CAPITOLO 1 - ALEXANDRA
Mancavano ancora almeno quaranta minuti alla sua fermata, sì, sempre che il treno non avesse autonomamente deciso di accumulare un ulteriore ritardo.
Chissà per quale ragione, ma i treni e le stazioni avevano un’innata predisposizione ad accumulare minuti giocando con il tempo dei passeggeri ignari, che aspettavano lungo le banchine il prossimo arrivo con sguardi assonnati o nervosi, impiegati che dovevano raggiungere i propri posti di lavoro, studenti assorti ed immersi nei libri di testo e ragazzi impazienti per i primi incontri e le prime carezze.
Quanto tempo era trascorso, maledizione.
La rivista che aveva acquistato alla stazione, insieme al suo inseparabile pacchetto di sigarette, ormai era tutta stropicciata e consunta, come se l'avesse tenuta in mano per un'intera giornata, il colore fucsia della copertina aveva cominciato persino a macchiarle i polpastrelli staccandosi in piccole scaglie dalla pagina patinata dalla quale una qualche modella esibiva un impeccabile sorriso.
Ma quanto costa dare un annuncio? Siamo in una delle maggiori metropoli giapponesi e questi deficienti non si degnano nemmeno di…. Fermò di colpo il flusso dei pensieri.
Ancora stava parlando come uno dei suoi colleghi dello studio.
O meglio ex-colleghi visto che era appena stata licenziata. Sua nonna non avrebbe approvato un turpiloquio del genere, ormai era una signora; avrebbe dovuto prestare più attenzione ed offrire il buon esempio ai figli.
Tanto per completare l'opera ed offrire un esempio davvero degno di nota, si accese l'ennesima sigaretta che in un attimo la avvolse tra volute di fumo. Sbuffò sonoramente: non le piaceva attendere, in nessun caso, tutto quel tempo perso le faceva affiorare brutti ricordi, memorie di una vita che stava disperatamente cercando di racchiudere in una scatola di ferro da non aprire. Mai più.
Shinichi, il suo formale marito, faceva parte di quei ricordi da inscatolare. Anzi, se fosse possibile, da mettere anche sotto gelatina, invischiandoli per bene così che non possano saltare fuori all'improvviso nei momenti meno opportuni.
Sorrise un poco tra sé, un sorriso triste ed autocommiseratorio, aveva conosciuto l'uomo che avrebbe sposato il primo anno del liceo, lui era il suo "senpai" ed aveva un anno esatto più di lei ed all'inizio non si rivolgevano la parola, se non per insultarsi!
Lei, per metà occidentale, aveva ereditato capelli scuri e riccioluti ed occhi grandi che passavano con facilità dal marrone al verde scuro. Non c'era da meravigliarsi, dunque, che quelle differenze la rendessero, agli occhi dei ragazzini, decisamente poco attraente; come non ci si poteva meravigliare che fossero proprio le stesse caratteristiche ad averla resa, anni dopo, una donna affascinante.
Si erano messi insieme, però, solo all'università, dopo storie tormentate ed esperienze dolorose per entrambi, avevano sperato di trovare un porto sicuro, l'uno tra le braccia dell'altra e per un po' era stato proprio così.
Almeno fino a quando si erano entrambi tolti la maschera e si erano guardati occhi negli occhi, e lei aveva dovuto vedere al di là di quella piccola vita che avevano faticosamente messo insieme, al di là delle bugie e delle stesse promesse. D'altro canto nemmeno lui si era rivelato così come lei aveva creduto, i suoi veri colori erano un poco più scuri ed offuscati ai lati, rivelando una personalità incerta ed a tratti sconcertante per un uomo del duemila.
Shinichi le aveva sempre detto, ad esempio, che il suo posto doveva essere a casa accanto ai fornelli e non sempre in giro per tribunali a cercare di dimostrare che una donna vale quanto un uomo. Cosa erano questi discorsi di puro femminismo, le donne sono diverse per struttura, ragion per cui devono necessariamente adeguarsi.
Quante discussioni, quante volte aveva dovuto alzare la voce, quante volte si era ripromessa che non avrebbe più versato nemmeno una lacrima, mentre aveva le guance umide.
Non facevano l’amore da quasi un anno, e poi ci si stupisce dei tradimenti: come si può stare con un uomo che non c’è? Che torna a casa dal lavoro ben dopo mezzanotte e quasi regolarmente si addormenta ancora prima di toccare il letto?
Ignorare le macchie di rossetto sul colletto delle sue camicie?
Ignorare le telefonate sospette?
Ignorare la sua lontananza sempre di più?
Ora Shinichi era solo un puntino all’orizzonte, ma un puntino a cui lei era rimasta aggrappata con tutte le sue forze per troppo tempo.
Vicino, troppo vicino per poter vedere le cose con chiarezza e non tramutare l’inganno in verità.
Vicino.
Troppo vicino per poter risollevare il suo spirito spaccato in due.
Che rammarico, il loro matrimonio di inverno era sfiorito, dopo solo tre anni come le calle del suo bouquet, il giorno dopo.
Così, fuggire verso un posto conosciuto di ricovero e di pace, il piccolo tempio/pensione gestito da sua nonna, in riva al mare, la "Casa del Vento", nome guadagnato per la costante brezza che spira dal mare.
Dopo la subitanea morte del nonno, Kaede, la nonna di Alexandra, che aveva ormai il peso di settant’anni sulle spalle, aveva deciso che quella sarebbe stata l’ultima stagione della pensione.
Non aveva più energia né quella luce negli occhi di quando il vecchio nonno era ancora vivo e sapeva che questo prima o poi, avrebbe contagiato tutti gli ospiti.
E Alexandra era arrivata come un tifone anche se all’inizio di giugno, con un carico di pioggia da abbandonare sulle spiagge riarse, a segnare il cambio doloroso delle stagioni.
Tutto troppo in fretta perché non fosse, almeno un po’, doloroso.
Sbuffò, già era dovuta stare più di un’ora sui binari di Tokyo ad attendere che il treno arrivasse, ed ora, dopo quasi una giornata a bordo il viaggio le sembrava interminabile.
Aveva fretta di arrivare per scrollarsi di dosso quel senso opprimente di attesa e toccare con mano se fosse davvero possibile dimenticare e ricominciare.
Forse suo marito Shinichi aveva ragione, avrebbe potuto prendere l’aereo…ma no, quello era un viaggio speciale, sarebbe andata al tempio di sua nonna in treno come aveva sempre fatto tutta la sua vita, su quel vecchissimo treno bianco e rosso che andava in un senso solo.
E poi suo marito Shinichi non aveva più ragione da un sacco di tempo.
Il vento le aveva scompigliato i capelli, furioso, portando con sé uno strano, dolce, profumo di lavanda. La sua mente aveva improvvisamente corso, veloce, indietro negli anni, due occhi colore della laguna di notte, capelli perennemente legati con un laccetto di cuoio. Lavanda ed oro. E poi, come un turbine, le immagini furono risucchiate nella scatola, chiusa, in fondo alla sua anima. Ancora una volta un persistente mal di testa cominciò a farsi sentire, come accadeva sempre quando quei dispettosi ricordi venivano a galla, come un guardiano silenzioso volesse fare in modo che lei non potesse più richiamare quei volti e quei nomi.
Il paesaggio era mutato velocemente fuori dal suo finestrino e Alexandra, non sapeva spiegarselo, aveva improvvisamente sentito crescere dentro di sé un senso di impazienza, proprio come quando da bambina andava in città con i nonni.
Il mare scintillava languido del sole del tardo pomeriggio mentre le ombre si allungavano nella consuetudine della prima metà di giugno; Alexandra sospirò ripensando per un attimo alla faccia che avrebbe fatto sua nonna quando l’avrebbe rivista.
Si rabbuiò incoerentemente, chissà come avrebbe giudicato la sua presenza al santuario dopo così tanto tempo, chissà se l’allegria che le aveva mostrato al telefono non fosse solo una convenienza.
Poi come una nuvola trasportata dal vento i pensieri bigi lasciarono spazio di nuovo ad un solare sorriso, no, la nonna sarebbe stata felice di trascorrere un po’ di tempo con la sua unica nipotina…che portava in ricordo il sorriso e del suo defunto marito, proprio come era solita ripeterle.
"Prossima Fermata Shinjikami" la voce gracchiante dell’altoparlante la riscosse da pensieri e ricordi, era ora di mettersi in moto recuperare la sua unica, piccola valigia e ricordare la strada di casa. Tra pochi minuti il treno che l’aveva strappata da Tokyo e dalla sua frenetica vita sarebbe giunto a destinazione.
Non fece in tempo a guardarsi indietro, a guardarsi da quello che aveva lasciato sospeso nella grande metropoli che l’aria salmastra del mare la investì in pieno come la luce viola del tramonto.
Il tempo si fermò il giusto per farle assaporare un attimo di completa sospensione, poi il rumore dei suoi stessi sandali sul selciato la fece risvegliare, sorrise tra sé, non c’era bisogno di ricordare dove fosse il tempio né dove portasse la strada, lei sapeva bene, al di là di ogni razionale pensiero, dove stesse andando.
Avvertì la presenza di sua nonna Kaede prima ancora di vedere la singola lanterna rossa che era solita accompagnarla nelle sue passeggiate durante le sere d’estate. La avvertì con quel dono sensibile che suo nonno le aveva insegnato ad apprezzare, sentì il suo calore prima di stringerla forte a sé. Quello stesso dono che l’aveva imbarazzata da bambina e che lei stessa aveva finito col rifiutare…quello stesso dono che viveva dentro di lei e le faceva trascorrere notti insonni in preda agli incubi. Immagini e suoni di un mondo che non voleva ricordare..
"…nonna…" sperò che non le chiedesse nulla, non ancora, ma sua nonna non era una vecchietta impertinente così lasciò che il crepuscolo inoltrato celasse i suoi occhi tristi.
Alexandra…cosa ti sei lasciata indietro bambina mia?
Camminarono incontro alla notte ed al cielo stellato prima di giungere alla meta, su un’altura ai limiti del paese. Ancora come allora, si aspettava quasi di vedere il nonno sulla cima delle scale a chiamarla "scimmietta…" eco di parole portate dal vento, rumore di onde infrante sulla spiaggia.