Capitolo 5: Il luminoso Negromante
La Sacra città di Cartagine, consacrata alla dea Era, era stata distrutta diversi secoli prima dell’avvento di Urano, ma solo grazie alla volontà dell’antica discendenza dei signori di quella terra, la volontà di Didone, penultima Regina di Cartagine, e del suo sposo, Ikki della Fenice, santo divino di Atena, era stato possibile ricostruirla.
Ora la città viveva, come Asgard e molti altri luoghi, un periodo di pace, dopo aver perso la propria Regina Didone ed il suo sposo Ikki, oltre alla maggioranza della famiglia reale per mano dei titani dalle bianche vestigia, ma aver trovato, poco dopo, nella figlia di costoro, Esmeria di Suzaku, una guerriera e sovrana dall’immensa determinazione e bontà nei confronti del proprio popolo.
Era stata la stessa Esmeria, insieme all’ultimo rimasto dei Guardians Goshasei, Joen del Pavone, a difendere strenuamente quella città contro il pericolo delle oscure divinità egizie guidate da Apophis.
Quella pace era stata però scosso di recente da un cosmo che oscuro si era rivelato attraverso la superficie del mare, un cosmo che per primo Kain di Shark, fratello maggiore di Esmeria, in visita dalla sovrana, aveva avvertito, ma come il mariner, anche la Regina, Joen e Daidaros, cavaliere d’argento e cugino della regnante, in visita per conto del Santuario nella città Sacra, avevano sentito quell’oscura presenza avvolgere le acque, ma nessuno di loro aveva posto obbiezione dinanzi al Generale dei Mari che ritornava solo negli abissi sottomarini per combattere questa misteriosa minaccia.
Allora nessuno dei presenti ebbe percezione di una seconda entità malefica che si risvegliava ai confini orientali del mondo, nessuno di loro avrebbe mai immaginato che questo secondo pericolo si sarebbe palesato con un cosmo avverso proprio nella Sacra Città, ma questo avvenne nello stesso momento in cui gli Oscuri generali attaccavano il Regno Sottomarino di Nettuno, fratello di Zeus, ed Asgard, terra di Odino, alleato ancestrale del Sovrano dell’Olimpo.
Quando quel cosmo fu percepito, Esmeria si trovava nelle sue sale del trono, assieme al fedele Joen ed a Daidaros, intento a riportare all’alleata di un movimento oscuro che l’attuale sommo Sacerdote aveva saputo leggere nelle stelle sullo Star Hill.
La conversazione fu però interrotta proprio da quella presenza nemica, "Mia regina, lasciate che sia io a controllare", aveva esordito, con la consueta rapidità, legata alla sua lealtà a Cartagine ed Esmeria, Joen del Pavone che subito indossò le chiare vestigia consacrate alla dea Era e si diresse nel luogo da cui proveniva quel cosmo malefico: il cimitero dei Goshasei.
Giunto nel luogo a lui ben noto, il figlio di Tige vide dinanzi a se non un cavaliere, bensì una non ben distinta figura avvolta nella luce, un uomo, di certo, ma circondato da così tanta luce da essere indistinguibile agli occhi umani.
"Chi sei, cavaliere?", esclamò prontamente il Guardiano, "Più saggio, ragazzo, e che tu mi riveli la tua identità, poiché mi aspettavo di trovarmi contro la Regina di Cartagine, una Beast Keeper, a quanto ne so, non un seguace di divinità olimpiche", replicò con tono duro ed impassibile la figura ammantata di luce, "Non avrai modo di incontrare la sovrana di queste terre, poiché chi ti trovi dinanzi è Joen del Pavone, ultimo Goshasei di Era, ma guerriero più che sufficiente per fermarti", avvisò il Guardiano, espandendo il verde cosmo.
"Vi era ancora uno di voi vivo? Non ne ero stato informato. Poco male, basterà la mia fanteria per eliminarti", osservò indifferente il misterioso nemico, "Fanteria? Hai portato degli invasori a Cartagine?", tuonò in tutta risposta Joen, "No, in vero, sarebbe corretto chiamarla la tua fanteria", concluse ironico l’avversario, sollevando la mano destra in quel mantello di luce che lo celava.
Sembrò quasi che il palmo della mano, non perfettamente distinguibile sotto la luminosità che circondava, si aprisse, lasciando esplodere un cosmo dorato, ma spaventosamente malefico.
"Ritornate dalla terra, schiere di corpi senza più soffio vitale, alzatevi per seguire gli ordini del Leone che divora i sogni, mutandoli in incubi, seguite il volere di Ko di Baku", esclamò il misterioso nemico, mentre una pioggia di luce cadeva nel terreno del cimitero.
Subito, come dal nulla, un terremoto scosse il terreno e diverse crepe si crearono, spaccando roccia e bare e lasciando fuoriuscire i diversi soldati semplici caduti durante l’assalto dei titani di alcuni anni prima. I loro corpi, segnati dalla decomposizione, ripresero d’improvviso forma umana, ma privi di alcuna espressività e lineamenti caratteristici, sembravano decine di bambole senza più vita che penzolavano, sotto il giogo di un singolo burattinaio.
"Wu", fu l’unica parola che il nemico disse, prima che quella schiera di corpi senza vita sembrasse ritornare cosciente e si spostasse dinanzi a lui, creando fra i vari corpi un’intricata rete d’energia cosmica, la stessa che li aveva rianimati e che agli occhi di Joen apparve nitida e minacciosa.
"Cosa sei tu? Un dio o un demone, per risvegliare i morti dal loro meritato riposo?", domandò prontamente il Guardiano di Era, "Sono un Portatore di Luce, uno dei nove seguaci di colei che è la Regina della Luce stessa, la potente Signora che comanda ogni mia azione e mi ha concesso il potere di usare i corpi senza vita come involucri e burattini da usare in battaglia. Questa tecnica, la tecnica del Wu, il Nulla, è la più sciocca che possiedo, mi permette di mandare interi eserciti a seguito di chi desidero, permettendo loro di avanzare senza problema alcuno, proprio come faranno adesso", spiegò il nemico prima che le schiere, dai Generali Oscuri chiamate "Stormo", si muovessero verso Joen.
Prontamente il figlio di Tige si lanciò contro lo schieramento di non morti, colpendo l’elemento centrale con un violento pugno allo stomaco, un colpo che fece barcollare il defunto soldato di Cartagine, prima che un secondo colpo, un montante al viso lo gettasse a terra, fra le reti d’energia cosmica.
"Mossa azzardata, Guardiano", lo ammonì allora la figura celata nella luce, mentre le conseguenze di quest’azione si palesavano allo stesso Joen; dapprima il corpo senza vita, cadendo fra le spire d’energia cosmica fu fatto in cenere, poi fu lo stesso Goshasei del Pavone ad essere colpito da tale potenza che lo investì impetuosa, gettandolo indietro di diversi passi e lasciandolo ricadere malamente al suolo.
"Nessuno può sopravvivere ad un simile attacco, di certo le vestigia hanno evitato la distruzione del corpo, ma niente di più", suppose allora il nemico, prima che un’esclamazione di stupore partisse dalla sua figura nascosta nella luce, mentre osservava il guerriero Cartaginese rialzarsi in piedi con il corpo illeso.
"Sei invulnerabile, ragazzo? Che simpatica caratteristica, ma mi chiedo se anche i tuoi sentimenti sono tali, poiché, come tu stesso hai potuto saggiare, se non ti ritrai saranno i defunti guerrieri di queste terre a perdere anche l’ultimo loro involucro mortale", affermò divertito il malefico nemico.
"Quale essere vile può porre un avversario dinanzi a tale ricatto?", ringhiò in tutta risposta Joen del Pavone, espandendo il proprio cosmo color dello Smeraldo.
"High Green Wall", esclamò subito dopo il Goshasei, sollevando il potente muro di luce verde che tante volte gli era stato scudo efficace e superbo in battaglia, ma che ora lo costrinse a vedere come le schiere di defunti vi schiantassero contro, perdendo la propria integrità fisica, in parte per il cosmo stesso di Joen, in parte per la rete che spazzava via chiunque, per l’impatto, rompesse le righe.
"Ti trovi davanti ad un’ardua scelta, vero?", domandò ironico il nemico, che restava immobile ad osservare le azioni del Guardiano di Era, ma un sorriso si dipinse sul volto di Joen, "Quanto poco sai di me, invasore? Non conoscevi nemmeno la mia esistenza, perciò dubito che tu conosca i segreti della mia barriera difensiva", affermò il guerriero cartaginese, mentre il muro di luce verde sembrava prendere una forma più morbida, diventando lentamente un cilindro che circondò l’esercito di cadaveri, stringendoli in modo tale da impedire loro qualsiasi movimento in ogni direzione.
"Hai bloccato i loro movimenti, così da impedire che si disperdano, ma ciò consuma la forza del tuo cosmo, ne sono certo, oltre a lasciarti scoperto ai miei attacchi", osservò divertito il nemico che si era definito un Portatore di Luce, "Ti sbagli", lo contraddisse prontamente Joen, "ben altri segreti cela questa particolare barriera, segreti che ora vedrai tu stesso", affermò con determinazione, prima che il terreno iniziasse nuovamente a tremare.
Il suolo d’improvviso crollò sotto i piedi dello Stormo risvegliato dal Portatore di Luce, ma questi non si dispersero nel terreno, rischiando di polverizzarsi nella rete d’energia cosmica, bensì furono lentamente calati, da lievi fratture del terreno, in profondità per metri e metri, finché, rapido com’era iniziato, lo scuotersi del terreno finì e la barriera d’energia verde scomparve.
"Hai circondato non solo i lati, ma anche il suolo su cui si trovavano i miei fanti, scavando una buca abbastanza profonda da non rendere loro possibile di muoversi, per la durezza del terreno, con quel poco cosmo che gli avevo dato ed impossibile da risalire per dei cadaveri uniti fra loro da un tale filo d’energia, furbo", si complimentò il nemico, prima che un’ultima scossa al terreno facesse cadere della dura roccia sulla buca, "e li hai anche chiusi. Ma tutto ciò sosterrei che ti ha consumato oltre modo, non saprai rispondere al mio secondo attacco", lo ammonì subito dopo.
"Non avrai il tempo di lanciarlo", esclamò in tutta risposta Joen, lanciandosi verso l’avversario, che, però, lasciò esplodere la luce che lo circondava, abbagliando il nemico e scattando poi indietro, come un’ombra furtiva, verso un’altra zona del cimitero di Cartagine.
Nel palazzo reale di Cartagine, Esmeria era pronta ad indossare le vestigia che gli erano state vicine in più battaglie, l’armatura sacra di Suzaku, la Fenice del Cielo Meridionale, ma fu Daidaros di Cefeo ad impedirglielo, "Cugina Esmeria", esordì, "non puoi andare incontro ad un nemico in questo modo, e se fosse una trappola di quella stessa entità che sembra minacciare il Regno Sottomarino?", domandò prontamente il santo d’argento.
"Non ho potuto fermare mio fratello dal compiere i suoi doveri, ma non sarò di certo una codarda che non difende il Regno che deve custodire", affermò in tutta risposta la Beast Keeper, il cui cosmo ardeva di determinazione, "Sarebbe comunque un azzardo andare sul campo di battaglia da sola, permettimi quindi di prendere le vestigia di Cefeo ed esserti di supporto", esordì allora Daidaros, cosciente dei doveri della Regina di Cartagine e dei propri.
"No, aspettate, vi prego", esordì allora una figura, apparendo dal nulla e portando ambo i guerrieri ad una posizione di guardia.
"Chi sei tu, guerriero?", esclamò prontamente Esmeria, "Il mio nome è Lihat del Falco Rosso, sono una dei tre Hayoka custodi dell’Estate, giunta fin qui assieme ai miei compagni per portarvi soccorso contro dei nemici che cercano ben altro, oltre le vostre vite", esordì la guerriera pellerossa, presentandosi.
Questa sciamana aveva lunghi capelli dorati che si muovevano ondulati sul volto, privo di alcuna copertura, ma ricco di pitture tribali sulle guance abbronzate; le vestigia, in parte bianche, in parte dorate, ricoprivano con eleganza il tronco e le gambe simili a sinuose piume d’oro che si congiungevano su un tronco metallico bianco, mentre le braccia erano adornate da una gigantesca coppia d’ali che si aprivano dai polsi alle spalle, simili a quelle di un vero volatile.
Gli occhi rossi della nativa americana s’incrociarono con quelli della figlia di Ikki, la quale sembrò avvertire una profonda pace e gentilezza in quello sguardo della straniera, "Siamo venuti solo per esservi d’aiuto, ma per far ciò abbiamo bisogno della vostra fiducia", spiegò prontamente la giovane.
"Vi chiediamo quindi di chiamare qui, a Cartagine, anche l’altro santo d’argento che sappiamo trovarsi in Egitto, presso la corte di Ra, e di attendere qui con noi il suo arrivo", esordì subito dopo una voce maschile, mentre una seconda figura, rimanendo celata nell’ombra s’inginocchiava.
"Inoltre non preoccupatevi per il nemico che è giunto fin qui, il nostro comandante è andato a dar man forte al Guardiano di Era", aggiunse poco dopo questo secondo guerriero.
"Pensate che a Joen serva man forte?", domandò preoccupata Esmeria, "Siamo coscienti dell’invulnerabilità e della dedizione del Pavone sacro ad Era, capacità che hanno avuto ragione persino del dio Aker, ma conosciamo anche il legame che lo univa ai suoi pari e proprio su questa debolezza farà leva il suo nemico, colui che fra i servitori della Regina della Luce è definito il Negromante", affermò allora il secondo Hayoka, rimanendo in ginocchio.
"Proprio per questo il nostro potente comandante è andato in suo soccorso e per evitare nuovi attacchi a queste terre vi chiediamo di chiamare qui anche il santo d’argento che si trova in Egitto", continuò Lihat, "Andrò io stesso a chiamare Kano ed anche Sekhmet se vorrà esserci d’aiuto in questa battaglia", esordì subito dopo Daidaros, abbandonando la sala del trono.
Mentre questi avvenimenti accadevano nella sala del trono di Cartagine ed una figura si muoveva svelta verso il cimitero della Sacra città, Joen del Pavone aveva raggiunto il suo nemico che ora era nitido ai suoi occhi, non più celato da un manto di luce: era un guerriero asiatico, dai corti capelli rossi e con una folta barba del medesimo colore, le cui vestigia ricordavano qualcosa di molto simile ad un leone, una creatura le cui zampe artigliate coprivano i suoi arti, mentre la folta criniera si disponeva come spalliera color oro ed argento, combinandosi con il tronco dell’armatura e superandolo per spessore e bellezza fino all’altezza della cinta, dove persino la coda dello strano leone si univa ai gambali ed al corpo della bestia; solo la testa dell’animale, simile a quella di un deforme leone, restava a difesa del capo, come elmo disposto dalla nuca alla fronte.
"Ben giunto, guerriero di Era, in quella che, a quanto posso percepire, è la zona in cui riposano i tuoi pari", affermò subito il nemico, "Non osare utilizzare anche i passati Goshasei come marionette per il tuo assalto, non te lo perdonerei", avvisò deciso Joen, "No, niente più servitori guidati da una rete d’energia, è tempo che io, Ko di Baku, ti mostri il secondo colpo di cui sono padrone", esordì subito dopo il Portatore di luce, osservandolo con vacui occhi senza iridi e sollevando la mano destra sopra una delle tombe.
Il cosmo di Ko divenne simile ad una sottile coda che s’insinuò nella terra, un filo che poi si aprì sull’intera mano del guerriero asiatico, scotendo al qual tempo il terreno.
"Eccoti la tecnica che capovolge lo spirito di un guerriero mantenendone però le virtù", esordì il malefico nemico, "Shinran Shin", urlò alla fine, mentre il terreno dinanzi a lui si spaccava per mostrare il suo nuovo attacco.