Capitolo 38: Le due Sovrane
Due sovrane si stavano fronteggiando dinanzi agli occhi stupefatti di Wabun, egli, una divinità pellerossa, non era riuscito nemmeno a sorprendere Amaterasu, neppure quando l’aveva costretta a rivelarsi, ma una semplice vampata d’energia cosmica di Esmeria era bastata a rubare l’attenzione della dea Giapponese.
"Dunque, mortale, stavolta sei tu che ti poni a difesa di questo dio minore?", domandò la Sovrana del Sole, squadrando con disinteresse la nemica, dopo che lo stupore era ormai scomparso dal suo sguardo, "A difesa di Wabun e di ogni altro essere tu intenda danneggiare con queste tue azioni, Amaterasu", la corresse prontamente la figlia di Ikki.
Una smorfia di disappunto fu l’unica risposta che inizialmente la divinità diede a quelle parole tanto baldanzose con cui la nemica l’aveva ripresa, parole di chi è sicuro di essere nel giusto.
"Parole piene di sicurezza le tue, piccola mortale, ora spegnerò in te l’orgoglio, assieme all’ultimo fiato di vita, con il Respiro di Fuoco di cui sono padrona", minacciò la divinità, portando le mani dinanzi al volto ed ispirando profondamente.
"Endan!", sembrò tuonare la dea, prima che dalle sottili ed eleganti labbra prorompesse una maestosa fiammata, che riempì l’intera sala.
Il fuoco impedì per diversi minuti di distinguere la sorte di Esmeria e di Wabun, ma, quando alla fine le fiamme si quietarono, Amaterasu scoprì, con suo grande stupore, che nessuno dei due nemici era rimasto ferito per le alte fiammate: la Beast Keeper di Suzaku aveva portato se stessa ed il divino alleato a diversi passi di sicurezza, fino a spostarsi, non visti, alle spalle della Sovrana del Sole nipponico.
"Sei veloce, inoltre ti preoccupi del tuo alleato, ma quanto servirà ancora questo modo di agire? Come puoi sperare di vincermi se resti a preoccuparti della misera divinità che ti doveva aiutare?", domandò ironica Amaterasu, scambiando una decisa occhiata con la figlia di Ikki.
"Non sono giunto qui per aiutarla, bensì per combattere in prima persona contro di te, Amaterasu", esordì allora Wabun, "Allora, divinità minore, sosterrei che la tua parte in questa battaglia è ormai conclusa, anzi, non avevi nemmeno motivo di trovarti qui, come non lo ha questa piccola mortale", obbiettò con sufficienza la dea giapponese.
"Eppure, Regina del Sole d’Oriente, sarà proprio questa tua troppa sicurezza a sancire la vittoria della Sovrana di Cartagine su di te", avvisò in tutta risposta Wabun, rialzandosi a stento e portando le mani dinanzi al petto, "tant’è che rinuncerò a partecipare a questa battaglia, lasciando alla mia alleata il dovere di vincerti; poiché sono più che certo delle sue possibilità", concluse il dio, mentre l’energia cosmica di cui era padrone si congiunse sul ventre rendendo la sua figura simile ad un’incorporea aquila rossa, che ben presto sparì dal campo di battaglia.
"Tornare puro spirito e lasciarti qui sola a combattermi, quell’insignificante entità pellerossa deve avere un’incredibile fiducia in te, oppure una terribile paura di me", affermò con tono derisorio la divinità giapponese, guardando ora con ancora più sicurezza la figlia di Ikki.
"Credere nei propri alleati non è segno di timore, bensì di fiducia, Amaterasu", la ammonì Esmeria, "Allora quel dio pare averne fin troppa in te, considerando che ancora non hai saputo portare un solo attacco a termine, mentre io sono riuscita più volte a costringerti ad arretrare ed ora ti renderò polvere", replicò infastidita la dea, mentre ancora una volta libera il possente fiato infuocato.
Stavolta, però, Amaterasu non rimase immobile, lasciando scorrere la fiammata solo frontalmente dinanzi a lei, bensì mosse di continuo il capo, spostandosi per non perdere mai di vista la nemica e non lasciarle scampo dinanzi alle alte fiamme del suo caldo respiro.
Esmeria, dal canto suo, parve immobile dinanzi al fuoco che le si lanciava addosso, ma non ci volle molto perché la figlia di Ikki compiesse un agile balzo in avanti, scattando proprio contro l’ardente respiro della divinità, per poi, con un salto quasi paragonabile ad un volo, oltrepassare la fiammata e portarsi al di sopra della dea.
"Tutto questo è inutile, nel fuoco una fenice non può certo spegnersi, in particolar modo Suzaku, la Divina Fenice del Cielo Meridionale, non teme le fiamme che tu mi scateni contro", affermò con tono sicuro la Beast Keeper, oltrepassando l’avversaria, "ora a me l’attacco", concluse poco dopo, mentre una sinuosa frusta appariva fra le sue mani, intrappolando fra le proprie spire la divinità nemica.
La Sovrana del Sole nipponico si voltò senza la minima preoccupazione verso l’avversaria, mentre le spire della frusta la legavano a se ancora più saldamente, la dea pareva quasi disinteressarsene, come se quella presa fosse per lei facile da sciogliere.
"Le ali della Divina Fenice Suzaku, vero. Coloro che hanno nelle proprie insegne una fenice sono padroni di meravigliose ali; so che un cavaliere di Atena un tempo sapeva persino tornare dagli Inferi grazie al volo del Mitologico Rapace; così come colui che mi ha tradito sapeva perfettamente danzare sul suo bianco piumaggio", osservò con sufficienza la dea.
"Pensi davvero che Rai-Oh ti abbia tradito?", domandò stupita Esmeria, "Certo, giovane mortale, come reputi un servo che non ha sacrificato la vita per impedire ai miei nemici di avanzare? Egli era un traditore peggiore di coloro che si facevano dominare dai propri Bijuu", rispose con voce offesa la divinità.
"Sappi che ha combattuto fino alla fine, schiacciando anche la bestia che cercava di dominarne i pensieri pur di restarti fedele. Ha affrontato in una lotta durissima il Guardiano del Pavone e, alla fine, da lui è stato risparmiato proprio per l’onore con cui ha saputo domare il mostro che si celava nelle sue vestigia", raccontò la figlia di Ikki.
"Qualunque cosa tu dica, giovane sciocca, non cambierà i fatti: Rai-Oh ha preferito essere sconfitto piuttosto che abbandonarsi al potere dei Bijuu, o diventarne padrone, come già aveva fatto Kiten; non vi è onore nel restare in vita dopo aver perso. Persino il mio primo Guerriero ha preferito abbandonare questo mondo per servirmi al meglio, anziché restare vivo, ma macchiato dall’onta della sconfitta", tagliò corto la divinità.
"Ogni tua parola, Amaterasu, sottolinea solo la tua viltà. Che tipo di comandante può ritenersi degna di questo nome, sacrificando senza interesse i propri seguaci? Quale Regina può consumare così le vite dei sudditi, costringendoli ad accettare solo la vittoria, o la morte, come opzioni? No, divinità d’Oriente, tu non sei una sovrana, né una dea benevola, sei peggiore anche dei mostri su cui vanti la vittoria", la ammonì con disprezzo Esmeria.
"Come osi?", ringhiò la dea, ma la Regina di Cartagine non si curò delle sue parole, piuttosto continuò a parlare: "Non credo sia in mio potere ucciderti, poiché avverto la differenza fra te e Bennu, il dio egizio di cui spensi la forma mortale, ma farò di tutto perché tu possa conoscere l’onta della sconfitta di cui parli con tanta sufficienza, che tu bruci nello spirito come ora queste fiamme bruceranno il tuo corpo", esclamò la figlia di Ikki; "Fire Phoenix Tail", urlò infine, mentre una vasta fiamma circondava la frusta, avvolgendo fra le proprie lingue di fuoco la dea nemica.
"Quanto poco onore vi può essere nelle divinità più potenti, tale da far loro dimenticare la lealtà dei loro seguaci a vantaggio dei propri tornaconti", osservò con dispiacere Esmeria, scrutando l’alta fiammata che ormai circondava del tutto la nemica, "Tu credi forse che vi siano delle divinità diverse da me? Credi che a noi, esseri immortali ed onnipotenti, interessi qualcosa dei miseri uomini che ci servono?", tuonò allora la voce di Amaterasu, la cui figura era celata dalle fiamme.
"Sappi che non io solo colei che è in errore, bensì tu, che tanto paragoni la vita di voi piccoli mortali, con quella di noi, essere millenari, e quelle sciocche divinità americane, che tanto rispetto hanno per i loro seguaci ed alleati. Gli dei hanno visto i loro seguaci combattere per loro per mille secoli e molto di più, possono affezionarsi ai più portentosi fra questi servi, come io avevo interesse per le virtù di Kiten, un campione fra tanti incapaci, ma mai un dio si preoccuperà più della vita di chi lo segue che del proprio interesse. Anche l’Aquila Rossa, in fondo, lasciandoti la battaglia, non ha fatto altro che studiare le mie virtù, poiché immaginava, al contrario di me, che sarei stata costretta ad usare il Potere del Sole che mi è proprio", concluse la divinità nipponica.
"Che cosa?", domandò Esmeria, che per la prima volta sentiva parlare di un particolare potere proprio solo ad Amaterasu, "Niente di cui potrai parlare al resto dei mortali, giovane sciocca, una condanna per te, i tuoi alleati, colui che mi ha tradito e l’intero palazzo che si trova in questa grotta", affermò con sarcasmo la divinità.
"Kuchiyose", fu l’unica parola che sentì subito dopo Esmeria, cosciente che qualcosa di spaventoso stava per rivelarsi dinanzi a lei.
I quattro cavalieri che si trovavano nella sala un tempo del Demone Volpe, avvertirono immediatamente una spaventosa potenza esplodere alla fine di quel corridoio a loro inaccessibile; "Che cos’è questo cosmo così devastante?", domandò Ryo di Libra, ora nuovamente al pieno delle sue forze grazie alle cure di Lihat, "Non appartiene alla mia sovrana, quindi deve essere di Amaterasu", osservò Joen, che stava lentamente riprendendosi autonomamente dalle ferite subite.
"Com’è possibile che un cosmo, per quanto divino, possa esplodere in questo modo? Dinanzi a nessuna divinità ho avvertito un cambiamento tanto improvviso: Urano, Pontos, Gea, persino gli alleati degli Horsemen, tutti mostravano fin da subito la loro potenza massima. Amaterasu è tanto abile nelle tattiche?", domandò allora il figlio di Shiryu, preoccupato per la vastità di quel potere.
"No, cavaliere d’oro, non penso sia questo il motivo, non un limite impostosi ci faceva sentire prima un cosmo diverso, bensì, ora la dea starà usando un potere ben diverso da quelli che aveva inizialmente", rispose laconico Hornwer, che stava ricevendo le cure da Lihat.
"Pensi che stia usando il suo Potere legato al Sole?", domandò proprio l’Hayoka del Falco Rosso, "Potere legato al Sole?", ripeté preoccupato il Goshasei del Pavone.
"Sì, Guardiano, un potere di cui solo le quattro principali divinità del Sole sono dotate: un potere che era già proprio di Inti, Apollo e Ra, oltre che di Amaterasu", spiegò Hornwer, "Ma né mio padre, né i testi che ho poi letto accennavano a niente del genere", incalzò subito Ryo, "Perché in nessun testo si parla di questi poteri. Ra non avrà di certo mai avuto bisogno di utilizzare una tecnica del genere, data la vastità del suo potere, che lo rende il Signore dell’Egitto; il divino Apollo è un dio dalle molteplici risorse: la preveggenza, l’arco, la musica, tutte armi che gli permettono di evitare l’uso di questa, ancora più pericolosa. Per quel che riguarda Amaterasu, non penso abbia mai prima combattuto contro qualche mortale che sia riuscito a narrare ciò ed Inti fu sigillato diversi secoli fa, prima che i diversi culti di guerrieri sacri iniziassero a parlare fra loro", espose con chiarezza il nativo americano del Cervo.
"Questo lo capisco, ma voi avrete di certo saputo in cosa consisteva il potere del dio Incas, potrete immaginare di conseguenza come sarà quello della Sovrana del Sole d’Oriente", suggerì allora il santo d’oro, "No, purtroppo non sono rimasti testi scritti che narrano esattamente quale sia stata la portata del potere di Inti", rispose dispiaciuta Lihat, "Questo non è propriamente vero", la contraddisse dopo alcuni attimi di silenzio Hornwer.
Tutti si voltarono quindi verso il comandante dei Guardiani della Primavera, che, appoggiatosi ad un albero dietro di se, iniziò a narrare: "I quattro Comandanti Hayoka vengono istruiti anche su quell’antica battaglia; abbiamo una fonte sicura per la descrizione di quella guerra, l’unica a cui, prima d’ora, avesse mai partecipato qualche pellerossa sacro a Wabun e le altre divinità.
Si narra che, dopo la sconfitta delle schiere di Inti, per mano dei dodici Hayoka di allora e dei guerrieri del Manto Rosso, lo stesso dio del Sole si sia palesato al gruppo di nemici e con il suo particolare potere ne abbia uccisi più della metà.
Sembra che quel suo Potere del Sole fosse una particolare capacità: lasciar implodere l’energia cosmica di cui era padrone, un’energia pari a quella dell’Astro di cui era padrone. Immaginate cosa ciò poté sviluppare, vero?", domandò dopo una rapida spiegazione, "Se il sole implodesse potrebbe crearsi un….", e qui le parole di Ryo gli morirono in gola per ciò che aveva immaginato, "Esatto, cavaliere d’oro, un Buco Nero. Inti era in grado di sviluppare una pressione gravitazionale e rallentare lo scorrere del tempo attorno a se come se fosse stato un vero buco nero egli stesso. Si narra che quella lotta durò più di due mesi, che per i guerrieri intenti a fronteggiare quella divinità, però, parvero appena poche ore; ore in cui cercarono di sigillare l’oscuro essere, supportati dalla forza offensiva del Manto Rosso", concluse Hornwer, con voce preoccupata.
"Quindi ciò che aspetta la mia Sovrana è una battaglia contro una divinità che può sviluppare la medesima deformazione spazio-temporale?", domandò sconvolto Joen, "No, Guardiano, questo cosmo che s’espande a non finire lascia intendere che Amaterasu non sta facendo collassate dentro di se l’energia solare, bensì la vuole portare ad un’esplosione", rispose Lihat, prendendo la parola, "ma se questo accadesse… se Inti riusciva a creare un buco nero…", continuò preoccupata la nativa americana.
"Esatto, ciò che Amaterasu potrebbe produrre sarebbe pari all’esplosione di una Supernova", fu la laconica e terribile risposta dell’Hayoka del Cervo.
Esmeria osservava con stupore la propria avversaria, ciò che aveva davanti non le sarebbe parso possibile fino a pochi attimi prima: le fiamme con cui aveva circondato Amaterasu, infatti, erano state inghiottite da altre, ben più vaste, che lentamente avevano ricoperto per intero la figura della dea, avvolgendosi anche attorno alla frusta che, con orrore, era andata in cenere, tanto da costringere la figlia di Ikki ad abbandonarne la presa prima che lei stessa fosse bruciata da quel fuoco distruttore. Non distingueva più la figura di Amaterasu, ora tutto ciò che Esmeria vedeva era un globo di fuoco, con le fattezze della dea, da cui fuoriuscivano di continuo lingue fiammeggianti, che, a contatto con le pareti della sala, le incenerivano, danneggiando persino la vegetazione su cui l’intero castello pareva ora reggersi.
"Hai reclamato tanto la pioggia, giovane mortale, che ora è giunta per te la tempesta. Il potere del Sole, ciò che mi rende la Sovrana fra gli dei del mio popolo, un potere tanto vasto da schiacciare tutto ciò che gli si frappone, questo ti spazzerà via, assieme all’intero castello e, se mi costringerai, all’intera Isola su cui ci troviamo", ridacchiò la divinità, il cui aspetto era ora irriconoscibile.
"Che tipo di potere è mai questo?", domandò stupita Esmeria, "Ogni divinità del Sole ha una dote legata a quell’elemento, anzi, ad essere precisi, ogni divinità, direttamente legata con una forza naturale ne possiede delle virtù, dovresti saperlo, in fondo hai combattuto contro Urano, Pontos e Gea, no?" replicò con saccente ironia la dea nipponica, "Nel mio caso, mi è concesso un potere tanto grande da spazzare via l’intero creato se lo ritengo utile. Il potere della Supernova, una forza esplosiva senza pari", continuò, mentre la Beast Keeper cercava un punto di fuga da quella sala che stava lentamente diventando una trappola per lei.
La figlia di Ikki si guardò intorno: la porta della stanza era dietro Amaterasu, ma l’attuale forma della dea impediva anche solo d’immaginare la possibilità di oltrepassarla senza venire travolti dalle lingue di fuoco che, sempre più, andavano vibrando attorno a lei; quel pensiero, la fuga, scomparve prontamente dalla mente della giovane che, solo dopo un primo momento di timore, si rese conto che l’unico modo per fermare la divina nemica era interrompere l’emanazione del suo cosmo, vincerne la forza e la sicurezza.
Esmeria si lanciò alla carica contro la divina nemica, probabilmente intenta ad ispezionarne le difese, almeno così sarebbe potuto sembrare a chiunque avesse osservato la carica frontale della giovane guerriera, che, però, all’ultimo, quando stava quasi per raggiungere con un diretto al viso la divinità circondata da alte fiamme, dovette desistere, compiendo un agile salto contro il soffitto della stanza, così da tornare con una capriola nella posizione da cui era partita.
La Beast Keeper di Suzaku rimase per alcuni minuti ad osservare in silenzio la divinità che aveva davanti, pareva quasi aspettare qualcosa, finché, d’improvviso, un dolore insopportabile la prese all’avambraccio destro: immenso fu lo stupore di Esmeria nel vedere la difesa del braccio destro, quello con cui pareva aver sferrato un diretto, andare in cenere, mostrando la pelle dell’arto spaventosamente deturpata da un’ustione.
"Hai provato a raggiungermi con qualche attacco, vero, piccola mortale? Purtroppo, qualunque cosa tu volessi fare, è impossibile che, nel mio stato attuale, un qualsiasi attacco possa superare queste vestigia di fuoco che mi circondano, anzi, come prima la frusta ed ora il braccio, possono solo andare in cenere le fonti di questi assalti", affermò la divinità con un tono chiaramente sarcastico e soddisfatto, mentre la figlia di Ikki si chinava per il dolore al braccio.
"Dimmi, piuttosto, cosa stavi cercando di fare?", domandò la dea, per nulla interessata a colpire l’avversaria nel momento della sofferenza, quasi desiderosa di vedere fin dove la sua nemica sarebbe riuscita ad andare avanti fino al momento della detonazione.
"Il Genmaken, un attacco psichico che può intrappolare le menti, mostrandogli le loro maggiori paure, questo era l’attacco che volevo lanciarti contro", sussurrò dolorante la Regina di Cartagine, "Fatica sprecata, non puoi vincermi con trucchi del genere, non c’è niente che io tema", ribatté la Sovrana del Sole, con non poca superbia, "Eppure, per esserti alleata con Erebo ed aver cercato di risvegliare la Bestia, devi avere paura che i tuoi soli poteri non bastino, devi temere qualcuno", la ammonì Esmeria.
"Tu, piccola mortale, pensi di sapere tutto della divinità che ti trovi dinanzi? Credi davvero che sia stata la paura a farmi alleare con coloro che risveglieranno la Bestia? Io non temo quel mostro, le fiamme che egli domina primeggiano con le mie, è vero, ma di certo la potenza di una Supernova basterà a spazzarlo via", ringhiò Amaterasu, mentre ancora l’avversaria la osservava con sguardo accusatore, "ma ti concederò di sapere tutta la storia ed il piano che mi hanno spinto a quest’alleanza, poiché, nel lasso di tempo che impiegherò a raccontarti ciò, la mia potenza s’amplierà abbastanza da ridurti in cenere", tagliò corto la divinità, ora pronta a narrare la sua storia.
"Quando gli dei Olimpici erano intenti a combattersi fra loro, nel periodo in cui il dio della Guerra, Ares, attaccava per la prima volta la dea Atena; mentre voi, miseri Beast Keepers vi preoccupavate del vostro piccolo gruppo di divinità: Kalì, Visnù, Shiva, che non si curavano di ciò che succedeva nel vicino Giappone, qui, dove i nove Bijuu, i Demoni con la Coda, avevano scatenato una guerra intestina fra loro, mettendo in mezzo gli umani.
Molte divinità come mio padre Kaguzuchi cercarono di organizzare un esercito, ma per quanti umani si mandassero contro quelle bestie, nessuno riusciva a vincerli; solo io creai un gruppo di nove guerrieri abbastanza potenti, degli esorcisti capaci di sigillare lo spirito di quei demoni al pari dei vostri attuali alleati, gli Hayoka.
Ovviamente, malgrado questo potere, in nove contro dei demoni tanto potenti non sarebbero riusciti a fare molto, ma non fu la potenza a farci vincere, bensì le abili strategie organizzate dai miei guerrieri: aspettammo che si uccidessero fra loro.
Diversi demoni si uccisero fra loro: lo Shichibi, il Rokubi, lo Yonbi, il Sanbi, il Nibi e l’Ichibi, tutti sconfitti da altri Bijuu e poi sigillati dai miei guerrieri; le battaglie più furiose furono con il Gobi, che dovemmo cacciare mentre si nascondeva dentro una foresta, l’Hachibi, che fu sconfitto dalla Volpe a Nove Code e da noi sigillato ed infine il più furioso fu lo scontro con il Kyuubi.
Ricordo ancora la terribile battaglia, allora pensavo io stessa di scendere in campo per aiutare le mie schiere, vidi morire quasi tutti i soldati che mi avevano giurato fedeltà, ma fu il Portatore del Kiten a vincerlo.
Per quella vittoria fui onorata dagli dei miei pari, ma non dagli uomini, che vedevano nei Portatori gli eroi e che ben presto dimenticarono di onorare sia me, sia loro, ma ciò non m’interessava: in cielo avevo gloria ed onore, ero trattata come una Sovrana, persino dal mio divino padre Kaguzuchi e da mio fratello Susanoo, che aveva aiutato il guerriero dell’Hachiryu nella battaglia con Orochi.
Poi, però, in questi ultimi secoli, gli dei hanno smesso di onorarmi, di avere rispetto e trattarmi con onore, ero solo Amaterasu, la dea del Sole, non più colei che aveva salvato il nostro Pantheon.
Per tutto questo mi sono alleato con coloro che risveglieranno la Bestia, perché i miei soldati potessero abbattere le sue schiere quando ci avrebbe assaltato, ma, voi avete ucciso i Portatori che mi seguivano, persino quelli che, dominati dai loro Bijuu, avevano intenzione di ribellarsi alla fine della guerra, coloro che Kiten avrebbe ucciso per me, lui avrebbe eliminato tutti in mio nome, anche gli dei nipponici", concluse con tono rammaricato la divinità del Sole.
"Come già ti ho detto, dea giapponese, il tuo è l’agire di un codardo: tu non hai accettato di essere una della divinità del vostro pantheon e per questo hai supportato Erebo nel risvegliare una delle creature più terribili dell’era del Mito. Devi comprendere che non la tua gloria è fondamentale, essendo tu una dea ed una sovrana per gli uomini, ma la difesa di chi devi proteggere.
Io sono una Beast Keeper, come tu stessa hai detto, ma prima di questo sono la Regina di Cartagine e per il bene della mia terra combatto, per questo ti sto affrontando, per questo mi sono unita alle altre battaglie, per il bene del popolo che mi è fedele, lo stesso popolo che prima di me difese mia madre, la Regina Didone, assieme ai miei fratelli ed ai Goshasei.
Per anni ho vissuto lontano da questi stessi parenti, la mia volontà di brillare, proprio come la tua, mi spinse a fare azioni sciocche: partire per l’Oriente per diventare una dei Beast Keepers, fu un’azione che allora mi riempì d’orgoglio, ma mi trovai sola, senza la famiglia a cui ero legata e quando i guerrieri olimpici chiesero aiuto per la battaglia contro Urano era ormai tardi, la maggioranza dei miei cari era ormai scomparsa.
Ora tu, Amaterasu, hai fatto la follia di unirti ad Erebo in questo piano devastatore, hai cercato di condannare non solo il Giappone ed i tuoi soldati, ma l’intero mondo per il tuo ego, ma cosa ne guadagnerai? Coloro che ti servivano, coloro che ti onoravano, sono scomparsi; se anche sopravvivrai alla battaglia, resterai sola se anche gli dei nipponici saranno spazzati via", replicò con tono calmo Esmeria.
"Parli bene, guerriera asiatica, ma ora dovrai subire la furia della potente Supernova, l’esplosione di fuoco ti travolgerà", avvisò la dea, il cui tono della voce era ora diverso.
"No, Amaterasu, sarà la fiamma della Fenice divina a vincere, saranno le ali su cui mi muovo a sconfiggere la follia dei tuoi piani, a rivelarti la realtà dei fatti", incalzò la figlia di Ikki.
Il cosmo di Suzaku esplose, sollevandosi in tutta la maestosità del Rapace d’Oriente, "Hoyoku Tensho", urlò poi la giovane, scatenando le ali della Fenice.
La dea del Sole vide qualcosa che non avrebbe creduto possibile: le sue fiamme, le stesse che avevano poco prima inghiottito sia l’armatura di Suzaku sia la frusta, andavano incontro a quella Fenice fiammeggiante che d’improvviso brillò, non più del rosso colore del fuoco, bensì di una gradazione quasi dorata, un segno divino, "Il fuoco celeste?", balbettò appena Amaterasu mentre il rapace infuocato attraversava le emanazioni solari investendola con potenza tale da schiantarsi contro la parete, che andò in ceneri.
Esmeria stessa era sbalordita dal potere che aveva avuto il suo attacco, "Com’è possibile che tu, guerriera asiatica, sia riuscita ad ottenere un potere del genere? Quel fuoco era quello celeste, una delle quattro forme divine, assieme alla Fiamma Pura, a quella Verde del Drago ed al Fuoco Nero degli esseri maledetti. Non può un essere umano ottenere tanto potere", affermò, con sempre maggiore sconcerto, la dea.
"Quando gli uomini capiscono i propri limiti, apprendono dove si concludono le loro normali conoscenze e le capacità dei loro sensi e riescono a superarli, ottenendo conoscenze superiori, quelle che i santi di Atena chiamano settimo ed ottavo senso, allora possono fare qualsiasi cosa, anche raggiungere i poteri delle divinità, come già mio padre fece", spiegò Esmeria, "ed ora interrompi quell’energia che stai sviluppando, Amaterasu, o sarai spazzata via, dal battito d’ali della Fenice", concluse la giovane Regina, scatenando di nuovo il proprio attacco verso la nemica ancora stordita.
La battaglia nell’ultima sala era seguita con molta attenzione da Peckend e Real, i due musici avevano avvertito ogni esplosione degli assalti di Esmeria e della dea sua nemica fino al fatidico iniziare di quell’immensa emanazione propria della Supernova esplosiva che Amaterasu stava preparando, ma gli ultimi avvenimenti avevano per loro qualcosa di diverso, di strano.
"Hai sentito anche tu, cavaliere d’oro? Il cosmo della divinità nostra nemica si è improvvisamente indebolito, come se un attacco l’avesse infine raggiunta", osservò stupito l’Hayoka, "Sì, di certo il colpo della figlia di Ikki è andato a segno, seppur lo credevo impossibile dinanzi ad una potenza cosmica tale; ma ora avverto un nuovo assalto portato dalla Regina di Cartagine, credi che riuscirà a vincere?", incalzò Real, anch’egli stupito da come stava sviluppandosi lo scontro.
A quella domanda, però, non ci fu risposta, poiché entrambi avvertirono qualcosa che non si sarebbero mai aspettato, una reazione ben più che inattesa.
Nella sala che fu di En dello Shachihoko, anche Kano e Sekhmet seguivano con attenzione lo scontro finché anche loro avvertirono qualcosa di strano.
"Cosa?", riuscì appena a balbettare la guerriera egizia, ancora stremata per l’effetto del veleno, "Non lo so, Sekhmet, ma qualche cosmo esterno si è intromesso nello scontro, un’intromissione che ha fermato persino Amaterasu", rispose il santo del Pavone, "il cui cosmo si sta ora affievolendo, ma mi chiedo come sia possibile, il cosmo che è apparso, dovrebbe essere ormai spento", concluse con titubanza il cavaliere di Atena.
Esmeria aveva appena scatenato il proprio attacco: il battito d’ali della Fenice aveva ormai sorpassato il muro di fiamme che circondavano Amaterasu, stava quasi per colpirla, ma, d’improvviso, qualcosa si frappose fra loro, qualcosa di più potente del cosmo della dea, che ora stava spegnendosi, inspiegabilmente.
La figlia di Ikki attese, osservando con curiosità le fiamme che lentamente si spegnevano, interrompendo quella supernova che andava espandendosi fino a poco prima e ciò che vide, quando la zona fu libera dalle luminose fiamme, la stupì: un muro di rami, simili a quelli che già Kiten aveva sollevato contro di lei, si erano innalzati a difesa di Amaterasu che, cosa ancora più sorprendente, era ora in ginocchio, fra quei rami, piangente.
"Come vedi, Regina del Sole, anche il tuo Primo guerriero aveva appreso la lezione che sto cercando di offrirti: egli era andato oltre i limiti della sua vita mortale per te, persino ora il suo spirito, attraverso il cosmo, che ne trasmette la volontà, ti ha difesa, impedendo che un altro mio attacco ti raggiungesse", furono le poche parole che la ragazza offrì alla propria nemica.
Da dietro gli arbusti, Amaterasu si rimise in piedi e, asciugatasi gli occhi, guardò con determinazione l’avversaria, "Hai ragione, Kiten mi ha offerto la più potente delle difese, probabilmente in cuor suo vuole ancora che io vinca, ma, la sconfitta che mi hai inferto va oltre il corpo, oltre le ferite che tu hai riportato sul braccio, al contrario di me, che sono illesa, è una sconfitta che mi permette di capire, di aprire gli occhi verso qualcosa di nuovo", affermò con tono deciso la divinità, accarezzando quei sottili rami.
"Aquila Rossa, appari!", esclamò Amaterasu, mentre il cosmo di Wabun si palesava di nuovo ad entrambe in quella sala.
"Sono sconfitta, divinità pellerossa, questa giovane ed eroica guerriera mi ha aperto gli occhi, ora te ne prego, porta lei ed i suoi compagni ai piedi di questo castello, so che puoi, poiché adesso il mio cosmo risalirà in cielo, assieme a ciò che rimane della persona a me più cara ed all’ultimo dei seguaci che ho portato in questa folle battaglia. Non vi potrò aiutare contro i veri nemici che ancora vi aspettano, ma sappiate che se vincerete questa guerra avrete in me un’alleata per il futuro", furono le semplici parole della divinità, a cui il dio pellerossa rispose con un gesto del capo, prima che una gigantesca aquila dal rosso piumaggio avvolgesse Esmeria.
"Addio, giovane Regina degli uomini, sei una sovrana ben più degna di me", furono le ultime parole che la divinità nipponica rivolse alla nemica, prima che questa scomparisse.
Ryo, Joen, Hornwer e Lihat videro appena un bagliore rosso che li avvolgeva, come un tenero abbraccio, "Ma cosa?", balbettò sorpreso il Guardiano di Era, "Non preoccuparti, guerriero cartaginese, è il divino Wabun", lo rassicurò l’Hayoka del Cervo, mentre già le loro figure venivano coperte dal cosmo della divinità.
Kano e Sekhmet, e come loro anche Peckend e Real, non ebbero nemmeno il tempo di rendersene conto, furono subito avvolti dalle scarlatte piume dell’Aquila pellerossa e portati al di fuori del castello, dentro la grande grotta.
"Che cos’è successo?", chiese sorpreso il musico della Lira, guardando i volti dei diversi compagni che ora ritrovava lì, assieme al corpo senza vita di Firon del Puma, vicino al quale si inginocchiarono Peckend e gli altri Hayoka, per onorarne la memoria.
In quel medesimo momento il cosmo di Amaterasu esplose; Kano e Real già erano pronti, come Joen, ad una nuova battaglia, ma bastò un gesto di Esmeria a fermarli; "La dea del Sole non ci è più nemica, non vi preoccupate di lei", sussurrò la Regina di Cartagine, mentre Rai-Oh di HakuHou, nella sala del Candido Rapace sorrideva, avvolto dalla calda aura della sua divinità: "Alla fine, Kiten, la nostra Sovrana si è dimostrata proprio la saggia divinità verso cui tu avevi tanta ammirazione e devozione", sussurrò verso gli alberi circostanti il Portatore di Luce, prima di scomparire in un bagliore come la vegetazione circostante.
I cavalieri che erano rimasti nella grotta videro il castello crollare su se stesso, privo della vegetazione che lo sosteneva, sentirono il cosmo della divinità del Sole scomparire dalla stanza, ma nessuno si accorse dello sguardo che li osservava dalla soglia di quell’insenatura naturale, uno sguardo apparentemente incastonato in un volto umano, ma ricco di una malignità che non poteva appartenere ad un uomo.