"
"Chi altri? Dunque non siamo soli!"
"No, non lo siamo!" disse con una consapevolezza nuova. "Alcmene, ascolta. Il nemico che abbiamo di fronte è al di là della nostra portata e, ora me ne rendo conto, vana è stata la mia corsa fin quassù dal momento che, come mi dici, Atena sembra essere sparita. Forse dovremmo tornare al tempio dell’Ariete e cercare di impedire all’esercito degli Spettri di fare irruzione."
"No, la tua corsa non è stata vana, Archelao. C’era un amico da confortare e almeno in questo credo tu sia riuscito…" Archelao si limitò a sorridere. L’amico proseguì: "A questo punto, con il sommo Ade installato lassù, cambia poco per noi difenderci nelle case superiori piuttosto che in quelle inferiori. Forse però se Egli restasse isolato e se la Dea non fosse perduta allora…"
"Allora che cosa, povero sciocco? Coraggio, continua!"
Si girarono di scatto. Alcmene rabbrividì a quella visione.
"Tu dovresti essere morto, sopraffatto dai ghiacci eterni!"
"Pare che il Fato avesse altro in mente per me." rise Lune avanzando con sicurezza.
"Chi è costui, Alcmene?"
Il cavaliere sibilò un’amara risposta: "Colui che ha causato la morte di Clearco e che dunque ora pagherà per questo!"
"Ne sei convinto? Guardami!" Alcmene si stupì nel vedere la Surplice di Lune intatta e splendente, la sua micidiale frusta senza il minimo danno, quasi non fosse mia stata adoperata, il volto del nemico fresco e riposato.
"Quale prodigio è mai questo?" sbottò Alcmene contrariato.
"Invano ti stupisci, cavaliere. Solo ora comprendi che hai a che fare con avversari al di là della portata di qualsivoglia guerriero di Atena? Per quanto duramente voi ci colpiate noi ci rialzeremo ancora e ancora, al contrario dei vostri che, una volta caduti, inesorabilmente finiscono in Ade. Anzi, percepisco ora che il mio signore Minosse ha già dato il via alla carneficina, giù alla prima Casa dello Zodiaco. Non vedo l’ora di potermi unire a lui!"
Uno cosmo si spense in quel momento e Archelao si sentì gelare. "Miklos!"
"E’ solo il primo." disse duro Lune "Se la ragione non vi fa difetto, abbandonate la lotta e forse avrete salva la vita. Ade sa essere magnanimo."
"Questo mai!" urlò rabbioso Alcmene scattando in avanti ma qualcosa lo trattenne, inchiodandolo al suolo. L’amico lo tratteneva con le Onde di Scorpio. "Archelao, sei impazzito?"
Il giovane sorrise beffardo, poi disse con decisione: "Il pazzo sei tu, nobile amico. Sei stanco di mente e di braccia, lo avverto chiaramente. Lascia a me costui."
"Archelao…"
Il giovane lo oltrepassò e si piantò davanti a Lune: "Dal momento che ti ho incontrato in questa che è la mia dimora non posso esimermi dall’affrontarti di persona, mentre il mio amico riprende le forze. Anche troppo hai profanato il Santuario. E’ giunta l’ora che tu cada."
"Non sai quel che dici, sciocco."
"Attento alla frusta, Archelao!" ruggì Alcmene. "Non lasciare che raggiunga le tue carni o ne farà strazio."
"Arma inutile se non può oltrepassare l’armatura d’oro, dunque." rise Archelao per provocare Lune, la cui reazione non tardò. Allargando le braccia liberò il suo potere. "Specchio delle Colpe!"
Archelao non si spostò di un millimetro. "Ma cosa…" esclamò incredulo Lune.
Il cavaliere dello Scorpione gli si avvicinò e disse serafico: "Perché non provi a fare con me quello che hai fatto con Clearco? Coraggio, vigliacco, immobilizzami! Non ci riesci? Certo, eri troppo impegnato a metterci paura per pensare di doverti difendere da un attacco. Ora preparati perché è il mio turno…" si bloccò di colpo e si accasciò. "Ma cosa…"
Questa volta fu Lune a farsi beffe di lui. "Stolto! Anche se indebolito lo Specchio delle Colpe comincia ugualmente a far presa su di te. Sei pronto per sprofondare in un incubo? In fondo che importa… Che tu lo sia o meno il viaggio negli abissi della tua mente e dei tuoi ricordi è già iniziato, che tu lo voglia o meno."
Astylos camminava davanti a lui. D’un tratto parve aspettarlo. "Andate pure avanti, maestro!" gli diceva lui convinto. E il prode Astylos, sospinto dall’incitamento dell’allievo, proseguiva inoltrandosi d’un tratto in un cunicolo che sembrava puntare dritto al Tartaro. Ed ecco Ecate e le nere ombre della Notte emergere dall’Abisso in compagnia delle Erinni vendicatrici e carpire Astylos, trascinandolo via mentre una voce orrida a udirsi si rivolgeva a lui dicendo: "Ecco come hai perso il tuo maestro, allievo ingrato!" Nel contempo Astylos lo chiamava a gran voce, implorandolo di salvarlo, ma era troppo tardi. Era troppo tardi. Aveva abbandonato il suo maestro. Lo aveva perduto nelle Tenebre. Allievo dannato per l’eternità! Discepolo che non mostrava riconoscenza, questo era. Perché, perché non lo aveva preceduto, perché lo aveva spinto ad andare avanti? La mente e il cuore sembravano scoppiarli, nelle membra scendeva uno strazio che lo infiacchiva sempre più.
"Ti sei divertito, giovane Archelao?"
Lune stava davanti alla sua vittima che sembrava nemmeno non ricordare dove fosse. "Ardimentoso mi sembri, ma sprovveduto. Un vero peccato. E con te saranno due i cavalieri di Atena che ho sospinto in Ade e poi mi potrò finalmente dedicare ad Alcmene, con il quale ho un conto aperto."
Lo Spettro sembrava essersi liberato delle Onde di Scorpio. "Archelao, allievo di Astylos, saluta il mondo dei vivi. Se è vero che il tuo spirito arde con facilità e il tuo cosmo è ratto all’azione, non così si può dire della tua giovane mente. Oh quanto in questo somigli al povero Clearco. Rallegrati tuttavia, presto lo rivedrai!" Incrociò le mani sopra il capo. "Addio Archelao! Giudizio di Minosse!" Aprendo le braccia scatenò un’energia cosmica che si abbatté sul giovane scaraventandolo indietro. Nel frastuono dell’esplosione una voce parve perdersi nell’aria. Il rumore sinistro dell’armatura d’oro che strisciava sulle pietre pavimentali fu l’ultima cosa che si udì.
"E così finisce. Il giudizio è stato emesso."
Alcmene era paralizzato dall’orrore ora che a immobilizzarlo non vi erano più le Onde di Scorpio. Avrebbe voluto attaccare in quel momento con il Grande Corno ma era troppo debole e non sarebbe servito a molto. Ma mentre rimuginava tra sé e sé una voce leggera e ridanciana fece sobbalzare lui e Lune.
"Il giudizio… Quanto sei cerimonioso…" Incredibilmente Archelao di stava rialzando. Barcollò per un momento poi si protese verso il nemico. "Cerimonioso e sprovveduto!"
"Come osi? A stento stai in piedi e il prossimo attacco ti sarà fatale."
"Non lo lancerai mai. Non sei più in grado di farlo."
"Non sono in grado? La paura della morte ti fa vaneggiare." Si abbandonò ad una risata ma dovette troncarla subito. Un bruciore insopportabile lo arse dentro, muscoli e tendini si irrigidirono. Nel contempo quattrodici ferite, in vari punti del corpo, cominciarono a stillare sangue copiosamente, lordando la Surplice e le pietre del pavimento.
"Qual prodigio…"
Era Archelao ora a parlare in modo molto cerimonioso, a farsi beffe di lui: "Veloce nell’animo, dalla subitanea collera, ratto alle passioni ma non altrettanto di mente. Era questo il cuore del tuo discorso, mi pare. Ebbene, mentre stavi lì a pontificare, la mia mente, che giudichi lenta, intorpidita dal rimorso che in essa hai generato e che non potrò più cancellare, la mia mente, dicevo, si andava focalizzando su un solo obiettivo: vendicare la morte del maestro, che ho inopportunamente abbandonato, eseguendo quel colpo al quale a lungo mi aveva preparato e che mai, in vita, mi vide eseguire. Quanto tempo dedicò a far sì che le mie cuspidi fossero rapide e precise quanto i suoi dardi, quanto provai e mi esercitai nella precisione e nella velocità di esecuzione, migliorando di giorno in giorno. Tuttavia una cosa mi riusciva difficilissima. Lanciare tutte assieme quattordici cuspidi che corrispondono a quattordici stelle guida della costellazione dello Scorpione. Capisci? Quattordici colpi da lanciare in un'unica soluzione sullo stesso bersaglio! Mai vi ero riuscito prima d’ora! Sì, Lune, perché quel bersaglio eri tu, e il ricordo del maestro unito alla frustrazione per averlo perso mi hanno dato la forza e la spinta per mettere a segno il colpo che ora ti vincerà. Il veleno dello scorpione ti annienterà poco a poco. A nulla è valsa a difesa la tua Surplice. Guarda! Mentre mi colpivi, sicuro della vittoria, quattordici colpi ti raggiungevano. E ora agiscono."
Lune, ormai malfermo sulle gambe e con la vista che si annebbiava replicò: "Ma non mi hai ancora vinto. Lotterò fino alla fine e avrò ragione di te. Saprò indirizzare il colpo della frusta dove non sei difeso dall’armatura e scenderemo insieme in Ade."
"No, perché stai per ricevere il colpo finale. Quindici sono le stelle guida dello Scorpione. La quindicesima stella è la rossa Antares, colei che colpisce per sterminare e portare la morte, ma che è al tempo stesso la fine dei tormenti di chi ha subito tutte e quindici le cuspidi. Sei pronto Lune?"
"Non c’è che dire, voi devoti di Atena siete dei combattenti pieni di risorse. Dura si prospetta la battaglia contro le armate di Atena per Ade signore degli Inferi. E’ un onore confrontarsi con voi." La sua voce era incrinata, il corpo fiaccato, lo spirito tuttavia indomito. "Frusta del Giudizio!" urlò facendo saettare l’arma con tutta l’energia di cui era capace.
Archelao evitò il colpo con un rapido salto all’indietro e si apprestò ad attaccare.
"Lune, guarda! Questo è il giudizio di Archelao, che opera in nome di Atena, Dea della Saggezza! Per voi, maestro! Cuspide Antares!"
Una folgore rossa saettò del dito di Archelao e colpì Lune in pieno petto, trapassandone i precordi. Il nemico cadde e il suo spirito, staccatosi dal corpo, tornò in Ade ad emettere giudizi in nome di Minosse suo signore.