XV
Alcmene era in ansia e guardava con impazienza la scalinata che conduceva al pianoro dove si trovava il tempio del Toro. Aveva udito delle grida in lontananza e poi tre cosmi spegnersi. Un quarto si era molto indebolito fino a sparire quasi del tutto. Ora aveva la certezza che la nera marea lo avrebbe presto raggiunto. Era questione di attimi. Il suo pensiero andò ad Elettra e Pegasios. Che ne era stato di loro? Avrebbe voluto seguirli ma il suo posto era lì, alla seconda casa. Lì dove anche il maestro lo avrebbe voluto vedere in un frangente come quello.
D’improvviso si udì un picchettare sordo sui gradini e quattro Spettri di Ade fecero la loro comparsa alla base della scalinata che conduceva al tempio. Alzarono lo sguardo e videro la sagoma del cavaliere del Toro brillare d’oro alta sopra di loro. Esitarono un attimo poi uno di loro salì alcuni gradini e lo apostrofò così: "Cavaliere di Atena, cedi il passo se ti è cara la vita. Inarrestabile sarà la nostra corsa verso l’altura della dea."
"Inarrestabile dici?" con tono deciso Alcmene "Mi spiace comunicarti che siete infine giunti alla fine della corsa. Troppo avete osato e pagherete per questo."
"Abbiamo con noi un prezioso lasciapassare." fu la glaciale risposta.
Alcmene aggrottò la fronte: "Che intendi dire?"
"Lo scoprirai presto." E così dicendo salì altri gradini mentre i compagni lo seguivano. "Se sei saggio ci lascerai proseguire o la tua bionda amica potrebbe fare una brutta fine."
"Elettra…" Questo pensiero gli si insinuò nel profondo e lo turbò. "Che le avete fatto?"disse dando voce alla sua preoccupazione.
"Nulla per ora, ma dipende anche da te. Lasciaci passare e i nostri venerabili condottieri saranno gentili con lei." fu la sarcastica risposta. Poi rivolo ai tre compagni: "Coraggio, proseguiamo. Scommetto che questo custode dorato non rischierà di fermarci mettendo in pericolo la vita della sua amichetta."
Così detto i quattro si lanciarono su per la scalinata e in breve giunsero d’innanzi a lui. Alcmene se ne stava pensieroso a braccia conserte e sembrò non reagire. La sua mente stava evocando immagini di chi non c’era più e di chi, ora, forse era in estremo pericolo. I quattro Spettri ora erano proprio davanti a lui e suoi loro volti vi era l’espressione trionfante di chi sa che l’avversario non potrà loro nuocere. Ma il cosmo di Alcmene fu rapido a manifestarsi, come fiamma che rapida si ridesta, e ugualmente celere fu il gesto con cui distese le braccia mentre il suo spirito ardente dava forza ai sui propositi e si concretizzava in onde di luce.
"Per il Sacro Toro: Grande Corno!"
L’onda d’urto che scaturì dalle sue braccia e dalle sue mani investì in pieno gli avversari che restarono sospesi in aria per alcuni istanti, che parvero loro infiniti, mentre scariche dorate li percorrevano tutti da capo a piedi. Poco dopo cadevano rovinosamente lungo la scalinata che avevano percorso con tanta baldanza mentre le loro armature andavano in pezzi. I loro gemiti si spensero poco a poco mentre i loro visti si contorcevano in smorfie di dolore e agonia.
"Pare che tu abbia perso la tua scommessa, spettro." fu il laconico commento di Alcmene.
Il cavaliere rimase assorto per un attimo, poi una voce lo richiamò alla realtà.
"E dunque tu saresti un custode dorato." disse uno Spettro la cui armatura era adornata di vistose ali facendo la sua comparsa in fondo alla gradinata. "Vedo che questi incauti, che avevo mandato in avanscoperta, hanno fatto una brutta fine."
"La fine che merita chi assale il Santuario." disse Alcmene "Vuoi essere tu il prossimo?"
"Non credere che con me avresti vita facile, cavaliere."
"Sono pronto alla lotta se è questo che vuoi."
"No, il mio obiettivo è un altro. Non posso perdere tempo con te, vi è qualcosa che devo fare per il mio signore qui al Santuario."
Alcmene fu stupito da quest’affermazione e chiese: "Cosa dovresti fare al Santuario?"
"Oltre che abbatterlo, intendi?" disse sfoggiando un sorriso di scherno un altro Spettro comparso in quel momento. Alcmene tuttavia non prestava più attenzione alle sue parole perché ora vi era qualcos’altro che lo preoccupava: il nemico teneva ben stretta Elettra tra la braccia. La ragazza aveva il capo reclinato all’indietro.
"Che le avete fatto?" tuonò, mentre un gruppo di demoni attorniava i primi due.
Colui che per primo era apparso disse: "Nulla per ora, sta solo riposando. Purtroppo per lei strillava in modo fastidioso e ho dovuto provvedere. Ma la sua sorte sarà ben più terribile se non ci permetterai di proseguire. Subito."
"Vigliacco!"
"Perché te la prendi tanto?" fece il demone che la reggeva "Se il tuo compito è quello di fermarci non esiterai di certo, tu valoroso e fedele cavaliere di Atena."
Alcmene non avrebbe mia pensato di trovarsi in una situazione come quella. Il maestro perduto, gli amici caduti alla prima casa, il nemico sulla soglia e un ostaggio che ora lo tratteneva dal far scempio di loro. Sapeva quale fosse in quel momento il suo compito di cavaliere, tuttavia in quel frangente i dubbi erano davvero assai più delle certezze.
Clearco era davanti alla casa di cui era il custode. Il sole a picco stava facendo salire la temperatura ma lui sembrava non badarci. Nelle Case più in basso stava accadendo qualcosa di grave. Alcuni compagni erano caduti. Gli altri cavalieri d’oro tardavano a tornare. Uno non sarebbe tornato. Stava pensando a tutte queste cose quando avvertì un cosmo ampio e pacifico alle sue spalle.
"Voi qui?" disse voltandosi.
Policrate sorrise e rispose: "Quando il dovere chiama dobbiamo farci trovare pronti."
"Che intendete dire?"
Il Grande Sacerdote esitò un attimo prima di rispendere poi disse: "Non so, figlio di Palladio, se sia l’imminenza dello scontro con il nostro grande nemico, se sia la preoccupazione per i cavalieri partiti o quella per coloro che adesso sono sotto attacco qui, a poca distanza da noi, però tutto questo mi ha come riportato indietro, ai tempi della passata guerra sacra. E ho sentito rinascere in me l’impeto guerriero, impeto che avevo creduto sopito dal giorno in cui fui nominato Grande Sacerdote della dea. Il mio ruolo in quel momento cambiava, avevo altro cui pensare. Tuttavia ora non so starmene senza fare nulla. Il Santuario ha bisogno della massima difesa in questo momento. Tutti noi dobbiamo impegnarci in questo."
Clearco allora disse: "Intendete forse dire che volete impegnarvi in prima persona nel affrontare gli invasori?"
"Esatto, mio caro Clearco. Per questo motivo ho ritenuto mio dovere scendere a presidiare la Casa che un tempo fu mia. Lì gli Spettri di Ade mi troveranno a riceverli." Nella sua voce c’era una fierezza antica, temprata dalla consapevolezza e dalla maturità acquisita negli anni passati a stretto contatto con la dea.
"Posso farvi una domanda?" azzardò Clearco. Policrate annuì. "Ho come l’impressione che vi sentiate in colpa per aver mandato i Cavalieri d’Oro così lontano dal Santuario. Se è così, non dovreste. Fu una decisione che in molti approvammo. Il nemico sembra avere un piano preciso in mente anche se non ci è dato di sapere quale."
"E’ questo infatti che mi inquieta, Clearco." disse Policrate misurando le parole "Il non sapere come agire, il brancolare nel buio. Vedi" e si incupì "io credo che questa guerra sacra sarà la più pericolosa di tutte quelle combattute fino ad ora e non riuscire a decifrare le intenzioni del nemico mi spaventa non poco. E’ però vero del pari che qualcosa mi dice che l’aver mandato alcuni di voi in avanscoperta potrebbe avere una grande importanza."
"Quale, nobile Policrate?"
"La gente comune, sulle isole, lungo le coste e tra le montagne non poteva essere abbandonata ai capricci dell’esercito degli Spettri. Non potevamo permetterlo."
"Vi capisco benissimo. Cosa direbbero mai ad esempio gli ateniesi se nel momento del bisogno li lasciassimo soli? C’è bisogno di mostrare che i cavalieri di Atena sono loro vicini, così come lo è la dea stessa."
"Vedo che hai capito e condividi." Policrate appariva più sollevato. Si avviò verso il tempio della dea. Clearco, sorpreso, disse: "Credevo che voleste scendere alla decima casa!"
Il Grande Sacerdote si girò, tornò verso di lui, li posò le mani sulle spalle e disse: "Non ve ne è bisogno. Ho già qui un fidato compagno d’armi che può assolvere benissimo al compito della difesa. Combattere al tuo fianco sarebbe come tornare combattere con il tuo prode padre."
Clearco aveva gli occhi lucidi: "Per me sarebbe un onore."
Policrate annuì. "Ah, una cosa che ti farà piacere." disse senza preavviso: "Ho inviato Metoneo dell’Altare a vegliare sulla città."
Il volto di Clearco si illuminò: "Sono sicuro che saprà farsi valere. Ora andate, signore. Il vostro posto è vicino ad Atena. Vegliate su di lei. Resterò io di guardia qui."
"Allora, cosa decidi cavaliere?"
Alcmene sentiva crescere in se la rabbia. Che fare? Elettra era in pericolo ma cedere significava mettere in pericolo tutto il Santuario. Il suo compito era presidiare la seconda casa, non poteva cedere il passo all’invasore, non era questo che gli aveva insegnato il suo maestro. Il prezzo da pagare però si prospettava troppo alto. Perché aveva permesso ad Elettra di scendere fino alla prima casa? Si malediceva, e il vedere i demoni con quegli stolidi ghigni stampati sui volti non faceva che accrescere il suo furore.
"Sono stanco di aspettare una risposta!" disse con freddo distacco lo Spettro. "Vuoi davvero che la tua amichetta muoia per mano di Valentine, della Stella del Cielo delle Lacrime?"
Il cavaliere del Toro rispose prontamente: "E davvero, Valentine, tu oseresti colpire una fanciulla indifesa? A tal punto mancate di onore voi schiavi di Ade."
"Modera i toni, cavaliere." disse l’altro capo dei demoni.
"Puoi chiamarmi Alcmene."
Valentine trasalì: "Dobbiamo perdere ancora del tempo, Lune? Non lo vedi che ci prende in giro?"
"Non credo. Cerca solo di guadagnare tempo." Poi rivolto al cavaliere: "Ascolta, Alcmene cavaliere di Atena! Valentine ed io, Lune, della Stella del Cielo Eccellente, non siamo stati scomodati per nulla dalle nostre sedi abituali dal suo nostro sommo signore. Ci chiami schiavi ma ingiustamente. Se noi fossimo schiavi di Ade tu allora lo saresti di Atena. Della tua superbia o delle tue illusioni risponderai quando scenderai negli Inferi al cospetto dei giudici dell’oltretomba e allora potresti pentirti delle tue male parole. Vedrò di ricordare bene il tuo volto. Tuttavia mi sembri un guerriero sinceramente devoto alla causa della tua dea e ciò sarebbe ammirevole se quella causa non fosse in contrasto con quella, nobile e utile, del nostro nobile signore. E dato che credo tua sia pure avveduto, riconosci di non avere scelta e cedi il passo. Eviterai di dover scontare subito la tua resistenza con una fine atroce."
"E che cavaliere sarei se così agissi?"
"Un cavaliere ragionevole, ben più dei quattro poveracci che ci siamo lasciati alle spalle." s’intromise Valentine.
Alcmene avrebbe volute reagire sentendo evocare i compagni caduti, ma si trattene alla vista dei biondi capelli di Elettra, che lo Spettro reggeva tra le braccia. Si limitò perciò a dire: "Spiacente, la via è chiusa."
Lune scosse il capo: "Non avrei voluto arrivare a tanto, ma sei tu ad impormelo." Così dicendo srotolò una frusta "Questa che vedi è la frusta di Minosse e di tanti giri ti avvolgerà quante sono le tue colpe e i tuoi peccati. Già ha preso l’anima del cavaliere chiamato Realte. Una fine orribile ti attende, ma inevitabile a questo punto."
"Ti propongo uno scambio, Lune." disse Alcmene freddamente "Prendi me come ostaggio e lascia andare Elettra."
"E dovrei andarmene in giro per il Santuario di Atena portandomi appresso un Cavaliere d’Oro? Mi prendi per pazzo?"
"Perché? Non mi pareva che voi aveste dei timori reverenziali di fronte a un custode dorato."
Valentine gettò Elettra tra le braccia di Lune e disse: "Ora sono davvero stanco di starti a sentire, non abbiamo tempo da perdere! Te la vedrai con me." Si stava già preparando a caricare il colpo ma qualcosa lo prevenne. Un grido, poi un cosmo abbagliante e delle comete saettanti.
"Fulmine di Pegasus!"
Valentine fu investito in pieno ma resistette senza difficoltà all’attacco. Stava già per contrattaccare ma non aveva fatto i conti con la presenza di Alcmene: il custode della seconda casa si lanciò fulmineo sul gruppo degli assalitori e fu rapidamente addosso a Lune, il quale tuttavia riuscì a bloccare il suo pugno con una mano ma per farlo dovette quasi lasciar cadere Elettra che Alcmene afferrò per un braccio e lanciò in aria gridando: "Pegasios!" Il cavaliere risalì alcuni gradini, si lanciò in aria e afferrò la ragazza che stava cadendo di sotto cingendole la vita con le braccia, il tutto sotto gli occhi esterrefatti degli Spettri di Ade che non ci avevano capito un granché di quell’azione ratta e fulminea che li aveva colpi di sorpresa.
Nel frattempo Alcmene e Lune si affrontavano pugno contro pugno, gonfiando i bicipiti e guardandosi minacciosamente negli occhi. Valentine fece per lanciarsi sul cavaliere del Toro ma questi, con una rapita rotazione, fece sì di far trovare dinnanzi al demone dell’Arpia proprio il compagno Lune, che fu colpito violentemente alla schiena e dovette allentare la presa, dando modo ad Alcmene di divincolarsi. Per sua sfortuna però i demoni si erano parati tra lui e la seconda casa e gli furono addosso. Fu l’ultima mossa per molti di essi. La forza distruttiva del Grande Corno li investì da presso e mandò in pezzi le loro corazze, lasciandone numerosi a terra, senza vita. Pegasios aveva delicatamente posato a terra Elettra e ora si stava lanciando con ardore verso Lune, Valentine e i nemici superstiti per evitare che colpissero il compagno alle spalle, ma fu inutile. Valentine aveva già affondato il colpo.
"Brama dell’anima!"
Alcmene subì il colpo da distanza ravvicinata e gli parve di essere trapassato da parte a parte. Fu solo un’impressione perché la sacra armatura d’oro lo protesse in modo molto efficace, salvandogli la vita. Tuttavia le scintille violacee che lo avvolsero bastarono a fargli perdere i sensi ed egli crollò pesantemente sui gradini di pietra.
"Alcmene!" gridò Pegasios.
Lune se lo vide comparire davanti e non ebbe esitazioni, caricando un destro e sferrando un colpo micidiale in pieno volto all’eroe il cui elmo andò in pezzi mentre egli precipitava all’indietro cadendo molti metri più in basso.
"Ce li siamo levati di torno." disse ansimando Valentine.
"Così parrebbe" rispose Lune "La loro rapidità d’azione ci ha colpi di sorpresa. Questi cavalieri di Atena sono formidabili, dobbiamo riconoscerlo. Ora tuttavia sono fuori gioco, anche se ancora vivi. Dobbiamo dare loro il colpo di grazia."
"Venerabile Lune" azzardò l’altro "forse è invece il caso di proseguire oltre. Non credo troveremo altri ostacoli. Lasciamo che siano gli Spettri ad occuparsi di loro."
Lune si fece pensieroso poi replicò: "In fondo la nostra missione è recuperare un oggetto di grande valore e questo ci costerà molte fatiche. Forse hai ragione, il più è fatto e non ha senso sprecare energie qui quando ne avremmo bisogno su al Tempio. Affrettiamoci." E rivolto ai pochi Spettri superstiti: "Occupatevi di Alcmene. Vi darò io un aiuto."
Si pose vicino al cavaliere, riverso a terra, e protese una mano verso di lui mentre i suoi occhi s’illuminavano di una luce sinistra: "Specchio delle Colpe!" Un’aura argentata avvolse Alcmene.
"Bene." disse Lune rivolto agli Spettri mentre si allontanava velocemente assieme a Valentine "Ora il tormento delle sue colpe e dei suoi peccati tormenterà la sua anima fino ad annientarlo. Quand’anche dovesse riprendersi non avrete difficoltà a sbarazzarvi di lui. Finitelo!"
I Demoni si avvicinarono minacciosi al cavaliere d’oro. Si sarebbero riscattati dalle precedenti brutte figure. Già stavano per passare all’azione quando una voce intimò loro di fermarsi.
"Perché non ve la prendete con me, piuttosto. Abbiamo un conto in sospeso." disse con determinazione Elettra, destatasi proprio nel mezzo della battaglia.
"Con te, signorina?" la derise uno.
"Ti sei già dimenticata come ti dimenavi inutilmente prima tra le braccia di Lune e Valentine?" aggiunse un altro per schernirla.
Elettra si passò la mano tra i biondi capelli che scintillavano al sole e si preparò a sferrare un attacco. "E voi, sciocchi, credere forse di essere all’altezza delle vostre guide? La vostra scalata si arresta qui, dove il possente Alcmene è padrone."
"Padrone ancora per poco! Presto l’oscurità si prenderà anche lui. Preparati a raggiungerlo!" E si lanciò in un attacco frontale. Elettra lo evitò con un salto e atterrò qualche gradino più in basso. Già un altro si faceva aventi, ma l’agile Colomba lo schivò con facilità piroettando e sferrando nel contempo un calcio ben piazzato sulla schiena dell’avversario che cadde malamente.
"E’ un Cavaliere d’Argento di Atena quello che avete di fronte, non dimenticatelo!" disse con decisione la ragazza.
"E allora prendi, donna!" disse uno dei demoni sferrando un attacco energetico ad ampio raggio. Elettra questa volta non riuscì ad evitare completamente l’attacco, tuttavia si sbilanciò appena e fu subito pronta a riprendere il combattimento.
"Com’è possibile?" fece il demone.
"Merito dell’armatura d’argento della Colomba." disse soave Elettra "Dopo le armature d’Oro quelle d’Argento sono le più resistenti e già in passato hanno protetto valorosi cavalieri. Ma è fondendo con esse il proprio cosmo che possono rivelarsi straordinarie e portare a compiere grandi imprese. Per questo sono stata addestrata. E ora capirete cosa intendo dire." Elettra aprì le braccia e le sollevò fino a portarle all’altezza delle spalle, tenendo le palme rivolte all’indietro. "Volo della Colomba!" Un’energia cosmica che disegnava un come un paio d’ali argentee nell’aria si staccò da lei e investì i due che per primi l’avevano attaccata, piegandoli in due. Poco dopo la ragazza sfrecciava oltre i suoi avversari che cadevano al suolo, annichiliti e sconfitti.
Elettra, riportando le braccia in posizione di riposo e aprendo gli occhi disse: "Siete poca cosa senza le vostre guide. Mai avreste avuto ragione dei nobili Cavalieri d’Argento senza l’aiuto di Lune e Valentine. E quindi" disse con decisione ed ira ripensando ai compagni caduti "preparatevi a subire la mia colleta perché ora è il vostro turno di essere spazzati via!"
In quel momento si udì una voce dal basso: "Posso combattere al tuo fianco, Elettra?" Pegasios, asciugandosi un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte si portò a fianco dalla fanciulla d’argento. "Coraggio, annientiamoli e poi andiamo a riprendere gli altri due farabutti."
Elettra fece un cenno col capo.
Poco più in là Alcmene, riverso a terra in stato, era percorso da un fremito.
"Facciamo presto, Pegasios." disse Elettra con decisione. Pegasios guardava il Cavaliere d’Oro senza di motto.
Elettra, preoccupata, continuò: "Credo sia stato il colpo dello Spettro chiamato Lune a ridurre così Alcnmene. Guarda come è scosso da tremiti. Sembra che gli abbia indotto degli incubi, o qualcosa del genere. Certi cavalieri, come ben sai, possono agire sulla psiche e si tratta di colpi spesso assai più insidiosi di quelli fisici."
Pegasios gettò un’altra occhiata all’amico, poi disse determinato: "Credo tu abbia ragione ma ora abbiamo altro di cui occuparci.
Alcmene stava correndo dentro la fitta pineta. Dietro di lui udiva le voci delle sorelle che lo chiamavano, impaurite e disperate. Che tiro meschino stava giocando loro. Le aveva condotte sulle pendici del monte Araneo, promettendo di mostrare loro una sorgente abitata dalle ninfe. D’un tratto, senza preavviso, le aveva piantate in asso e si era buttato a perdifiato giù per il pendio. Chissà che spavento, chissà che paura stavano provando ora quelle pestifere femminucce urlanti. D’altro canto non ne poteva più. Alcmene bada alle tue sorelle, Alcmene vai a prendere l’acqua per le tue sorelle, Alcmene accompagna le tue sorelle al santuario, ora vai a prenderle… La mamma, con la scusa che lui era il fratello maggiore, gli affidava sempre la cura delle sorelline e mille altre incombenze. Da quando suo padre era morto era dura per una giovane mamma mandare avanti una famiglia di cinque persone. Ma non poteva cadere tutto sulle sue spalle. La mamma lavorava duro, era vero, ma lui era poco più che un bambino. Non ce la faceva più. Ora quelle tre femminucce urlanti si sarebbero prese un bello spavento e dopo forse non lo avrebbero più infastidito. D’improvviso si trovò di fronte un uomo dallo sguardo severo, avvolto in un nero mantello.
Un momento, si disse Alcmene, io non mi ricordo di quest’uomo…
L’uomo si mosse verso di lui con aria minacciosa. "Sei un malvagio, nel profondo del tuo cuore, ammettilo!" "Non è vero!" disse Alcmene esitante. "Hai abbandonato le tue sorelle nel bosco. Si perderanno e la colpa sarà solo tua. Sei un mostro! Tua madre si strapperà le vesti dal dolore e non vorrà più vederti. Sei il bambino più malvagio che sia mai vissuto." proseguì la figura con tono accusatore. Alcmene scoppiò a piangere. "Ma le mie sorelle torneranno a casa!" gridò. Il suo urlo parve perdersi nel vuoto. Nel frattempo il dubbio si insinuava nel profondo del suo cuore. "Tu sei un malvagio! Guarda cos’hai fatto… Devi sprofondate nel Tartaro, tra le ombre dei dannati!" seguitò l’uomo.
Tutto questo non aveva senso, si disse Alcmene. Non voleva abbandonarle davvero. Era solo uno scherzo. E poi non ricordava… Alcmene non ricordava quell’incontro! Non aveva incontrato nessuno quel giorno. Ai pianti disperati delle sorelle, pentitosi, era tornato sui suoi passi quasi subito e le aveva portate a casa. Ma allora quella nera figura… No, non era reale. Un inganno, un imbroglio, un’ombra, uno spettro… Spettro… Sì, ora ricordava. La seconda casa. L’attacco. Lune. Quel suo incubo di bambino non era reale. Le sue colpe… Sì, si era comportato male a volte, ma non ricordava di aver mai fatto soffrire nessuno volontariamente, dopo quella volta che aveva quasi fatto perdere le sue sorelle nel bosco e la mamma lo aveva rimproverato in modo severo; non lo avrebbe fatto mai più e mantenne la parola.
Elettra si esibì in un ultimo calcio volante mentre l’aura argentata del suo cosmo la avvolgeva. Poco dopo l’ultimo degli Spettri ancora presente alla seconda casa cadeva a terra, privo di vita. Poco più in là Pegasios aveva da poco finito con il proprio avversario e si stupiva assai del fatto che nel volgere di poco tempo i suoi attacchi si fossero fatti via via più incisivi.
"A cosa pensi, Pegasios?" Lo riscosse Elettra.
"Nulla." rispose "Ora però occupiamoci di Alcmene. Non si è ancora destato.
Alcmene si riebbe proprio in quel momento e si mise a sedere. Stava sul piazzale di fronte alla seconda casa ed Elettra e Pegasios lo guardavano sorridenti. "Stai bene, Alcmene?" chiese Elettra premurosa.
Alcmene si alzò e disse sorridendo: "Era solo un incubo. E’ passato."
"E allora occupiamoci di minacce più concrete." disse sorridendo Pegasios.
Alcmene lo fissò. Poteva sembrare assurdo ma gli pareva cambiato da quando lo aveva veduto l’ultima volta, eppure era stato solo poco prima, quando l’attacco al Santuario aveva avuto inizio. Vi era in lui una nuova forza, più determinazione. "Sei ferito." disse notando tracce di sangue sul suo viso.
Il ragazzo non poté fare a meno di sorridere: "Mi sono preso un bel pugno in faccia, fortuna che l’elmo ha fatto il suo dovere. Ora però dovrò combattere senza!" E si scompigliò i capelli con la mano.
Non ha importanza, ragazzo, pensò Alcmene. Hai perduto l’elmo ma ne hai guadagnato in esperienza. La tua testa è priva di difese ma si è rafforzata, e non poco credo, la tua mente.