Capitolo 44: Rispetto per la vita
Il fianco coperto di lava del Vulcano Etna presentava una cavità che ai più passava inosservata, un foro nella dura e millenaria roccia che solo alcuni cavalieri, nelle diverse ere, avevano attraversato, il medesimo percorso che già altre volte Golia del Toro aveva seguito, ma per motivi differenti.
Il Sommo Sacerdote di Atena, infatti, si trovò, stranamente, a pensare alla prima volta che aveva varcato quella soglia, cercando dei riparatori d’armature, in seguito all’apparizione dei Tree Monks, che avevano rapito i cavalieri d’argento. Molto tempo era passato da allora, diversi suoi compagni d’arme erano caduti, lui stesso era cambiato, fino a diventare il nuovo Sommo Sacerdote, per di più, questa volta, stava entrando nella grotta non come alleato delle Ancelle di Efesto, bensì come nemico dell’essere che da millenni dormiva nelle fondamenta del mondo: Tifone.
Shiqo della Lontra entrò nella caverna naturale alla destra di Golia; era ancora molto scosso per la morte di Mudjekewis, che non era riuscito ad impedire, ma avanzare accanto al Sommo Sacerdote di Atena, osservandone le azioni, era per lui quasi uno stimolo a perfezionarsi, seguendone l’esempio: egli, che doveva essere il comandante degli Hayoka, aveva bisogno di un modello per reggere il fardello del comando, questo era certo, ma non aveva però il coraggio di ammetterlo a Golia stesso.
Daidaros di Cefeo e Bow dello Storione seguivano a stretto contatto i loro comandanti, cercando con lo sguardo dei possibili nemici, oltre che percorsi alternativi a quello da loro intrapreso, ma pareva che la strada fosse per tutti loro obbligata, come se qualcuno avesse preventivamente fatto crollare tutte le gallerie connesse a quella che stavano percorrendo.
Dietro di loro, poi, vi erano Ash del Corvo, sempre intento nel suo silenzioso avanzare, quasi impassibile alle preoccupazioni ed ai pensieri dei compagni, e Lorgash di Capricorn, il cui unico pensiero andava ad Elettra, il cui cosmo sentiva ancora espandersi nella battaglia all’esterno del Vulcano.
Il gruppo si fermò dopo alcuni minuti d’incessante corsa all’interno della galleria, "Sembra che ci sia concessa solo questa via in cui muoverci per un ovvio motivo, giusto, Daidaros?", domandò d’un tratto Golia, volgendosi verso il figlio di Shun, la cui catena iniziava ad agitarsi ancora maggiormente.
"Sì, Sommo Sacerdote, questo cunicolo ci porta sempre più vicini alla Bestia, nemmeno io riesco quasi a trattenere più la catena tant’è agitata per questa potenza cosmica", spiegò il cavaliere d’argento, guardandosi intorno: erano in una specie di spiazzo roccioso, circondato da due sottili cascate di lava, l’unica strada che si apriva dinanzi a loro era attraverso un cunicolo posto alcuni metri più in alto, un salto breve, ma che di certo li avrebbe scoperti per alcuni secondi agli attacchi nemici.
"Inoltre", aggiunse d’un tratto Ash, "pare che un altro nemico s’intrometta sul nostro cammino", concluse impassibile, indicando un’ombra che s’avvicinava al chiarore della lava.
L’ombra appariva umana agli occhi dei sei guerrieri, però, a pararsi dinanzi a loro, fu un mostro: un gigantesco cane nero a tre teste, la medesima bestia che già aveva attaccato il territorio degli Hayoka, Cerbero.
Shiqo riconobbe subito quel cosmo, come d’altronde fecero anche i suoi due compagni, capaci di avvertire ogni inflessione cosmica con incredibile facilità, perciò fu proprio il nativo americano della Lontra a mettersi per primo in posizione di guardia, pronto alla nuova battaglia.
"Aspetta, Shiqo", esordì però una voce dietro di lui, mentre una mano gli si appoggiava alla spalla destra, era quella di Bow, "lascia a me questa battaglia, mi ero ripromesso di fare ammenda per la caduta di Taimap, vincendo colui che aveva preso la sua vita", spiegò l’Hayoka dello Storione, facendosi avanti verso l’avversario che li osservava dalla posizione rialzata.
"Fate combattere me, voi, intanto, avanzate, se lo scontro risulterà eccessivamente lungo e violento", suggerì il pellerossa, "in ogni caso, portatevi ad una distanza di sicurezza, non vorrei che nessuno di voi restasse ferito, non conosco i poteri di questa creatura mitologica", concluse, espandendo il proprio cosmo, che apparve come un arcobaleno di molteplici colori.
"Voi, miseri e sciocchi uomini, ci avete stancato", esordì un tratto la voce, apparentemente bestiale, nascosta dall’energia cosmica, "già quello sbruffone del vostro compagno, il guerriero del Castoro, ha incontrato la nostra furia, ma adesso anche tu, piccolo sciocco, vedrai quanto inutili sono queste parole di sicurezza dinanzi a noi, Cerbero, Guardiano dell’Ade, un tempo, e di nostro padre Tifone, adesso", spiegò il mostro mitologico, parlando ancora di se stesso al plurale.
"Avrai modo, mio nemico, di scoprire come le parole di Bow dello Storione non sono dettate dalla superbia, anzi cercherò di contenere il più possibile i miei poteri, proprio per non ferire il corpo mortale che guidi in battaglia", replicò con tono calmo l’Hayoka, scattando verso l’avversario.
"Fin troppo hai osato parlare contro di noi, povero stolto", lo ammonì Cerbero, "Zampata Devastante", tuonò poi, scatenando il colpo d’energia che frantumò il terreno fra i due nemici, creando un solco nella parete rocciosa, mentre si dirigeva con velocità verso l’Hayoka.
"Allontanatevi", urlò, alla vista di quell’attacco, Golia a coloro che gli stavano dietro, mentre sollevava il Biggest Wall, l’invalicabile difesa che più volte lo aveva aiutato in battaglia.
Quando l’esplosione d’energia si quietò, nessuno dei cavalieri dietro il sommo Sacerdote di Atene era stato colpito, ma di Bow non vi era traccia, "Hayoka!", urlò preoccupato Daidaros, ma fu il sorriso di Shiqo a tranquillizzarlo. "Non preoccuparti, santo di Atena, è impossibile che uno dei quattro comandanti pellerossa possa cadere per così poco, tra l’altro, lo Storione è famoso per la precisione chirurgica come riesce ad agire in ogni circostanza", spiegò con tono quieto il pellerossa della Lontra, in cui il fardello del comando aveva momentaneamente lasciato il posto al sollievo per le abili azioni dell’amico.
"Tu vaneggi, misero uomo, nessuno può evitare il nostro attacco senza essere visto", lo avvisò la voce di Cerbero, all’interno della sua figura cosmica, "Sbagli tu, invece, mostro", lo ammonì impassibile Ash del Corvo, "i tuoi occhi non sapevano dove osservare quando cercavi il nemico allontanatosi dall’attacco", spiegò, mentre Shiqo indicava un foro nel soffitto di quella zona pianeggiante nella galleria.
"Ma cosa?", si domandò Daidaros, che pareva essere l’unico a non capire l’origine di quel singolo e minuto foro, prima che una voce lo interrompesse: "Drop Color", sussurrò con tono pacato qualcuno, dall’interno della figura cosmica di Cerbero.
Il gigantesco cane a tre teste scomparve, lasciando il posto all’uomo da cui era scaturito quel cosmo, un uomo la cui figura era indistinguibile all’interno della sfera dai variopinti colori che Bow dello Storione aveva stretto attorno a lui.
"Avanzate, amici miei, libererò la sua anima e sarò subito da voi", esordì allora l’Hayoka, sorridendo agli altri cinque che con un balzo gli furono vicini e lo superarono, correndo dentro la galleria che si apriva alle sue spalle.
Per alcuni secondi, però, Daidaros ritardò il passo, osservando l’Hayoka dello Storione recitare strane frasi, mentre il cosmo della sua mano pareva attirare a se qualcosa dall’interno del nemico, sbalordendolo.
"Quella è la tecnica di purificazione che tutti noi Hayoka siamo soliti usare sugli spiriti maligni; ne abbiamo fatto uso anche quando voi vinceste gli Horsemen, per sigillarne le anime", spiegò Ash del Corvo con distacco, "in questo modo Vake ha vinto quell’altro mostro che ci aveva attaccati…. Lo Storione ha scelto la via più semplice e meno violenta", concluse con una nota di disapprovazione che sorprese il figlio di Shun.
Bow, intanto, aveva estratto la mano dalla sfera dai molteplici colori, che subito si sciolse, lasciando cadere al suolo il corpo con le vestigia nere, ma quando l’Hayoka si voltò sorridente verso gli alleati, pronto a raggiungerli, una potente energia cosmica lo gettò indietro, facendolo cadere sul piano sottostante della piccola sala.
"Bow!", urlò allora Daidaros, pronto a correre in soccorso dell’alleato, proprio quando gli occhi rossi di Cerbero si voltarono verso di lui, "Spiacenti, misero uomo, ma in questo momento il nostro interesse verso voi altri è scomparso. Questo sciocco individuo pagherà per averci divisi, voi non potrete interferire in questo", concluse il nemico, la cui voce sembrava molto più fredda, mentre la galleria di pietra crollava fra lui ed il figlio di Shun.
Il cavaliere di Cefeo era pronto a far esplodere il proprio cosmo contro la roccia crollata, ma la mano di Lorgash lo fermò, "Capisco molto bene la preoccupazione che ti anima, amico mio, ma non possiamo far altro che aver fiducia in chi lasciamo dietro di noi e continuare a combattere per vincere Tifone e poi raggiungerli", spiegò il santo d’oro, "una sola strada si apre dinanzi a noi: quella che ci conduce dalla Bestia", concluse, mentre, titubante, Daidaros lo seguiva, lasciando l’alleato a scontrarsi contro il suo nemico.
Echidna varcò le porte per la piccola sala nascosta oltre il trono in cui si trovava il suo sposo, lì aveva lasciato qualcosa che, sapeva bene, Tifone avrebbe gradito, qualcosa con cui avrebbero brindato alla vittoria contro le misere divinità olimpiche e gli insulsi umani: il compagno di viaggio dell’uomo che ora era posseduto dalla Bestia.
Il ragazzo la osservava con timore, mentre la donna dall’aspetto selvaggio lo tirava a se per i capelli, trasportandolo nell’altra sala; erano solo due turisti, due giovani che, come unica loro colpa, avevano quella di aver voluto visitare l’Etna durante la stagione sciistica, allontanandosi dal resto della loro comitiva per non farvi più ritorno.
Quando Echidna lo portò dinanzi al suo sposo, il ragazzo fu quasi sollevato dal vedere il proprio amico, ma, gli occhi rossi che lo scrutavano con rabbia ed odio fece scomparire quella sicurezza, poco prima che la possente mano di Tifone gli coprisse con forza il volto, quasi schiacciandolo.
"Tu saresti dovuto essere l’ambrosia con cui avremmo festeggiato l’ascesa sul Trono dell’Ancestrale Urano, ma, siccome dei vili umani hanno ucciso il più giovane dei miei figli, tu farai la medesima fine… avremo centinaia di miseri sciocchi di cui nutrirci nel momento della gloria, questo, però, è il momento della commemorazione", sentenziò con tono autoritario Tifone, staccando di netto la testa dal collo del giovane.
Per un interminabile attimo, la Bestia lasciò divampare il proprio cosmo attraverso la mano, bruciando capelli, pelle e strutture interne di quel cranio, che una sottile corrente d’energia intagliava a formare una coppa dal tetro aspetto di teschio.
Tifone avvicinò poi l’orrido calice al corpo decapitato ed Echidna abbassò il tronco verso il bordo del teschio, che presto si riempì del sangue di quella vittima, sangue che fu poi bevuto dall’essere mitologico, in breve e lente sorsi, prima di offrire la coppa, nuovamente colma, alla propria sposa.
"Bevi, Echidna, in ricordo di nostro figlio Chimera, che colei che lo ha ucciso possa morire fra atroci sofferenze", esordì il mitico essere, "già s’appresta, intanto, Cerbero, a mostrare le sue vere virtù", continuò, udendo il cosmo del suo secondo figlio intento nella battaglia con Bow, "sciocco sarà colui che pensa di poterlo fermare valutando solo ciò che vede in questo momento. Molteplici sono i segreti del Guardiano dell’Ade", rise acutamente Tifone, mentre la sposa gli porgeva nuovamente il calice.
Bow dello Storione osservava stupito il proprio nemico, che ora gli si rivelava nella sua figura umana, era un uomo tozzo, ingobbito da una corporatura opulenta e massiccia; l’armatura nera che lo ricopriva ne sigillava braccia e gambe nelle zampe del mitologico cane, mentre, ancor più, risaltavano le tre teste della belva, disposte in punti diversi del corpo: una era infatti l’elmo, la seconda si trovava al centro del pettorale, in rilievo, mentre l’ultima, l’unica che, potesse definirsi spenta, priva del tetro bagliore che le altre parevano trasparire, era sulla spalla sinistra dell’uomo.
Quando l’Hayoka incontrò lo sguardo nascosto dietro l’elmo, di un rosso fuoco, fu sconcertato, poiché certo d’aver diviso la natura mostruosa del Guardiano dell’Ade da quella dell’uomo.
"Come puoi ancora dominare quel povero innocente? Ho chiaramente avvertito lo spirito del mostro dividersi da quello mortale", esclamò basito il pellerossa, "Non a te, misero essere, sta capire i segreti di Cerbero, sappi solo che una parte di noi reclama vendetta e saremo lieti di concedergliela", replicò semplicemente il nemico, mentre dei macigni si staccavano dalla parete rocciosa, correndo vorticosamente verso il nativo americano.
Lo sguardo dell’Hayoka si fece improvvisamente freddo: con attenzione Bow squadrò le decine di macigni che gli correvano incontro e con altrettanta velocità estrasse qualcosa da dietro la schiena, il particolare oggetto che vi era attaccato, l’arma a forma di Storione che iniziò a roteare fra le mani.
Un primo fendente dall’alto verso il basso recise di netto due macigni, uno subito successivo all’altro, fu quindi una veloce capriola ad evitare che una terza roccia raggiunse Bow alle spalle, schiantandola contro una quarta, prima che, poggiando la punta dell’arma al suolo, l’Hayoka compisse una capriola elegante ed agile, tanto da portarsi al di sopra delle decine di sassi che ancora correvano verso di lui, balzando da uno all’altro, per poi caricare l’arma stessa d’energia cosmica, che apparve arricchita da decine di riflessi diversi.
L’arma, allora, si allungò inaspettatamente, diventando una specie di lancia indiana, mentre con una rotazione su se stesso, l’Hayoka falciò tutti i macigni, con la lama e l’energia che la circondava, restando illeso dopo questo nuovo assalto.
"Ecco dunque come hai ingannato il nostro attacco di prima: quell’arpione che s’allunga, hai usato quell’arma, conficcandola nella parete superiore della grotta, per raggiungerci", analizzò Cerbero, "ma usare ancora quello strumento non ti sarà d’aiuto, non potrai avvicinarti tanto a noi da provare di nuovo a sigillarci negli Inferi di cui siamo il Guardiano", avvisò l’essere mitologico.
"Qualunque cosa tu dica, mostro mitologico, non cambierà il fatto che libererò l’uomo innocente che hai soggiogato", tagliò corto l’Hayoka, "per onorare Taimap e per salvare la tua vittima e quanti altri rischiano per colpa di voi, figli della Bestia", concluse.
"Parole vuote e prive di senso, alle nostre orecchie, sono le tue", lo ammonì impassibile il nemico, "ma di una cosa dobbiamo dar merito: il tuo pari che abbiamo vinto nelle vostre terre era determinato quanto te, incapace di ben utilizzare le sue doti psichiche, ma determinato; quasi folle, poiché come misero uomo ha voluto affrontare noi, che discendiamo da divinità", concluse, Cerbero, mentre un cosmo luminoso lo circondava, staccando il lembo di roccia su cui poggiavano i suoi piedi e sollevandolo a mezz’aria.
Bow osservò il nemico portarsi sopra di lui, coprendolo con l’ombra del macigno su cui si trovava, "Da questa distanza non potrai evitare il nostro colpo", avvisò Cerbero, "decisa è stata la tua sorte quando hai osato levar la mano contro di noi", minacciò ancora, mentre l’energia che lo circondava, ben diversa da quella che aveva caratterizzato il primo attacco, quello parato da Golia, diventava sempre più abbagliante.
"Zanna di Luce", urlò con voce decisa l’essere mitologico, mentre, sollevato l’avambraccio sinistro, lo calava con violenza verso il suolo, creando delle fameliche zanne con il pugno aperto, che calarono inesorabili verso il loro bersaglio: l’Hayoka dello Storione.
Il bagliore dell’attacco durò pochi secondi, il tempo necessario al Guardiano dell’Ade per giungere in prossimità del suolo, fra le due colonne di lava che scorrevano ai lati di quella particolare arena, ed osservare, non senza stupore, che le difese dell’avversario avevano retto al suo attacco.
Cerbero, infatti, non si trovò davanti un cadavere, come s’aspettava, bensì una sfera dai molteplici colori che già ben conosceva, "Dunque è anche una difesa questa tecnica? Mi sorprendi", affermò ironico il mostro mitologico, mentre la figura di Bow usciva dalla Goccia di colore.
L’Hayoka non era però completamente illeso: aveva infatti una vistosa ferita sul viso, segno della pressione che l’attacco nemico aveva inflitto alla sua barriera di colore, ma non per questo, la quiete e la determinazione nel suo sguardo erano venute meno.
"Sì, la gabbia in cui poc’anzi t’avevo intrappolato è anche una tecnica difensiva, anzi nasce proprio per difendere, non solo me, ma anche i compagni ed i nemici, poiché attraverso questo sigillo è impossibile che penetri alcun attacco", spiegò Bow, mentre si toccava la ferita al capo, "o almeno così pensavo", concluse con un po’ di sarcasmo.
"Ad ogni modo, figlio della Bestia, ho infine compreso il vostro segreto", esordì, dopo alcuni attimi di pausa, l’Hayoka, "Davvero?", domandò ironico l’altro, "Sì, ho capito che, nel mito, vi è in fondo una base di verità, perciò, come il cane a tre Teste, figlio della Bestia e della sua Sposa, anche tu hai tre teste, o, per meglio dire, tre anime che dimorano insieme, dominando quel corpo. Quando v’intrappolai, ho vinto solo il primo di voi", suppose il guerriero dello Storione.
"Esatto, giovane mortale, hai infine capito il segreto di Cerbero; non puoi vincerci in una sola volta, ma devi fronteggiarti per tre volte di seguito. Per ora hai sconfitto solo quello che tra noi sfruttava la forza bruta, ma ora hai dinanzi la Mente e di certo non mi intrappolerai come hai fatto con l’altra nostra parte", avvisò compiaciuto l’essere mitologico.
"No, di certo non vi riuscirò, poiché immagino che un colpo visto da uno di voi sia inutile ormai su tutti e tre; questo mi obbligherà ad utilizzare la mia tecnica offensiva", osservò con voce rammaricata l’Hayoka, "spero solo di non uccidere il povero uomo che intrappolate", sussurrò, mentre già il cosmo multicolore lo avvolgeva del tutto, circondandolo come una corrente d’energia dai mille e più riflessi, per confluire all’avambraccio sinistro.
"Running River", esclamò l’Hayoka dello Storione, scatenando una corrente d’energia simile, per forma, ma non per caratteristiche, allo Scorrere delle Acque Divine dei santi di Acquarius e, come loro, anche Bow liberava una corrente quasi sacra, quella delle Acque dello Storione, dai molteplici colori e poteri.
Il fiume d’energia raggiunse alla velocità della luce Cerbero, che rimase sbalordito e non riuscì nemmeno a sollevare le proprie difese, subendo il colpo, tanto potente da danneggiare il pettorale destro e parte della spalliera, oltre che capace di schiantarlo contro la parete, fra i due fiumi di lava, a diversi metri di distanza.
Con inaspettata decisione, però, l’Hayoka gli fu subito addosso, appoggiando il braccio sinistro sul corpo invaso dall’essere mitologico, prima di recitare antichi versi in lingua sioux. Dalla nera armatura uscì una sfera di luce accecante, qualcosa che lo stesso Bow osservò sbalordito, mentre si confondeva al suo cosmo, variandolo, inizialmente, in qualcosa di malvagio e minaccioso, per poi scomparire nella quieta aura del pellerossa, simile, adesso che la battaglia era conclusa, alla superficie di un lago d’estate.
"Non è ancora finita, un altro mi resta da sigillare, prima che la battaglia rischi di ripercuotersi sul loro ospite", sussurrò fra se il nativo americano, avvicinando ancora la mano al nemico, ma, stavolta, Cerbero lo bloccò, stringendo con violenza l’arto del pellerossa, prima di lanciarlo a diversi passi di distanza senza alcuna fatica.
Il volo di Bow si completò in una capriola, che permise all’Hayoka di atterrare quietamente al suolo, osservando il proprio nemico rialzarsi, senza fatica alcuna, e scrutare con esitazione i danni all’armatura nera, prima di togliersi il nero elmo, poggiandolo al suolo.
Ora il viso dell’uomo che era posseduto da Cerbero era visibile al guerriero pellerossa: un viso segnato dagli anni, ricco di rughe e privo di capelli, adesso portatore di due occhi scarlatti che scrutavano con interesse l’Hayoka.
"I miei complimenti, uomo, hai vinto due di noi, danneggiato queste mitiche vestigia ed ancora ti reggi molto bene in piedi, ma, mi chiedo, per quanto ancora andrà avanti la tua virtù guerriera se lo spirito che metti negli attacchi è così… debole", concluse con voce secca il nemico, lanciandosi in una carica frontale contro Bow.
I pugni di Cerbero, carichi d’energia cosmica, brillavano nell’arene di pietra, mentre questi, gettandosi addosso al nemico, cercava di raggiungerlo con un violento diretto allo stomaco, che solo la velocità permise all’Hayoka di evitare, prima che un gancio destro gli sfiorasse il viso, costringendolo ad indietreggiare verso la parete rocciosa alle sue spalle.
Un nuovo pugno diretto al fianco sinistro costrinse il pellerossa ad avvicinarsi ancora di più alla pietra dietro di lui; fu allora che Bow estrasse ancora una volta l’arma che portava sulla schiena, e con quella parò un gancio destro, mentre indietreggiava, roteandola nella mano sinistra.
L’avere quell’arma in mano rendeva ora l’Hayoka in una posizione di maggior equilibrio rispetto al suo nemico, poiché riusciva con incredibile velocità a spostare la punta verso i pugni nemici, deviandoli, di volta in volta, con estrema velocità e prontezza di riflessi, ma mantenendo una costante propensione alla difesa anziché all’attacco.
"Giocare con questo tuo arpione non ci dà alcun piacere", avvisò con tono quieto l’altro, "ma vederti trattenere ogni forma d’attacco ci offende", concluse Cerbero, deviando la guardia di Bow con un veloce gancio sinistro all’impugnatura dell’arma, seguito da un diretto al gomito sinistro, così da spostare la difesa dell’Hayoka, che rimase scoperto al successivo attacco.
Con violenza, infatti, un diretto allo stomaco raggiunse Bow, sbattendolo contro la parete, prima che una serie di rapidissimi ganci, portati con ambo le braccia, producesse sempre maggiori crepe nell’armatura dello Storione, mentre il guerriero pellerossa si piegava su se stesso dal dolore; alla fine, quando ormai le vestigia dai molteplici colori erano quasi distrutte, un montante sinistro alla bocca dello stomaco le frantumò del tutto, lasciando sputare una rossa nuvola di sangue dalla bocca del nativo americano, che fu subito dopo raggiunto da gancio destro al volto, che gli fece frantumare la parete rocciosa alle sue spalle, cadendo al suolo, sanguinante.
"Ora ti finiremo, guerriero, ma, prima di far ciò, volevamo spiegarti un concetto che pare esserti ignoto", esordì, riprendendo fiato, Cerbero, "poc’anzi hai detto alla nostra Mente che l’uomo che indossiamo è innocente; ebbene, ti sbagli. Non esistono uomini innocenti. Per millenni abbiamo vigilato le porte dell’Ade, il girone degli Ingordi, mai abbiamo visto un solo essere che si possa dichiarare innocente, anzi, fra le diverse prigioni degli Inferi è possibile vederne centinaia pieni di colpe", spiegò l’essere mitologico.
"Non è però colpa di voi uomini se siete sporchi, privi d’innocenza e purezza alcuna, ma delle divinità, olimpiche, asgardiane, egizie, e quant’altro, che vi guidano, tutte creature prive della grandezza che aveva all’inizio del tempo il potente Urano, quella grandezza che i tuoi alleati hanno osato fermare. Ora morirai, uomo, per mano dello Spirito di Cerbero, ma non temere, quando finirai nell’Ade scoprirai altrettanti essere stolti che credevano nell’innocenza delle genti mortali", concluse, espandendo il proprio cosmo, immenso e nero, che lo avvolse, prendendo l’aspetto di tre teste di cane.
"Tutto ciò che dici, creatura mitologica, è sbagliato", affermò, sollevandosi a stento, Bow dello Storione, "Vuoi ancora controbattere? Bene, te lo concederemo in onore dell’abilità con cui hai saputo fronteggiarci finora", replicò il nemico, pronto a sferrare il proprio attacco.
"Esistono, è vero, uomini privi d’innocenza, ma nessuno nasce ricolmo di peccati, sono le vite che si vivono, le esperienze che si compiono, a rendere l’uno puro e l’altro peccatore. Anche fra noi Hayoka, la differenza di visuale spicca semplicemente dialogando con l’uno o con l’altro; Big Bear, e come lui Taimap, credeva che solo nella battaglia si potesse dimostrare ai propri dei il vero valore, come rendergli grazie per i lunghi addestramenti e le numerose conoscenze che ci avevano fornito. Al contrario, gente come Peckend, o Hornwer, vede nella bellezza delle creazioni mortali, e nell’onorare tale bellezza, che sia la musica o la flora", spiegò con voce dolorante l’Hayoka.
"E tu come li onori?", domandò incuriosito il mostro mitologico, "Onorando la vita, dando ad ogni essere che ho davanti, che sia un mio nemico, un alleato, uno sconosciuto, o un semplice uomo, la medesima importanza, reputando che tutti meritano di continuare a vivere, perché le guerre portate avanti per volontà delle divinità non possono distruggere le vite di chi li serve", spiegò sollevando la propria arma dinanzi a se.
"Proprio per questo, ora, mi vedo costretto a rivelarti la valenza del potere dello Storione. Volevi scoprire le mie virtù offensive? Ebbene, creatura mitologica, te le mostrerò, sperando solo che ciò non uccida l’uomo di cui hai invaso il corpo", concluse mentre l’energia circondava il suo braccio e l’arma che impugnava.
"Speri di colpirmi con quell’arpione? Non ne avrai il tempo, nemmeno mutandolo in lancia", avvisò allora Cerbero, molto sicuro di se.
"Non è un arpione quello che ti trovi davanti, né una lancia, bensì un mezzo", replicò con voce quieta l’Hayoka, "Un mezzo?", ripeté il nemico, "Sì, uno strumento attraverso cui il mio cosmo prende le forme che vuole", spiegò Bow.
"Fra i quattro comandanti Hayoka, io sono colui che guida i Guardiani dell’Estate; come il Cervo della Primavera brilla perché capace di utilizzare la flora, e con essa la vita che vi risiede, in battaglia, così lo Storione dell’Estate è noto per le sue abilità creative, che sia semplice colore a prendere forma, come sfera, o corrente di un fiume, oppure un’arma a forgiarsi, ebbene non v’è molta differenza, finché non uso il potere ultimo del mio simbolo, potere che ora conoscerai su di te", concluse Bow.
In quel momento l’arma parve mutare d’aspetto, mentre la testa dello Storione si spostava sulla mano dell’Hayoka ed il resto dell’arma diventava un arco d’energia cosmica; fu allora che una freccia, dai molteplici colori, si generò nella mano destra di Bow, che subito tese l’arco con questo dardo.
"Non ti temo, attaccami pure, uomo, e scoprirai la furia di Cerbero", esclamò l’essere mitologico, mentre le tre teste d’energia cosmica diventavano altrettante sfere, "Tries Encefalos", ruggì il mostro, scagliando il triplo attacco contro il nemico.
"Che i potenti dei Hayoka salvino il tuo corpo mortale da questo attacco", pregò nel frattempo Bow, scoccando la freccia, "Azure Silver Arrow", esclamò poi, mentre il dardo appena lanciato prendeva la forma di uno storione che, con estrema facilità nuotò fra le sfere energetiche, dirigendosi verso il proprio bersaglio.
Le sfere investirono con violenza Bow, o almeno così parve, poiché l’Hayoka, sfruttando l’arco che ancora aveva in mano, ne deviò due, subendo solo l’impatto con la terza, che ferì il suo braccio destro; ma altrettanta fortuna non ebbe il suo nemico: Cerbero fu infatti raggiunto in pieno stomaco dal dardo, che però non perforò le vestigia, bensì esplose a contatto con il mostro mitologico, distruggendone l’armatura e scagliando il corpo ferito al suolo, a diversi metri di distanza.
Bow dello Storione, allora, avanzò barcollando, quasi reggendosi alla parete rocciosa, incurante della scia di sangue che lasciava dietro di se; finché non arrivò vicino al nemico, il cui corpo toccò appena con il braccio sinistro mentre recitava i versi con cui ne liberò lo spirito dall’invasore.
"Sia lode a Waboose, non ti ho ucciso", sussurrò stremato il guerriero pellerossa, prima di cadere al suolo, mentre un’energia cosmica dorata lo circondava, scomparendo poi da quel campo di battaglia assieme a lui.