CAPITOLO 4 - SACRIFICIO

Una donna bambina si era inginocchiata di fronte ad una tenda grigia, semitrasparente, dietro la quale si poteva solo intuire la presenza di un uomo, un gelo persistente si impadronì delle sue ossa, non appena l'ombra cominciò a parlare.

"Pandora, come procedono le ricerche?"

"Bene, mio signore," bene un corno, siamo ancora in alto mare "i tre giudici si sono risvegliati, aspetto oggi stesso una loro visita, con il loro aiuto sarà uno scherzo destare anche gli altri" si spera.

"E Athena?" la sua voce era sempre più perentoria

"Non sospetta nulla, so che darà un ricevimento nei prossimi giorni, nella sua residenza al mare, consiglio un attacco veloce o un rapimento."

"Non ti ho chiesto nulla di strategia militare, mi sembra, né ho chiesto una tua opinione."

"Mi, mi scusi"

Il subitaneo silenzio le fece intuire che era il momento di levarsi dai piedi. Si diresse nella stanza attigua della vecchia residenza, un the caldo le avrebbe sicuramente calmato i nervi. Sorseggiando da una fine tazza di porcellana, si rese conto, per la prima volta, di come fossero rovinate le sue dita a causa del continuo suonare l'arpa; quelle melodie così care al suo signore. Si voltò verso il grande specchio che troneggiava sulla tavola imbandita, come se da lì a poco si preparasse un succulento banchetto, vide riflessa, un po' fuori fuoco, una donna pallida, dove un tempo si erano trovate gote piene e rosee ora erano magre e terree, gli occhi segnati, i capelli una volta lucenti e ben tenuti erano spenti e stopposi.

Come un cadavere si trovò a pensare, senza rendersi conto della lacrima solitaria che cadeva sulla tovaglia, ormai ingrigita dal tempo, sulla tavola di quello strano banchetto per fantasmi.

Un insistente sferragliare la riportò alla realtà

"Signora Pandora" l'uomo biondo ed alto di fronte a lei si gettò in ginocchio ai suoi piedi, prima ancora che lei potesse rispondere.

"Tu quale saresti?" una nota di superiorità quando lei avrebbe voluto pregarlo di non inginocchiarsi, non di fronte ad una come lei.

"Rhadamanthys di Wyvern, mia signora" la mano sul cuore "giuro sul mio onore che la servirò per sempre"

<No, non farlo, non guardarmi così>, ma la fedeltà nel suo sguardo viola non ammetteva repliche, così un altro giovane valoroso aveva sacrificato la propria esistenza

"Molto bene, quando arriveranno gli altri due?"

"Al più presto signora Pandora, nel frattempo c'è qualcosa che posso fare?"

La ragazza sembrò ponderare la richiesta, forse poteva...

"Rhadamanthys," con la coda dell'occhio lo vide raddrizzarsi "C'è qualcosa che puoi fare per me, ma fai attenzione è molto pericoloso, dovrai recarti in Giappone..."

 

 

Si svegliò, l'alba era appena accennata, il sudore che le copriva il corpo in un sottile strato come di carta velina, le aveva inumidito i riccioli rendendoli ancora più ribelli, in tutto il corpo una scarica elettrica che le faceva provare brividi di piacere liquido che aveva il suo fulcro al centro del suo essere donna. Non ricordava assolutamente che cosa avesse sognato per ridurla in quello stato, e da una parte ringraziava che il suo cervello non fosse abilitato ad una memoria onirica più profonda altrimenti, ne era sicura, sarebbe sprofondata nella vergogna, tuttavia alla bocca dello stomaco avvertiva uno strano nodo, una sensazione di deja vù, di cambiamento imminente.

Cercò di rimettersi a letto, girando il cuscino dalla parte opposta, il contatto con quel cotone freddo ed asciutto sembrò placarla un momento, chiuse gli occhi, decisa a concedersi ancora qualche ora di sonno, la attendeva una giornata faticosa, tremava all'idea di dover trascorrere un pomeriggio con Saori, ma, in fondo, le faceva piacere rivisitare la casa del vecchio, con le sue opere d'arte ed i suoi ricordi.

Era come se il carisma dell'uomo permeasse le stanze e le scalinate, come se lui, Mitsumasa Kido, non se fosse mai andato e, per lei, era come se, tra le righe di quello strano romanzo, rivivesse ancora il ricordo di nonno Soichiro.

Si assopì, una parte di lei ancora cosciente parve scorgere un uomo dai lunghi capelli corvini chinarsi sopra di lei, prima di ricadere ancora nel sonno profondo.

Aprì un occhio, pigramente, il sole era già alto, si voltò languidamente su un fianco, la sveglia sul suo comodino segnava le otto meno due minuti. Si guardò intono, aveva avuto la malsana impressione che qualcuno avesse invaso di fiori la sua stanza, ne poteva ancora avvertire chiaramente il profumo. Bah, solo suggestione. Liquidò la questione catapultandosi sotto la doccia, mentre la luce del sole, piano piano, faceva scomparire il mondo dei sogni.

Si era vestita in maniera sportiva, un paio di jeans leggeri, slavati, ed una maglietta nera, scollata a barchetta, che lasciava scoperte le spalle, un paio di sandali a listelle verde acqua con un tacco largo, di sughero.

Saori no.

Lei, era un tripudio di candido bianco, così come nivea era la sua pelle, in contrasto con il verde profondo degli occhi. La camicetta di pizzo sangallo bianca, con le maniche a sbuffo, audacemente corta e legata appena sopra l'ombelico, la gonna del medesimo tessuto a vita bassa, lunga fino alle caviglie, lasciava scoperto quel poco di pancia tanto da far cadere lo sguardo, i piedi infilati in un paio di comode scarpe basse, chiuse, bianche anch'esse.

Per un attimo Alexandra ebbe la tentazione di prendere a testate il muro, con Saori sarebbe sempre stato così, lei così perfettamente fuori dal tempo, così irraggiungibile, e quella scintilla divina che di tanto in tanto le illuminava lo sguardo. Saori aveva studiato con tutori privati, non alla scuola pubblica, viveva in una villa grande più o meno come il Belgio con una densità di servitori pari all'intera popolazione del suddetto stato non in una camera di un collegio fino ai sedici anni ed in uno squallido monolocale dopo, lei era laureata in lettere classiche presso una delle più importanti facoltà del Giappone, come avesse fatto senza presentarsi nemmeno ad un esame era un mistero, ma tant'è, non si era sobbarcata viaggi in treno di mattina presto e professori scadenti in una università pubblica alla periferia di Tokyo, lei era un'ereditiera, non era un avvocato squattrinato e attualmente senza lavoro abituato alle cause di strada, a mafiosi e gente con più buchi di un colapasta.

Ma quel pomeriggio assolato, accanto alla tavola apparecchiata nella parte più ventilata di quell'immenso giardino, Saori l'aveva accolta con un abbraccio, un sorriso da sorella su quel volto fresco, non sembravano nemmeno più coetanee, ma la vita segna le persone più dentro che fuori, questo Alexandra lo sapeva bene.

Il the venne servito puntualmente con un accompagnamento di biscottini, dolcetti alla frutta e specialità tipiche tale da far presagire ad una cena piuttosto che ad una semplice merenda.

"Allora Alex, non vedevo l'ora di parlarti a quattrocchi, raccontami di te"

"Bè non c'è molto da dire" sulla difensiva, gli scudi alzati, allarme rosso inserito

"Ma come, sono tredici anni che non ci vediamo, non credere di potermi liquidare così!" rise di cuore e per un attimo ad Alexandra sembrò di avere davanti una ragazza come tante, con la sana voglia di spettegolare sulla vita e sugli uomini. Poi un pensiero la colpì, violento come una mazzata, Saori era sola, sola come nessun altro, sola in mezzo ad un centinaio di persone; e per la prima volta la ragazza mora provò un po' di pena per lei.

"Da dove devo cominciare?" risero.

Fu tutto talmente naturale, che il sole cominciò a tuffarsi nel mare prima che entrambe se ne resero conto. Saori era stata per una ventina di volte sull'orlo del riso sfrenato e del pianto profondo nel sentire il racconto della sua compagna di giochi. La vita doveva essere dura anche per quelli che, a differenza sua, non dovevano affrontare guerre divine, ma dovevano combattere contro affitti e mancanza di soldi, che dovevano scegliere se consumare un pasto caldo o comperare un libro di testo per poter dare un esame, che avevano tempo per innamorarsi ma dovevano soffrire le pene di una separazione o di un tradimento.

Si strinsero in un abbraccio

"Devo proprio andare, ora, la nonna mi starà aspettando per la cena"

"Alex, ho una proposta da farti, prenditi un giorno di vacanza, dopodomani organizzo una festa in cui inviterò un po' di vecchi amici, ti sarei grata se partecipassi, così potemmo stare insieme, riallacciare i ponti, e poi..." il suo sguardo si fece grave "ho davvero bisogno di una consulente su...certe questioni private"

Alexandra sorrise, maligna

"Sento puzza di uomini o sbaglio?"

Saori arrossì così violentemente che alla ragazza venne da ridere "Eddai, non prendermi in giro come al solito! Ti aspetto qui domani sera, così avremo una notte tutta per noi...ti preeego" la sua voce si era fatta stridula.

"Va bene, Saori, ci sarò"

"Evviva!"

Tornò alla piccola pensione quando le ombre della sera stavano già allungando le loro dita accanto agli spigoli delle case e sotto alle fitte siepi di gelsomini d'Arabia. Si sporse un attimo verso la pianta rigogliosa, la mano tesa ad accarezzare le timide corolle dei fiori, un profumo intenso e familiare invase i suoi sensi

"Sono belli...i fiori"

una voce profonda, dolcemente ambrata, proveniva dall'oscurità poco distante da lei.

Alexandra si ritrasse istintivamente, gli occhi socchiusi nell'intento di scorgere le fattezze dell'intruso, una sagoma di pura ombra nascosta tra le dita della sera.

Fece per aprire bocca, quando all'improvviso si accorse di avere il cuore che batteva all'impazzata si portò una mano al petto, spaventata dalla assoluta, devastante potenza dell'emozione che la stava attraversando.

"Sei spaventata, piccolina?" la sua voce era come un abisso che rischiava di trascinarla dentro di sè, così calda, come un bicchiere di brandy, d'inverno "Non ti ricordi di me?" sembrava vagamente divertito.

"Chi sei...io, io ti conosco?" sapeva già che cosa le avrebbe detto l'uomo, la sua mente si rifiutava di ricordare, ma il suo corpo...il suo corpo no e nemmeno le sue emozioni così spietatamente assolute, in quell'istante eterno di esitazione.

"Sì, ci conosciamo, ci siamo già incontrati al di là dell'eternità e del sogno" l'ombra parve protendersi verso di lei

"Tu sei..."

"Alexandra, sei tu?"

la voce della nonna la riportò alla realtà nello stesso modo in cui un tuffatore inesperto accoglie un rovinoso tonfo nell'acqua fredda.

"...Sì, sì, nonna arrivo!" si voltò un attimo, l'ombra sembrava meno intensa di prima

"Io" ma si trovò senza parole, solo con la familiare sensazione di quella presenza accanto a sé "Buonasera, signore" si inchinò formalmente come se si trovasse di fronte ad un qualsiasi cliente pagante dell'albergo

pienamente in possesso della propria fisicità

si ritrovò a pensare di fronte a quella voce eterna

"Buonanotte, bambina"

Un sussurro, forse solo l'effetto del vento che giocava con i fiori.

"Cosa ti è successo, eh?" Kaede la stava squadrando preoccupata "sembri un pomodoro maturo..." i suoi occhi si fecero indagatori "Non avrai incontrato qualche vecchia fiamma eh?"

La ragazza ristette, solo allora notò il calore che saliva dalle gote, sorrise, innocente "Ma no, nonna, cosa dici ho solo..., cioè mi è sembrato che..." sospirò, come faceva a spiegare alla nonna l'accaduto senza sconvolgerla?

"Nulla, è che Saori organizzerà una festa dopodomani" andiamo è solo un'omissione, non una vera e propria bugia "mi ha invitata e devo decidere come vestirmi, pettinarmi, insomma tutte quelle faccende da donna!" abbozzò una risata sperando che la cara Kaede abboccasse e non chiedesse ulteriori delucidazioni.

Ma la nonna era una donna saggia, tergiversò su questioni che, lo sapeva, avrebbe sicuramente scoperto in seguito.

"Accidenti! Ho scordato le sigarette! Torno subito, corro da Hojo" le sorrise, salutandola con la mano e correndo verso la scalinata d'ingresso. Kaede non potè fare a meno di notare l'occhiata furtiva lanciata alla pianta di gelsomino che ornava un grande arco del giardino, chiedendosi, ancora una volta, che cosa stesse così disperatamente nascondendo.

Appena scesa la scala Alexandra si era ritrovata a fissare disperata il suo telefono cellulare. Il suo brillante piano per chiamare Ikki e chiedergli, per cortesia, un giro d'ispezione attorno all'albergo per scongiurare la presenza di un fantomatico maniaco era andato in fumo nel momento stesso in cui si era accorta di non avere affatto il suo recapito. Si fece forza, in fondo quando era stata in compagnia di quel tizio non si era affatto sentita in pericolo, forse era solo un vecchio amico in vena di romanticherie.

Decise di non preoccuparsi e si accinse ad accendersi una sigaretta, godendosi il tramonto e la brezza che, spirando dal mare, portava con sé il profumo del sale: l'oscurità che prendeva forma, attorno a lei sembrava essere, prepotentemente, viva.