Alcesti.
Sulla spiaggia fervevano i preparativi. Le due imbarcazioni scampate per prime alla furia del tifone erano giunte, non senza difficoltà, nel porto sicuro che era quella ben nota riva e subito avevano dato l'allarme. Tutti gli uomini erano corsi e di quelli che avevano qualche esperienza di mare si erano subito offerti per portare soccorso alle altre barche ancora al largo. Ma non ve ne fu bisogno. La barca di Ioannis e la sua gemella comparvero all'orizzonte, strattonate con forza dal vento che però andava a calare, e anche la pioggia scemava seppure si ostinasse a cadere ancora fitta e insistente.
Ioannis non aveva lasciato il corpo di Admeto neanche per un istante. Cercava di proteggerlo con la sua figura massiccia dalla pioggia che gli bagnava i bei capelli dorati completamente madidi e incollati al volto. Gli uomini sulla spiaggia non scorgendo sulla barca il fidato Ioannis compresero che qualcosa di grave era successo. I soccorritori si mossero e raggiunsero la piccola imbarcazione dall'albero spezzato, riuscirono ad attraccare e subito videro l'uomo in ginocchio vicino al corpo esanime del giovane Admeto. Dallo sguardo di Ioannis compresero che nulla più vi era da fare per lui, si limitarono perciò a favorire i movimenti della piccola barca che così giunse fin quasi alla riva, dove l'àncora che Admeto aveva recuperato fu gettata sul fondo sabbioso. Con cautela Ioannis e i suoi compagni sollevarono il giovane, avvolto da una coperta portata dai soccorritori. Nessuno parlava, nel cuore di tutti un silenzio di rispetto e commozione. Solo Ioannis di tanto in tanto mugugnava parole incomprensibili, strette fra i denti e rivolte più a se stesso che ai suoi compagni. Per lui quel giovane era come un fratello minore, lo aveva accolto come tale in casa sua, quando con la sua giovane sposa era giunto da chissà dove. L'amicizia sbocciò che neanche i due si conoscevano, il loro fu da subito un legame profondo e anche se il sangue che scorreva nelle loro vene non era lo stesso i due si sentivano legati come fratelli. Averlo visto morire senza aver potuto fare nulla per impedirlo stringeva il grande cuore del massiccio Ioannis in una stretta di rimorso e dolore lancinanti.
Giunti sulla spiaggia, il corpo fu adagiato delicatamente sulla sabbia bagnata. "Portatelo in chiesa".
Soffocava il pianto, Ioannis.
"...Io devo andare a dirglielo".
Con una certa riluttanza lasciò alle cure degli altri il corpo del suo giovane amico.
Quella mattina di buon’ora, Alcesti ed il piccolo Aiolos erano andati a far visita alla primogenita di Sofia e Ioannis, Tia, che da pochi giorni aveva dato alla luce una bambina. Nella casa della madre Sofia, la giovane Tia chiacchierava con Alcesti del più e del meno mentre la piccola nella culla sonnecchiava tranquilla. Aiolos invece era particolarmente irrequieto, continuava andare e venire dalla finestra della stanza in cui la madre e l'altra donna parlavano. Scrutava il cielo, il piccolo Aiolos, e cercava di ascoltare la voce del mare, che filtrata dal bosco giungeva chiaramente anche fino a lì nonostante il fragore della pioggia battente con forza sui vetri.
"E' accaduto" si disse d'un tratto, senza essere udito dalle due donne.
Pochi istanti dopo un'ombra si fece largo fra gli arbusti e le piante d'ulivo appesantite dall'acqua. Dei vigorosi colpi inferti alla porta di legno, fecero sobbalzare le giovani madri. "Vengo, vengo!" strillò Sofia sbucando dalla cucina dove era intenta a preparare il pranzo per tutti. La donna aprì il portone pesante e si vide d'innanzi il compagno, completamente fradicio e grondante d'acqua. Gli occhi arrossati da cui scendevano ben distinte lacrime calde.
"Alcesti è qui?" chiese subito alla donna che senza aprir bocca annuì spaventata dallo stato sconvolto in cui versava l'uomo, e che mai gli aveva visto prima di allora. Al sentire il suo nome pronunciato, con quel tono tormentato, dal buon vecchio Ioannis Alcesti si sentì raggelare il cuore. Prima ancora che l'uomo le ebbe comunicato la notizia, la giovane comprese cos'era accaduto.
"Admeto è.."
Ioannis non fece neanche in tempo a terminare quella terribile frase che la giovane ebbe un mancamento, e se non fosse stato per il riflesso di Tia, che prontamente la sorresse prendendola per le spalle, sarebbe finita a terra.
"Mamma!" chiamò il piccolo Aiolos, corso verso la donna ancora appoggiata all'amica. Il bambino le prese la mano stringendola con entrambe le sue manine, e con tutta la forza di cui era capace. A quel tocco la giovane si riprese, quel calore era lo stesso della grande e forte mano dell'amato sposo. Alcesti, pallida in volto, tremante e incapace di dire alcunché guardò il figlio che le stringeva con forza la mano, gli occhi verdi e sinceri erano quelli del padre, e quegli stessi occhi piangevano lacrime silenziose. La giovane donna si lasciò scivolare lentamente a terra, e abbracciò il figlio come mai forse aveva fatto. Il bambino non si trattenne oltre e si lasciò andare ad un pianto dirotto, accompagnando quello della giovane madre.
Nonostante Sofia avesse più volte cercato di persuadere la giovane a non affrontare lo strazio della vista del corpo esanime di Admeto, Alcesti non volle sentire ragioni e si recò accompagnata dalla stessa levatrice alla piccola chiesa del villaggio, dove il corpo era stato portato e ricomposto. La giovane donna non volle, però, portare con sé il figlioletto, senza curarsi delle proteste del piccolo Aiolos che voleva rendere l'ultimo saluto al padre. Alcesti ancora ricordava la dolcezza del sorriso con cui il suo giovane compagno aveva salutato il figlio quella mattina, solo poche ore prima di morire. Quel sorriso sincero e caldo, il volto illuminato dai begli occhi verdi, era quella la memoria del padre che Aiolos doveva serbare, custodire per sempre nel cuore. Così pensava Alcesti, che lasciò il figlio con l’inconsolabile Ioannis.
Giunte nella piazzetta dove la chiesa si ergeva imponente più per il grigio del cielo che la sovrastava, con il vecchio e mal ridotto campanile che rumoreggiava cupamente sfidato dalle ultime folate di vento, che per la grandezza dell'edificio che in realtà era di fattezze modeste e misurate, le due donne trovarono sulla soglia della grande porta di bronzo una piccola folla di persone che si era lì già raccolta. La notizia era corsa per le vie del piccolo villaggio in un baleno, e tutti increduli e addolorati vollero andare a porgere il loro saluto a quel giovane tanto gentile quanto sfortunato. Appena scorta Alcesti la piccola folla silenziosa si aprì in due ampi lati, e la giovane salì piano i pochi gradini che la separavano dallo sposo. Sempre sorretta dalla fidata Sofia, che temeva gli effetti di tutte quelle convulse emozioni che agitavano sia la giovane sia, soprattutto, la creatura che portava in grembo.
Alcesti entrò.
La chiesa, ad una sola navata, e le poche panche disposte in fila erano illuminate da una serie di candele che rischiarono di spengersi quando la massiccia porta si aprì per far entrare la donna. Admeto era stato adagiato ai piedi dell'altare, su di un palchetto funebre di legno compatto e resistente. I compagni pescatori del giovane erano rimasti lì a vegliarlo in silenzio, appena videro la donna avanzare verso di loro ad uno ad uno presero a lasciare la chiesa, sfilando col capo chino accanto ad Alcesti, che sembrò non averli neanche notati, intenta com'era a rivolgere lo sguardo penoso innanzi a se. Sofia si mise in disparte, pronta a intervenire qualora ve ne fosse stato bisogno.
La giovane donna era ormai al cospetto dell'amato sposo, disteso placidamente su di un drappo immacolato. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, sul corpo non scorgeva alcuna ferita apparente ma avvicinandosi notò del sangue appena incrostato fra i bei riccioli dorati e comprese come potevano essere andate le cose. Alcesti gli era ormai accanto, guardò per alcuni interminabili istanti il bel volto sereno dell'uomo che amava, le labbra carnose avevano perso il loro colorito roseo ma di certo la morte non aveva loro strappato il sorriso, disegnato per sempre su di esse. Con una mano tremante, Alcesti andò ad accarezzare il volto del giovane, esitò prima di sfiorare quella pelle che ben conosceva ed il tocco freddo che sentì sulle punte delle dita sembrò non sconvolgerla più di tanto. "Mio amato, mio sposo" sussurrava mentre con il suo volto si avvicinava a quello di Admeto. Gli sfiorò la fronte, ancora umida, e neanche questa volta il freddo che le punse le belle labbra sottili sembrò persuaderla.
"Mio Admeto, mio amato sposo".
Chiamava ancora, e scendeva con l'esile mano a cercare quella dello sposo. La trovò, rigida e senza reazioni, la strinse e quel calore che amava tanto non era più in essa. Fu allora che scoppiò in lacrime crollando su di lui, abbracciando quel corpo senza vita e senza più calore.
"No.. non tu prima di me...no.." sussurrava all'amato, i loro volti erano uniti come lo erano stati per tante notti ma non vi era calore in quelle labbra violacee che Alcesti sfiorava con le sue, non vi era calore nelle mani grandi e forti che scivolarono inanimate sul legno.
"Sapevamo che sarebbe accaduto, allora perché è così doloroso?"
Chiedeva mentre baciava le gote fredde del giovane esanime.
"E' perché non volevo fossi tu il primo a lasciarci" si rispose la donna, le sue lacrime cadevano sul viso dell'amato ma non c'erano le belle mani di Admeto ad asciugarle, come tante volte avevano fatto.
"In te sta per me la vita..." disse, sfiorando con le sue labbra quelle di Admeto "...mio amato sposo, se anche gli dèi non ci avessero scelto, le nostre anime si sarebbero comunque incontrate e amate. In te ho vissuto ed in me tu hai vissuto, solo questo conta." E sempre accarezzava i bei riccioli e li scostava dal volto dello sposo addormentato.
"In te sta per me la morte..." disse, sfiorando con le sue labbra quelle di Admeto "...attendimi, mio dolce Admeto! Thanatos non tarderà, presto saremo di nuovo insieme, nel luogo che ci vedrà uniti per sempre." E ancora sfiorava con le belle labbra sottili le gote sbiancate dell'amato sposo.
"Sacro è per me il tuo amore..." disse, sfiorando con le sue dolci labbra umide di lacrime quelle di Admeto, fredde e insensibili "...nel nostro amore abbiamo vissuto, ed è stata una così bella vita mio dolce Admeto, una così bella vita al tuo fianco, mio amato sposo." E sempre sfiorava con le sue, le mani grandi e forti, senza calore, di Admeto.
"Ho avuto fiducia in te e nel tuo amore, così ora ne avrò nei nostri figli ed in Atena che veglierà su di loro" disse, sfiorando ancora con un bacio le labbra dell'amato sposo. "Tu però attendimi, mio dolce Admeto. Non tarderò ad arrivare da te, Thanatos benevolo verrà molto presto. Attendimi, mio amato Admeto" continuava a ripetere sfiorando con le sue labbra l'amato volto.
Non poteva, la giovane Alcesti, offrire libagioni agli dèi, non poteva donare allo sposo l'obolo per il severo traghettatore, non poteva la giovane donna cospargere di oli ed essenze quel corpo ancora così prestante e perfetto. Ma il suo cuore in silenzio pregava un altro dio affinché pietoso vegliasse sull'anima pura di Admeto, concedendogli di attraversare il fiume che conduce nell'Ade.
Sofia rimasta poco distante aveva udito le parole strazianti che Alcesti aveva pronunciato augurandosi, così parve alla levatrice, di ricongiungersi presto con il povero Admeto. La donna rimase per un attimo stranita, poi pensò che fossero solo parole dettate dall'immenso dolore che la piccola Alcesti stava provando.
A fatica Sofia riuscì a convincere la donna a staccarsi dallo sposo.
"Aiolos ha bisogno di te in questo momento" le disse più volte per indurla ad andare, e alla fine Alcesti si rassegnò a lasciare lì l'amato Admeto. Per fare ritorno a casa.