II
Il fascio di luce, fulmineo e abbagliante, attraversò l’arena e andò a colpire, con precisione, le lame che erano state collocate l’una dietro l’altra, fendendole tutte; subito dopo cadevano a terra, con gran clangore, le due metà di ciò che era stata una spada. Un brivido scosse colui che aveva sferrato il colpo. Sentì il suo cuore battere a mille e una gioia profonda pervaderlo tutto, fino a diventare euforia, fino a manifestarsi in un urlo liberatorio. Si asciugò la fronte imperlata di sudore, istintivamente guardò la sua mano, poi guardò ancora le lame a terra, tagliate da un preciso fendente. Poi, con gli occhi luccicanti, si voltò in direzione della figura che lo stava guardando avvolta in una lunga veste bianca e che ora stava sorridendo compiaciuta.
"Ben fatto." disse l’uomo.
Il ragazzo istintivamente ricambiò il sorriso e si piegò sulle ginocchia. In un attimo gli balenarono alla mente una serie di ricordi relativi agli ultimi cinque anni, dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta in quel Santuario fino alla sera avanti che aveva portato con se gioie e speranze, ma anche inquietudine e smarrimento per la meta ormai prossima. Gli apparvero molti volti di persone che aveva lasciato e che ora avrebbe desiderato rivedere, e altri di coloro che lo avevano accompagnato durante il suo addestramento.
"Ce l’ho fatta… Maestro…" esclamò in un misto di esultanza e commozione.
La figura ammantata gli si avvicinò e disse: "Ebbene, mio abile allievo, finalmente il giorno è giunto. Sapevo che non avresti fallito.La tua tenacia e la tua forza mi sono sempre parse più grandi dei tuoi dubbi, che pure coltivavi, e legittimamente dico, perché l’uomo, pur forte e generoso, che non coltivi dubbi, non è così caro agli dei e nemmeno saggio come crede. Le nostre virtù ci devono elevare e nobilitare, ma ci serve sempre qualcosa che ci tenga ancorati alla realtà, alla nostra umanità, dandoci il senso del limite. Limite che però noi (ci) dobbiamo cercare sempre di superare, con dedizione e sacrificio, durante tutta la nostra esistenza. Limite che pur tuttavia continuerà ad esistere. Siamo pur sempre mortali, no? Ma non è proprio la nostra mortalità a rendere straordinaria la nostra dimensione umana quando riusciamo a raggiungere quegli obiettivi cui solo aspirare pareva follia?"
"Credo sia così, maestro. E vi ringrazio per le vostre parole." rispose reverente ed emozionato.
"Ora però diamo il giusto spazio alla tua gioia. Non posso che gioire con te. E molti altri gioiranno quando sapranno che un nuovo compagno sta per unirsi a loro, nella gloriosa schiera della dea."
"Maestro" disse il ragazzo "potrò mai ringraziarvi abbastanza per quanto avete fatto per me, per tutti i giorni passati assieme, per la vostra passione nel farmi apprendere tutto quanto era necessario a rendermi cavaliere, per la vostra pazienza nei giorni in cui tutto mi pareva difficile e in cui non ero all’altezza dei vostri insegnamenti?" Una lacrima di commozione solcò il suo viso.
"In verità, non credo che tu abbia mai abusato della mia pazienza quanto io ho abusato della tua. Ma ciò ha concorso a fare di te un cavaliere e questo era quello che volevamo entrambi, o sbaglio? Sono certo che mi dimostrerai il tuo valore con le tue azioni e con quanto saprai fare nei giorni a venire."
"Contateci."
"Ed ora credo proprio che tu abbia un appuntamento che non vorrai di certo rimandare. Prepariamoci dunque a salire al Tempio."
In quel momento una figura sbucò da dietro una colonna dell’ingresso dell’arena e si avvicinò correndo. Il ragazzo appariva più giovane dell’altro e portava i capelli lunghi. Giunto dinanzi all’uomo si inginocchiò e disse: "Sommo Policrate, vi chiedo perdono se ho assistito di nascosto alla prova cui avete sottoposto il mio compagno d’armi, ma non potevo perdermi questo momento. Permettetemi di congratularmi con il migliore amico che abbia trovato qui ad Atene e poi, se lo ritenete opportuno, punitemi pure."
"E così hai assistito di nascosto alla prova, Archelao?"
"Lo so, ho avuto l’ardire…"
Policrate rise. "Non serve che ti scusi, allievo di Astylos. Comprendo benissimo la tua devozione per l’amico così come il tuo desiderio di vedere all’opera Callimaco. Non mi pare che l’amicizia, manifestata per di più in modo così cortese, sia un sentimento degno di rimproveri. O tu credi che non sia così?"
"Certo che no, signore." rispose Archelao chinando il capo.
"Credo abbiate molto da dirvi ora. Parlate pure mentre Callimaco si prepara per salire al Tempio. Io vi precedo." Poi tono bonario aggiunse: "Cercate però di non tardate." E si avviò.
Archelao e Callimaco si abbracciarono. Il nuovo venuto cominciò: "Sapevo che ce l’avresti fatta, amico! Pensa che non sono riuscito a chiudere occhio stanotte per la paura di alzarmi tardi e perdermi la tua prova finale."
"A dire il vero ho dormito poco pure io." rise Callimaco.
"Davvero? E perché mai? Non dirmi che avevi paura di fallire, proprio tu!"
Un sorriso si allargò sul viso di Callimaco. "Non perdi mai il tuo buonumore, Archelao, così come la tua voglia di scherzare."
"Cerco di sdrammatizzare. Adesso non sei più un mio pari, stai per diventare uno dei più forti e devoti cavalieri del Santuario. Devo cercare di mantenermi nelle tue grazie o per me potrebbero essere guai seri." disse ammiccando
Callimaco replicò. "Ti ringrazio per le tue parole ma sai benissimo che non sei da meno e che presto raggiungerai anche tu il risultato cui sono approdato oggi. E quel giorno, che sono sicuro arriverà presto, io sarò lì a vederti."
"Ne sono certo e mi farà piacere."
Sciogliendosi del tutto l’amico rispose: "Farà piacere pure a me!"
"Certo dovrò crescere e migliorare ancora molto. Mi sto allenando duramente e quando il maestro tornerà spero che apprezzerà i miei progressi." disse Archelao con tono più serio. "Ora però andiamo. C’è qualcuno che ti attende e sarebbero guai grossi se tu tardassi!"
Il sole era alto quando finalmente Callimaco e Archelao arrivarono al Tempio, dove Lei attendeva. Appena varcate le colonne, nel pronao videro qualcuno nell’ombra. Lo sguardo vivido e intelligente dell’uomo si posò su di loro e udirono la sua voce, come sempre ricca di armonici e così pacata, salutarli così: "Bentrovati e bengiunti Callimaco di Corinto e Archelao di Paros. Il Grande Sacerdote mi ha avvisato del vostro arrivo. A dire il vero io attendevo solo una persona per oggi, ma so che una profonda amicizia vi lega. La dea ha inoltre acconsentito che Archelao sia presente alla cerimonia, anche se ciò non è solitamente la prassi del Santuario."
"Non osavo sperare in tale onore." disse sorpreso Archelao "Mi sarei accontentato di aver accompagnato qui Callimaco."
"Giovane Archelao" fece il cavaliere "le isole che ci hanno visto crescere non sono poi molto distanti tra loro, per me quindi averti qui è rendere la dovuta ospitalità ad un conterraneo che sento affine. Pure questo motivo mi ha spinto a chiedere che ti fosse accordato questo onore." Sorrise "E sarebbe stato inoltre molto scortese e inopportuno, per la nostra dea e per il Grande Sacerdote, non ricevere Archelao, allievo di Astylos, proprio oggi quel cavaliere è tornato tra noi dopo una lunga assenza."
"Il mio maestro è finalmente tornato? Quale notizia!" giubilò Archelao pensando nel contempo a quando aveva conosciuto per la prima volta Archita di Thera, sulla nave che li stava portando dalle Cicladi ad Atene.
Callimaco si avvicino all’amico e disse: "Sono felice che il prode Astylos sia di nuovo tra noi e sono contento per te, amico mio, perché questo sta a significare che presto anche tu potrai salire qui al Tempio per l’investitura."
"Possa ciò esserti di buon augurio, ragazzo." fece eco Archita, che poi continuò: "Coraggio ora, ci attendono. Seguitemi."
Poco dopo il terzetto faceva il suo ingresso nella grande sala del Tempio. Le torce illuminavano l’ambiente e le resine profumate spandevano il loro dolce profumo. Lungo le pareti della sala erano disposti, sei per lato, gli altari delle dodici costellazioni dello Zodiaco. Presso l’altare della dea, in fondo alla sala, stava Astylos che sorrise vedendo entrare il suo allievo il quale, da parte sua, avrebbe voluto dirgli molte cose ma non era quello il momento delle parole; ci sarebbe stato tempo più tardi. Bastò tuttavia il suo sguardo a testimoniare la sua devozione al proprio maestro.
Il Grande Sacerdote si alzò dal suo scranno posto sull’altare e li invitò ad avvicinarsi. Quando furono presso di lui, si girò verso la cortina che pendeva alle sue spalle e con voce ferma disse: "Sono giunti, mia signora."
Da dietro il tendaggio d’improvviso Ella apparve, ammantata di candide vesti, i lunghi, nerissimi capelli sciolti, gli occhi color del mare, splendente come solo chi appartiene alla schiera dei celesti può essere. E la sala sembrò rischiararsi, una musica parve risuonare tra quelle mura e un soave profumo parve liberarsi nell’aria mentre la dea Atena, figlia di Zeus, sorrideva agli astanti.
Si volse verso Callimaco che attendeva in religioso silenzio, in ginocchio d’innanzi alla scalinata che conduceva sull’altare, e cominciò: "Benarrivati, miei fedelissimi cavalieri. Sono lieta di vedervi qui oggi poiché salutiamo in questa giornata l’ingresso tra le fila dei Cavalieri d’Oro di un giovane valoroso e devoto. Ho imparato ad apprezzarne la fedeltà e la dedizione nel corso degli anni che ha trascorso qui ad Atene, come pure durante la grande battaglia che è purtroppo infuriata con nostro sommo danno e dispiacere."
Mentre la dea così parlava, il Grande Sacerdote scoprì, nei pressi dell’altare, uno scrigno dorato che egli ben conosceva.
La dea continuò e disse con cordialità: "Callimaco di Corinto, allievo di Policrate di Delfi, avvicinati."
"Mia signora." rispose il giovane alzandosi e salendo alcuni gradini.
"Callimaco, ecco come la dea vuole oggi gratificare e premiare i tuoi sacrifici, i tuoi sforzi e il modo in cui ti sei distinto nel recente passato." E rivolta al Grande Sacerdote: "Mio devoto Policrate, è il momento."
Contrariamente a quanto il giovane si aspettava il Grande Sacerdote non aprì lo scrigno ma fece apparire da sotto il lungo manto bianco che indossava una spada che porse rispettosamente alla dea. Callimaco si sentì avvampare e una fortissima emozione gli salì dal profondo del cuore. Quella spada, di cui aveva sentito parlare tante volte stava lì, nelle mani del maestro.
Atena soppesò delicatamente l’arma e porgendola al cavaliere disse: "Il tuo maestro l’ha portata con onore e con merito per moltissimi anni: essa, come ben sai, è simbolo di fedeltà e di giustizia. Oggi, con grande felicità e con grande soddisfazione Policrate la tramanda a te."
"Maestro… Mia dea!"
Atena e il Grande Sacerdote si scambiarono un’occhiata di intesa e il volto di Policrate mostrava profonda soddisfazione e compiacimento.
"Ricevi Excalibur e con essa il titolo di Cavaliere d’Oro, mio fedelissimo Callimaco." disse Atena figlia di Zeus.
Callimaco allungò la mano e afferrò la spada. I suoi occhi incrociarono quelli della dea, poi quelli del maestro. D’improvviso anche lo scrigno si aprì e gli parve che un bagliore dorato lo rivestisse mentre gli astanti si congratulavano e lo applaudivano.