XIV

 Archelao correva all’impazzata in direzione dell’Argolide. I tratti tristi e desolati della penisola di Mani erano lontani, ma ancora là indugiava il suo pensiero, in quelle grotte dov’era rimasto il maestro. Da un po’, tuttavia, un altro pensiero si era sovrapposto al primo, più angosciante e terribile: un’aura oscura sembrava incombere da qualche parte là a nord ed il cavaliere sapeva in cuor suo che non poteva trattarsi che di un attacco al Santuario. Doveva fare presto.

Pisandro avvertì una sensazione di freddo. Si rese conto di essere senza armatura e di avere la schiena appoggiata sulla nuda terra. Avvertiva un dolore nella parte sinistra del petto e qualcosa di freddo e metallico gli pesava sull’addome. Aprendo gli occhi vide che Kyriakos era prono su di lui, svenuto. Allungando la mano gli sfiorò la testa e lo chiamò. Quello si riscosse e lo fissò, poi abbassò lo sguardo e toccandogli il petto con la destra disse: "E’ rimarginata."

Il Leone si tirò su e si mise a sedere. "Mi sembrava che il mio cuore stesse per scoppiarmi nel petto. Kyriakos, tu mi hai salvato!"

"Ma non da solo." rispose alzandosi in piedi. "Pelopida…" sussurrò e non poté fare a meno di incrociare lo sguardo con Pisandro e leggere lo sgomento nei suoi occhi, che si andavano riempiendo di lacrime.

Con una mano il giovane leone si coprì il viso e singhiozzando disse solo: "Maestro mio…"

Kyriakos tornò col pensiero ad altri giorni tristi vissuti a fianco di compagni, a loro volta caduti. Troppi ne aveva visti cadere e troppi, forse, ne avrebbe visti cadere ancora. Gli pesava quell’essere stato messo in trappola, quell’essere stato costretto a scegliere tra il vecchio compagno d’armi e il suo giovane allievo. Aveva fatto la cosa giusta? Certo, così aveva voluto Pelopida e in quel momento gli era parsa l’unica scelta possibile. Avrebbe potuto, in qualche modo, salvare il cavaliere dei Pesci? Avrebbe potuto non doverlo lasciar solo nel momento decisivo? E avevano condotto lo scontro al meglio? E come poteva, un solo Spettro aver avuto ragione, o quasi, di tre Cavalieri d’Oro? Questo pensiero lo tormentava e accentuava ulteriormente il suo senso di impotenza.

Lo riscosse la voce di Pisandro: "Kyriakos" fece asciugandosi le lacrime "il Santuario ha bisogno di noi. Forse dovremmo tornare…" Il suo cosmo brillò e la sacra armatura del Leone tornò a disporsi sul suo fisico atletico.

"Torneremo" disse Kyriakos grave "Hanno bisogno di noi, ora come non mai. Affrettiamoci."

Pisandro annuì. "Maestro, nel vostro ricordo combatterò." mormorò mentre iniziava a correre.

Clearco era ancora sbigottito per il cosmo che aveva sentito spegnersi. Gli bastò tuttavia alzare gli occhi su Atena per leggere sul volto della dea tutta la sua tristezza e per rendersi conto che ciò che temeva era avvenuto. Un amico, un compagno d’armi era caduto. Una persona che lui aveva conosciuto quando, ancora bambino, il padre lo conduceva per mano tra i templi del Santuario.

In quel momento Policrate entrò nella sala. Chi lo avesse conosciuto anni addietro avrebbe senza dubbio riconosciuto in lui l’antico spirito guerriero che ora sembrava prevalere sulla consueta flemma del Grande Sacerdote di Atena.

"Mia signora" la voce cercava di non tradire emozioni "credo che siamo sotto attacco, avrete udito pure voi quest’oscura presenza, giù alla prima Casa."

Atena, il capo chino, il volto parzialmente nascosto dai capelli, disse: "Così è, mio fedele Policrate."

"Temo ci sia dell’altro." e qui la sua voce si incrinò "Vorrei tanto sbagliarmi ma credo di aver avvertito il cosmo di uno dei Cavalieri d’Oro spegnersi…"

Clearco guardava Atena come impietrito e ciò che udì fu un colpo durissimo.

"Il leale e devoto Pelopida è caduto. E non abbiamo nemmeno il tempo di onorarlo e ricordarlo come merita perché il nemico, dopo averci così duramente colpito nell’animo, ora ci porta un attacco diretto." Poi, guardando un punto lontano e indefinibile: "Cavalieri, Pelopida vi guarda dai Campi Elisi, battetevi e onorate con le vostre azioni la sua memoria."

"Per te, amico mio." disse Clearco riscuotendosi. "Mia dea, col vostro consenso mi dirigo alla prima Casa. In nome di chi è caduto non permetterò a nessuno di arrivare fino a voi."

"No, Clearco, il tuo posto è altrove e lo sai. Comprendo il tuo stato d’animo e il tuo desiderio di lotta ma devi fidarti dei Cavalieri d’Argento e di Alcmene che presidiano le prime Case."

Policrate aggiunse: "Figlio di Palladio, ora che Pelopida è caduto sulle tue spalle ricade il compito di essere l’ultimo baluardo a difesa del Tempio della Dea."

"E’ un onore per me accettare questo compito, nobile Policrate."

Policrate si avvicinò al più giovane compagno e disse: "Sono certo che lo svolgerai al meglio, anche se vorrei che tale compito risultasse superfluo. Tuttavia, ascolta, la battaglia sta già infuriando."

Atena mormorò tra sé e sé: "Siate prudenti, cavalieri."

Un alto grido si levò, cupo e terribile, davanti alla prima Casa.

"Alcmene!" disse deciso Pegasios "Guidaci alla battaglia!"

Il cavaliere d’oro era immobile davanti al tempio. L’armatura lo rendeva ieratico e imponente al tempo stesso, ma il suo viso era solcato da una lacrima furtiva che scintillava alla luce del sole. Dei presenti solo Elettra si accorse della cosa e dominando la tensione per quanto stava accadendo gli si avvicinò e con dolcezza gli sfiorò una mano. Alcmene si volse a lei e sorrise amaro.

"Elettra, Alcmene" s’intromise Miklos "che facciamo?"

"Dobbiamo andare alla prima Casa." ruggì Pegasios.

"No, il vostro posto è qui." disse Alcmene. "I cavalieri d’Argento sapranno sostenere lo scontro. Dopodiché la difesa sarà nelle mie mani. A voi cavalieri di Bronzo il presidio delle Case superiori qualora le difese non dovessero reggere."

"Stai dicendo che ci dobbiamo ritirare?"

"Sto dicendo che dovete agire al meglio."

"Ritirandoci? Non perdiamo tempo, Alcmene, la battaglia infuria!" ribatté Pegasios concitato.

"Pegasios, no!" disse Elettra imperiosa "Non ha senso buttarsi allo sbaraglio."

Un altro urlo lacerante fece sobbalzare i loro cuori.

Pegasios si avviò di corsa lungo la scalinata, poi si fermò di scatto e disse: "Perdona, Alcmene, ma laggiù dei compagni stanno combattendo per Atena e voglio dar loro manforte." E si allontanò.

Alcmene si rivolse allora ad Elettra: "Ti prego, riportalo indietro. Io non mi posso muovere di qui e tu lo sai. Fa in modo che quest’amara giornata non mi strappi un giovane compagno d’armi, che mi era stato affidato, dopo avermi privato di chi è stata la mia guida per lunghi anni."

Elettra, annuendo, si lanciò all’inseguimento di Pegasios.

Miklos, frastornato, non sapeva più cosa pensare. "Alcmene, chi ci è stato strappato?"

"Il cavaliere dei Pesci, il mio maestro Pelopida, è caduto. Pure in sua memoria difendiamo il Santuario e la Dea. Presto, corri alla terza Casa."

Pegasios percorse la distanza tra la seconda e la prima casa quasi volando. Entratovi, l’eco prodotto dai suoi schinieri che cozzavano sul pavimento del tempio dell’Ariete sembrò dilatare il tempo e lo spazio che lo separavano dall’ingresso, luminoso davanti a lui in fondo al naos. Sbucò nel pronao e poco dopo si ritrovò fuori, oltre il colonnato, in pieno sole. Gli occhi ci misero un po’ a riabituarsi alla luce ma quando la visione si fece nitida il giovane cavaliere, fiero e sprezzante del pericolo, che sarebbe stato pronto ad affrontare un esercito intero per dimostrare il suo valore e difendere la sua dea, sentì rivoltarsi lo stomaco per ciò che vide davanti a lui.

Un gruppo di guerrieri, una quindicina forse, sfoggiava armature nero lucenti che scintillavano al sole, armature i cui elementi ricordavano demoni e mostri quali arpie, furie, chimere e altre creature che il giovane cavaliere non avrebbe saputo riconoscere. Due di loro, che parevano i capi, stavano qualche metro avanti. I loro capelli erano talmente chiari da sembrare bianchi, le loro corazze si distinguevano dalle altre per le ali che le adornavano e che rendevano ancora più inquietante il loro aspetto. Ai loro piedi l’orrore aveva trovato compimento nella sua forma più crudele, in un modo che Pegasios non avrebbe saputo immaginare se non l’avesse veduto con i propri occhi.

Yarios della Coppa giaceva riverso sulla schiena. Frammenti della sua corazza d’argento erano sparsi tutt’intorno; il pettorale era stato sfondato, le braccia erano segnate da profonde lacerazioni, rivoli di sangue si stavano già seccando nella calura che aumentava. Gli occhi, aperti, sembravano fissare un punto indefinito nel cielo limpido. Poco più in là vi era una pozza di sangue che era Realte di Cefeo, o meglio ciò che ne rimaneva. Pezzi della sua corazza erano volati lontano anche molti metri; e con essi i resti delle povere membra del cavaliere, che sembravano essere stati sparsi da un’invisibile mano sul piazzale. L’elmo di Cefeo, macchiato di sangue, stava proprio ai piedi di Pegasios.

Era quello il sacrifico estremo cui tendevano, da secoli, i Cavalieri di Atena? Tanto costava impegnarsi fino all’estremo in battaglia? Così orribile e mostruosa poteva essere la lotta per la pace e la giustizia? Così spietati i nemici? Pegasios aveva sovente immaginato che i combattimenti sublimassero l’essere umano, che lo opponessero ad un avversario ma in modo leale. Uno scontro avrebbe potuto essere duro, mortale anche, ma avrebbe dovuto avere dei connotati umani. Dov’era l’umanità in tutto questo? E la gloria, la voglia di combattere e vincere, potevano davvero portare a tanto? Era infine quello il destino ultimo di chi scendeva in battaglia? Ciò che non aveva mai immaginato, quando sognava di diventare cavaliere di Atena, si era materializzato in modo mostruoso davanti ai suoi occhi. In quel momento Pegasios comprese cosa significassero davvero la guerra e i suoi orrori e cosa potesse comportare essere cavalieri della dea della guerra e della saggezza.

"Ragazzo… Scappa, mettiti in salvo!" Una voce lo ricosse. Dimione del Centauro si stava rialzando da terra sputando sangue. "Sono al di sopra della nostre possibilità… Avverti Alcmene e il Grande Sacerdote, io li tratterrò per quanto potrò."

"No, Dimione, io resto al tuo fianco!" Guardò con orrore attorno a se i resti dei due cavalieri che già erano caduti. "Avrei voluto combattere a lungo a fianco dei più valorosi cavalieri di Atena, meritarmi la loro stima e contribuire a diffondere il messaggio di speranza e giustizia che la dea ci ha affidato, ma se il Fato ha deciso che la mia parabola di soldato debba concludersi appena iniziata, ebbene, se pure a malincuore, l’accetterò. Ma non fuggirò davanti a quest’orrore, non mi è stato insegnato ad abbandonare la lotta e nemmeno i miei ideali. Né tanto meno posso abbandonare un compagno in difficoltà!"

"Pazzo, fuggi. Non buttare via la tua vita."

"No, morirò al tuo fianco per difendere il Santuario, se necessario!"

In quel momento il colpo energetico di uno dei due demoni dai capelli chiari colpì Dimione.

"Basta con queste parole inutili. Noi abbiamo una missione da compiere." disse mentre il cavaliere d’argento, catapultato indietro, cadeva ai pedi di Pegasus.

"Dimione!" gridò il ragazzo.

L’uomo aprì gli occhi e a fatica disse: "Lascialo a me… Fuggi e avverti gli altri… Dì alla dea che Yarios, Realte e Dimione hanno compiuto il loro dovere… che non sono arretrati di fronte ai loro nemici…" si rialzò con uno sforzo supremo, ma era malfermo sulle gambe "Sei un ragazzo in gamba, Pegasios… corri veloce come il vento, coraggio!" e si lanciò all’attacco.

"Stolto!" rispose il nemico "come speri di mettermi in difficoltà?" e spiegando le ali si lanciò sull’avversario e il suo destro colpì in pieno il cavaliere d’argento che rispose del pari. Un lampo violaceo che sfavillava in saette luminose e un turbine d’argento si mescolarono in aria attorno ai due contendenti. Poi le tenebre ebbero la meglio, l’armatura d’argento cedette e Dimione fu colpito in pieno stomaco, si piegò su se stesso, vomitò sangue e cadde riverso a terra, senza vita.

Il guerriero che lo aveva abbattuto scosse la testa: "Eri ardimentoso, Dimione del Centauro, ma avventato." Poi rivolto a Pegasios: "Ragazzino, se non vuoi fare la fine del tuo compagno, cedi il passo. Prendere il Santuario ci preme, non la tua vita."

Pegasios realizzò di essere diventato l’estrema difesa del tempio di Atena e si sentì come lo scoglio più esposto alla furia del mare durante una tempesta.

"Lascialo a noi!" fece un guerriero smilzo guardando Pegasios con gli occhi iniettati di sangue "Non è giusto ce vi divertiate solo voi a fare a pezzi i guerrieri di Atena!" Tre compagni si fecero avanti e si diressero verso il cavaliere.

L’altro demone dai chiari e fluenti capelli intervenne: "Siamo qui per conquistare il Santuario in nome del nostro signore, non per abbandonarci in stupidi giochetti, non dimenticatelo. Tu, ragazzo, se hai un po’ di senno vattene, non c’è nulla che tu possa fare. E non ostacolandoci forse un domani ti guadagnerai il perdono del Signore degli Inferi." Rivolto infine alla sua truppa: "Voi, con me. La via è libera."

"Aspetta!" gridò Pegasios "Che me ne faccio del perdono del tuo signore se per ottenerlo devo tradire la fiducia di Atena? Un cavaliere della dea combatte, questo mi hanno insegnato."

"Ti ho generosamente offerto una possibilità di salvezza ma tu l’hai rifiutata. Sei uno sciocco."

"Sono Pegasios di Pegaso, cavaliere di bronzo al servizio della dea Atena! Per lei combatto e non cederò il passo a voi demoni di Ade!"

"Pegasios…" mormorò l’uomo dai lunghi capelli. "E sia. Sbrighiamoci ora!" Una dozzina di neri demoni si diressero assieme a lui verso la prima Casa e sparirono al suo interno.

Pegasios fece per seguirli ma lo smilzo demone gli si parò dinnanzi. "Dove credi di andare?"

"L’unico posto dove puoi andare sono gli Inferi, dove ti hanno preceduto quei tre miserabili!" fece un altro dalla corazza adorna di spuntoni.

In un baleno, senza che quasi potesse reagire, i tre gli furono addosso e sentì due pugni raggiungerlo in pieno stomaco, dove la corazza non lo proteggeva. Cadde a terra ma un calcio lo fece volare all’indietro e con pesantezza di nuovo fu a terra. Udì una voce dire: "Finiamolo."

Possibile che quei nemici si muovessero con tale rapidità? Quasi non li aveva visti. L’armatura, che avrebbe dovuto infondergli energia e potenziare il suo cosmo, pareva ora un inutile peso, che limitava i suoi movimenti. Gli venne in mente quando il maestro, dopo una dura giornata di allenamento, aveva lodato la sua agilità e la sua velocità, definendole non comuni. Che ne era di quelle sue doti, di cui tanto andava fiero? Era solo l’orrore per quanto visto ad averlo reso impacciato e prevedibile o forse gli avversari erano fuori portata? O il fatto che tre Cavalieri d’Argento fossero stati spazzati via con irrisoria facilità stava a indicare inequivocabilmente che l’esercito di Ade era più potente di quello di Atena? No, non poteva essere, almeno i Cavalieri d’Oro avrebbero dato filo da torcere a quei demoni. Pesante, fiacco, annichilito e prossimo ad essere vinto Pegasios si disperò per aver visto svanire, nel giro di pochi attimi, molte delle sue certezze. Ma assai di più gli pesava un’altra cosa, il non poter dire di aver mai lottato, neanche una volta, per Atena. Non aveva mai usato il suo colpo, quello per cui si era allenato ore, giorni, mesi che gli erano parsi interminabili. Anni lunghi eppure volati via, dure fatiche vanificate da pochi attimi di combattimento. No, non poteva finire così. Gli parve di vedere Astylos rimproverarlo. Ne avrebbe avuto tutte le ragioni. Che fatica per lui allenare due allievi e vederne uno cadere miseramente al primo ostacolo. E Atena? Lo aveva visto lanciare proclami di battaglia quel giorno in cui si era levato in piedi nella sala meritandosi il biasimo del Grande Sacerdote e dei Cavalieri d’Oro. Erano state solo vuote parole? Questo avrebbe pensato la dea. No, non poteva finire così. Per Astylos, per l’amico Archelao, che erano lontani, chissà dove. Per Atena, che ora stava nelle sue stanze, vicina eppure lontana.

Sentì il suo corpo pulsare e il suo cosmo accendersi d’improvviso. Aprì gli occhi e vide che i tre demoni lo stavano picchiando a sangue. Avvertì dolore e fitte ai fianchi, alle braccia e alle gambe. Forse sarebbe morto, questo sì, ma avrebbe lasciato un segno. Non sapendo neanche come, rotolò di fianco, si levò in piedi barcollante, caricò il suo pugno di energia cosmica e gridò con quanto fiato aveva in gola: "Per Atena! Fulmine di Pegasus!"

Una selva di colpi che si azzurravano nell’aria scaturì dal suo pugno e colpì uno dei tre esterrefatti avversari, che ormai credevano di averlo sopraffatto, e lo fece cadere all’indietro mentre schegge di nera armatura si staccavano. Gli altri due però furono lesti a reagire e in un balzo gli furono addosso. Pegaios, che aveva consumato molte energie ed era stato indebolito dal precedente pestaggio, non poté evitarlo e avvertì prima uno spuntone metallico penetrarlo nel bicipite poi un pugno come sfondargli la gabbia toracica. Credette di perdere i sensi e si trovò disteso a terra, mentre dall’arto ferito il sangue fluiva copioso. Cercò disperatamente di raccogliere le energie residue ma gli parve che lo sforzo fosse vano. Poi udì quel grido nell’aria.

"Maledetti, lasciatemi!" La voce di Elettra. Elettra? Possibile che… Doveva averlo seguito e gli Spettri di Ade l’avevano intercettata dentro la prima Casa. A quelle grida fu come se qualcosa ardesse in lui e le forze che sembrava non avere più scaturirono da ogni fibra del suo corpo. Di colpo le sue tredici stelle guida si incendiarono e Pegasios diventò finalmente il cavaliere di Pegaso. Un’aura cosmica scintillante lo avvolse e la sua corazza sembrò brillare di luce propria.

"Ma tu dovevi essere già morto!" urlò il demone che per primo lo aveva sfidato.

"Non ho tempo di morire adesso. Elettra resisti! Levati di mezzo! Fulmine di Pegasus!" Il colpo si riversò sugli avversari con un impeto assai maggiore del primo. Un elmo andò in pezzi sotto la furia delle tredici stelle di Pegaso e l’avversario cadde a terra grondando sangue dalle bocca, mentre l’altro che si proteggeva con le braccia, vide andare in pezzi numerosi dei suoi spuntoni.

"Non illudetevi, il duello è solo rimandato!" gridò Pegasios prima di lanciarsi in una folle corse verso il tempio. Colpiti nell’orgoglio e stupefatti da tale improvvisa resurrezione i due demoni superstiti, ridotti a mal partito dal fulmine, rimasero inchiodati sotto il sole cocente.

Pegasios sparì nel pronao gridando: "Elettra!" attraversò come un fulmine la prima casa poi, giunto in prossimità dell’uscita, si arrestò di colpo. Il gruppo degli Spettri che aveva preso d’assalto il Santuario di Atena stava immobile attorno a quelli che figuravano essere i due capi. Uno di loro tratteneva per le braccia Elettra, che si dimenava per divincolarsi dalla presa. L’altro avvicinò il volto al suo e disse senza tanti preamboli: "Ora tu ci condurrai senza fare storie attraverso i dodici templi fino al cospetto della dea. Vedrai che i cavalieri non oseranno fermarci finché avremo te come ostaggio."

"No!" gridò Elettra "Sei un illuso se credi che i difensori del Santuario tratterranno la loro mano per salvare me!"

"Staremo a vedere. Se avessero visto come abbiamo ridotto i quattro disgraziati che abbiamo incontrato cederebbero il passo senza fare tante storie sapendo cosa ti potrebbe capitare."

"Che avete fatto ai Cavalieri d’Argento e a Pegasios?" disse con angoscia.

Una risata si levò dal gruppo finché una voce disse: "Ne abbiamo fatto concime per i vermi!"

"I soli vermi siete voi!" urlò Pegasios palesandosi "Lasciatela andare o dovrete subire la mia ira."

"Ancora tu." mormorò il guerriero che aveva sconfitto Dimione.

"Sì, ancora io. Sei sorpreso, eh?"

"Evidentemente quei tre idioti ti hanno sottovalutato. Ora però sono stanco di giocare. Penserò io a te." disse facendosi largo tra i compagni.

"Mio signore perdonate…" fece la voce del demone alto e magro che aveva capeggiato il combattimento contro il cavaliere di bronzo apparendo in quell’istante. Un compagno, barcollante e con l’armatura scheggiata, lo seguiva da presso.

"E così avete fallito!"

"Concedeteci un’altra possibilità!"

"E tutto vostro. Noi abbiamo una preda migliore tra le mani. Una preda che ora ci condurrà docile docile fino al cospetto della dea Atena."

"Scordatelo!" rispose Elettra furiosa.

"Ora basta, sono stufo delle vostre parole!" urlò Pegasios "Fulmine di Pegasus!" e partì all’attacco a testa bassa. Lo Spettro che lo fronteggiava spiegò le sue ali e sparì in altro, tra ombre del soffitto del tempio. Quando riapparve Pegasios ebbe il tempo solo si fare un paio di passi indietro prima di essere investito dal suo avversario che colpendolo con un calcio all’addome lo inchiodò a terra.

"Impara a stare al tuo posto miserabile." disse con disprezzo.

"Pegasios!" gridò Elettra.

Il ragazzo si sollevò a fatica ma fu subito circondato dai due che lo avevano assalito all’esterno.

"Ora finiremo il lavoro." fece acido uno dei due. Nello stesso istante il resto della schiera si allontanava portando con se Elettra che si dimenava inutilmente e gridava invano il nome del cavaliere di bronzo.

Pegasios, purtroppo, aveva altro cui pensare. I due sciacalli si erano lanciati su di lui con rinnovato vigore. Il primo cercò di colpirlo con un calcio volante, ma lui riuscì a schivarlo, il secondo approfittò del suo essere sbilanciato per colpirlo al fianco e lo fece gridare di dolore. Nel contempo però il Fulmine di Pegasus era già stato scagliato e investì in pieno uno degli avversari che parve tuttavia uscire illeso: "Eri sbilanciato, non avevi sufficiente potenza e precisione per colpirmi a fondo."

"Ne sei sicuro?" replicò il giovane.

Il demone restò interdetto poi vide delle sottili crepe allargarsi sulla sua nera corazza. Poi gli parve che un pugno enorme lo avesse colpito in pieno petto, sputò sangue e si accasciò al suolo, senza vita.

"Maledetto!" gridò il demone dagli acuminati speroni. Avvitandosi su se stesso scattò come un turbine verso di lui e lo colpì con ripetuti calci.

"Cosa speri di fare?" disse Pegasios ansimante "Ormai conosco i vostri attacchi e non basteranno certo un paio di calci a vincermi." Parando i colpi con il braccio destro riuscì a difendersi in modo efficace anche se numerose ferite si aprirono dove il bracciale non proteggeva l’arto. D’improvviso passò al contrattacco lanciando il suo colpo con la sinistra. L’avversario, sorpreso, non poté evitarlo e il pugno di Pegasios lo colpì in pieno viso. Rovinando a terra gemette: "Sei un demone…"

"No, i demoni siete voi. E vi spazzeremo via dal Tempio!" replicò orgoglioso il ragazzo.

"Non esserne così sicuro!" disse stridulo lo smilzo che aveva dato il via allo scontro. "Ora vedrai la vera forza di uno Spettro di Ade!"

"In guardia, demonio!"

"Latrato infernale!"

"Fulmine di Pegasus!"

I due si ritrovarono come fermi a mezz’aria, il pugno dell’uno a colpire l’altro all’addome. Poi lo Spettro ebbe la meglio e Pegasios cadde bocconi, un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca.

"Ruaka ha vinto, stolto!" disse trionfante. Presto tuttavia si dovette rendere conto che le cose non stavano esattamente così. Il pettorale esplose, un peso insopportabile gli premette il torace, si sentì soffocare, la vista gli si annebbiò. L’ultima cosa che vide fu la sagoma del suo avversario, steso a terra, a pochi metri da lui.

Pegasios, trionfante, sorrise, poi fu colto da uno spasmo e perse definitivamente conoscenza.