Capitolo 35: Fede e Vendetta
La corsa attraverso il palazzo di Erebo, fra le rovine di Mur, continuava per Freiyr e Camus, i due giovani guerrieri asgardiani, sacri l’uno ad Odino e l’altro ad Atena, che ora si preparavano a varcare l’ultima stanza, quella che li avrebbe portati dinanzi al comandante dei Generali Oscuri.
I due entrarono con passo lesto nell’ampia sala, una camera oscura, con solo una fonte di luce, una lanterna al centro della stanza; "Benvenuti, miei potenti nemici, dunque la sorte ha voluto che solo le fredde forze di Asgard mi si parassero dinanzi? Bene, è proprio ciò che mi auguravo", esordì una voce, mentre la luce rivelava la figura, di scure scaglie ammantata, di Vize dell’Aragosta Nera.
Il nero comandante era seduto, poggiato sui propri talloni in una posizione meditativa al quanto strana per i due guerrieri nordici, "La sala dove dimora il mio signore Erebo è oltre quel corridoio, ma, purtroppo per voi, non vi sarà concesso far visita all’Oscuro essere che servo", li ammonì il Generale Oscuro, prima di alzarsi in piedi, mostrando le due lame sottili dei copribraccia.
Il Comandante non si fece attendere, né lascio tempo ai due di replicare, piuttosto si lanciò in una velocissima carica, spazzando verso il petto degli avversari con le lame affilate.
I due guerrieri asgardiani si mossero con rapidità: il santo d’oro si spostò sulla destra ed il Re di Asgard sulla sinistra, portandosi ai fianchi dell’avversario.
"Inutile", esclamò allora Vize, lasciando esplodere ai propri lati il cosmo che si materializzò come un’ondata d’energia che, prorompendo dalle lame sui bracciali volò sui due fianchi, quasi investendo i cavalieri, stupiti da tanta prontezza e costretti ad indietreggiare verso la loro posizione originaria, sull’uscio della sala.
"Non sembra nemico da poco costui", analizzò allora Camus dell’Acquario, osservando l’avversario, che rispondeva con impassibile determinazione al suo sguardo, "Vero, cugino, inoltre non pare che l’odio lo guidi, bensì la devozione ad Erebo, che difende con abilità", concordò Freiyr di Dubhe.
"Sbagli, giovane uomo del Nord, non è la devozione ad Erebo a muoversi, bensì la lealtà, verso la mia vendetta e verso la promessa che feci al Signore Oscuro per ottenerla; avrei guidato le schiere a lui fedeli ed in suo nome avrei ucciso, avevo persino rinunciato a parte della mia vendetta, concedendo a Zahn di uccidere l’ultimo dei Mariner, ed a Schon di eliminare un santo di Atena, per di più Asgardiano, ma entrambi, per mia fortuna, hanno fallito. Ho addirittura accettato al mio servizio Grun e Schon, perché apprezzavo la loro voglia di vendicarsi, soprassedendo sulle origini del primo e sul destino della seconda", esordì allora Vize, dimostrando di possedere anche un udito particolarmente fine.
"Dunque sembra che tu, in effetti, provi odio", replicò allora Freiyr, "verso gli uomini di Asgard ed i guerrieri dei Mari", affermò, incalzando lo sguardo del nemico, "E non dimenticare i cavalieri di Atena, giovane uomo del Nord; dopo aver ucciso voi due, anzi, saranno proprio le sacerdotesse le prime a cadere, poi verrà l’altro tuo pari, quindi quei fastidiosi pellerossa, che tanto hanno intralciato i miei piani, ed infine Blat e Schon, i due traditori", lo ammonì il Comandante dei Generali Oscuri, espandendo il proprio cosmo.
Vasta ed oscura era l’aura del guerriero di Erebo, una tenebra che sembrava ardere dal cuore di quel nemico, tanto desideroso di vendetta verso tre caste di eroi e non solo contro singoli individui; "Cugino, costui è un avversario ostico, che potrebbe solo farci rallentare e perdere tempo", esordì allora il figlio di Siegfried.
"Servirà dividersi anche stavolta, come prima con Kain, che tanto ardentemente ha combattuto, ora toccherà ad uno di noi lasciare l’altro indietro, come già avvenne nelle passate battaglie", osservò allora Camus, "Esattamente ciò che pensavo, cugino", concordò Freiyr, "proprio per questo ti chiedo di andare avanti", concluse il Re di Asgard.
"Che cosa?", chiese stupito il figlio di Hyoga, "Costui si è rivelato nemico degli alleati di Odino e dei guerrieri della sua terra, allora io, Freiyr, Sovrano delle Terre del Nord e prescelto del signore degli Asi, ho il diritto ed il dovere di combatterlo, da solo e per primo", esclamò a voce ben più nitida il figlio di Siegfried, espandendo di rimando il proprio cosmo verso il nemico.
"Sei tu il Re di Asgard? Credevo che il più rilevante di voi fosse il cavaliere d’oro, ma ora mi accorgo che ben più grande soddisfazione mi verrà dalla tua sconfitta, giovane sciocco", esultò Vize, dopo aver sentito quelle parole così sprezzanti.
Freiyr, però, non rispose alle parole del nemico, bensì portò la mano dietro la schiena ed estrasse la sacra spada Balmung, brandendola e lasciando che il vasto cosmo del Re di Asgard si diffondesse nella sala.
"Bene", fu l’unica osservazione del Generale Oscuro, mentre anch’egli portava la mano dietro la cinta, mostrando un guscio che aveva ad un’estremità due grosse chele, simili ad una tenaglia, pronta a chiudersi sulla preda, mentre, sull’altra estremità, si estrasse una lunga impugnatura, che rese quell’arma quasi un tridente a due punte.
"La spada del Nord, sacra ad Odino, contro la Tenaglia Oscura, arma ispirata alla lancia dei Mari del secondo Generale dell’Oceano Indiano. Questa sarà la nostra battaglia", propose allora Vize al nemico, che, in tutta risposta, si portò in posizione di guardia con la propria spada.
"Cugino, vai", esordì allora Freiyr, rivolgendosi a Camus, "Dove pensi di fuggire?", tuonò allora Vize, abbandonando lo sguardo del Re di Asgard e lanciandosi contro il santo d’oro; ma il figlio di Siegfried fu più veloce e con il piatto della lama sacra parò l’affondo della Tenaglia, lasciando libertà di passaggio al consanguineo, che con uno scatto si portò nel corridoio. "Bloccagli la via!", tuonava nel frattempo il protetto di Odino, mentre il cavaliere di Atena, portando le mani alle pareti, creò, sull’orlo della sala, una maestosa barriera di ghiaccio, un muro che avrebbe impedito per diverso tempo a chiunque di raggiungerlo.
"Sì, avanza pure, cavaliere d’oro. Che Erebo faccia la sua parte nel patto che abbiamo stretto; io ucciderò questo Re dei Ghiacci e poi tutti i compagni che avete lasciato dietro di voi, li eliminerò, uno dopo l’altro", sussurrò allora Vize, guardando con un sorriso mal celato la barriera sollevata da Camus. Fu allora che il cosmo dei due duellanti esplose, con bagliori azzurri e neri, che andarono ad illuminare l’ampia sala, costringendoli a separarsi.
"Re Freiyr!", urlò in quello stesso momento Bifrost, riprendendosi dopo la scarica elettrica subita da Ruck della Medusa Nera. Il guerriero del Nord si ritrovò sdraiato al suolo, la giovane Hayoka loro alleata e Zadra stavano curando, nel miglior modo possibile data la situazione, le ferite di Helyss che si trovava poco lontana da lui.
"Ti sei svegliato dunque?", domandò con tono distratto la Sacerdotessa dello Scultore, "Sì, il cosmo che hai sentito è quello del Sovrano di Asgard, potente e pronto alla battaglia, ma non penso che ci sia niente di cui preoccuparsi, in fondo tu, che lo servi da più tempo di tutti, dovresti ben sapere le virtù del potente Freiyr", concluse con serenità e sicurezza la Silver saint.
"Voi però non conoscete il cosmo con cui si confronta", ammonì allora una voce poco distante da Bifrost che, con suo grande stupore, vide un Generale Oscuro, ferito e con le vestigia in pezzi, seduto a qualche passo di distanza.
"Perché? Di chi era quel cosmo?", domandò allora l’Hayoka, trattando con incredibile gentilezza e naturalità quello che doveva essere un loro nemico, "Quello era il cosmo del mio maestro, Vize dell’Aragosta Nera, il nostro comandante", rispose Blat.
"Aragosta?", ripeté divertita Zadra, "Cos’è? Un guerriero oppure un cuoco costui?", chiese beffarda, "Non sottovalutare colui che ci guida, egli è con Erebo fin dall’inizio, ben prima che questa battaglia avesse luogo era già stato scelto come fedele servitore dalla divinità Oscura. Io mi sono allenato al suo seguito e non ho mai compreso fino in fondo la vastità del potere che gli deriva da anni di meditazione e concentrazione dell’energia. Il suo è un odio millenario che, sembra, ha ora trovato un modo per manifestarsi in tutta la terribile furia di cui è padrone", ammonì, rispondendo con preoccupazione, il Generale sconfitto, restando seduto, intento a seguire lo sviluppo dello scontro.
Freiyr di Dubhe si scagliò con la spada verso l’avversario, il fendente del Re di Asgard cercò di tranciare il petto del nemico, che, però, fu lesto nell’evitarlo con un balzo all’indietro, facendo leva sull’impugnatura della tenaglia per evitare il colpo e poi sfruttando proprio l’arma per cercare di bloccare il braccio sinistro del god warrior, quello a lui più vicino.
Il figlio di Siegfried ritrasse però l’arto con velocità, portandosi di nuovo in posizione di guardia, a due passi di distanza dall’arma nemica, "Sei ancora troppo vicino, sciocco", lo ammonì allora Vize, scattando in una carica frontale con l’arma, che fu però fermata dalla lama di Balmung, piantando questa fra le due chele della Tenaglia. "Da questa distanza posso fare leva sulla mia spada per impedirti di chiudere le due lame della tua morsa", avvisò allora Freiyr, facendo forza sull’arma nemica, "Errore, ragazzo, ti sei solo avvicinato troppo per salvarti da me", avvisò allora il comandante oscuro, mentre, lasciando scivolare le mani sull’impugnatura oscura colpì i polsi del god warrior con la lama del copribraccio destro.
Il Re di Asgard fu sorpreso dall’attacco e costretto ad indietreggiare per l’impatto, malgrado non avesse subito alcuna ferita e ciò lo portò ad abbandonare la pressione sulla Tenaglia, che continuò la carica contro il giovane nemico.
"Sei troppo giovane per avere delle strategie di lotta così degne di nota, ragazzino; ora ti mostrerò come combatte chi ha diversi anni di esperienza sulle spalle", ammonì con tono beffardo Vize dell’Aragosta Nera, compiendo un piccolo salto, così da distanziarsi dal nemico di cinque passi, prima di riprendere la Tenaglia Oscura con ambo le mani, pronto ad un nuovo assalto.
"Diversi anni di esperienza? Guerriero, avrai al più dieci anni più di me, non pensare che ti abbiano concesso tutte queste esperienze", lo ammonì Freiyr, rimettendosi in posizione di guardia, per poi scattare all’assalto in un fendente orizzontale all’altezza del petto del Generale Oscuro.
La Sacra Spada del Nord partì all’assalto, ma stavolta la replica del nemico fu inaspettata, poiché d’improvviso il Generale mosse la propria tenaglia in avanti con delle piccole scosse, quasi a voler allontanare una fiera furente piuttosto che un uomo; Freiyr, però, non fu intimorito da quella strana difesa, bensì si spostò sulla destra del nemico, continuando nel proprio assalto, quando, d’improvviso, la tenaglia calò contro la spada, colpendone il piatto con la propria impugnatura, prima che, in una veloce spazzata orizzontale, Vize arrivasse con le chele sulle mani del Re di Asgard, non per ferirle, bensì per colpirlo con sufficiente potenza da fargli cadere di mano la spada sacra e così accadde.
Fu un attimo, Freiyr non ebbe nemmeno il tempo di comprendere quant’era successo che l’arma del nemico scagliò a diversi passi di distanza la Sacra Spada; "Come vedi, ragazzino, gli anni d’esperienza accumulati sono sempre un fattore importante", avvisò l’oscuro nemico.
Con prontezza inaspettata il nemico tentò un altro colpo roteando l’arma, stavolta diretto all’addome del sovrano del Nord, che, però, non si difese, bensì resse con il proprio corpo l’impatto, senza indietreggiare di un passo.
"Sarai anche abile nell’uso di quella arma, ma non solo la spada è la forza di Freiyr, Re di Asgard, nella fede in Odino ho trovato la fonte dell’invincibilità del mio cosmo. Su questa non potrai avere ragione", avvisò il figlio di Siegfried, mentre il nemico si lanciava in un nuovo affondo con l’arma oscura, "e nemmeno su di me", concluse con tono sicuro il Re del Nord.
L’affondo andò infatti a vuoto, conficcandosi sulla parete verso cui Freiyr, durante le sue brevi parole, si era spostato, ed in quel medesimo istante, dando alito a tutta la propria velocità, il Re del Nord aveva ripreso la propria spada, così che, quando il nemico si voltò, il figlio di Siegfried effettuò anch’egli un affondo, conficcando la punta della lama sacra nell’insenatura fra le due chele, "Come ogni tenaglia, anche questa tua oscura arma ha un punto di pressione che serve per muovere le due estremità, il punto più debole dell’intera arma e su quello ora farò leva, Generale Oscuro. Non puoi sperare di vincermi spezzando la sacra spada perché nessuno in terra vi è mai riuscito, ne le tue armi possono raggiungermi finché restiamo l’uno dinanzi all’altro", lo ammonì il discendente di Hilde, spingendo poi con tutto il peso del corpo sull’arma nemica, fino a spaccarne il guscio che la conteneva.
Vize, capita l’avversità della situazione, abbandonò la presa sull’arma nel momento stesso in cui Freiyr compì il suo affondo vincente, "Bene", disse il Generale dell’Aragosta Nera, "sembra che il vero scontro possa infine iniziare", affermò, portandosi dinanzi alla porta che dava verso i piani inferiori.
"Che cosa?", esclamò Freiyr, voltandosi di nuovo verso il nemico, "Il cavaliere d’oro ha sollevato quella barriera di ghiaccio perché nessuno lo seguisse, il che lascia intendere che tu non riuscirai a raggiungerlo, quindi, portandomi sull’unica via di fuga rimastati, ti condanno alla morte più dolorosa che tu possa mai soffrire", rispose prontamente il Generale Oscuro.
"Sei forse folle? Sei tu quello in svantaggio, hai perso l’arma che usavi, come pensi di combattermi adesso?", domandò ancora il Re di Asgard, "La mia tenaglia era uno strumento ispirato a quello del passato Generale dell’Oceano Indiano, più un giocattolo con cui testare la forza dei nemici che il vero fulcro del mio metodo di lotta", rispose il nemico, "no, guerriero del Nord, ben altre sono le sorprese che ti attendono, ben più dolorosa sarà la tua fine, se veramente la forza del cosmo di cui ti vanti deriva dalla fede in Odino", osservò con un sadico sorriso il guerriero nero, espandendo un cosmo che circondò silenzioso Vize, come una gigantesca ragnatela, o, quasi, un guscio.
"Sigillo dell’Oblio", esclamò allora la voce del Generale Oscuro, divenuta, d’improvviso, spaventosamente impersonale.
Un brivido di freddo scosse, in quel medesimo attimo, Schon della Manta Nera, la guerriera delle energie fredde interruppe nuovamente il proprio pianto, ma stavolta Whinga poté leggere il terrore sul suo volto. "Che succede?", chiese stupito l’Hayoka, "Vize, sta utilizzando la sua tecnica più terribile, il colpo più devastante del suo variegato armamentario", esordì la ragazza, "non vi è speranza alcuna che il Re di Asgard riesca a sopravvivere", concluse con tono rammaricato.
"Perché? Di che genere di attacco parli?", incalzò il nativo americano, "Non ho mai visto quell’attacco, ma si dice che Erebo stesso ne abbia apprezzato le virtù ed abbia aiutato Vize nel creare tale colpo", spiegò in modo lapidario la Generalessa, "il sovrano del Nord dovrà dar alito ad ogni sua forza e non essere scosso da nessuna incertezza, malgrado ciò che il mio comandante gli dirà da ora innanzi, se no, per lui la sconfitta sarà certa", concluse poi, tornando a concentrarsi sullo scontro.
Freiyr inizialmente parve non capire il senso di quell’attacco, ai suoi occhi il nemico si era semplicemente sollevato di qualche passo da terra, mediante un ampio cosmo nero che, come un bocciolo, lo circondava, espandendosi su tutto il muro alle sue spalle, poi, però, quando le parole del nemico proruppero con quella voce così anomala, il Re di Asgard fu come colto da un brivido di terrore e si preparò ad attaccare prima che l’esito del colpo avverso fosse inevitabile.
"Non ti colpirò con la mia spada, poiché credo che l’avvicinarmi sarebbe per me un pericolo troppo grande dinanzi a quel tuo strano attacco, Generale Oscuro, bensì proverai la potenza di uno dei due colpi che appartennero al grande Siegfried di Dubhe", esclamò il sovrano del Nord, espandendo il proprio cosmo, che brillò sulla mano destra, mentre già un cerchio si disegnava ai piedi di Vize, "Odin’s Sword", esclamò il figlio di Hilde, mentre il fascio d’energia si scagliava contro il suo avversario.
Grande fu allora lo stupore del god warrior di Dubhe nel vedere il proprio attacco annullato da quella barriera nera e, al qual tempo, comprendendo che i suoi stessi movimenti stavano rallentando di prontezza, come se delle catene lo bloccassero al suolo, rendendogli pesante ogni passo.
"Te ne sei accorto infine, guerriero del Nord?", domandò allora la voce distante di Vize, "Sì, i tuoi movimenti sono rallentati. Come tu stesso hai detto, non potevo colpire il tuo corpo, perché difeso da quel cosmo che ha fonte nella fede in Odino, ma se non l’involucro, allora posso colpire ciò che vi è all’interno ed è questo l’effetto del mio sigillo", spiegò allora il Comandante dei Generali Oscuri.
"Che vuoi dire?", incalzò Freiyr, "La mia è una tecnica costrittiva, un colpo passivo che, mentre lo osservi, si espande lungo tutta l’aria circostante, arrivando a toccare il nemico, ma in quello stesso momento, chi ne subisce l’effetto, non si accorgerà di essere colpito, poiché lentamente il senso del tatto scomparirà dal suo corpo. Pensaci, Re del Nord, senti ancora la spada nella tua mano?", replicò con sottile ironia quella voce lontana.
Solo in quel momento, per quella semplice domanda, il figlio di Siegfried si rese conto che, malgrado vedesse la sacra Balmung nella sua mano, non aveva più sentore di tastarla, anzi, non percepiva più niente attraverso il corpo.
"Questa è solo la prima parte di questo attacco. Il sigillo ora si chiuderà su di te ed entrerà in simbiosi con quel tuo cosmo invulnerabile, sfruttandolo per alimentarsi e restituirti ossigeno e tutto ciò che altro ti servirà per restare in vita all’interno del nero bocciolo dove fra poco sarai rinchiuso", continuò Vize, fermo nella propria posizione.
"Che vuoi dire?", domandò a stento Freiyr, la cui bocca stava ormai fermandosi, come il resto dei muscoli volontari, "Sarai rinchiuso all’interno di quelle medesime maglie nere che ora mi circondano per difendermi e finché il tuo cosmo brucerà della fede in Odino quella gabbia ti tratterrà. Anche se cercassi di annullare la tua energia cosmica, resterebbe comunque il microcosmo ad alimentarlo, anche con quella fioca luce questo sigillo avrebbe di che alimentarsi. Scegli, Re del Nord, un’eternità nell’oblio dell’immobilità, o rifiutare il Signore degli Asi, abbandonalo e ti ucciderò con un semplice attacco, un colpo diretto, che sventrerà il tuo corpo, ma ti servirà dall’eterna solitudine di quel guscio", propose infine il Generale dell’Aragosta Nera.
Lo sguardo di Freiyr parlava per lui: il Re del Nord era disgustato dalla proposta fattagli dal nemico, non poteva accettare di restare imprigionato in eterno, ma ancora meno poteva accettare di abiurare il suo dio, la divinità a cui, come i suoi genitori prima di lui, aveva consacrato la propria vita.
"Ti vedo titubante, Sovrano del Nord, ebbene, questo è il primo passo nella mia vendetta, una vendetta d’immense soddisfazioni, poiché ora proverai la medesima sofferenza che provò il popolo di Mur a causa della tua divinità, la sofferenza dell’abbandono. Scegli dunque! Abbandonare la vita, o la fede!", tuonò Vize, con una voce ora quasi mostruosa.
"Che cosa mai ha fatto Odino al tuo popolo?", riuscì a stento a dire Freiyr, mentre le maglie nere avvolgevano già il corpo del guerriero del Nord, intrappolandolo ormai dalla vita in giù dentro quel bocciolo oscuro.
"E sia, cavaliere, ti racconterò questa tetra favola, mentre ti abbandoni alla veglia eterna dell’oblio", lo schernì il Generale Oscuro.
"Come di certo saprai, il popolo di Mur era sacro ad Atena, per lei aveva costruito le armature d’oro, d’argento e di bronzo; e la dea, per onorare quel popolo, aveva consacrato a suo cavaliere d’Ariete il membro della famiglia più rilevante, titolo che, da ciò che so, sembra essere ereditato da tutti i discendenti di quella famiglia.
Accadde però che alcuni abitanti, che non accettavano che solo una famiglia fosse onorata dalla dea, decisero di voltarle le spalle, seguendo una nuova divinità, l’antitesi di Atena, la dea Ate che promise loro ogni onore se gli avessero costruito i corrispettivi di quelle 88 armature e così fu.
Superfluo dirti che la divinità dell’Ingiustizia e dell’Errore non trovò guerrieri tanto potenti quanto l’esercito di Atena, malgrado degli 88 santi ne fossero rimasti appena una decina dopo la guerra sull’Isola di Atlantide e quindi quello scontro non fu nemmeno annoverato fra i più rilevanti, ma ebbe importanza per l’Isola di Mur, dove la maggioranza di coloro colpevoli di tale atto fu scacciata, con il titolo di Alchimista Oscuro.
Passarono gli anni e la popolazione di Mur tornò a vivere in pace, ignara di ciò che avveniva al Nord del mondo.
Otto cavalieri erano stati infatti mandati da Atena nelle estreme terre gelide dopo la vittoria su Nettuno, per depositare fra i ghiacci eterni l’urna che ne conteneva l’anima e quel gruppo di cavalieri rimase a guardia dell’urna; dopo di loro ne rimasero i figli, con le rispettive otto armature, finché, quella seconda generazione non incontrò un popolo abitante di quelle inospitali terre, il popolo di Asgard. Ci fu guerra fra le due armate, i God warriors di allora ebbero facile vittoria su un gruppetto di otto guerrieri che appena sapeva cosa fosse effettivamente il cosmo, tanto da mandare i sopravvissuti al confino in una terra ancora più inospitale, chiamata Blue Grado.
Più di questo, però, è rilevante un particolare di quella battaglia: l’urna in cui era custodito Nettuno fu distrutta dal popolo del Nord, che, inavvertitamente, liberò il Signore dei Mari, il quale reclamò di nuovo il dominio sulle terre emerse di Grecia.
Le schiere dei Mariners, però, non avevano più la loro roccaforte, Atlantide, così la guerra fu combattuta per lo più nel Regno Sottomarino, il luogo in cui si trovano i resti di quell’Isola, ma non scoppiò lì, bensì nel luogo che Nettuno ricordava caro ad Atena: Mur.
La popolazione di quell’isola, ora quasi dimenticata da Atena, che non s’aspettava un assalto del genere, fu sorpresa dall’apparizione di quei sette generali e dell’esercito intero e per diversi mesi ne dovette subire le angherie, tanto che alcuni decisero, di propria iniziativa, di creare sette scales nere con cui confrontarsi con i Generali dei Mari, ma ciò non servì, poiché Atena aveva riorganizzato le proprie schiere ed era giunta in soccorso dell’Isola.
I Mariners furono ricacciati negli abissi e lì la guerra continuò, ma ormai le sette armature nere erano state create e quando gli anziani lo scoprirono, memori dell’ira che avevano scatenato nella dea gli Alchimisti Oscuri, fecero seppellire in una prigione quelle vestigia assieme all’unico colpevole, a loro occhi, che non era fuggito via, ignari che una nuova sventura si sarebbe abbattuta su di loro. Pochi mesi dopo, infatti, a causa della furiosa guerra nelle profondità marine, persino i Giganti, intrappolati nel periodo del mito da Zeus, si risvegliarono e scatenarono la propria ira contro il mondo dei mortali, producendo infinite morti e distruzioni ed affondando persino l’Isola di Mur.
Quella popolazione, così cara ad Atena, non ottenne un rapido aiuto per la debolezza dell’esercito della dea, diminuito dalla guerra appena svoltasi contro Nettuno, così, mentre tutti fuggivano spaventati e morivano nel caos delle loro azioni, il prigioniero restava in silenzio, avvolto solo dalla mura di quella prigione e circondato dal proprio desiderio di vendetta e dalle sette armature che aveva aiutato a creare. In quella cella, quel prigioniero vide l’intera isola sprofondare.
Quando ormai anche lui stava per scomparire affogato nelle profondità degli abissi, accadde l’inaspettato: un cosmo si palesò a lui, un cosmo divino.
Era l’Oscuro Erebo, un tempo signore degli Inferi ed ora costretto egli stesso all’esilio ed alla prigionia negli abissi marini per volontà di Zeus, Hades e Nettuno. Quell’oscura divinità propose al prigioniero di allearsi con lui e giurargli fedeltà nei secoli a venire, fino al giorno in cui lo avrebbe liberato da quella prigione e dato modo di vendicarsi contro chi gli aveva fatto torto fra le divinità.
L’uomo però non immaginava come sarebbe potuto sopravvivere così a lungo, di certo non possedeva il dono dell’immortalità, e fu allora che il dio gli mostrò come sigillarsi, o sigillare un nemico se necessario, in quel guscio che l’uomo usava come propria tecnica difensiva; in quel modo nacque il mio Sigillo dell’Oblio; io ero quel prigioniero che più di cinque millenni fa assistetti alla caduta dell’Isola in cui ero nato, macchiato d’infamia.
Ho vissuto fino all’anno scorso in quel medesimo stato di morte apparente che ora ti preparerai a sperimentare, Erebo in persona lo alimentava, supportandomi con il proprio cosmo, in attesa che qualche divinità, o mostro, gli concedesse una via di fuga dal suo esilio, come fece Gea, facendolo alleare con Amaterasu ed una ben più potente terza forza d’assalto.
Nettuno ed Atena pagheranno per aver attaccato, il primo, e non aver difeso bene, la seconda, la mia gente, ma prima di loro pagheranno i colpevoli della liberazione del Signore dei Mari: le genti di Asgard, cioè tu, Freiyr di Dubhe, che soffrirai per sempre in quell’oblio, o per pochi secondi, prima della morte, per la scomparsa della tua fede", concluse furente la voce di Vize, mentre il corpo, ormai intrappolato, del Re nordico, cadeva al suolo, incapace di ogni movimento.
Un fremito, in quel medesimo istante, risvegliò Kain di Shark, il Generale dei Mari era ferito, ed incapace ad ogni sorta di movimento, ma un gelido senso di morte lo aveva svegliato. "Il Re di Asgard", si disse il figlio di Ikki, "il suo cosmo è ormai impalpabile, come se qualcosa lo coprisse del tutto", pensò fra se.
"Nobile Freiyr", esclamò nello stesso momento Helyss del Pittore, risvegliandosi, viva ma ferita, in mezzo alle rovine dell’Isola di Mur, e notando il volto spaventato di Bifrost che si volgeva, come Zadra, verso il Palazzo di Erebo.
"Sì, sorella, il Sovrano di Asgard è in pericolo, un pericolo che sembra coprirlo in una notte oscura, spegnendo quella luce che tanto lo ha riscaldato negli anni, la luce del suo cosmo", affermò prontamente la Sacerdotessa dello Scultore, prima ancora che l’altra gli ponesse qualche domanda.
"Mio Re", balbettava contemporaneamente il god warrior di Megres, chiaramente preoccupato, "vi prego, fatevi forza, trovate in voi quell’energia che può vincere questo nemico apparsovi davanti", sussurrò a bassa voce il fratello di Alberich.
Il figlio di Hilde aveva seguito ogni parola di Vize dell’Aragosta Nera, ne aveva compreso l’odio profondo, sbalordendosi nello scoprire che il nemico dinanzi a lui era un individuo vecchio di più di cinquemila anni, un essere che poteva duellare con le divinità più antiche per anzianità; non questo però avviliva la mente di Freiyr, bensì il bivio dinanzi cui era stato lasciato dal nemico: rinunciare alla propria libertà, o al dio in cui credeva.
"Non posso arrendermi adesso", si disse il Re del Nord, "ma nemmeno posso rinunciare alla mia fede in Odino. Con che diritto indosserei ancora le sue vestigia, o combatterei in suo nome se rifiutassi di credere nel Signore degli Asi?", si chiese il giovane guerriero nordico.
"No, un’altra via mi deve essere concessa oltre queste. Potrei provare a distruggere dall’interno questa prigione mediante il mio cosmo, come fece Skinir, scomparendo nell’infinito delle stelle con il suo maestro", quel ricordo fermò però ogni riflessione di Freiyr; d’un tratto tornarono alla mente del Re di Asgard i suoi compagni caduti.
Per primi erano caduti Bud di Alcor, Cetrydine della stella Eta, uccisi da uno dei titani che aveva invaso Asgard, e Yggdrasil di Phedca, scomparso per abbattere Europa, un’altra titanessa al seguito di Urano. In quel primo giorno di lotte, Freiyr era stato ferito perché aveva perso di mano la propria spada, dubitando quindi del suo potere, ma allora la madre morente gli aveva spiegato che non in Balmung risiedeva l’invincibilità del suo cosmo, bensì nella fede in Odino.
Aveva poi perso, nell’ultima battaglia contro il Tiranno del Cielo, il cugino Fasolt di Merak, sacrificatosi contro uno dei quattro giganti al servizio del dio Ancestrale, in quella medesima battaglia, Nifer di Arge si era sacrificato in suo nome, perché credeva nelle sue abilità come sovrano.
Medesimo fu il motivo perché anche Skinir di Alioth, suo amico più caro, si sacrificò a Tir Na Nog nella battaglia contro Ogma del Frassino, spegnendosi nel cielo con il proprio nemico; allora Freiyr era stato scosso da un grande senso di incapacità, solo le parole di Bifrost, parole dette con sincera lealtà e fiducia, lo avevano aiutato a rialzarsi.
Per ultima era caduta Gutrun di Mizar, combattendo in nome del proprio sovrano, della divinità che gli era tanto cara, Balder, e della memoria del padre e di Cetrydine, per tutto questo la guerriera aveva combattuto fino all’ultimo contro il Santo d’oro Nero della Bilancia, cadendo nel momento stesso in cui lo aveva sconfitto.
"Tutti hanno sempre avuto fiducia in me, eppure io stesso non ripongo in me la mia fede, ma in Odino, che guida la spada e l’armatura mediante il proprio cosmo", rifletté il Sovrano del Nord e quelle parole furono per lui come una fiamma fioca nell’oscurità di quella prigionia.
Ricordò ancora il Re di Asgard le parole che una volta gli disse sua madre Hilde: "Freiyr, non la tua spada è la fonte dell’invincibilità che ti è propria, quella è solo l’arma con cui attacchi, piena della fede che riponi in Odino, che, nella sua grandezza, ti risponde donandoti parte della sua forza e le sue vestigia", gli aveva spiegato un tempo.
Quella era la realtà dei fatti: la sua fede nel Signore degli Asi era la fonte prima del cosmo che sapeva sfruttare, ma era anche un mezzo per restare unito alle sacre vestigia del Nord ed alla volontà del dio, che lo rendeva invincibile e lo armava della spada Balmung, solo chi combatteva secondo la volontà di Odino poteva infatti osare tanto da toccare quell’arma sacra.
"Le sacre vestigia del Nord, mediante la mia fede, diventano la base della mia invulnerabilità, non è il mio corpo invincibile, bensì il suo legame con quest’armatura, che appartiene ad Odino; non devo rinunciare a credere, ma alla sicurezza dell’invulnerabilità, come già feci dinanzi a Morrigan ed i nemici che la precedettero", concluse nella propria mente il Re del Nord, mentre già il cosmo portentoso di cui era padrone sembrava esplodere con violenza inaudita.
Vize osservava dalla propria posa la scena, incessante scrutava ogni punto di quel nero bocciolo, segno della sua vendetta, trofeo, ai suoi occhi, della vittoria dell’Isola di Mur su Asgard e fu molto contrariato nel vederlo tremare sotto la pressione di un maestoso cosmo.
Al Comandante dei Generali Oscuri parve quasi che quel guscio si agitasse prima di vederlo spezzarsi in diversi punti, aperto da fendenti di luce azzurra, fendenti che, con suo sommo stupore, si rivelarono essere le parti della cloth del nemico, che si andò a ricomporre a pochi passi da Freiyr, ora libero ed in piedi dinanzi al guerriero dell’Aragosta Nera, ma vestito solo dei suoi abiti asgardiani.
Vize fu soddisfatto nel percepire una completa assenza di quel maestoso cosmo nel suo nemico, "Ebbene, guerriero del Nord, hai preferito abbandonare il tuo dio piuttosto che vivere una vita nell’eterno oblio?", domandò ironico il Generale Oscuro, ora che la sua voce era tornata normale e già era pronto a portare a termine lo scontro con l’ultimo attacco.
"No, uomo di Mur, non ho abbandonato la fede in Odino, bensì ho rinunciato a sfruttare il cosmo del dio, che catalizzava, ampliandola, la mia energia, attraverso la spada e l’armatura del Signore degli Asi. Ora fronteggerai l’energia che mi è propria, non più quella che mi era data dal mio divino Sire", spiegò in tutta risposta il Re di Asgard.
"Capisco, quindi hai rinunciato al vantaggio che ti dava l’armatura, un cosmo ben più potente, che hai lasciato esplodere liberandoti delle vestigia divine, il cosmo a cui la mia gabbia si era avvinghiata", rifletté Vize, "ma morrai comunque, guerriero nordico, le tue misere abilità non potranno niente contro di me", concluse il Generale dell’Aragosta Nera.
"Lo vedremo, guerriero oscuro, ricorda che Freiyr non solo è figlio di Hilde, celebrante di Odino, ma anche di Siegfried, primo cavaliere di Asgard; non solo la fedeltà al Signore degli Asi mi è nel sangue, ma la virtù di un eroe la cui storia è mito!", tuonò in tutta risposta il Sovrano del Nord, espandendo un cosmo ancora azzurro come quello che più volta aveva usato nelle battaglie passate, ma meno brillante, quasi tendente al viola.
"Luce Nera!", tuonò Vize, "Dragon Blizzard Shock", rispose Freiyr. Un’onda d’energia nera si manifestò sul palmo sinistro del Generale, volando con furiosa velocità dritta contro il Re di Asgard, che, al qual tempo, scatenò gli "Occhi del Drago" contro la propria preda. Nessuno dei due guerrieri si preoccupò di difendersi: il primo era troppo sicuro della resistenza delle proprie vestigia nere, il secondo, forse per la troppa abitudine con cui contava nella propria invulnerabilità, forse per non rallentare l’assalto portato, non si curò di salvaguardarsi da quella corrente d’energia.
Accadde così che entrambi gli attacchi andarono a segno: la violenta corrente d’energia perforò il fianco di Freiyr, gettandolo contro la parete di ghiaccio, sanguinante per la violenza di quel colpo appena subito, mentre il suo nemico lo osservava.
"Senza armatura come poteva sperare di sopravvivere al mio attacco?", domandò ironico Vize, prima che un rivolo di sangue ne segnasse il volto e le vestigia nere andassero in pezzi dove le due sfere l’avevano raggiunte, aprendo profonde e mortali ferite nel corpo del Generale Oscuro.
"La tecnica di mio padre ti ha vinto; non la vendetta ha avuto ragione della fede in Odino", queste parole sussurrò il Re del Nord, mentre lentamente il suo cosmo si faceva più debole e lui perdeva i sensi, a causa della fredda lastra di ghiaccio alle sue spalle e del colpo subito.
"Re Freiyr!", urlò in quel momento Bifrost, non appena sentì affievolirsi oltre ogni limite la forza vitale del suo sovrano.
"Dobbiamo raggiungere gli altri", suggerì allora la Sacerdotessa dello Scultore, prima che il piccolo gruppo si alzasse, avanzando verso il Palazzo di Erebo, lo stesso dove ora un cavaliere d’oro stava per incontrare il divino nemico.