SPLENDI ANCORA FOLLE DIAMANTE
LA MANO CHE GUIDA LA PAURA
La superficie, così liscia al tocco, riflette la mia immagine… ciò che io sono… o ciò che non sono? Ed è davvero così liscio ciò che percepisco, piatto e freddo, sotto il palmo tremante della mia mano che sfiora, in questo frammento di sogno, ciò che i miei occhi, colmi di lacrime, vedono con sempre maggior chiarezza? Troppe realtà questi occhi scorgono, troppe, divergenti sfaccettature in una medesima anima… come un diamante, osservabile dalle diverse prospettive di ogni suo lato, tra i tantissimi intagliati con cura.
Ma no… chi voglio illudere? Unicamente me stesso dato che nessun altro, a parte me, condivide quest’incubo nel quale mi sto trovando ad annaspare, come un naufrago nell’oceano di eterna tenebra; non vi è alcuna sfaccettatura nello specchio… è la mia mente ad essere intagliata in plurimi aspetti, tra loro stridenti come una canzone stonata eppur intimamente legati… ma del diamante queste menti non hanno la purezza… sono sporche, lorde di delitti e insane, ossessionanti manie.
Da quanto sono immerso in questo sogno? Da quanto la mia coscienza ha ricominciato a sognare, costringendomi a ripercorrere l’orrore di quella che è stata la mia insensata esistenza? Perché tale crudeltà? Non si era forse spenta la mia vita, ai piedi della mia pietosa Dea? Perché la mia coscienza riaffiora, perché un assurdo soffio vitale mi chiama, mi ordina, tra gentilezza e urgenza che non ammette repliche, di rispondere e accettare ciò che mi si offre? Cosa mi si offre poi? Quale senso in ciò che ora mi accade, in questo ritorno confuso dal nulla? L’incubo della mia delittuosa esistenza ha posto fine ad una morte nella quale più non ero, non pensavo, non sentivo… e improvvisamente il sogno… ma forse sbaglio ancora… anche nella morte l’ho rivissuto, forse inconsciamente, istante per istante… si è davvero morti quando si muore o si rivive, in eterno, ciò che più ha contato per noi? Dove si va? All’Elisio? Sono morto eppure non ho compreso nulla e ora che mi sento al confine tra vita e non vita, solo confusione è ciò che attanaglia il flusso della mia coscienza in transito da uno stato ad un altro.
Una parte di me vorrebbe resistere a quel lumicino vitale, sempre più intenso, una parte di me lo respinge ma un’altra parte ad esso si aggrappa… e come al solito la mia doppiezza ancora viene fuori, a dilaniarmi e distruggermi l’anima!
Il desiderio di vita ha la meglio sull’altra metà che implora l’oblio… brama di vita? Non credo… questa è una chiamata… con sempre maggior consapevolezza avverto il vero significato di ciò che succede… ancora si richiede la mia presenza nel mondo… non vorrei… vorrei… non lo so… comunque devo obbedire ad una chiamata, ad una voce che sento di riconoscere, a stento dapprima, poi con maggiori certezze, con maggiore ansia e paura… terrore! Perché lui?! Ora vorrei scappare ma è forte, sempre più, l’istinto alla vita… che è anche un desiderio sempre più intenso di redenzione e per questo, nonostante tutto, proprio lui vorrei incontrare, lui che mi chiama?
Rinascere ancora nel mondo… perché? Forse perché la mia dedizione sia messa nuovamente alla prova, perché mi sia concessa una seconda possibilità?
Sono ancora puro alito immateriale ma lentamente, uno dopo l’altro, i frammenti di un corpo del quale ricomincio a prendere coscienza, si risvegliano, assecondando la rinascita della mia anima, così dolorosa che mi metterei ad urlare ma ancora non posso… non sono così vivo da poter conferire una voce fisica a delle corde vocali addormentate fino ad ora nella morte che rende muta ogni cosa… eppure il mio cervello è attivo, fin troppo e già mi confonde, come sempre ha fatto, da quando sono nato la prima volta in quel mondo che adesso mi rivuole di nuovo… tramite lui…
I frammenti del mio corpo… uno a uno, li risento, in ogni nervo, in ogni giuntura torna l’alito vitale, percepisco qualcosa che si muove e non subito mi rendo conto che quelle propaggini nervose appartengono a me… ciò che me ne rende consapevole è il dolore che ognuno di tali movimenti mi provoca, un dolore che va dritto al cuore e, finalmente, anche la voce asseconda le mie sensazioni… un gemito sordo, ancora non riesco ad urlare.
E’ una mano quella che ora si solleva, si tende… la mia mano, le mie dita raggrinzite da un’immobilità che doveva essere perenne, rivestite di un rinnovato strato di carne, come se mai la disgregazione successiva alla morte fosse giunta a compiere il proprio dovere… forse il dolore che sento è proprio la carne che si sta riformando, gli strati di organi e pelle che si ricostituiscono nella forma di un uomo indegno qual ero e qual sono? Forse, si prova lo stesso genere di sofferenza quando si viene squartati… è il processo inverso, è vero… ma il dolore sarà lo stesso? Non sono mai stato squartato, anche se non avrei meritato niente di meglio…
Sapevo che sarebbe finita così; sto tornando alla vita e immediatamente mi smarrisco in insensati ragionamenti da folle… la mia mente non mi permetterà mai di redimermi, di conquistare quel minimo di lucidità che dovrebbe servirmi per compiere, con abnegazione, il mio sacro dovere?
Questa mano, che riconosco come mia, sfiora qualcosa… una sagoma che ha più o meno la stessa forma… è troppo vago ancora il mio ricordo della materiale esistenza per riconoscere immediatamente, al tatto, la fisicità… quando raccolgo in un fascio di ancestrali ricordi la memoria che sembrava perduta, riconosco quella sagoma come un’altra mano… in questo mi aiuta la vista anch’essa gradualmente attiva e, laddove prima era il buio, o meglio, il nulla… laddove prima c’era quel vuoto che non si può descrivere, comincio a distinguere qualcosa di concreto: un alone di luce che corona quella mano ora stretta sulla mia, il cerchio luminoso che si allarga fino a permettermi di distinguere due occhi… un volto…
Colui che mi aspettavo, eppure diverso… era un vecchio… era stato così semplice, allora, coglierlo di sorpresa… ho ancora davanti i suoi occhi mentre moriva… per mano mia…
Ora sono io a sentirmi in sua balia; è imponente, giovane, bello, centinaia di anni cancellati per opera di un miracolo, quello stesso miracolo che mi sta riportando in vita e al quale ancora non so dare un nome e un’autentica motivazione.
Avere Sion, qui davanti a me, ora, ad essere sincero più che un miracolo è una tortura… forse è la punizione, una prova da superare… rivivere istante per istante il delitto che ha marchiato a fuoco la mia vita e la mia morte, la sconnessione tra il gesto che compivo e le lacrime che la mia anima versava, invisibili… quello fu l’inizio… l’inizio della distruzione progressiva di tutto ciò che per me contava e quindi di me stesso… l’autolesionismo funziona così dopotutto… forse perché non ho mai amato me stesso ho fatto in modo di odiare ciò che credevo di amare… o forse perché mi amavo troppo, forse entrambe le cose perché non ho mai avuto certezze… il diamante dalle innumerevoli facce come può avere certezze? Non il diamante… ma l’ossidiana, nera come l’ebano e meno preziosa, che io avevo al posto del cuore.
E il mio cuore ora batte, la pietra che ho nel petto torna a vivere mentre le mie dita sfiorano quelle dell’uomo che un tempo assassinai senza pietà; le sue dita strette sulla mia mano… dovrei aspettarmi che stringa fino a stritolarmi le ossa, per poi piantarmi l’altra sua mano nel petto, in preda all’odio che dovrebbe provare per me; eppure nessun ombra di sentimento negativo oscura il suo volto triste… quella che scorgo è un misto di pietà mista a serena rassegnazione… pietà sì… per me forse ma non solo… per se stesso ma è ancor troppo poco… c’è un’aura di sacra universalità intorno a noi e in ogni sentimento che ci sfiora gli spiriti ora in perfetto contatto.
"Alzati… Saga…"
Le sue prime parole suonano come un ordine, l’ordine del vecchio grande sacerdote perché sa che io sono di nuovo un suo sottoposto e null’altro vorrei essere… mi ucciderei per lui se solo questo servisse ad espiare… ma è ridicolo… rivivere solo per uccidermi immediatamente dopo, allo scopo di pagare uno scotto che, lo vedo dai suoi occhi, non mi è richiesto? Un messaggio riesco chiaramente a leggere in quelle iridi dall’indefinito colore delle vastità indeterminate del tempo, non chiari, non scuri, un viola cupo forse, misto ai colori della notte e del cosmo: qualcosa di molto più importante è in gioco, più importante di me, di lui, di ciò che è stato e di qualunque turbamento possa ora giungere a rompere la sacralità di questi istanti.
Non posso fare a meno di obbedirgli ma il dolore si diffonde ovunque dentro di me, in ogni fibra di un organismo che si sta ricostituendo, bruscamente, dopo la corruzione della morte che, all’improvviso, lo rigetta nel mondo dei vivi senza alcuna pietà o preparazione emotiva. La stretta di Sion, Sommo Sacerdote al quale un tempo mi sostituii criminosamente, sulla mia mano tremante, è vigorosa; la sua situazione è forse un poco diversa dalla mia: morto vecchio, rinasce nel fiore degli anni, più forte, più vivo di quando io lo strappai vigliaccamente alla sua esistenza di malandato pluricentenario.
Nonostante tutto ero e resto un sacro guerriero di Athena; malamente l’ho dimostrato in passato e sono stanco di umiliare il mio corpo e la mia anima. Il dolore non mi spaventa… ogni frammento di me urla per la sofferenza eppure, nonostante questo, in pochi istanti sono in piedi, sono davanti a lui e, nonostante tutto, i miei occhi si fissano nei suoi, resistendo anche al desiderio di fuggire quello sguardo, di cadere in ginocchio di fronte alla nobile vittima del mio imperdonabile delitto… ma ho compreso… tutto questo dev’essere lasciato alle spalle, dev’essere relegato ad un’esistenza precedente, in ogni modo, a questa cui andiamo incontro, qualunque sia la realtà che ci attende… lui lo sa… forse tra un po’ ne sarò al corrente anche io.
Vorrei che parlasse, che spezzasse la muta tensione di questi istanti… c’è tanto buio intorno a noi e non so quanto reggerò, davanti a lui, senza crollare. Non vorrei crollare ma nel silenzio estremo di questo luogo al di fuori di spazio e tempo il mio coraggio e la determinazione grazie alle quali poco fa sono riuscito a sollevarmi dal mio letto di morte, grazie alle quali fino ad ora i miei occhi di assassino sono riusciti a fissare quelli della vittima senza battere ciglio… tutto questo sta lentamente scemando e il mio spirito potrebbe andare in pezzi da un momento all’altro.
Il primo frammento di me costretto ad arrendersi sono proprio i miei occhi; mentre una lacrima scivola sul mio zigomo sinistro, il mio viso si abbassa e forse mi getterei ai suoi piedi implorando il perdono o dichiarando quanto io non ne sia degno se lui non prevenisse ogni mia mossa, posandomi le mani sulle spalle, con una tale possanza che io non posso sottrarmi… basta quel tocco ad impedirmi di lasciarmi andare, di arrendermi ancor prima di avere ricominciato a vivere.
"Guardami, Saga di Gemini!"
Un altro ordine perentorio, come prima non pronunciato con tono freddo o duro ma l’ordine fermo e gentile di chi sa portare il bastone di comando con il carisma adatto a farsi obbedire e rispettare grazie ad un meritato affetto… quello stesso affetto che sento per lui e che forse sentivo anche prima di compiere il malsano gesto…
Anche questa volta non posso oppormi e sollevo il volto, trattenendo ulteriori lacrime che vorrebbero uscire; me lo impone il suo sguardo: non è più ora di piangere… ma di tornare a mostrare al mondo l’autentico valore dei santi di Athena! Le parole con le quali risponde alla mia occhiata interrogativa suonano come una conferma:
"Non torniamo al mondo per vivere… ma per morire in nome della nostra Dea! Sei pronto a farlo? Vuoi lottare al mio fianco come fratello d’arme?"
Ingoio un groppo di pianto che si forma nella mia gola… non vorrei piangere per un nuovo destino di morte ma per le sue parole… per la fiducia che leggo nel suo sguardo, nei miei confronti, nei confronti del suo assassino… lacrime di gioia e al tempo stesso di vergogna perché lui mi considera compagno al servizio di Athena e non vi è ombra di sospetto sul diafano viso, in quei tratti ereditati da una stirpe che il mondo crede scomparsa da secoli… o probabilmente ritenuta pura leggenda dai più… ma non è forse il destino di ogni sacro guerriero, non trascorre forse nascosta nell’ombra del mito la nostra pur consistente realtà?
Temendo che la voce palesi tutto il mio tormento, mi limito ad annuire, con tutta la convinzione di cui sono capace; la sua espressione non cambia, è completamente impassibile quando aggiunge la postilla che fa correre un lungo brivido lungo la mia spina dorsale:
"Anche se questo significherà tradire nuovamente la tua Dea? Anche se dovrai ancora lottare contro chi tenterà di proteggerla? Sei disposto a tutto questo… per Lei?"
L’accelerazione del mio respiro, lo sgranarsi all’inverosimile dei miei occhi terrorizzati, i tremiti che mi scuotono, sono evidentemente anche per lui il segnale inequivocabile del mio stato d’animo, della mia incomprensione.
"Servire la nostra Dea… tradendola?" sussurrano le mie labbra in un confuso balbettio. E’ lui, ora, ad annuire, mentre un velo di tristezza oscura la perpetua immobilità del suo volto statuario:
"Parlo a nome suo, ricordalo! Lei stessa te lo ordinerebbe…" la sua voce si abbassa, si incupisce nel concludere la frase che evidentemente fa male a lui stesso e, nel medesimo tempo, quasi avesse paura di parlare a voce più alta, paura di farsi udire… da chi? "E lo farà… te lo ordinerà se la nostra missione avrà successo… dovrei sperarlo… eppure quali contrasti dentro di me!"
Parla forse a se stesso? Soffre… immensamente…
"Soffro, Saga… e vorrei che tu e i nostri compagni non dobbiate soffrire altrettanto…"
"Per la Dea, per Lei, accetterei ancora all’infinito l’onta del disonore!"
L’impeto della mia dichiarazione, pronunciata sull’onda dell’emotività, ancor prima che il mio pensiero si renda conto di formularla, lo fa sussultare; poi annuisce ancora ma al tempo stesso mi impone, con un gesto, il silenzio e a quel gesto segue un ulteriore comando:
"Da questo momento in poi, è richiesta la più assoluta discrezione…"
Mi dà le spalle; intuisco che vuole in tal modo mascherare le emozioni… è solo sicurezza quella che vorrebbe trasmettermi ma io non lo pretendo, Sion, non lo pretendo, Mio Signore, perché se la nostra missione sarà così dolorosa, avremo almeno il diritto di provare emozioni… tenteremo di mascherarle, ho compreso che anche questo ci sarà richiesto ma cosa potrà impedirci di provarle dentro di noi? L’autocontrollo che non ho saputo mantenere quando ho compiuto i miei atti malvagi, saprò mantenerlo ora che dovrò fingere una malvagità che in alcun modo desidero? Sarò degno, questa volta, di appartenere alla somma gerarchia dei sacri guerrieri? Saprò mostrarmi indegno, un’altra volta, per compiere il servizio della Dea?
"Che succederà ora?" chiedo, aggrappandomi ancora a lui, alla sua ferma volontà, affidandomi completamente alla sua guida.
"I gold saint deceduti durante la battaglia delle Dodici Case si risveglieranno, tra poco, come è accaduto a noi… solo quando sarete tutti riuniti vi trasmetterò gli ordini… gli ordini di Hades…"
Non posso vedere il suo volto mentre pronuncia quel nome; le mie gambe tremano e avrei bisogno di un appoggio, qualunque cosa alla quale potermi sorreggere… ma brancoliamo nel vuoto e non c’è assolutamente nulla intorno a noi. In qualche modo mi mantengo saldo e, anziché ribattere, obbedisco all’ordine: assoluta discrezione!
Per qualche bizzarro processo mentale, in me rivive l’incubo che ha preceduto il mio risveglio… il mio volto davanti allo specchio, uno specchio che si incrina, fino ad andare in frantumi… e in quei pezzi di vetro, i miei lineamenti si deformano in innumerevoli frammenti di spirito, innumerevoli volti, innumerevoli volontà… grotteschi giochi di riflessione che hanno il solo scopo di terrorizzarmi… di nuovo vorrei urlare ma la sua voce giunge a me, ancora di salvezza, mi sottrae al baratro… Io, l’assassino, ora mi affido totalmente al nobile sacerdote assassinato:
"Non avere paura, Saga… non sei dura pietra ma puro diamante… un folle diamante che risplenderà, compiendo il proprio sacro dovere!"