XVIII
La via che conduceva all’Acropoli era deserta. Sole e caldo scoraggiavano a salire al Tempio della dea. Ulivi e cicale parevano essere le uniche presenze vive in quel paesaggio di pietra, dove il sentiero lastricato di pietre sommariamente levigate curvava deciso verso sinistra, puntando dritto verso il pianoro sommatale. Sole nel cielo terso verdeggiavano alcune piante di fico selvatico. Solo ora, sul far della sera, qualche nuvola si addensava all’orizzonte, sulle acque dell’Egeo.
L’uomo aveva vigilato tutto il giorno ma nelle strade di Atene tutto sembrava essere tranquillo. In mattinata si era spinto nelle campagne circostanti e ciò che aveva udito lo aveva rassicurato. Nessuno pareva aver visto o udito qualcosa che potesse mettere in allarme gli Ateniesi. Gli interlocutori a volte si chiedevano il perché di quelle domande, ma egli restava volutamente vago e allusivo. Solo con la persona che ora aveva di fronte si sarebbe potuto sbilanciare un po’, pensava. Era uno dei membri dell’alta aristocrazia, stimato e influente e in quel momento lo preoccupavano le tensioni sociali che stavano cominciando a montare sempre più, seminando discordia e odio tra gli aristocratici e tra essi e il resto degli Ateniesi, la cui maggioranza era costituita da piccoli coltivatori, pescatori e artigiani e da un numeri di commercianti in continua crescita che cominciava a reclamare un ruolo di peso nelle istituzioni cittadine.
"Sono i mercanti a preoccuparmi maggiormente." stava dicendo in quel momento l’aristocratico "Le loro rivendicazioni si fanno sempre più pressanti. Temo che la polis possa essere scossa da profondi conflitti sociali se non saremo in grado di trovare un accordo tra le parti e se la violenza l’avrà vinta sul dialogo e la convivenza. Ma pure le nostre istituzioni dovranno essere modificate, altrimenti conciliaboli e accordi a nulla varranno."
L’uomo ammantato era conscio che un diverso tipo di violenza, assai più devastante, incombeva sulla città e pensava con sgomento che un eventuale attacco in quel preciso frangente avrebbe fatto forse esplodere la rabbia e il rancore che, secondo l’interlocutore, albergavano ormai in molti tra gli Ateniesi. E ciò andava evitato a tutti i costi per non far precipitare la situazione.
"Il diritto, ci salverà il diritto!" stava dicendo l’altro. "Pure le norme di Draconte, con il loro carico di severità, sono allo stesso tempo scudo per i cittadini ma anche fonte di ulteriore discordia. Ma furono necessarie! Credo tuttavia che urga un’ulteriore riforma del nostro ordinamento. Se gli dei ci assistono la città potrà essere rinnovata."
"Se gli dei ci assistono…"
"Che c’è, Metoneo, per quale motivo sei così ombroso? Forse che al Santuario accade qualcosa ben più grave di quello che tu mi hai accennato fin ora?" Metoneo avrebbe voluto rispondere di sì e che bisognava agire. Aveva percepito chiaramente dei cosmi ostili, alcuni innalzarsi e altri sparire. Sarebbe voluto tornare al Tempio ma la Dea gli aveva affidato un compito preciso, vegliare sulla città. Se l’attacco avesse colpito il Santuario vi era la concreta possibilità che un colpo cogliesse alla sprovvista gli Ateniesi e dunque i Cavalieri dovevano vigilare. Ma al tempo stesso non poteva gettare centinaia e centinaia di persone nel panico.
Cercando di scacciare questi pensieri Metoneo rispose: "Non ti preoccupare, non vi è nulla di così grave, Solone. Ad ogni modo, ti invito a vigilare. Ed ora scusami, ho un affare da sbrigare al porto."
Metoneo aveva un presentimento. Lasciatosi alle spalle il cuore della città si ritrovò subito in aperta campagna. Una strada ricoperta di pietre levigate conduceva al porto. Tuttavia al devoto di Atena non interessavano le navi giunte da oriente, ne i mercati del pesce. Superò correndo un paio di carri trainati da buoi carichi di olle ricolme d’olio, destinato a prendere la via del mare per approdare a chissà quale porto del nord.
D’un tratto percepì la presenza del nemico. Uno, due, tre, probabilmente quattro. Lì vide di lontano puntare una fattoria isolata. Solo allora notò un filo di fumo poco più in là, verso il mare. Gli sgherri del nemico avanzavano verso la città e l’acropoli seminando il panico nelle campagne. Doveva agire in fretta.
Policrate aveva appoggiato il capo ad una colonna. Non poteva credere che fosse successo. Il nemico era arrivato ad un passo dal Tempio e solo il sacrificio di uno tra i più giovani dei Cavalieri d’Oro era valso a fermare gli invasori. Egli, come Grande Sacerdote, aveva davvero fatto quanto necessario per affrontare il pericolo? La scelta di far allontanare dieci dei cavalieri più forti dal Santuario non era stato troppo avventata? Mille dubbi lo tormentavano, così come lo tormentava il pensiero di coloro che non sarebbero tornati e di quelli che, lontani, non avevano ancora dato notizie di sé. Se solo avesse potuto correre in aiuto di Clearco, di Dimione e dei cavalieri di bronzo. Ma il suo posto era vicino alla dea. E l’impotenza di fronte agli ultimi eventi lo tormentava e gli straziava l’anima.
La dea, come ben immaginava, era preda del suo medesimo rovello e si aggirava infatti dubbiosa sul da farsi nella grande sala. Cercò di essere fredda e razionale e di allontanare per un attimo il pensiero di chi non c’era più. Altri avrebbero sofferto danni maggiori e sarebbero caduti se Ade aspirava davvero ad impadronirsi dell’arma del padre del tempo, custodita proprio lì, nel Tempio a lei consacrato. Il signore degli Inferi era presente in quel giorno remoto, quando Zeus Tonante l’aveva sigillata, facendo in modo che fosse al di là della portata dei qualsivoglia uomo o dio. Tuttavia, se uno dei suoi fratelli l’avesse voluto, impiegando al meglio il suo potere, avrebbe potuto sciogliere il sigillo, sebbene con uno sforzo supremo. "La Megas Drepanon…" sussurrò Atena "No, Ade, non l’avrai. Non devi e non puoi averla." Vi era tuttavia solo un modo per far sì che essa non cadesse nelle mani, ambiziose, del signore del sottosuolo. No, non l’avrebbe impiegata per ergersi a nuovo tiranno del mondo in luogo del padre, del celeste Crono. Ella avrebbe imposto un nuovo sigillo alla Megas Drepanon, che Ade non sarebbe riuscito a scogliere. Era rischioso, ne era consapevole, e intuiva che il tempo le era tiranno.
"Policrate!" chiamò con voce decisa.
Il Grande Sacerdote accorse. "Mia signora…"
"Il momento è grave e funereo, lo so, e ben leggo lo strazio del tuo cuore. Tuttavia ti devo chiedere di prestare attenzione a quello che ti dirò e di agire in modo rapido e senza porre domande. Un grande pericolo ci ha sfiorati, ne sei consapevole. Devo evitare che uno ancora maggiore si affacci sulle nostre sorti e su quelle del mondo intero. Mi recherò ora nel sacello sotterraneo… nel sacello di Zeus." Policrate sussultò "C’è qualcosa che va fatto per evitare che Ade possa un giorno impadronirsi di uno strumento di potere che deve restare celato."
"Comprendo, mia dea."
"Policrate…" disse d’un tratto titubante "Credi che abbia commesso un errore lasciando partire dieci Cavalieri d’Oro?"
"Mia signora, non dovete farvene cruccio, come potevamo sapere che…"
"Dovevamo capirlo invece!" Atena era amareggiata oltre ogni dire "Non mi do pace per quest’errore di valutazione."
"Che voi vi tormentiate non cambierà le cose. Vi vorrei ricordare inoltre che alcuni di noi sostennero con forza l’idea di effettuare un sopraluogo in quei recessi che potevano costituire i punti di raccolta per l’attacco che è stato mosso verso di noi."
"Le cose invece sono andate in modo diverso a quanto pare."
"E’ presto per dirlo. Dobbiamo attendere che tutti tornino e che ci informino. Solo con un quadro completo della situazione ci potremo fare un’idea più chiara di quanto sta avvenendo." Policrate si sforzava di credere a quanto stava dicendo, in realtà tutto faceva pensare, fino a quel momento, che fossero caduti in una trappola tesa ad arte del nemico e che ora essa si stesse per chiudere su di loro in modo inesorabile. D’altro canto era suo dovere di Grande Sacerdote di sostenere il più possibile la dea, che appariva molto provata per le perdite patite. Immortale tra i mortali ella era costretta a vedere cadere chi l’aveva servita con fedeltà e dedizione. Era successo in passato e sarebbe successo ancora. Era nella logica delle cose, era scritto dal Fato. Policrate e tutti i Cavalieri lo sapevano ma avevano abbracciato quella causa e mai si sarebbero tirati indietro.
"Cosa posso dunque fare per voi?" disse dopo lunghi attimi di silenzio.
"Necessito di qualche ora di concentrazione e di isolamento. Ciò che mi appresto a fare non è cosa semplice, nemmeno per uno dei celesti dell’Olimpo. Il Tempio deve restare chiuso fino a che avrò terminato l’opera." E qui si addolcì e per un attimo un po’ di serenità sembrò far breccia nello sconforto che aveva avvinto entranbi. "Policrate, te la senti di vegliare su di me?"
"L’ho fatto per molti anni con devozione e con piacere, come potrei non farlo in quest’ora? Contate su di me."
"So di essere in buone mani." disse Atena sorridendo.
"La Sacra Spada vi difenderà. Nessuno varcherà quella soglia finché la custodirò." Poi, prima che ella si allontanasse, con premura aggiunse. "Cercate di non affaticarvi troppo."
Mio fedele Policrate, grazie, pensò Atena occhio azzurro allontanandosi.
Archelao sostò un attimo e riprese fiato quando fu in vista dell’Acropoli. Mancava ormai poco per arrivare al Santuario. Il sole stava tramontando e le ombre si allungavano nella sera ateniese. Pensò al caldo patito durante il giorno, mentre correva a perdifiato attraverso l’Argolide, Corinto e sulla via che conduceva a casa.
Ecco, d’improvviso, rivelarsi ai suoi occhi il Santuario. Lo colpì una strana luminescenza là in alto, poco sotto il Tempio della dea. Di cosa si trattava? Un presentimento, un alito di morte lo sfiorò in quell’attimo. Non aveva dubbi, l’attacco era iniziato. Doveva fare presto. Decise di tagliare attraverso i campi per accorciare il tragitto, lasciando il mare alla sua destra per penetrare nell’entroterra. Aveva però percorso solo pochi metri che un’ombra gli si parò innanzi.
"Cavaliere dello Scorpione, arrivi al momento opportuno."
"Scostati, cavaliere, non vedi che vado di fretta?" disse quasi seccato.
"La tua fretta è giustificata, amico. Troppi eventi sinistri stanno accadendo in città e al Santuario." La sua voce era preoccupata, quasi rotta. "Ora però ascolta il tuo buon amico Metoneo."
"Che è accaduto? Credo di aver percepito dei cosmi spegnersi e di averne individuati altri che non so definire…"
Metoneo aveva chinato la testa di lato, con un’espressione di cordoglio. "Abbiamo avuto molte perdite oggi. Gli Spettri di Ade sono penetrati nel Santuario in vostra assenza e alcuni dei miei compagni, fieri Cavalieri d’Argento, sono caduti. Quanto a Alcmene e Clearco, non lo so…" gli mancarono le parole "Non riesco più a percepirli… E sarebbero già tre i Cavalieri d’Oro che…"
"Taci!" disse brusco Archelao. "Non provare nemmeno a pensarlo Metoneo!" Il giovane era sconvolto e una rabbia furiosa si era impadronita di lui.
"Che io lo pensi o meno non cambierà la realtà dei fatti." replicò duro.
Archeolao lo scostò. "Devo arrivare al più presto al Santuario!"
"Aspetta."
"Perché mai?"
"Il nemico è presente pure in queste terre, pronto a colpire gli abitanti della città."
"Ne sei sicuro?"
"Certo" disse Metoneo "Poche ore fa ho incontrato quattro immondi Spettri che seminavano il terrore nelle abitazioni isolate e che erano pronti ad entrare in città. Hanno avuto il fatto loro."
"Ben fatto, cavaliere!" commentò Archelao sciogliendosi in po’.
"Non so se ve ne siano altri in giro."
"Noi però ora dobbiamo tornare al Tempio."
"Lo credo pure io." Tuttavia non pareva troppo convinto.
"Che c’è?"
"Archelao, la dea mi ha invitato a vigilare sulla città, anche a nome di…" e un velo di tristezza calò su suo volto "Clearco. Ecco, ora come potrei…"
Archelao era spiazzato e combattuto tra senso del dovere e tristezza per la sorte dell’amico cavaliere ateniese. Con un’insolita calma e cercando di dominare il tumulto del suo cuore, disse: "Ascolta, abbiamo scelta in questo momento? Atena è sola, come potremo non accorrere da lei? E non credere che a me non dolga lasciare al loro destino gli Ateniesi, tanto cari al nostro compagno che… Egli ci direbbe di correre al Santuario, non credi?"
"Sì, se fosse qui credo lo farebbe." Entrambi avevano gli occhi lucidi.
"Ebbene, andiamo. E che gli dei veglino sulla città. A nostro modo, lo faremo anche noi…"
Poco dopo sfrecciavano via, mentre la notte avanzava a grandi passi sull’Attica.
"Sei tutto intero?"
Il cavaliere appoggiato al muro si sentiva ancora stordito, tuttavia riuscì a fare un cenno affermativo. Poco dopo sentì una mano prendere la sua ed egli si lasciò tirare su fino a riassumere la posizione eretta.
"Dove sono? Cos’è successo?" disse Miklos malfermo sulle gambe.
"Hai subito la furia di due Spettri che ti hanno messo al tappeto ma fortunatamente ti hanno risparmiato." disse Pegasios con voce rotta dall’emozione.
"Non ti preoccupare per me, amico, sto bene."
Un’altra voce si intromise: "Tu sì, Miklos…" Il cavaliere, nell’ombra, distinse il profilo dolce di Elettra. Vi era un’espressione di dolore sul suo volto. Avrebbe voluto fare tante domande e sapere che era accaduto ma la ragazza lo esortò così: "Coraggio, Miklos, fatti forza. Dobbiamo raggiungere al più presto la Casa dell’Ariete. Vi è qualcosa di malefico nell’aria. Qualcosa di terribilmente oscuro e noi siamo l’ultimo baluardo.
"Solo noi? Vuoi dire forse che…"
Fu Pegasios a interromperlo bruscamente: "Basta con le parole! Andiamo." Parlava stringendo i pugni. Poi con più calma riprese: "Alcmene è all’undicesima Casa. Sta cercando di… Deve liberare dai ghiacci… Per onorarlo…" Le parole li morirono in gola. "Siamo soli, ora. Dobbiamo difendere il Santuario. La dea si fida di noi."
"Ce la fai, Miklos?" aggiunse Elettra.
"Sono con voi." disse meccanicamente ma i suoi pensieri erano rivolti al Cavaliere d’Oro che probabilmente non c’era più. Che avrebbero mai potuto fare loro tre per arrestare il nemico se persino i più grandi e potenti tra i guerrieri della dea cadevano? Non sapeva darsi risposta, ma nelle parole determinate e fiere di Pegasios lesse l’unica possibile, che era al tempo stesso anche la più semplice: combattere.
La notte calò sull’Attica. Policrate era in spasmodica attesa nella grande sala. Aveva percepito chiaramente più volte il cosmo celeste di Atena innalzarsi. Che prodigio, che senso di pace ogni volta che quelle onde benefiche si allargavano nel Tempio e lo inondavano di una piacevole sensazione di sicurezza e di pace. Ora però tutto taceva e percepiva la dea come una presenza lontana. D’uno tratto, ecco un rumore delicato di passi. Atena fece il suo ingresso. Il suo viso era stanco e sofferente ma soddisfatto. In tanti anni Policrate l’aveva veduta rare volte così provata.
"Il rito è compiuto, Policrate."
Avvicinandosi a lei il grande sacerdote disse: "Ne sono felice. Voi piuttosto, come state? Coraggio, appoggiatevi a me." Con un braccio, istintivamente, le cinse un fianco.
"Sono stanca, ma soddisfatta." Alzò gli occhi su di lui. "Ora siamo al sicuro, almeno da questo punto di vista." In quel mentre le forze le mancarono e Policrate dovette sorreggerla affinché non cadesse. Poco dopo la adagiava dolcemente sul suo seggio.
"Riposate ora, ne avete bisogno."
"Aihmè, Policrate" disse la dea "non credo avremo molto tempo per riposarci."
Archelao e Metoneo piombarono nel piazzale antistante la Casa dell’Ariete. L’oscurità e il silenzio avvolgevano il Santuario. "Possibile che non vi sia nessuno?" si chiedeva tra sé Archelao. Ormai erano in prossimità del tempio quando una voce si fece udire alta e sonora.
"Voi, là fuori, chi siete? Non osate avanzare oltre!" Tre sagome apparvero in quel mentre dall’oscurità del pronao e fissarono i nuovi venuti.
"Archelao, amico mio!" gridò Pegasios sciogliendosi, e già si faceva incontro all’amico. "Che notizie porti? E dov’è il maestro?" Archelao saluto con calore l’amico, poi in breve raccontò quanto accaduto nella penisola di Mani e concluse dicendo: "Il maestro deve aver capito che è stata un’imprudenza che tanti Cavalieri d’Oro si siano allontanati dal Santuario. Giunto qui avverto che egli non si sbagliava."
"Un errore che abbiamo pagato a caro prezzo." disse sconsolato Pegasios. "E pensare che io volevo seguirvi ad ogni costo quando invece era qui che vi bisogno di difese solide qui!"
"Pegasios, non ti crucciare." s’intromise Metoneo facendosi avanti. "Mandare i Cavalieri d’Oro in avanscoperta in quei luoghi potrebbe anche rivelarsi una scelta azzeccata anche se ora tutto sembra come una trappola ordita a nostro danno dal nemico. Cosa i nostri amici abbiano trovato o scoperto potremmo saperlo solo quando tutti siano tornati. E forse ciò che ora appare oscuro presto divverrà chiaro come acqua di fonte."
"Metoneo" disse Archelao "ti ho già detto che non abbiamo trovato nulla degno di nota nella penisola di Mani, a parte un paio di nemici assai infidi."
"Può essere, ma attendiamo. Non credo che Kyriakos e Plistene, per non parlare della dea Atena, abbiano preso un abbaglio quando hanno percepito quell’aura negativa che proveniva da quei luoghi."
"Va bene, va bene!" disse Pegasios con trasporto. "Ora però abbiamo altro cui pensare. Oggi il Santuario è stato attaccato e…" Sentì una mano di Elettra che gli si posava sulla spalla: la giovane lo guardava intimandogli di tacere.
"Pegasios, non perdiamoci in parole inutili. Credo che Metoneo già sappia. Non è vero, amico mio?"
"E’ così, Elettra." disse mesto il giovane.
"Vi è qualcosa di malefico all’opera, qualcosa che è ancora qui." proseguì la ragazza.
"Sentite" disse deciso Archelao "dal momento che la prima Casa è incustodita mi fermerò io a presidiarla fino al ritorno di Archita."
"No!" disse risoluto Metoneo "Cavaliere, il tuo posto è nella Casa dello Scorpione."
"Ma Metoneo, così voi restereste esposti al pericolo. Non posso permetterlo!"
"Archelao, il tuo primo dovere è proteggere la dea."
"Tanto più" aggiunse Elettra "che Alcmene è all’undicesima ed è stanco per le battaglie affrontate e per lo sforzo che sta compiendo tutt’ora." Tacque e abbassò lo sguardo.
Pegasios, vedendo l’amico titubante, lo esortò così: "Archelao, ti sostituirò io qui e vedrai che non deluderò né te né il maestro. Vuoi fidarti di me e delle mie capacità?"
Archelao stava per rispondere affermativamente quando un’aura cosmica di immane potenza avvolse il piazzale, una notte più nera della notte avanzò verso di loro e il Santuario parve essere scosso fin dalle fondamenta.
"Questo cosmo…"
"… è immenso"
"Ne sono sopraffatto!"
"Chi può possedere una tal forza?"
Cinque paia di occhi si volsero tutt’intorno ma nulla poterono vedere. Eppure qualcuno era lì, e si avvicinava. Un lievissimo rumore di passi risuonò vicinissimo a loro. Ai cinque cavalieri si gelò il sangue ma prima che potessero abbozzare la minima reazione, una forza misteriosa e immane li scaraventò lontani, disperdendoli su piazzale, dove caddero con gran rovinosamente. La presenza cominciò quindi la sua scalata al Santuario, decisa e inesorabile.
Giunta all’undicesima Casa fece volare giù dalla scalinata, fino al cortile retrostante la Casa del Capricorno, il cavaliere del Toro, che perse i sensi. Poco dopo, ad un solo cenno della figura i ghiacci eterni andarono in pezzi e l’ombra passò oltre gettando solo uno sguardo distratto a chi giaceva a terra.
Raggiunse il Tempio di Atena in un attimo. Policrate vide il grande portale della sala aprirsi d’improvviso ed entrare nessuno. Ma Atena era scattata in piedi, pallida per lo sforzo recente, avendo compreso cosa stava avvenendo. L’aura cosmica che era penetrata nel tempio avanzò. Si arrestò solo ai piedi della scalinata, dove stava il seggio della dea. D’improvviso apparve una figura in atto di togliersi un elmo. Man mano che il nuovo venuto si rendeva visibile, la sua Surplice scintillava alla luce delle torce e i tratti del suo volto si facevano nitidi.
L’uomo, dal bel viso e dall’aspetto ben curato, scostò con un gesto misurato e riverente il grande sacerdote e, passato oltre, rivolse alla dea queste parole.
"Ben trovata, nipote mia. Quanto tempo."