Capitolo 20: Cosmo familiare
Helyss del Pittore camminava da sola in quella che sembrava essere una grotta naturale sotto alle rovine dell’Isola di Mu, che, casualmente, vi erano andate a crollare sopra.
Ricordava ben poco del modo in cui era finita in quella catacomba: quando aveva percepito il cosmo della sorella Zadra affievolirsi, a seguito dello scontro con il primo dei Generali Oscuri a loro oppostosi, si era completamente distratta, perdendo la concezione dei cosmi circostanti, proprio mentre due entità nemiche li attaccavano.
Helyss ricordava bene, però, che uno dei due attacchi proveniva da dinanzi al gruppo, mentre l’altro giungeva proprio dal sottosuolo, da quella grotta in cui ora lei si trovava, probabilmente da sola contro un nemico.
Non sapere cosa fosse accaduto ai vari alleati la preoccupava al quanto, ma la Sacerdotessa d’argento, malgrado ciò, continuava con passo deciso la sua avanzata lungo quella caverna sottomarina, attirata da un cosmo che in qualche modo le pareva familiare.
L’avanzata di Helyss finì quando si ritrovò in un’area più vasta della grotta, ben più grande del cunicolo dentro cui aveva proceduto, una zona ampia abbastanza da potervi camminare in più di un guerriero in parallelo e non in fila indiana.
Nuovamente Helyss sentì un cosmo vicino ed in qualche modo familiare, che gli ricordava quello di Bifrost, sotto alcuni aspetti; "Chi è là?", domandò la sacerdotessa d’argento, "Bifrost, sei tu?", incalzò ancora la fanciulla, ma solo una lugubre risata proruppe dall’ombra che celava una delle diverse bocche di quella galleria centrale, una risata che fu da preludio a delle semplici parole: "Simulacro di Corallo".
L’assalto dei Generali Oscuri era stato per tutti inaspettato, Bifrost di Megres non aveva nemmeno avuto il tempo di prepararsi alla battaglia quando sentì il primo dei due cosmi avversari palesarsi sotto i loro piedi, frantumando il terreno. Il god warrior non riuscì nemmeno a soccorrere Helyss che, distratta dalle condizioni della sorella, era precipitata per prima in una delle buche createsi sul terreno; ma, osservando la guerriera di Atena, anche l’asgardiano si era fatto distrarre, così da non percepire il secondo cosmo, che frantumò il suolo che lo divideva dal suo Re Freiyr, lasciando cadere anche lui in un’altra buca, proprio come la Silver saint prima.
Si ritrovò solo il guerriero di Asgard, all’interno di quella che sembrava una galleria naturale scavata sotto all’Isola distrutta, questo luogo ricordava a Bifrost alcune grotte del Sacro Regno, luoghi che Fasolt di Merak una volta gli aveva mostrato, durante un addestramento comune, precedente alla grande guerra con Urano.
L’avanzare del cavaliere del Nord, però, fu subito trattenuto da un cosmo che si palesò all’interno di quelle gallerie, una presenza che gli sembrava incredibilmente familiare e vicina, riportandogli alla mente i ricordi d’infanzia riguardanti il periodo passato presso il castello dei Megrez ad Asgard, riportandogli alla mente il cosmo che era proprio della sua famiglia.
Avanzando verso quella fonte d’energia cosmica, però, Bifrost riuscì a percepire a poco a poco la differenza che risiedeva fra il cosmo del suo casato e quello che avvertiva lungo la galleria, l’impronta v’assomigliava, di ciò era certo, ma non era un manipolatore dell’ametista colui che emanava quell’aura.
I pensieri di Bifrost, però, furono interrotti quando vide, alla fine della lunga galleria, una zona ben più grande, da cui giungeva una luce accecante di un bianco candido; solo quando vi arrivò, però, il god warrior scoprì la fonte di tanta luce: corallo, le pareti di quella sala erano piene del minerale marino, ma non fu questo a lasciare privo di parole il guerriero, bensì ciò che si trovava al centro della galleria.
"Helyss", urlò il cavaliere del Nord correndo verso una gigantesca bara di corallo al cui interno Bifrost distingueva chiaramente la sacerdotessa del Pittore, "Come può essere?", domandò fra se il guerriero di Asgard, prima che una sottile risata lo facesse voltare verso un’altra delle vie comunicanti con quella galleria centrale.
"Chi è là?", domandò il god warrior, ma l’unica risposta che ricevette fu la stessa che aveva ricevuto poco prima la sacerdotessa d’argento: "Simulacro di Corallo", questo il guerriero del Nord sentì prima che i coralli sul suolo andassero aumentando di densità, unendosi ad altri che sembravano scivolare come serpenti dall’oscurità di quella galleria per poi porsi attorno a Bifrost che, incapace di rispondere data la sorpresa dell’attacco, fu rinchiuso in una gigantesca bara composta dal minerale marino, come Helyss prima di lui.
Fra le rovine dell’Isola di Mu, intanto, Camus dell’Acquario, Freiyr di Dubhe ed i due Hayoka loro alleati erano visibilmente sorpresi: sembrava che, dopo il primo assalto, i due cosmi avversi che li avevano attaccati si fossero fermati.
"Come può essere possibile?", domandò Kela dell’Alce, "Perché non continuano ad attaccarci?", si chiese, "Ci hanno diviso, questa è un’arma a loro vantaggio", osservò con tono impassibile Camus, che, come i suoi compagni, non aveva potuto impedire che Helyss e Bifrost cadessero nelle fosse apertesi nel terreno sotto di loro.
"Sì, è molto probabile", concordò con voce preoccupata Freiyr, "ma", continuò poi, soffocando i propri timori, "il luogo in cui si trova Erebo è ancora dinanzi a noi, dobbiamo raggiungerlo", concluse il Sovrano di Asgard, ricominciando ad avanzare lungo ciò che restava della via seguita fino a quel momento.
"Che cosa?", esclamò ad un tratto Kela, "Non avete percepito i loro cosmi quietarsi senza nemmeno combattere? Io sento tuttora le loro vite appese a dei fili sottili, come possiamo abbandonarli?", domandò la giovane sciamana, ma nessuno dei due cugini asgardiani le rispose, fu piuttosto Whinga dell’Oca Polare, suo parigrado Hayoka, a parlarle: "Credi forse che ciò che loro fanno adesso si possa chiamare abbandonare un compagno? No, il loro è un atto di suprema fiducia nei compagni rimasti indietro. Troppo poco sappiamo noi delle battaglie per giudicare il peso delle necessità che si trovano dinanzi ad ogni guerriero, non possiamo giudicarle con il nostro metro, poiché mai abbiamo dovuto combattere una battaglia in cui qualche nostro amico caro rischiasse di rimanere indietro, ma, questa volta, dovremo", spiegò con tono cupo il guerriero pellerossa. "Capisco", fu la semplice, quanto triste, risposta di Kela dinanzi a quelle parole, prima che i quattro ricominciassero ad avanzare verso il luogo in cui si trovava Erebo.
La figura nell’ombra osservava, dalla galleria in cui si trovava, le due bare di corallo in cui aveva imprigionato quei nemici di cui conosceva solo il nome, non le era stato nemmeno necessario palesarsi a loro, tanto erano stati sciocchi ad avanzare così, attirati soltanto dal suo cosmo; ma, se era possibile intuirsi dal respiro di quel misterioso manipolatore del corallo, questi era insoddisfatto, attendeva ben altro che quelle due facili prede, qualcosa che sembrava non essergli concesso.
"Tornerò verso il palazzo, probabilmente chi cerco sarà riuscito a sopravvivere all’attacco combinato e starà ancora avanzando", sussurrò con chiara voce nordica il guerriero, prima di voltarsi verso l’interno della galleria in cui si trovava.
Qualcosa però bloccò i passi del misterioso nemico, un cosmo che esplose da una delle due bare di corallo, un cosmo familiare e brillante del colore dell’ametista.
"Ametist Shield" si poté sentire urlare dall’interno di una delle due bare di corallo, prima che uno strato del minerale viola si disponesse fra il corpo del guerriero giunto per secondo e la gabbia che lo intrappolava; fu un lungo momento di sorpresa per la figura nell’ombra prima che la pressione dell’ametista sul corallo rompesse ambo i minerali, liberando chi vi era intrappolato all’interno.
"La teca viola d’Ametista", esordì la voce nell’ombra, mentre Bifrost, respirando a pieni polmoni, scrutava la zona da cui proveniva quella voce. "Chi sei? Mostrati, Generale Oscuro, poiché la tua trappola è ormai inutile contro di me", avvisò il god warrior, prima che il suo nemico apparisse dall’oscurità.
Era un guerriero non molto più alto di Bifrost, il fisico asciutto era completamente celato in una nera armatura di scaglie che si componevano sul corpo descrivendo dei rombi su braccia e gambe, mentre sul tronco la disposizione era ben diversa, creando delle spirali oblique rispetto al corpo del misterioso generale nero, le cui mani erano nascoste da sottili scaglie scure. Anche il viso del nemico era nascosto da una maschera priva di lineamenti, si poteva distinguere solo la fisionomia di un serpente, o qualcosa di simile, sulla zona della nuca di quel grande elmo nero, solo gli occhi, sottili e verdi, e le labbra, erano visibili del guerriero, attraverso delle fessure nella cupa maschera priva di fisionomia.
"Chi sei, generale?", tornò a chiedere il god warrior, "Grun del Dinichtys Oscuro, anche se suppongo che questo non ti dica niente, guerriero di Megres", affermò il nemico, rivelando di conoscere il nome della stella sotto cui brillava il cosmo del giovane asgardiano.
"Non so come tu faccia a conoscere la stella che mi guida, ma hai ragione, sono Bifrost, cavaliere di Megres in nome di Odino", si presentò subito il god warrior, "ed ora, guerriero Oscuro, libera Helyss, poi, se vorrai, sarò il tuo avversario", concluse, il fratello di Alberich, indicando la bara di corallo in cui era intrappolata l’alleata.
"Helyss?", ripeté la voce sotto la maschera, "Allora è una persona a te nota, malgrado le sue vestigia siano consacrate alla dea Atena? Non pensavo che il legame fra i vostri culti si fosse stretto a tal punto", osservò con un tono che ne tradiva il sadico gaudio, "Bene, figlio dei Megrez, allora combatteremo seguendo delle regole piuttosto ferree, regole non mie, bensì di quello che so essere stato tuo fratello maggiore: Alberich di Megres", sentenziò con incredibile soddisfazione il Generale Oscuro.
"Che cosa?", tuonò sbalordito Bifrost, "Dovresti saperlo, hai provato su di te il Simulacro di Corallo, ne avrai compreso le similitudini con la tua Teca d’Ametista", replicò con tono indifferente l’altro, "solo la mia volontà, o la morte, libereranno la tua giovane amica dalla sua candida prigione; prigione in cui potrebbe morire soffocata se ancora perderai tempo in sciocchi discorsi", concluse il nemico, come ad indicare che non vi era altra via se non la battaglia per concludere quella diatriba.
"Un’ultima cosa", esordì pochi attimi dopo il Generale Oscuro, "non tentare nemmeno l’uso della tua trappola su di me, sarebbe solo un inutile spreco di tempo. Come tu sei fuggito dal mio Simulacro, così io scapperei dalla tua teca", concluse il nemico, ormai pronto alla battaglia.
Quelle parole parvero ricche di scherno all’orecchio di Bifrost che, agitato dalla sorte che ben presto avrebbe atteso Helyss, espanse il proprio cosmo fino ai limiti della sua stella portante, "In nome del Casato dei Megrez, vi richiamo a me, Anime della Natura, colpite con furia insostenibile l’avversario che mi si pone davanti, travolgetelo con tutta la potenza di questa grotta e della terra sottostante", invocò il guerriero di Asgard, "Neka Yuri Ken", urlò alla fine, mentre già il terreno si spaccava, lasciando libertà d’azione a macigni e correnti d’acqua sotterranee, che si lanciarono con furia verso il loro bersaglio.
Una risata si poté chiaramente udire all’interno della maschera di Grun, "Simulacro di Corallo", sussurrò appena il Generale Oscuro, mentre già la bara candida si disponeva attorno al suo corpo, intrappolandolo all’interno. Quando ciò avvenne, però, la sua presenza si quietò agli occhi degli spiriti invocati da Bifrost, così, come cani da caccia che, persisi nell’oscurità di una grotta, non riescono più a percepire la presenza della preda, le anime della natura non attaccarono il nero nemico, che rimase in stasi nella propria gabbia di corallo.
"Se quella bara è come la mia teca d’ametista, proprio come lui dice", pensò fra se Bifrost, "allora può restarvi in stasi senza pericolo alcuno, mentre Helyss non ha altrettanto tempo", continuò preoccupato il guerriero del Nord, mentre il suo sguardo si spostava dal misterioso nemico all’alleata d’argento, "siamo in uno stallo che si può concludere solo a suo vantaggio", ringhiò fra se, quietando il proprio cosmo e con questo anche gli spiriti della natura.
Quando anche l’ultimo segno del Neka Yuri Ken si quietò, Grun sciolse la bara di corallo in cui s’era celato, "E così, uomo dei Megrez, hai scoperto che solo lo scontro diretto ti è concesso contro di me", esordì il Generale Oscuro, una volta uscito dalla gabbia, "quindi estrai la tua spada d’ametista, che io possa spezzarla con la mia arma di corallo", concluse con tono di sfida.
Lo stupore però aveva invaso il volto di Bifrost, "Come fai, Generale?", chiese quasi dimenticando la particolare situazione, "Come puoi conoscere tutte le mie tecniche e come contrastarle? Questo perché il tuo cosmo mi è particolarmente familiare?", domandò il guerriero di Asgard.
"Ti risponderò, così scoprirai con quanta gioia io ti veda ora soffrire e ben presto ti vedrò sconfitto e morente", affermò in tutta replica il nemico, mentre le mani si appoggiavano all’elmo, togliendolo.
Il guerriero si presentò come un giovane dai sottili e pallidi lineamenti nordici, i cui corti capelli verdi erano ora scompigliati per la lunga sosta all’interno dello scuro casco, mentre i sottili e svegli occhi, del medesimo colore, guardavano con odio profondo Bifrost, mentre la fronte, ora scoperta, lasciava intravedere un tatuaggio: l’orsa maggiore priva però della quarta stella, la stella di Megres.
"Questo", esordì Grun, indicando il tatuaggio, "è il simbolo del rancore che mi è stato tramandato, il rancore del mio casato", affermò con voce dura il guerriero, "Sei di Asgard, generale Oscuro?", domandò stupito Bifrost, "Esatto, uomo dei Megrez, e ti dirò di più il mio era uno dei casati cadetti della tua famiglia, un ramo che i tuoi parenti preferirono tagliare una generazione fa, prima che tu e Alberich, come me d’altronde, veniste al mondo", esclamò con tono pieno d’odio, sbalordendo il suo interlocutore.
"Voi Megrez eravate la famiglia prescelta da Odino, voi ed altre sei, ma, fra tutti i tuoi familiari erano quelli che ostentavano maggior ricchezza, tenendo al proprio seguito diverse famiglie minori, frutto della nascita di fratelli e sorelle del primogenito. Se Alberich non fosse morto anche tu avresti vissuto un destino identico: vivere per il tuo casato finché questo non avesse deciso che la famiglia da te proveniente altro non era che un ramo debole da tagliare.
I miei parenti furono scacciati dalle terre dei Megrez ed io stesso nacqui in una zona più impervia di Asgard, ma ben presto la abbandonai con i miei cari per allenarmi a diventare un potente guerriero, poiché, sapevamo che la famiglia di Draka aveva trovato fortuna presso il Sacro Regno di Cartagine ed altrettanto ci auguravamo per noi, ma non ricevemmo altrettanta buona sorte; così l’unica speranza che ci restava stava nella vostra completa scomparsa, ramo principale del casato.
Quando seppi della guerra con Atena, venti anni fa, ero appena un fanciullo, da poco partito da Asgard, ma ricordo la gioia dei miei cari nel sapere della morte di Alberich, che ereditando l’armatura ed il titolo si era dimostrato il più dispotico di voi Megrez. Quella gioia fu ben presto vinta dalla notizia della tua esistenza, ultimo del tuo casato, solo la tua morte darebbe gioia alla mia situazione di diseredato ed esiliato", sentenziò con tono sempre più furente l’oscuro nemico, il cui sguardo era traboccante di disprezzo, mentre, riprendendo fra le mani l’elmo, vi estrasse qualcosa all’altezza della nuca, un sottile oggetto nero che era ben nascosto nel suo pugno.
"Ora, cugino, basta con le ciance, combatti, o attendi la morte della tua alleata, a te la scelta, io, dal mio canto, ti attaccherò", esclamò, mentre l’ampio cosmo creava dei coralli attorno al pugno chiuso, "Lancia corallina", concluse Grun, ora pronto alla vera battaglia.
"Non sapevo delle colpe della mia famiglia verso di te, Generale Oscuro, ma non per questo lascerò che tu prenda la vita di Helyss, né la mia", replicò Bifrost, mentre già il cosmo d’ametista brillava fra le sue mani, "quindi accetto la sfida", continuò, urlando infine: "Kororo Ken", quando ormai la spada del violaceo minerale aveva preso forma.