Capitolo 24: Violenza, Istinto e Orgoglio
Sulla vetta del castello di Amaterasu, celata in un’isola del Giappone, Kiten del Kitsune osservava il proprio interlocutore appena apparso.
"Come vedi, mio caro Kyuubi, anche il Sanbi è stato eliminato, il suo potere è stato nullo proprio perché mal utilizzato. Tutto ciò non ti rode dentro? Non senti come sia inutile la nostra potenza, così sprecata da chi ci comanda?", domandò con tono languido il misterioso interlocutore, apparendo alla luce della sala.
L’armatura era d’oro e d’ametista, decorata sulle ginocchia, sui gomiti, sulla cinta, sulle spalle e sull’elmo da teste di serpente, otto in tutto, che con occhi d’argento brillavano sinistre sul corpo del guerriero, mentre ampie squame brillanti le congiungevano tutte, avvolgendosi in un unico corpo, quello del loro padrone, per poi dividersi in altre otto code, disposte su braccia e gambe del Portatore.
Il guerriero aveva verdi capelli, simili all’erba di un prato di primavera, ed occhi bianchi come perle, i lineamenti, chiaramente asiatici, erano taglienti come lame ed un perfido sorrido si apriva sul viso del Portatore di Luce.
"Cosa vuoi qui, Hachibi?", continuò a chiedere, sempre più infastidito Kiten, "Già quattro nemici stanno entrando nella sala della Bestia Sanguinaria, sempre più vicini alla quarta stanza, la tua", lo ammonì con tono perentorio.
"Non mi preoccuperei più di tanto, in fondo, anche se lo Yonbi lasciasse passare tutti i guerrieri, massacrando solo le donne, come di certo farà, il Rokubi è capace di domare ancora meglio il potere sopito, che solo tu ed io, caro Kyuubi, abbiamo risvegliato", replicò l’interlocutore, con un sarcastico sorriso.
"Proprio perché sei uno dei più forti, Yamata, il tuo interesse per la difesa della nostra sovrana dovrebbe essere uno dei maggiori", lo ammonì l’altro; fu allora che il sorriso sul volto del secondo Portatore scomparve, sostituito da uno sguardo deluso, "Giusto, la tua forza, Kiten di Kitsune, è stata tale da soffocare la mente del Kyuubi, tu, al contrario di chi mi ha risvegliato, hai sopito il desiderio di sangue e distruzione del più potente dei Bijuu e solo la forza che ne hai tratto ferma il mio pugno dall’attaccarti", ringhiò con disprezzo l’individuo chiamato Yamata.
"Esatto, sono il più potente fra tutti noi, ricordalo sempre quando questi desideri di rivolta ti accendono lo spirito", replicò con secca determinazione Kiten, "Tu dovresti ricordare!", esclamò l’altro, "rimembra la furia di chi hai domato, ricorda ed assapora la sensazione di sentire le vite di uomini e divinità travolte e perse per tua mano, ricorda l’inebriante e devastante forza del fuoco che hai domato e mutato", continuò Yamata, allontanandosi di qualche passo e dando le spalle all’altro.
"Dannazione!", ruggì poi il guerriero dai capelli color dell’erba, "se non fossimo legati ai doveri verso quell’egocentrica divinità, ora saremmo noi gli dei che brillano sul Giappone", ringhiò con tono non più tanto calmo, ma bastò un cenno della mano di Kiten a fermare le parole del suo interlocutore.
"Dopo di me sei il più forte qui dentro, farò quindi finta di non averti udito mentre mi proponevi di rovesciare la nostra Sovrana, ma torna immediatamente nella tua sala, se sarà necessario combatterai, altrimenti attenderai soltanto che io venga a giudicare queste parole da te pronunciate. Chiaro?", tuonò, con un cadenzato aumento di tono, il Portatore del Kitsune.
L’altro non replicò in alcun modo, semplicemente si voltò e se n’andò, tornando dalla scalinata che aveva percorso per salire fin lassù.
Quattro figure entrarono, con passo cadenzato, nella sala al secondo piano del castello di Amaterasu, "State attenti, amici miei; questa è la sala della Bestia Sanguinaria, quindi, dato il titolo che la contraddistingue, non possiamo aspettarci niente di buono", osservò Ryo di Libra, avanzando per primo in quel luogo inizialmente oscuro, ma che, a poco a poco, fu illuminato da una tetra luce di fiaccole.
"Questo luogo è parecchio lugubre", osservò allora Sekhmet di Bastet, avanzando poco dietro Esmeria e Joen, finché questi non si fermarono, "Cos’è poi questo odore?", chiese allora la guerriera egizia, prima di comprendere che ciò che avevano davanti, ciò che alimentava le piccole lanterne, non era un qualche combustibile, bensì ciocche di capelli, legate attorno a dei pezzi di legno cilindrici.
"Sono capelli di donne?", domandò stupita la figlia di Ikki, osservando meglio quelle fonti di luce, "Dici bene, Beast Keeper, capelli di donne", esordì allora una voce, che andava avvicinandosi, "tutto ciò che tengo delle mie vittime dopo averle accuratamente seviziate", continuò il nemico rivelandosi.
Le vestigia del guerriero erano color argento ed oro, squame costellavano il tronco e la schiena della cloth, adornandola solo con la magnifica combinazione dei due colori, mentre quella che doveva essere la pinna dorsale era divisa in due parti e poggiata dalle spalle ai gomiti, per costituire le spalliere dell’armatura, come le pinne laterali ne costituivano gli avambracci e la coda ne era i gambali; ciò che più allarmava, però, delle pinne laterali era che non finivano in eleganti forme intagliate, come spalliere e gambali, ma in lunghi artigli scuri, che ricoprivano perfettamente le mani. L’elmo, inoltre, rappresentava un animale che sembrava in parte un pesce ed in parte una tigre, per l’ampia bocca ittica piena di affilati denti, che nascondevano quasi per intero il volto.
Il guerriero era chiaramente asiatico, il volto era chiaro e gli occhi sottili erano vuoti, come quelli degli altri Portatori, i capelli, corti, ispidi avevano un colore scuro come la pece, appena visibili dentro il grande elmo a forma di testa.
"Il mio nome, giovani guerriere, è En dello Shachihoko, io vi ucciderò", si presentò il nemico, rivelando un malefico sorriso.
"Come osi parlare così?", tuonò allora Joen del Pavone, ponendosi a difesa della propria sovrana, "Perché è la verità dei fatti, guerriero di Era, tu ed il santo d’oro potete anche passare, che siano i miei superiori ad uccidervi, ma le due donne, loro sono le mie prede", ringhiò con sadico piacere il nemico.
"Provaci pure, vedrai come una bestia dei mari come te nemmeno può auspicare di fermare il volo della Fenice d’Oriente", avvisò Esmeria, già pronta ad utilizzare la propria frusta; "Aspetta", esclamò però Sekhmet, "lascia a me questa battaglia, regina di Cartagine, avanza verso le sale superiori, ben presto, dopo averlo eliminato, io e Kano vi raggiungeremo", propose allora l’ultima servitrice di Ra.
"Non siete voi a decidere chi lascerà questa sala e chi no", sentenziò allora En, lanciandosi contro Esmeria con il taglio della mano, ma fu prontamente fermato da Sekhmet che, bloccata la mano del nemico, gli si rivolse con tono di sfida: "Invece credo proprio di sì", gli disse, prima di lanciarlo contro una parete laterale della stanza.
"Forza, andate, penserò io a lui", sentenziò la guerriera egizia, prima che i tre alleati si perdessero nella navata centrale, per poi scomparire anche all’udito lungo la scalinata che portava alle stanze del Candido Rapace.
Non ci volle molto affinché il Portatore dello Shachihoko si rimettesse in piedi, pronto alla lotta; "Hai fatto male, donna, a rinunciare ad un aiuto in questa battaglia, ora dovrai subire da sola la furia della Bestia sanguinaria, niente rimarrà di te, tutto andrà sciolto e distrutto, del tuo sangue le mie mani e le pareti della sala saranno ben presto dipinte", ringhiò infuriato il guerriero.
"Non dire idiozie, stolto, e combatti piuttosto", replicò con altrettanta ira Sekhmet, lanciandosi contro il proprio avversario con uno scatto a dir poco felino.
Con altrettanta rapidità di movimenti anche En si lanciò contro la propria avversari, sferrando un rapidissimo pugno con la mano aperta, per cercare di raggiungere con gli scuri artigli le vestigia di granito di Bastet; Sekhmet fu però più veloce e prontamente parò con l’avambraccio sinistro, per poi affondare un possente calcio laterale destro in quell’angolo scoperto della difesa avversaria.
Il Portatore di Luce allora si abbassò, chinandosi sulle ginocchia, poi, inaspettatamente, sorrise all’avversaria; "Zesshi, sussurrò En, prima che lo scuro sguardo dello Shachihoko sul suo elmo brillasse malefico e dall’armatura stessa prorompesse una folata di una violacea sostanza che investì in pieno il volto di Sekhmet, lasciandola barcollare indietro.
En approfittò del colpo portato a segno e subito si gettò con furia sull’avversaria egizia, colpendola con una veloce serie di dieci ganci allo stomaco per poi utilizzare i neri artigli che ne nascondevano le mani, così da ferirle il viso con quello sinistro e conficcare il destro nell’armatura, in pieno petto, "Zen Zan", sussurrò con tono ironico il nemico, avvicinando il volto a quello dell’avversaria e lasciando poi esplodere una gassosa quantità d’energia tale da schiantare Sekhmet contro la parete a diversi passi da lei.
"Lo senti, guerriera egizia? Questo è il percorso doloroso che affrontano tutte coloro che debbono combattere la Bestia Sanguinaria; niente mi dà più piacere che dimostrare la supremazia di un guerriero su una donna, che sia guerriera, misera mortale, o divinità; già è tanto se io accetto il dominio di Amaterasu su di me, ma, in attesa che il comandate Yamata si ribelli, solo la sofferenza che porto alle avversarie mi dà soddisfazione", iniziò a spiegare con sillabica lentezza il Portatore di Luce, avanzando verso la nemica, "so già lo stupore che ti anima, non capisci come possano i tuoi sensi lentamente indebolirsi, vero? Ebbene la tua vista ed il tuo tatto stanno venendo meno a causa dei vapori venefici che provengono dalle fondamenta del Monte Fuji, lì queste vestigia si sono formate e sempre in quel luogo è nato ciò che riposa dentro l’armatura dello Shachihoko. Hai provato l’eruzione di veleno e gli artigli velenosi, penso che non servirà usare altre armi contro di te, basterà che ti torturi un po’", osservò con tono scanzonato En, fermandosi a pochi passi dall’avversaria.
"Anche lo Yonbi, come quello stolto di Hachibi, vuole dunque ribellarsi? Vedrò di ripagare anche lui per questi suoi gesti una volta conclusa la guerra, ma, per ora, dovrò pensare a chi avanza verso le sale superiori", rifletté fra se Kiten, "ben sei guerrieri nemici ancora avanzano verso le stanze del Candido Rapace e dello Spirito dell’Acqua; ed oltre loro anche i due musici che hanno sconfitto il Sanbi sono pronti a continuare la scalata. Impedirò che, coloro che si trovano nelle sale inferiori, riescano a raggiungere i sei compagni nelle superiori", esclamò con tono deciso il Portatore di Luce, mentre un cosmo caldo e pieno di vita iniziava a svilupparsi attorno a lui, esplodendo verso il suolo, per poi scomparire.
Real della Lira e Peckend del Picchio stavano già iniziando a salire le scalinate che portavano verso la sala dello Spirito dell’Acqua, dove ormai Hornwer e gli altri due Hayoka loro compagni erano quasi arrivati; ma i passi dei due guerrieri legati alla musica furono interrotti da una potente scossa, che dal soffitto di quella scalinata sembrava percorrerla per intero.
"Ma cosa?", si domandò il giovane sciamano, fermandosi d’un tratto, "Peckend, spostati!", fu l’unica cosa che urlò il discendente di Orfeo, prendendo l’alleato per la spalla destra e gettandolo indietro di diversi scalini, dove anche lui cadde.
Solo quando la rovinosa discesa si fermò i due guerrieri poterono osservare come la scalinata dinanzi a loro era ora preclusa da una specie di gigantesche sbarre, che, in realtà, apparvero come maestose radici rampicanti, capaci di perforare le pareti d’acciaio di quel castello.
Il santo d’argento ed il suo alleato si guardarono stupiti, mentre già espandevano i propri cosmi, pronti a colpire la barriera che li bloccava.
Sekhmet annaspava, appoggiata al muro alle sue spalle, i pugni subiti dall’avversario non l'avevano procurato alcuna particolare ferita, anzi, agli occhi di chi aveva subito la feroce potenza di Seth, erano poco più che attacchi, ma quei colpi carichi di un’energia cosmica venefica erano riusciti a stordirla, rendendone più lente le risposte motorie e, soprattutto, indebolendole l’uso della vista e degli altri sensi.
La differenza era ormai chiara alla Pharaon di Ra, il modo in cui lentamente la figura dell’avversario si sfocava ai suoi occhi, le parole di questi che non riusciva più a comprendere al meglio, persino il tatto stava indebolendosi, rendendole difficile la presa sulle pareti vicini per sostenersi in piedi; sembrava che solo l’olfatto ancora funzionasse, probabilmente proprio perché attraverso quel senso i veleni del nemico entravano nel corpo della guerriera egizia.
Una nuova serie di pugni di En raggiunse l’egiziana, che si ritrovò a cercare di pararli con gli avambracci, nella zona da cui sentiva provenire il dolore al corpo, ma niente di più le era possibile, poiché, anche se vicina, la figura del Portatore di Luce era ormai completamente sfocata ai suoi occhi; lo sconforto, però, non ebbe appiglio nello spirito di Sekhmet che, per quanto indebolita nella vista ed in altri sensi, aveva ancora la forza per sferrare un attacco, così, portando in avanti il peso del corpo intero, verso il punto da cui proveniva l’assalto dell’avversario, quando ne fiutò l’odore compì una capriola all’indietro.
Il salto acrobatico riuscì ad investire con un calcio il viso del nemico, ma, allo stesso tempo costrinse la medesima guerriera ad una rovinosa caduta contro la parete alle sue spalle. L’attacco, comunque non fu nemmeno particolarmente potente: subito la venefica presa dello Shachihoko riprese a stringere sul collo di Bastet, incidendo con i profondi artigli nella gola della guerriera egizia, che, in tutta risposta, lasciò esplodere il proprio cosmo con estrema violenza.
L’esplosione gettò indietro il nemico, rimandandolo contro un’altra parete dell’ampia sala, "Pensare che basti solo annullarmi la vista e l’udito per avere la meglio su di me è un errore senza pari, sciocco guerriero", avvisò l’egiziana, "mi hai mostrato i tuoi artigli, ricchi di malefico veleno, ebbene, ora ti ripagherò con la medesima moneta, ti renderò partecipe della luminosa furia degli artigli della Gatta sacra a Ra", sentenziò Sekhmet, mentre già la mano brillava dell’energia cosmica della fiera divina.
"Cat Claws", esclamò l’ultima dei guerrieri di Ra, percependo con l’olfatto dove si trovava il suo nemico e travolgendolo con il proprio attacco, capace di danneggiare le vestigia del Portatore di Luce ed aprire delle profonde ferite sul volto di lui.
Passarono dei secondi, forse anche un minuto, in cui tutti coloro che si trovavano nel castello e che fino ad allora avevano seguito la battaglia nella sala della Bestia Sanguinaria, supposero che lo scontro fosse ormai vinto per l’egiziana, ma, così non fu quando il cosmo del Portatore di Luce dello Shachihoko esplose di nuovo, ancora più venefico e furioso di prima.
"Come osi?", furono quelle le prime parole, che non arrivarono alle sorde orecchie di Sekhmet, ad uscire dalle labbra di En, "Come osi tu, che mi sei inferiore da ogni punto di vista: sia fisico sia per origini e potenza del cosmo, come osi tu ferirmi? Ora, sciocca donna, proverai il più terrificante dei miei attacchi, un colpo che da solo basterebbe ad ucciderti, ma che supporterò con queste mani, staccandoti le membra dal corpo, una dopo l’altra", minacciò infuriato il Portatore di Luce.
"Risvegliati ora, possente Yonbi, libera la tua furia, scatena tutto il fatale furore sopito in te, lo stesso che dorme alla base del monte Fuji", tuonò En, "Zen Kai", concluse.
In quel momento, se Sekhmet avesse potuto vedere, avrebbe di certo distinto quattro code, che vagamente ricordavano un volatile, aprirsi sulla schiena del suo nemico e liberare altrettante quantità della velenosa sostanza gassosa di cui En era la fonte.
Malgrado non sapesse cosa stava accadendo, non fu difficile, però, per la guerriera egizia notare che anche l’olfatto, e con esso pure il gusto, stavano lentamente spegnendosi in lei; ormai le figure erano state sostituite da un’unica macchia bianca, nessun rumore, né odore le giungeva più, né avrebbe percepito la sensazione del dolore, tanto che ormai neppure era convinta di indossare ancora l’armatura, per mancanza del senso del tatto.
Sekhmet non sentì il nemico urlare, "Zen Zan", mentre conficcava gli artigli nella sua spalla destra, percepì il dolore per il nuovo veleno che ne appesantiva le membra, ma non sentì i profondi tagli, però, in quel caos di sensazioni e nel vuoto dei sensi, la guerriera egizia sembrò sentire qualcosa di diverso, qualcosa di ben più profondo e così sferrò un calcio.
Lo stupore di En dello Shachihoko, mentre estraeva la mano sinistra dalla spalla della nemica, ferendole diversi legamenti, fu immenso nel ricevere da questa un calcio in pieno addome, colpo che lo costrinse a barcollare indietro di diversi passi.
"Com’è possibile? Come osi ancora colpirmi?", tuonò infuriato il guerriero asiatico, mentre la sua avversaria annaspava nel vuoto, come una canna scossa dal vento, mentre in vano cercava di capire dove si trovava il nemico. "Ora, dannata, vedrò di bloccare anche quelle tue gambe così fastidiose", ringhiò ancora il Portatore di Luce, "Zen Zan", concluse poi, conficcando gli artigli nella coscia sinistra di Sekhmet e ricevendo, pochi attimi dopo, un gancio sinistro al volto, con suo grande stupore.
La guerriera egizia non riusciva a comprendere inizialmente, aveva sentore di qualcosa, l’aveva avuto poco prima, mentre il veleno nemico amplificava il peso del suo braccio ed ora lo aveva di nuovo, proprio poco prima che un dolore simile invadesse anche la gamba; ma questo non fu tutto: infatti, pochi attimi dopo, ebbe ancora una volta quella sensazione, ma, cercando di muovere il corpo, ora simile ad un perso morto, riuscì ad evitare il dolore e non una volta sola, bensì tre, o quattro, volte almeno.
Fu allora che la guerriera ne ebbe la certezza: ciò che percepiva non era legato alla vista, l’udito o un altro dei cinque sensi, né a quello che i santi di Atena chiamavano settimo senso, era una sensazione ben diversa, era l’istinto puro e semplice degli animali.
Per anni la giovane guerriera si era infatti addestrata nel cunicolo privo di luce doveva affrontato per la prima volta il cavaliere d’argento del Pavone e dove aveva sconfitto, un anno dopo, il malefico Seth; inoltre Sekhmet era certa che già il suo potente comandante, il defunto Anhur, fosse padrone di una capacità simile, che, legata alla velocità di cui era padrone ed alle possenti chele di Selkit, gli donava la difesa che in tutto l’Egitto gli era invidiata.
Lei, l’ultima dei sette Pharaons egizi, aveva, in quell’ultimo anno, cercato di perfezionarsi nella lotta a sufficienza per raggiungere le capacità del suo potente comandante, per molto tempo aveva combattuto, in allenamento contro le divinità egizie che affiancavano Ra, persino contro il santo del Pavone si era scontrata più e più volte, ma erano combattimenti in cui la furia che scatenava Sekhmet andava a contrapporsi ad una fin troppo statica replica di Kano, combattimenti che lei non sapeva gestire come preferiva; però, in qualche modo, sia mediante lo spiritualismo che l’alleato le aveva mostrato, sia con i suoi duri allenamenti, ora la guerriera di Bastet era sicura di aver raggiunto, o almeno sfiorato, uno stato di percezione talmente istintiva, da permetterle di percepire quando e dove il cosmo nemico le si scagliava contro. Fu proprio grazie a questa percezione che, caricato il proprio cosmo luminoso, Sekhmet scatenò i suoi "Cat claws" contro quello che supponeva essere il bersaglio; ed una risposta ricevette persino dal suo attacco, quando percepì un’energia devastante caricarsi dinanzi a lei, pronta a colpirla.
"Probabilmente sta per colpirmi con tutta la sua violenza", pensò fra se la Pharaon, cercando di riprendere il pieno controllo del proprio corpo per sollevare ambo le braccia, cariche della luminosa energia cosmica, "Ra’s Eye", si disse mentalmente, scagliando il più potente dei suoi attacchi.
En non riusciva a comprendere: non solo per ben due volte l’avversaria, ormai privata dei cinque sensi, era riuscita a colpirlo, ma ora, aveva addirittura evitato ben quattro suoi assalti, ciondolando con il corpo privo di vitalità alcuna era riuscita a muoversi a sufficienza da non essere colpita dagli artigli velenosi dello Shachihoko.
Il Portatore di Luce sapeva che, spegnendo in lei i cinque sensi, non poteva bloccare la mobilità del suo corpo, per questo esistevano gli artigli capaci di appesantire le membra, ma non era mai successo che una delle sue vittime riuscisse a muoversi comunque in quel modo così preciso.
Proprio questi pensieri gli impedirono di evitare l’attacco dell’avversaria. Ora lo stupore e l’ira stavano lasciando lo spazio al vero odio: non era più un piacevole passatempo uccidere quella donna, per En dello Shachihoko, che si vedeva superiore a qualsiasi altro guerriero, specialmente alle donne guerriero, Sekhmet di Bastet era ora la più blasfema delle creature; un’immonda creatura che non sapeva stare al suo posto.
Carico di quest’odio, il guerriero non ebbe alcun dubbio: era tempo di sfruttare il cosmo sopito nell’armatura, non più per liberare il veleno, bensì per gli artigli stessi che ora esplosero in una luce violacea, mentre un cosmo nuovo li circondava, alimentando quello di En, prima che si lanciasse contro l’avversaria.
L’attacco, però, fu interrotto dallo stupore quando una gigantesca sfera di luce si condensò fra le mani di Sekhmet, lanciandosi contro il guerriero asiatico, che altro non poté fare se non cercare di evitarlo con un balzo sulla sinistra. Fu allora che una seconda sfera d’energia cosmica, ben diversa dalla prima, investì il Portatore di Luce all’addome, dilaniandone le vestigia e rilanciandolo contro il sole in miniatura creato dalla guerriera egizia al cui contatto l’esplosione fu tale da devastare ciò che restava dell’armatura dello Shachihoko, uccidendo così colui che la indossava.
Sekhmet di Bastet era confusa e stremata: aveva percepito una seconda presenza nella sala, ne era certa, ma la fatica di muovere le membra appesantite dal veleno le aveva impedito di agire di conseguenza, però, in qualche modo, ora non sentiva più alcun cosmo avverso e l’unica presenza che avvertiva vicino a se era nota ed amichevole, quasi ricca d’affetto, seppur allo stesso tempo distante, fu proprio per tale presenza che la guerriera egizia si lasciò andare ad un sonno che le portasse almeno riposo se non salvezza dal veleno che ormai le aveva invaso il corpo in più parti.
Nella scalinata sinistra che conduceva alla terza sala, i tre Hayoka avevano percepito diversi cosmi esplodere per poi spegnersi nel luogo in cui combattevano i loro alleati, "Speriamo che non sia successo niente di grave ad alcuno di loro", sussurrò con titubanza Lihat, "vorrei poter essere lì per curare le ferite", continuò, prima che Hornwer li fermasse.
"Non dimenticare mai, mia buona amica, che questa missione è atta a combattere i nostri nemici, non possiamo rallentarci nelle cure dei compagni feriti, dobbiamo avanzare e vincere la minaccia che scaturisce da Amaterasu ed i suoi Portatori di Luce", l’ammonì lo sciamano del Cervo, "Sì, lo so", balbettò dispiaciuta la nativa americana del Falco Rosso, "Bene", replicò l’altro con un sorriso accennato.
"Ora, compagni Hayoka, avanziamo, la sala dello Spirito dell’Acqua è qui, oltre questa soglia", esclamò, mentre, a pochi scalini di distanza, si distingueva una porta avvolta dalla nebbia, "Sì, il nostro prossimo nemico", sussurrò allora, con trepidante curiosità, Firon del Puma, seguendo il suo comandante in quella missione.
Poco lontano, nella scala destra che portava alla terza sala, anche Ryo di Libra ed i suoi due compagni avvertirono il cosmo di Sekhmet esplodere per poi sopirsi, mentre quello del nemico che avevano lasciato alle loro spalle si era ormai definitivamente spento.
"Dunque la battaglia è vinta, ma sembra che la guerriera egizia sia particolarmente ferita, il suo cosmo è appena percettibile", osservò titubante Esmeria, "Sì, ma non preoccuparti per lei, figlia di Ikki, già un altro cosmo le è vicino, un cosmo a lei amico", continuò il santo della Settima casa, con un sottile sorriso, "Inoltre, mia regina, già dinanzi a noi si staglia la soglia della prossima sala", osservò Joen, indicando agli altri un uscio che si apriva pochi scalini più in alto, prima che il terzetto riprendesse la salita.
Anche su un’altra scalinata, quella interrotta dinanzi a Real e Peckend, i due guerrieri percepirono l’esito della battaglia, ma erano troppo stremati: infatti i loro tentativi di superare quelle radici che bloccavano loro la via erano risultati del tutto inutili, qualunque fosse la matrice cosmica che aveva animato quella barriera era tale da resistere persino ai loro attacchi congiunti.
Nella sala della Bestia Sanguinaria, intanto, una figura arrivò alle spalle di Sekhmet che stava lentamente lasciandosi cadere a terra e la sorresse fra le proprie braccia: era Kano del Pavone, "Di certo non le dirò di ciò che ho visto del suo scontro", sussurrò a se stesso il santo d’argento, avanzando poi verso l’uscita della stanza che trovò sigillata dalla medesima barriera che aveva bloccato i due musicisti.
Il santo di Atena guardò l’alleata ferita e valutò quali erano le proprie forze, quindi non poté far altro che appoggiare Sekhmet al suolo e mettersi a meditare per cercare, con maggiore concentrazione, di ampliare il suo cosmo ormai indebolito dallo scontro con Ko, così da infrangere la parete che impediva loro d’avanzare.
Mentre tutto ciò succedeva fra i secondi ed i terzi piani del castello di Amaterasu, Kiten di Kitsune si mosse dal luogo in cui aveva atteso finora, "Ormai è tempo che avvisi la mia sovrana di quanto sta accadendo qui", pensò il Portatore di Luce, avanzando verso la sala dove risiedeva la divinità del Sole giapponese.