Capitolo 55: La Fine dello Scontro
Nella vasta sala di pietra, lì dove per millenni, dai tempi del Mito, la Bestia, Tifone, figlio di Gea e del Tartaro, aveva riposato, ora stava combattendosi una furente guerra fra la Mitologica creatura ed i cavalieri, di Atena e Pellerossa, che, unitosi, erano in quei luoghi giunti, vincendo i molti nemici che avevano incontrato sulla loro strada.
Tifone osservava ora, con un sorriso soddisfatto, il Sommo Sacerdote di Atena, Golia del Toro, ferito, orbo da un occhio a causa di un suo attacco e con le vestigia danneggiate per la furia del loro precedente scontro, ma ancora pieno della determinazione che si confaceva ad un guerriero del suo livello, una determinazione che, invero, divertiva la Mitologia entità, la quale ben presto tornò a canzonare il proprio nemico: "Dici che, per quante volte io ti abbatta, tu ti rialzerai guidato dalla tua ipocrita fede? Ebbene, mortale, perché non mi dai dimostrazione di ciò con le azioni, anziché con mere parole!", lo spronò Tifone, invitandolo a farsi avanti con un gesto della mano sinistra.
Il cosmo del Toro, allora, avvampò di nuova virtù, mentre, colmo di determinazione, l’Oracolo di Atena scattò in avanti, "Bull’s run!", urlò il sommo Custode, quando già carica dorata s’avventava contro la propria preda.
Colui che era chiamato la Bestia, però, non sollevò alcuna difesa contro quell’attacco, limitandosi a piazzare saldamente i piedi al suolo, venendo investito da cotanta potenza, "Già visto, omuncolo, non ricordi?", domandò Tifone, che ormai aveva bloccato, con ben poche ferite, l’assalto dell’altro.
"Sì, ricordo, mostro, ma, non pensare che il fallimento di un assalto possa ridurre la volontà di un cavaliere di Atena! Ben altre armi ho ancora da mostrarti!", tuonò Golia del Toro, stringendo le possenti braccia nemiche in una presa inaspettata quanto resistente, quindi, con un urlo di indicibile sforzo, il Sommo Sacerdote sollevò dal suolo la Bestia Mitologica, scagliandola contro una parete poco distante.
Il boato dell’impatto echeggiò fra le dure mura di roccia. Fu rapido Tifone nel riaversi, sollevandosi in piedi lievemente ferito, ed osservare con attenzione il nemico, "Molto bene, uomo, ma ancora non è abbastanza, anche perché, ora è tempo che io attacchi!", avvisò con un sorriso beffardo l’Essere Mitologico, mentre spalancava le mani verso il suo nemico.
"Acque, che scorrete portando vita e morte, il vostro flusso è dettato dalle correnti e su di esse ho anche dominio, quindi vi richiamo al mio giogo; andate e fuggite dai vostri corsi, distruggete tutto ciò che si frappone voi, in una melodia di devastazione! Risuonate Acque!", esclamò il Mostro Divino, mentre l’energia cosmica sui suoi palmi sembrava prendere la forma di due fiumi che, parallelamente, iniziarono una folle corsa verso Golia, emettendo una sempre maggiore luce.
"Biggest Wall!", fu l’unica risposta del Sommo Sacerdote che, sollevate le dorate difese, subì sulle stesse l’energia devastante del colpo nemico, energia che parve, inizialmente, incapace di superare la barriera del Toro, ma, improvvisa quanto abbagliante, quella corrente proruppe in una rifulgente esplosione, tale da annebbiare per alcuni secondi la visuale persino al possente Tifone.
Quando la luce, però, si quietò, con sua grande sorpresa, la creatura Mitologica vide Golia ancora in piedi, con le braccia sollevate dinanzi a se, immobile e grondante sangue, ma ancora stabile nella sua posizione. "Sei forse spirato in piedi, mortale?", domandò con chiaro divertimento l’Ancestrale Mostro, ma, prima ancora che un passo potesse essere da lui fatto, un bagliore di determinazione vibrò ancora nell’occhio del Sommo Sacerdote, "Great Horn!", urlò allora questi, prorompendo con il colpo più potente dei cavalieri del Toro.
Fu forse la sorpresa, forse la potenza di quell’attacco, dettata dalla disperazione, ma Tifone niente poté per contenere quell’ondata d’energia, che lo travolse, sollevandolo da terra e schiantandolo violentemente diversi passi indietro.
Solo allora, guardandosi intorno, per la prima volta sul volto della Bestia si tradì un brivido di terrore, non dettato dalla potenza nemica, bensì, dal luogo nelle cui prossimità era caduto: il baratro della sua prigione.
"Molto bene, mortale, pare tu sia riuscito a ferirmi e spostarmi, ma quanto pensi di riuscire ad andare ancora avanti, così ridotto e da solo, contro di me?", domandò la Creatura Mitologica, mentre si rialzava, dissimulando la sorpresa per il luogo in cui si trovava.
"Non è da solo il nostro Sommo Sacerdote!", esclamò allora una voce di donna, che si rivelò essere quella di Botan; malgrado la ferita all’addome, la sacerdotessa d’oro s’ergeva ora nell’area meridionale rispetto al baratro, affiancata da Ash del Corvo, il cui corpo stava lentamente riprendendosi, grazie all’Aurora execution, dalle fiamme oscure del nemico.
"Voi, come osate alzarvi ancora?!", ringhiò la Creatura Ancestrale, "Non solo loro, ma tutti noi, Bestia, osiamo ancora sfidarti!", tuonò allora la voce di Ryo di Libra, cavaliere d’oro, mentre già, divisi in coppie, gli Hayoka ed i santi di Atena, si disponevano nei restanti tre punti dove si trovavano le quattro chiavi.
Bow dello Storione, con le vestigia distrutte, s’ergeva sul versante occidentale, assieme al ferito Camus dell’Acquario.
In migliori condizioni si trovava Hornwer del Cervo, che, malgrado le ferite era in piedi, accanto al cavaliere della Settima casa, anch’egli determinato nello sguardo quanto il suo Sommo Sacerdote e pronto a quella battaglia finale, nell’area opposta a quella di Botan ed Ash.
Infine, si trovavano ad Oriente Shiqo della Lontra, salvo grazie alle proprie vestigia, ed un più che gravemente ferito Lorgash di Capricorn, la cui sola vista parve riempire di odio lo sguardo di Tifone; fu però la presenza di Golia dinanzi a lui a fermare la furia della Bestia Mitologica.
"Voi, insulsi folli, cosa avreste intenzione di fare?", ringhiò l’Essere, che, ora, per la prima volta, sembrava avere lo sguardo di una fiera costretta nei pressi di una gabbia, pronta ad ingoiarla, "Credete forse di avere la forza per rinchiudermi di nuovo? Folli! Ormai nemmeno Zeus potrebbe più tanto!", tuonò ancora la creatura Mitologica, "Voi cadrete, uno dopo l’altro." , concluse, espandendo il proprio cosmo.
"Non potrai mai batterci, Tifone." , avvisò allora Golia, che ancora s’ergeva, espandendo un cosmo che mai la Bestia si sarebbe atteso da un nemico mortale, a cui parevano affiancarsi le forze dei suoi otto compagni; "Quanta determinazione, mortale, ma tu sei la loro forza, quindi, sconfitto te, anche loro perderanno, purtroppo, però, non potrò eliminarti per ultimo, a quanto pare." , replicò sicuro l’Ancestrale Mostro, mentre anch’egli espandeva la propria energia cosmica oltre l’immaginabile.
"Non io sono la forza dei miei compagni, bensì la volontà di Giustizia e Pace ci guida tutti, dandoci la capacità di affrontarti e vincerti, così come i nostri amici, in passato, vinsero sui Quattro Horsemen!", lo ammonì il Sommo Sacerdote.
"La Giustizia! Ancora quell’ipocrisia riempie la tua bocca, omuncolo? Quanto mi disgusta tutto ciò!", tuonò infuriato Tifone, la cui energia esplose in un ruggito di rabbia.
"Ebbene, mortali, vi farò dono della verità che sembrate non voler comprendere: non esiste la Giustizia; l’unico metro è la Forza. Sono i forti che, sconfitti i più deboli, sanciscono che la loro parola è giusta e quella dei perdenti sbagliata! Solo la forza sancisce la giustizia! Proprio per questo la mia stirpe, le creature a me simili, furono marchiate con il titolo di Mostri e gettate nel Tartaro da chi si vantava d’essere nel giusto: Ercole ed i suoi pari, sporchi mortali, ed immortali, seguaci di immonde divinità come Zeus, lo stesso che mia madre, la debole Gea, volle che io eliminassi!", ruggì con determinazione Tifone.
"Coloro che hanno sconfitto la tua progenie, nel tempo del mito, non lo fecero per volontà di sancire la loro Forza, bensì per difendere le genti della Grecia Antica, le stesse che i mostri da te nati divoravano; proprio per salvare le genti e le divinità a cui siamo fedeli, noi, adesso, ti sfidiamo, come gli eroi di allora." , replicò lesto il Sommo Sacerdote di Atene.
"Dunque affermi che i miei figli erano dei mostri perché mangiavano gli uomini? Sono forse i Leoni dei mostri quando si nutrono delle antilopi? O i serpenti quando si cibano di ratti, o voi uomini lo siete forse, quando mangiate carne di coniglio, o di qualsiasi altro animale? È forse più giusto che l’antilope uccida il leone? O che il ratto ammazzi il serpente? O forse che il coniglio massacri l’uomo per difendersi? Quella è la giustizia? Perché in tal caso anche voi, miseri ed ipocriti esseri mortali, dovreste morire al pari della mia progenie!", ringhiò ancora Tifone, portando il suo sguardo verso tutti i nemici che lo circondavano.
"No, non mentite a voi stesse, patetiche creature, qui non si parla di giustizia, bensì di sancire con la forza chi sopravvive e chi cede, di decidere se la preda è colui che cerca libagioni, o chi viene cacciato; su questo stiamo uccidendo quest’oggi, per questo combattete prima di tutto, per questo motivo le divinità, intimorite, vi hanno convinto a seguire la menzogna della Giustizia al fine di attaccarmi!", tuonò la Bestia, schiantando il piede destro al suolo e provocando così diverse crepe nel terreno.
"Per tale motivo, ora non avrò più alcun freno e vi mostrerò i veri attacchi di cui sono padrone!", minacciò infine, mentre il suo cosmo prendeva ad espandersi.
L’energia che circondava Tifone sembrò trascendere i limiti del suo simulacro fisico, le vestigia dai mille occhi infuocati parvero ardere, mentre il cosmo della creatura mitologica pareva mutare in una gigantesca fiamma nera, una fiamma che circondò del tutto l’essere.
"Ma che cosa?", riuscì appena a balbettare Bow, che osservava assieme ai compagni la forma presa dal cosmo fiammeggiante, una forma che lentamente si delineò, ma ben più evidentemente fu chiara: le diverse lingue di fuoco avevano ora l’aspetto di cento e più serpenti, che si univano intorno al loro corpo centrale, il corpo di Tifone.
"Nelle Ere antiche si narrava che le mie mille bocche eruttassero fiamme, il mio corpo producesse raffiche di vento e terremoti; tutta la natura mi si asserviva, ma controllare singolarmente ogni elemento è cosa da niente a confronto di ciò di cui sono realmente capace, ciò che ora vedrete e subirete!", tuonò secco l’Essere Mitologico, mentre le fiamme nere si deformavano, seguendo i movimenti del suo corpo.
L’ospite di Tifone sollevò le braccia al cielo, mentre le oscure lingue di fuoco si aprivano intorno a lui, quasi fossero dei serpenti che si affrontavano gli uni contro gli altri, "Furia degli Elementi", urlò la Creatura Mitologica, mentre la potenza del nero cosmo invadeva tutta l’area circostante.
L’aria intorno ai cavalieri lì riuniti sembrò rarefarsi, per poi iniziare a risuonare, con un rombo sordo, quasi un tornado fosse prossimo a scatenarsi in quelle fredde mura; il terreno si scosse ancora di più, come se lo stesso Etna fosse pronta a frantumarsi, lasciando fuoriuscire tutta la propria furia sulle vaste terre di Sicilia; le fiamme che circondavano la Bestia, al pari di veri serpenti, si volsero contro i cavalieri nemici, sibilanti quanto predatori pronti a divorare le loro prede; fulmini lampeggiarono, nel nero delle fiamme, come dentro delle nuvole pronte a scatenare una tempesta, sembrava effettivamente che l’integrità degli elementi fosse pronte a scatenarsi e così, in effetti, fu.
Il terreno si aprì sotto i piedi di Golia, il vento circondò il Sommo sacerdote, bloccandone i movimenti, fiamme e fulmini corsero rapidi verso il cavaliere d’oro del Toro, il quale, prontamente, malgrado le molteplici ferite, cercò d’aprire le braccia, espandendo il proprio cosmo, "Biggest Wall!", esclamò determinato il santo d’Atena.
"Non funzionerà, omuncolo!", tuonò con voce sicura Tifone, mentre già fuoco e fulmini s’avventavano sulla loro preda, con l’unica intenzione di disintegrarla. "Sommo Sacerdote!", urlò al qual tempo Ryo di Libra, desideroso di aiutare il suo diretto superiore.
Tutto, però, fu ben più veloce delle reazioni del figlio di Shiryu: un rombo, un lampo e dopo, solo fumo e polvere; quando tutto si quietò, solo la sottile risata della Bestia Mitologica si udiva, risata che, però, s’interruppe non appena la visuale fu di nuovo libera.
Waboose, Shandowse e Wabun erano in piedi, laceri nell’aspetto, dilaniati nel corpo e nelle vestigia, immobili dinanzi a Golia, sui loro corpi i segni chiari del colpo appena scatenato.
"Nobili divinità…", balbettò appena il Sommo Sacerdote, mentre le tre creature divine s’accasciavano al suolo, stremate.
"Inutili sacrifici i vostri, divinità pellerossa, siete stati sciocchi nello spegnere i vostri involucri mortali semplicemente per salvare questo omuncolo." , ridacchiò Tifone, guardando i corpi al suolo, mentre le energie dei cosmi divini li trasfiguravano in pura energia, lasciandogli abbandonare quel luogo freddo e ricolmo del cosmo della creatura ancestrale.
La Bestia Mitologica osservò con attenzione le tre figure energetiche, un Bisonte, un Coyote ed un’Aquila, che si dissolvevano, abbandonando le grotte del Vulcano, "Ecco come combattono le divinità: fuggendo, rinunciando ad un involucro mortale per salvare la loro esistenza sempiterna; codarde divinità!", ringhiò Tifone, mentre si volgeva verso i cavalieri rimasti, "E’ per loro che combattete? Loro e la giustizia… tutte menzogne a cui vi aggrappate, sciocchi mortali, menzogne che, nel nuovo mondo che creerò non avranno ragione, o modo, d’esistere." , concluse l’essere Mitologico, il cui cosmo era di nuovo pronto all’assalto.
"Al contrario, Mostro, il sacrificio di Waboose e le altre divinità Pellerossa ci è stato d’aiuto, proprio la loro ultima azione sarà il primo passo per la tua sconfitta!", replicò con tono deciso Golia, ora libero dalla presa delle correnti d’aria.
"La mia sconfitta? Vaneggi, mortale!", tuonò Tifone, il cui cosmo avvampò ancora una volta, riempiendo l’ambiente, "Furia degli Elementi!", evocò nuovamente.
"Non vaneggio, Mostro, ed ora te lo mostrerò!", ribatté secco il Sommo Sacerdote, mentre il dorato espandersi della sua energia si liberava con facilità delle correnti d’aria, mentre già le braccia si portavano in avanti.
"Osserva, figlio di Gea, l’ultimo dono delle divinità Pellerossa, la tecnica che proprio Waboose mi ha trasmesso." , sentenziò Golia, "Mandria d’Oro!", invocò.
Il dorato cosmo intorno al Cavaliere di Atena si scagliò in avanti, prendendo la forma di decine d’aurei tori, che, all’unisono, si gettarono inarrestabili contro la furiosa ira degli elementi comandati da Tifone.
L’impatto tra i due cosmi, incredibilmente maestosi, sembrò interminabile; fra gli otto cavalieri che osservavano la lotta, solo Shiqo proferì un commento: "Il potere del grande Bisonte Bianco, la tecnica ultima di Waboose, Signore degli Hayoka, ecco cosa ha appreso il Sommo Sacerdote di Atene durante le ore passate con la divinità a noi sovrana." , esclamò con orgoglio e soddisfazione il pellerossa della Lontra.
L’ondata di energie contrastanti alla fine si quietò, poi un rombo, un bagliore ed una devastante onda d’urto che costrinse gli otto osservatori a chinare lo sguardo, per non restare feriti al viso.
Pochi attimi e tutto ciò che si delineò ai loro occhi furono le due figure dei combattenti: Tifone, in piedi, sanguinante dal corpo in più punti, ma con ancora lo sguardo divertito e soddisfatto; Golia, al contrario, affannato, appoggiato sulle ginocchia, sanguinante ormai da tutto il corpo e con le vestigia sempre più incrinate.
Il cavaliere del Toro tossì sangue, lasciando che le mani premessero sul terreno per impedire che il corpo cadesse.
"Sconfitto, omuncolo, ecco come volevo vederti! Il mio attacco ti ha surclassato, ora, morrai, dopo tutti i tuoi compagni." , ridacchiò Tifone, avanzando ed oltrepassando il Sommo Sacerdote di Atene.
"La forza del tuo attacco mi avrà investito, ma non pensare che pari sorte non sia capitata anche a te, Mostro mitologico!", affermò, tossendo, il Primo guerriero di Atena, rialzandosi con fatica.
Il mitico essere non ebbe nemmeno tempo di comprendere il senso di quelle parole: le scure vestigia del mostro iniziarono a riempirsi, infatti, di dorate crepe, segni di due, cinque, otto, venti, cento colpi!
"Com’è possibile?", tuonò allora Tifone, "Quando mi hanno raggiunto i tuoi attacchi?", esclamò infuriato, "L’ira e la superbia hanno accecato i tuoi occhi, figlio di Gea, non hai mai nemmeno osservato gli attacchi da me portati, così come non osservavi quelli di Waboose prima di me.
Questa sicurezza ha segnato la tua sconfitta, sappilo." , sentenziò deciso Golia, di nuovo pronto alla battaglia.
"L’essenza della Mandria cosmica è qualcosa che il Mostro non potrà mai comprendere." , sussurrò nel frattempo Shiqo della Lontra, osservando gli avvenimenti, "Che intendi dire, Hayoka?", chiese subito Lorgash di Capricorn, "La Mandria formata da energia cosmica non è un semplice attacco, non un accumularsi di pura forza bruta e spirito, bensì qualcosa di più mirato.
Come una vera mandria, infatti, confonde il nemico con il numero di assalti che sembrano arrivare, ma, in realtà, la sua essenza è ben diversa.
La carica è illusione, è il bagliore che distrae l’avversario, che lo porta a sollevare le sue massime difese contro la stessa, per poi abbassarle, nel tentativo di contenere quella che è una semplice finta, quella che è energia utilizzata per distrarre il nemico prima che il vero assalto sia portato.
Nel caso del Sommo Bisonte Bianco, la sua Mandria serviva per impedire che Tifone notasse un rituale di sigillo dell’energia cosmica, un rituale che era il vero attacco; al contrario, l’assalto del Sommo Sacerdote è ben più fisico, ma giunge solo dopo la prima ondata d’energia." , spiegò il guerriero pellerossa.
"Ciò che dici è vero, Shiqo, ma vi è anche un’altra faccia della medaglia: utilizzare la Mandria implica un gran consumo d’energia cosmica, richiede una forza doppia del normale, per questo è un attacco possibile solo a divinità e uomini con poteri molto superiori della media, ma, allo stesso tempo, lascia chiunque lo usi stremato, quasi incapace di usare altri attacchi basati sulla forza delle stelle, o di qualsiasi altra fonte." , osservò preoccupato Hornwer del Cervo.
"Proprio perché il Sommo Sacerdote ha rischiato tanto, ora noi abbiamo una possibilità," esordì a quel punto Ash del Corvo, "quella di sigillare di nuovo la Bestia nelle profondità di questo luogo.", sentenziò secco l’Hayoka, volgendo lo sguardo verso i parigrado che, prontamente, fecero un cenno d’assenso con la testa, ad indicare la loro risoluzione.
"Cavalieri d’Oro, è giunto il tempo dell’ultimo sacrificio: combinate i vostri cosmi ai nostri, così da superare la soglia delle forze mortali e raggiungere i limiti di norma concessi agli dei!", esclamò allora Bow dello Storione, "Adesso che il Sommo Sacerdote di Atene ci ha concesso questo spiraglio, ferendo il Mostro, per ora che lo tiene occupato, è tempo che noi si faccia ciò per cui qui siamo riuniti, che si blocchi la Creatura Malefica prima che questa possa scatenarsi!", sentenziò Shiqo della Lontra subito dopo.
"Sì, Hayoka, siamo con voi in quest’impresa.", esclamarono all’unisono i quattro santi dorati, mentre le loro energie cosmiche entravano in risonanza con quelle dei guerrieri pellerossa.
"Per la Giustizia ed Atena, a cui è consacrata ed in cui sempre crediamo.", esordì Botan, mentre l’energia dorata, andava fondendosi con quella oscura a forma di ali che proveniva dal corpo di Ash, "Il fuoco, che come tale fede nella Giustizia, arde inarrestabile, s’erga da Meridione sulla Eterna Prigione.
Che le incandescenti lingue di lava di questo Vulcano contengano le fiamme oscure del figlio del Tartaro.", continuò l’Hayoka dell’Autunno.
"Per i compagni che con noi hanno combattuto in questa lunga giornata, senza fermarsi, sicuri delle loro intenzioni, così come nelle loro azioni.", affermò subito dopo Camus, il cui gelido e dorato cosmo si fuse con quello ben più malleabile di Bow dello Storione, "Acqua, limpida ed invincibile come la volontà degli uomini che qui ti richiamano, ergiti ad Occidente dell’Eterna Prigione.
Ergiti come barriera pacifica, che contenga la furia delle correnti e non scateni più le immense e tetre forze della Bestia.", invocò allora l’Hayoka dell’Estate.
"Per chi ci ha preceduto e prima di noi ha combattuto minacce altrettanto grandi, vincendo e lasciando che il mondo potesse continuare la sua esistenza.", esclamò deciso Ryo di Libra, il cui dorato cosmo s’avvolse, come un fiero drago, a quello fiorente e vivo di Hornwer del Cervo, "Vento, tu che viaggi sempiterno e che hai visto il valore nostro e di chi ha combattuto prima di noi, fa che si chiuda anche da Settentrione il varco dell’Eterna Prigione.
Non portatore di morte assieme alla Bestia, che dalla tua forza prende il nome, bensì messaggero di una vittoria fautrice di speranza.", decantò l’Hayoka della Primavera.
"Per coloro che in questa guerra sono caduti, lasciando un segno in chi è rimasto in vita, con il loro sacrificio e la loro memoria.", continuò subito Lorgash di Capricorn, mentre il dorato cosmo, che trasmetteva quasi la tristezza del suo padrone, s’univa alla brillante essenza di Shiqo della Lontra, "Alla Terra mi rivolgo affinché, come costoro che hanno dato la vita, anch’essa accetti di sacrificarsi, rinchiudendo la Bestia nelle proprie membra, intrappolandola nell’Eterna Prigione.
Che la madre riprenda il figlio, che l’esistenza della Bestia sia di nuovo celata al mondo ed alle sue innocenti creature.", concluse l’Hayoka dell’Inverno.
La forza degli otto cosmi uniti creò qualcosa di mai nemmeno immaginato dai santi d’oro: una sorta di ragnatela d’energia, che partì dai loro quattro vertici, riempiendo l’intera zona fra loro, fino a toccare sia Golia, sia Tifone.
Fu proprio il contatto con quella brillante e complessa energia che stupì oltremodo il mostro Mitologico, che, come riscosso dal torpore del colpo appena subito dal Sommo Sacerdote, si guardò attorno con, per la seconda volta, una nota di timore sul viso, "Pazzi! Se pensate che bastino le vostre misere energie mortali a rinchiudermi di nuovo, solo questo siete!", tuonò infuriato Tifone, colpendo con un manrovescio il Cavaliere del Toro che, forse per la sorpresa, forse per la stanchezza, cadde al suolo, a pochi passi dal nemico, che subito corse nella direzione opposta, cercando di oltrepassare la rete d’energia cosmica creata dagli otto alleati.
Quando però la mano di Tifone fu lì per oltrepassare quel confine d’energia, una nuova presenza cosmica lo bloccò, qualcosa di vorticante: una corrente di vento e cosmo che non aveva ancora affrontato, ma che già conosceva, tanto da rivolgere un ringhio verso il suo fautore.
"Tu, che hai ucciso il mio figlio prediletto!", ruggì verso una stremata figura che barcollava, a braccia sollevate, al di fuori del gruppo di guerrieri.
"Pensavi forse che i tuoi nemici fossero finiti, Bestia immonda? Non s’era ancora spenta la fiamma della vita in Daidaros di Cefeo, e quand’anche lo fosse, di certo la mia volontà guiderebbe ancora il cosmo alla battaglia contro di te!", minacciò con secca determinazione il figlio di Shun d’Andromeda, ripresosi e di nuovo intervenuto nella battaglia.
Un nuovo ruggito allora partì dalle labbra della Mitologica Creatura, mentre si guardava intorno, "Il tuo nemico è ancora qui, Bestia, perché rifuggi dalla battaglia? Non era la forza il metro con cui misuravi chi fosse nel giusto? Devo forse sperare che hai compreso i tuoi errori?", domandò allora la voce di Golia del Toro, di nuovo in piedi e pronto alla battaglia.
"Errori? Io non ho mai fatto alcun errore, alleato delle divinità! Ho sempre fatto il meglio per la mia progenie!", tuonò infuriato il Mostro Mitologico, caricando con un violento diretto sinistro l’avversario.
Poche erano le forze di Golia dinanzi a quel nuovo attacco, tanto che il Sommo Sacerdote non poté fare niente più che subire il colpo, ma non crollò al suolo, né vacillò, anzi, strinse con le proprie mani il nemico al braccio sinistro ed alla spalla destra, mentre quel che restava dello stremato cosmo ricominciava a brillare incandescente.
"Sì, il meglio per la tua progenie, ciò è certo; ma nel farlo, Tifone, figlio del Tartaro e di Gea, hai sempre chiuso i tuoi occhi agli interessi delle creature che tu reputavi inferiori, un giudizio che hai mantenuto fino ad oggi, lo stesso che ti porterà alla sconfitta.", sentenziò deciso il Cavaliere del Toro, mentre, dando alito alle forze rimaste, sollevò dal suolo il maestoso nemico e, facendo leva sulle gambe, compì una proiezione tale da scagliarlo nei pressi della voragine, dove il nemico arrivò malamente, quasi cadendo di nuovo nella sua Eterna Prigione.
"Voi siete stati forse migliori di me e della mia stirpe quando avete trucidato i miei figli? Avvoltoio Nero, Chimera, Cerbero, Ortos, Ladone, Sfinge, Nemeo, Idra e la mia sposa, Echidna?", ruggì, mentre ancora il cosmo infuocato lo circondava nel lanciarsi contro il cavaliere d’Oro, "Vi siete forse comportati diversamente? Avanzando giudizi e pretese su vite che non vi appartenevano?", tuonò ancora, mentre anche Golia correva incontro al nemico, pronto ad una nuova carica frontale.
Lo scontro fra i due combattenti fu devastante: l’energia dei loro cosmi, o di ciò che ne restava, insieme ai resti delle loro vestigia, volò in ogni direzione, toccando indifferentemente tutti i cavalieri lì riuniti, mentre nuove ferite si aprivano sui loro corpi, ma, al di là dell’impatto, vi era una certezza: il Sommo Sacerdote stava guadagnando metri preziosi verso la voragine, lì dove sarebbe dovuto cadere l’Ancestrale essere.
"No, non siamo diversi nel prendere le vite altrui, che siano uomini, divinità, o mostri a noi avversi, ma il nostro cuore sanguina ogni nuova vita che strappiamo; la fede nella Giustizia che tu reputi non esistere, quella ci spinge alla battaglia in difesa di tutti coloro che nemmeno sanno di questa nostra battaglia, la nostra natura mortale ci porta a rimpiangere ogni vita sacrificata, in ambo gli schieramenti, e l’onore di cavalieri ci permette qualcosa che tu forse dimentichi, Tifone, qualcosa che permette noi di non abbassare mai la guardia dinanzi ai nemici.", replicò deciso il santo di Atena.
A quelle parole, colui che era definito la Bestia, piantò saldamente i piedi al suolo, stringendo le carni del nemico per rallentarne il passo, "Cosa, guerriero mortale? Cosa vi permette di non abbassare mai la guardia?", domandò con un ghigno sarcastico l’essere Mitologico.
"La consapevolezza che i nostri nemici sono potenti: riconoscere il valore del nostro avversario, questo è il primo modo in cui comprendiamo che questi potrebbe vincere se noi lo sottovalutassimo. Mai ho dubitato della tua forza, Tifone, proprio per questo mai ho fermato il mio pugno, o trattenuto il mio cosmo, fin dall’inizio dello scontro, al contrario di te!", sentenziò secco Golia.
Una risata, folle e divertita, quella fu la prima risposta dell’Ancestrale nemico a quelle parole, che barcollò qualche passo indietro, sempre più vicino alla voragine, mentre rideva e lasciava scivolare la testa verso dietro. Poi, improvvisa come era iniziata, la risata finì, mentre il capo di Tifone scattava in avanti, colpendo con una secca testata la fronte del Sommo Sacerdote, facendo barcollare quest’ultimo.
"Anche tu sei un avversario potente, te lo concedo.", furono le uniche parole che la Bestia aggiunse, leccando il sangue che aveva sporcato la sua fronte e colava verso la bocca.
Il cosmo di Golia, a quel punto, s’accese ancora, un’ultima volta, brillando dell’ardore della determinazione, mentre, in un secco movimento, simile a quello appena compiuto dal capo del nemico, anche il Sommo Sacerdote portava una testata contro il nemico, investendolo alla base del collo e spezzando il fiato a Tifone, oltre che, facendolo finalmente indietreggiare fino al vuoto della voragine.
L’Essere Mitologico non disse niente, semplicemente un mesto sorriso si dipinse di nuovo sul suo viso, mentre le mani abbandonavano la presa sul Cavaliere del Toro, le braccia si allargavano, quasi a voler toccare i bordi della voragine, poi più niente, solo un sospiro che, a Golia, parve quasi una parola detta al vento, "Echidna…", niente di più, prima che il corpo di Tifone ricadesse nella voragine.
A quel punto, quando l’Ancestrale creatura scomparve alla vista di tutti, il cosmo creato dai Quattro Cavalieri d’Oro e dagli Hayoka loro alleati, si gettò anch’esso nell’Eterna Prigione di pietra, quasi inseguisse il proprio prigioniero, scomparendo assieme ad esso, nelle profondità del mondo.
"Conclusa è dunque la battaglia.", sussurrò appena Golia del Toro, cadendo indietro, sulla dura roccia, mentre ancora il sangue scorreva dalle molteplici ferite sul suo corpo.
Le voci dei compagni cavalieri e degli alleati pellerossa furono quasi un sussurro per le sue orecchie, mentre lentamente, il Sommo Sacerdote s’addormentava, stremato e ferito per quel lungo ed incredibile scontro.