Eudaimonia.
La piccola spiaggia si distendeva per pochi chilometri, al di sotto di un irto promontorio roccioso che culminava in alto su di una parete scoscesa. Per giungervi bisognava passare per un fitto boschetto di pini marittimi, dagli aghi aguzzi e dal profumo inconfondibile. Tra quei pini ve ne erano alcuni che vantavano centinaia di anni, resistenti a tutto ed ancora floridi e rigogliosi da far invidia alle piante più giovani. Lasciato il bosco dall'ombra rinfrescante, la piccola spiaggia si apriva e pareva immensa, dipanandosi in un tutt'uno con l'ampia distesa d'acqua che fluiva in eterno. Non era quello un luogo frequentato dai turisti, sebbene fosse una piccola porzione di Grecia dalla bellezza selvaggia e intatta. Si trattava di un piccolo villaggio di pescatori, e quella era la loro spiaggia, custodita con amore e difesa dal resto del mondo, con gelosia. L'approdo familiare e accogliente dopo le lunghe ore passate lì, sulla pianura governata dal dio dei mari, Poseidone lo scuotitore della terra impetuoso.
Il sole si accingeva ormai a calare, provato anch'egli del suo stesso calore. Pigro scivolava sul mare dietro all'orizzonte dalla linea bianca e invisibile, colorando il cielo di sfumature soffuse tra l'amaranto e l'indaco. Solo le cicale ancora energiche non cessavano il loro canto, e col loro frinire creavano un sottofondo ideale per quel piccolo luogo perso nella Grecia. Il mare era calmo, un’enorme distesa blu, piccole onde pacifiche increspavano la superficie sempre in movimento.
Quella spiaggia non era però del tutto deserta. Una giovane donna sedeva sulla sabbia dorata e soffice, accanto a se teneva alcune conchiglie dalle forme più diverse. La donna aveva lunghi capelli castani, raccolti in una soffice treccia che le scendeva sulla schiena. La brezza leggera che arrivava dall'orizzonte le scompigliava qualche ciocca dispettosa, che le andava a sfiorare le guance rosee.
Ogni tanto prendeva in mano una conchiglia e la osservava in controluce, riflessi irregolari si confondevano con l'azzurro dei suoi occhi.
Ogni tanto portava una mano al grembo, sentiva uno scalpiccio, sorrideva.
La donna alzò lo sguardo, con gli occhi prima cercò poi trovò e seguì una figura minuta. Un bambino dai riccioli folti e scomposti dalla stessa brezza. Avevano il colore del miele ed erano impregnati del profumo intenso del mare. La sua corporatura era esile, ma non gracile. Il bambino stava piegato sulle ginocchia, seguiva con lo sguardo attento un piccolo granchietto dal carapace gialliccio, che si muoveva nervoso sulla sabbia bagnata. Arrivava l'onda ed il granchietto scappava. Il piccolo divertito lo seguiva e intanto cercava conchiglie dalle forme flessuose, dalle sfumature diverse.
E intanto cercava pietre dalle forme strane, di quelle che potevano ricordagli sagome di animaletti più o meno reali, oppure pietruzze dai colori sgargianti: verde acqua, rosso, bianco nuvola. A un tratto il bimbo si alzò in piedi, voltandosi piano verso la donna. I loro occhi s’incontrarono in un richiamo silenzioso. Il piccolo distese le labbra rosee in un sorriso leggero, tanto però da lasciare intravedere i piccoli denti da latte. All'improvviso il bambino sollevò le braccia, distendendole nel vuoto e piegando appena i gomiti. Le manine ben serrate a custodire conchiglie e pietruzze colorate, sporse leggermente il busto in avanti gonfiando le guance come se dovesse soffiare forte su qualcosa. Ma non soffiò. Cominciò anzi a camminare all'indietro, salterellando quasi. La donna da lontano lo stava ad osservare incuriosita, e non poté fare a meno di lasciarsi andare ad una risata di cuore.
Il granchietto offeso dalla buffa imitazione si lasciò trascinare via, dall'ultima onda.
Nel frattempo dall'orizzonte giungevano delle piccole imbarcazioni. Modeste, di legno e ghisa, vecchiotte ma robuste, provate da lunghi anni trascorsi a lottare con le onde minacciose, a lasciarsi cullare dai venti benevoli. Su una di queste, quella che faceva da apripista alle altre, un giovane uomo stava in piedi, a prua, maestoso nella figura sebbene stanco nelle membra affaticate dalla dura giornata di lavoro. Appena scorte le due minuscole figure stanti sulla riva, aguzzò lo sguardo. I begli occhi verdi stretti in due fessure per meglio mettere a fuoco l'immagine lontana. Riconobbe all'istante la minuta sagoma del bambino, ed il cuore gli si riempì di tenera gioia. Si portò entrambe le mani all'altezza della bocca, raccolse tutto il fiato che aveva in corpo e lo liberò tutto insieme, urlando il nome del figlio: "Aiolos!"
Il bambino ebbe un guizzo, si voltò prontamente nella direzione da cui la voce proveniva, e vide l'insieme delle barche avanzare placide sulla distesa blu, verso la riva. E su una di queste era la figura amata del padre, le braccia allargate e le mani agitate per attirare la sua attenzione. Il bambino non si fece attendere troppo e subito rispose al gesto, alzando al cielo le corte braccia e spalancando i palmi delle mani. Conchiglie e pietre scivolarono via, in mille riflessi variopinti, ma il piccolo non se ne avvide, intento com'era a ricambiare il saluto del genitore.
Festante, incontenibile avanzò di qualche passo verso l'acqua, arrestandosi non appena le ginocchia ne furono sommerse. "Papà!" chiamava, agitando nell'aria le mani, ormai vuote. A pochi metri dalla riva, le barche ad una ad una si fermarono gettando la pesante àncora sul fondo sabbioso. Admeto non seppe aspettare che la sua barca fosse completamente ferma, con un salto agile e preciso balzò giù, nell'acqua ancora tiepida. Corse a grandi passi, non curandosi di ciottoli e sassi che ricoprivano il fondo man mano che si avvicinava alla terra ferma. In pochi istanti fu davanti al piccolo Aiolos che gli si tuffò letteralmente fra le braccia, forti e accoglienti, fra mille schizzi d'acqua piacevoli sulla pelle accaldata dell’uomo. Il giovane sollevò di peso il figlio in aria ed il piccolo volò sicuro tenuto saldamente dal padre. Le risate di entrambi si confondevano in una sola.
"Ben tornato, papà!" disse il bambino una volta sceso dal volo. E abbracciò stretto il padre buttandogli le braccia intorno al collo.
Admeto, con il piccolo Aiolos fra le braccia, prese a muoversi in direzione della sua sposa, che li attendeva seduta sulla sabbia morbida. La donna li osservava avanzare, sulle labbra dipinse istantaneamente un sorriso di sincera commozione.
"Alcesti, mia adorata".
Il giovane uomo dalle spalle possenti si fermò davanti alla donna, e piegandosi sulle ginocchia permise al piccolo Aiolos di scendere. Il bambino gattonò sul telo sul quale la morbida figura della madre riposava, accovacciandosi accanto ad ella.
"Come state?".
Chiese Admeto, poggiando delicatamente una mano sul ventre caldo.
"Bene, mio amato, stiamo tutti e tre bene", rispose la giovane dischiudendo le labbra sottili in un sorriso dolce e materno, e intanto accostò la sua mano delicata e forte su quella dello sposo.
"Non sareste dovuti venire. La signora Sofia ti ha raccomandato un riposo assoluto prima del parto" ammonì bonariamente l'uomo, preoccupato.
"Sono giorni che non usciamo da casa per evitare il caldo" e mentre spiegava, la giovane donna accarezzava i riccioli biondi del figlio, che ora teneva la testa sul grembo della madre, ed ascoltava.
"Avevamo proprio bisogno di una bella passeggiata, vero Aiolos?"
Il piccolo annuì, strofinando la guancia contro il seno materno.
"In quanto al riposo, lo sai, questo giovanotto non mi permette di alzare neanche un piatto!"
Disse strizzando l'occhio al figlio. Aiolos, sentendosi chiamato in causa, alzò il volto e incrociò lo sguardo divertito della donna, e serio nell'espressione come nel tono della voce affermò "Papà mi ha chiesto di avere cura di te, mamma."
Innocente e sincero.
"E' così".
Confermò il giovane uomo dagli occhi di bosco, mentre si rialzava soddisfatto per la premura dimostrata dal figlio.
Admeto offrì una mano alla sposa, che accettò di buon grado il tacito aiuto. Una donna incinta a nove mesi ha non poche difficoltà nei movimenti, anche in quelli banali come il sedersi o l'alzarsi. Aiolos, veloce, fu subito in piedi di fianco alla madre e istintivamente le fece d'appoggio.
"Sono felice che siate venuti ad accogliermi. Ma non voglio che tu faccia di simili sforzi". Disse il giovane, sollevando una mano all'altezza del volto dell'amata, ricoprendone per intero una guancia arrossata dal sole.
"Devi aver cura di te, e della creatura che porti in grembo."
"Il mio fratellino!" proruppe all'improvviso, la vocina squillante del piccolo Aiolos.
Admeto lanciò un'occhiata stupita alla donna, i suoi occhi domandarono ancor prima che dalla bocca uscissero parole concrete. La giovane sospirò, si sforzò ad accennare un sorriso bonario, come se quella del figlio fosse solo un’innocente fantasia, inventata per far divertire il padre. Ma ella sapeva che non era così, e lo sguardo incredulo del marito le confermava i suoi timori. Da molti giorni, infatti, il bambino le raccontava il sogno che continuava a fare. Ogni notte sempre lo stesso. Nel sogno, raccontava il piccolo Aiolos alla madre, un bellissimo leone magnifico nell’aspetto, e dalla criniera rigogliosa e dorata, lo accompagnava lungo una scalinata di pietra antica che Aiolos diceva di non aver mai visto, annunciandogli l'imminente nascita di un bambino, suo fratello minore. Nel sogno il leone rivelava anche il nome del nascituro, ma al risveglio Aiolos non era in grado di ricordarlo, tanto era felice e impaziente per l'arrivo del fratello.
La mano della giovane donna, ancora appoggiata sulle fragili spalle del piccolo, ebbe un tremito nel ricordare le parole del figlio. Subito il bambino lo percepì e la guardò preoccupato, pensando non si sentisse bene. Alcesti accortasi del mutamento di espressione sul volto di Aiolos, si sforzò di sorridere, scacciando indietro lacrime minacciose di cadere, e rivelare così una sofferenza originatasi tanti anni prima e mai del tutto sopita.
"Alcesti" sussurrò Admeto per attirare l'attenzione della sposa che subito gli volse incontro il bel viso allarmato.
La donna scrollò il capo, sospirò ancora e si decise a parlare, velandosi il volto di un'apparenza forzatamente sollevata.
"Tuo figlio è convinto che darò alla luce un bambino, mio adorato sposo" finì la frase con voce tremula.
Ma resistette, confortata dalla mano dell'amato che andò a cercare e stringere la sua. Quel gesto, fin da quando si erano amati la prima volta, giovani al Santuario della dea dagli occhi lucenti, quella pressione leggera e ormai familiare, quel tepore intensamente conosciuto erano l'unica cosa che potesse darle conforto, quando i ricordi di un passato non troppo lontano prendevano il sopravvento sul presente. Admeto la rasserenava come nient’altro mondo, le bastava incontrare i suoi occhi, splendide pozze verdi dalla luce viva e sincera, e il destino che li avversava era sospinto un po' più in là, lontano da quella vita semplice e umana che avevano scelto per loro stessi e per il piccolo Aiolos.
E per il fanciullo che sarebbe venuto dopo di lui.
"Ehi, Admeto!"
Una voce riportò entrambi alla realtà. Un uomo, alto e robusto avanzava a grandi passi verso di loro. "Zio!" il piccolo Aiolos gli corse incontro, e l'uomo lo salutò calorosamente, abbracciandolo con una stretta vigorosa. Si trattava di Ioannis, l'uomo a capo del gruppo di pescatori di quel piccolo villaggio. Era un gigante di quasi due metri, massiccio come una montagna e forte come dieci uomini, ma dal cuore d'oro. Sul corpo aveva non poche cicatrici, di cui andava fiero come prova della sua lotta quotidiana con il mare. Il grande amico e il terribile nemico di tutti i pescatori.
Ioannis era il marito di Sofia, la levatrice del villaggio. I due erano stati i primi ad accogliere ed aiutare i giovani Admeto ed Alcesti, appena giunti dal Santuario. Senza fare domande, senza pretendere spiegazioni diedero ai due di che vivere, di che riposare. E Sofia, sebbene ancora alle prime armi, assisté Alcesti quando questa diede alla luce il piccolo Aiolos. Fra le due coppie s’instaurò subito un legame strettissimo, di fiducia e solidarietà. La casa dove Admeto abitava con la famiglia era quasi attaccata a quella dell'amico Ioannis, ed Aiolos cresciuto accanto ai figli di questi prese a chiamarlo zio, ed a nutrire per lui e per la sua compagna un autentico affetto di nipote.
"Alcesti, come stai? E' da molto che non ci vediamo".
Giunto accanto ai due giovani, Ioannis si sincerò della salute della donna, subito si era accorto che qualcosa la turbava, forse quel qualcosa che di tanto in tanto rattristava l'animo di Admeto, e che li faceva cadere entrambi in un silenzioso riflettere. Quel qualcosa che non avevano mai voluto confidare né a lui né alla moglie Sofia.
"E' vero, è da tanto che non ci vediamo, ma tua moglie mi ha ordinato di riposare il più possibile e lo sai che non è consigliabile disobbedirle!".
Sembrava aver ritrovato un po' di spirito, la giovane donna, mentre scherzava con il massiccio pescatore. Ioannis si portò una mano al capo, grattandosi dietro alla nuca e ridacchiando "E' vero, è meglio non contraddirla mai!" e tutti e tre risero.
Approfittando della distrazione degli adulti, il piccolo Aiolos si era chinato sul telo a raccogliere ad una ad una le conchiglie, raccolte nell’attesa dell’arrivo di Admeto. Servivano per confezionare il regalo per il compleanno, imminente, del padre. Alcesti era particolarmente brava nei lavori manuali, spesso cuciva su misura vestiti per le donne del villaggio e a volte si cimentava con la creazione di piccole collane e bracciali fatti con materiali poveri ma che nel complesso finale dell'opera risultavano armoniosamente graziosi.
"Admeto, tu va pure a casa con Alcesti e il piccolo Aiolos. Mi occuperò io del resto, qui."
"Ma Ioannis, bisogna andare a smistare il pesce e sistemare le barche..."
"Tranquillo, mi farò aiutare dagli altri!" disse mentre si piegava sulle ginocchia per portarsi all'altezza del bambino ancora intento nel suo lavoretto, ma anche così facendo la possente figura che gli era propria sovrastava il piccolo di parecchi centimetri.
"Fatti portare a pesca da tuo padre, Aiolos! Ci manchi tanto sulla barca!" disse mentre gli scompigliava i riccioli con la sua mano grande.
Il piccolo rintanò la testa nelle spalle, divertito della maldestra affettuosità del gigante. "Papà ha promesso di portarmi, quando il mio fratellino sarà nato!"
Ioannis non si chiese del perché Aiolos fosse tanto convinto dell’imminente nascita di un maschietto, semplicemente annuì ripetendo più volte "Bravo, bravo! Allora ti aspettiamo presto!" per poi rialzarsi.
Ioannis salutò la giovane coppia, e si diresse verso le barche, dove gli altri uomini al suo comando stavano sistemando il carico, abbondante, della giornata. Aiolos porse le conchiglie alla madre, e si chinò a raccogliere anche il telo. Alcesti ed Admeto si guardarono, scambiandosi un cenno silenzioso. Era ormai un’abitudine quel fare del piccolo, anche in casa non lasciava che la madre facesse troppi sforzi e l’aiutava in tutto, persino a preparare i pasti.
Una volta terminato il lavoretto, Aiolos si voltò verso i genitori. Li fissò dal basso per alcuni istanti, stringendo al petto il telo raccolto. Poi allargò le labbra in un sorriso luminoso e contagioso. Fece pochi passi in avanti mettendosi di fianco al padre e prendendogli la mano invitava entrambi a tornare a casa. Admeto porse il braccio alla sposa ed ella vi si appigliò volentieri. Tutti e tre presero a camminare, avanzando a piccoli passi vero il bosco che li divideva dalla loro casa.
Poco al di là del boschetto di pini, si stendeva il villaggio sparuto. Le poche case sistemate quasi in cerchio attorno alla piazzetta perennemente assolata, dove si trovava un vecchio pozzo dal quale le donne raccoglievano l'acqua; la vecchia chiesa dal campanile malconcio con la grande campana di bronzo pesante che mandava, a intervalli regolari, i suoi rintocchi imperiosi a scandire la vita pacifica di quella povera gente. Appena usciti dalla fila di pini maestosi, qualche alberello di ulivo dalle belle foglie argentate delimitava il confine fra il bosco e la periferia del villaggio. Era lì che si trovava la casa di Admeto e Alcesti.
Era una piccola abitazione in pietra, ricavata da una vecchia capanna dove Ioannis era solito tenere gli attrezzi, usati per riparare le barche, qualche gallina e gli strumenti utili per la cura dell'orticello tanto caro alla moglie Sofia. All'arrivo dei due giovani, Ioannis non ebbe esitazioni e liberò l’abituro, sistemando la sua roba altrove, e con l'aiuto di Admeto si diede da fare per renderla abitabile, il più confortevole possibile. Admeto e Alcesti non riuscivano ancora a contenere la loro gratitudine verso quella generosità autentica e tanto umana, fondamentale per loro in un momento di forte bisogno. E mentre Admeto prese ad aiutare Ioannis in mare, apprendendo da lui tutto ciò che c'era da sapere sull'arte della pesca, Alcesti aiutava Sofia impegnata come levatrice anche nei villaggi vicini, accudendo in sua assenza la sua casa e i tre bambini della coppia. Quando la loro abitazione fu pronta, i due vi si stabilirono, e pochi mesi dopo lì nacque il piccolo Aiolos.
Al bambino quella casa piaceva tanto, diceva che era la più bella e la più sicura di tutta la Grecia, giacché a costruirla erano stati il padre e lo zio. In realtà era un'abitazione assai modesta ma gradevole, con due sole stanze dall'arredamento alquanto scarno. Vi erano, poi, una piccola cucina a legna, un tavolo, delle cassapanche dove erano sistemati vestiti ed altri oggetti, e due grandi finestre. Una nella cucina dava sul bosco, l'altra era nella stanza dove i tre dormivano.
Nonostante il bosco vicino, la casa di giorno non mancava mai di luce, il sole sembrava quasi cercarla. Alcesti poteva così sedere accanto alla finestra, scostare le tendine bianche e mettersi a cucire. Quella piccola occupazione non portava chissà quale guadagno, ma permetteva ad ogni modo di non far mancare nulla alla sua famiglia. Durante gli ultimi mesi di gravidanza, però, la giovane si limitava, su ordine perentorio di Sofia, a fare giusto qualche ricamo o rattoppo.
Una volta giunti a casa, Aiolos aiutò la madre a preparare la cena, mentre Admeto si ripuliva dalla fatica di quella dura giornata passata in mare. Dopo cena furono Admeto ed Aiolos a riassettare la cucina, permettendo così alla donna di riposare. Alcesti osservava con orgoglio il figlioletto indaffarato accanto al padre. Quando erano soli, era Aiolos ad occuparsi di tutto in casa: al mattino si alzava di buon’ora e rifaceva i letti, spazzava le stanze, andava a prendere l'acqua al pozzo ed al ritorno aiutava la madre a preparare i pasti. Se si accorgeva che la donna aveva fatto sforzi eccessivi, come uscire a prendere la legna per la cucina, le si parava davanti poggiando le manine sui fianchi, aggrottava la fronte e imbronciava il musetto rimproverandola con il piglio più risentito che gli riusciva di assumere. La madre allora non poteva fare altro che tornare a sedersi accanto alla finestra, accorta a non mostrargli il suo divertito compiacimento.
Anche ora Alcesti non poteva fare a meno di reputarsi una donna fortunata, nonostante tutto. Quando i due ebbero finito di rimettere in ordine, il padre chiese ad Aiolos di prepararsi per andare a letto. Il piccolo ubbidì, corse via a lavarsi i denti ed infilarsi la tunica di lino che usava per dormire. Mentre Alcesti sedeva alla finestra, intenta a terminare gli ultimi rattoppi, Admeto aprì una cassapanca e ne estrasse un grosso libro. Tornato, Aiolos si diresse verso la madre prendendo dal tavolo la lampada a olio che illuminava la stanza per porla sul davanzale accanto alla donna, cosicché ella non stancasse i begli occhi azzurri.
"Buona notte, mamma" disse il piccolo alzandosi sulle punte per baciare la giovane donna sulle guance.
"Buona notte, fratellino" ripeté poi circondando, anche se non del tutto, il grembo caldo con le braccia corte.
"Buona notte, figliolo" lo salutò la madre, non trattenendo la sua commozione.
Admeto attendeva il figlio sulla soglia della porta della stanza da letto, in una mano il libro corposo e nell'altra un piccolo lume a candela. Quando furono nella loro stanza, Aiolos saltò sul lettino sistemato pochi metri vicino a quello grande dei genitori. Si distese sull'addome, sprofondando col capo nel grande cuscino morbido. Il padre prese l'unica sedia che c'era e si mise accanto al letto del figlio, disponendo il lumicino su di un piccolo sgabello di legno posto anch'esso accanto al letto del piccolo. Per quanto stanco, Admeto non mancava mai di accompagnare il sonno del figlioletto con la lettura di un qualche mito antico, ed Aiolos amava addormentarsi al suono della voce calda e rassicurante del padre.
Il libro che aveva in mano e che iniziò a leggere era l'Odissea. A dire il vero, il prode Odisseo più volte era approdato sulle rive della sua amata, pietrosa, Itaca ma Aiolos incurante delle fatiche e dei pericoli corsi dell'eroe per giungere a casa, ogni volta chiedeva al padre di ricominciare il racconto da capo. Ed il povero, astuto Odisseo si vedeva costretto di nuovo ad intraprendere il suo eterno viaggio.
C'era un episodio che più degli altri entusiasmava il piccolo, e fino a che il padre non vi giungeva gli occhioni verdi di Aiolos rimanevano spalancati, le orecchie ben tese all’ascolto:
E arrivammo all'isola di Aiolia: vi abitava
Aiolos Ippotade caro agli dei immortali, su
un'isola galleggiante; un muro di bronzo infrangibile
la cinge tutta, s'eleva liscia la roccia.
Admeto assorto nella lettura non si accorse subito che il figlio ridacchiava, tenendo stretto fra le braccia il cuscino che ne ovattava la voce. Il piccolo Aiolos ripeteva, scandendolo, quel nome "A- i- o- l- i- a, A- i- o- l- i- a, A- i- o- l- i- a". Come fosse, quella, una parola magica, una formula da pronunciare per propiziarsi gli dèi.
Il giovane uomo distolse per un attimo lo sguardo dal libro e vide il figlio sorridere, il viso quasi del tutto nascosto dal cuscino. Pensav
a che Aiolos trovasse buffo il fatto di portare lo stesso nome di un dio, nome che i genitori avevano scelto per rendere omaggio al divino signore di tutti i venti, padrone dell'isola Αιολία, dalla quale lo stesso Admeto proveniva. L'uomo non fece in tempo né a chiedere al figlio cosa lo divertisse tanto, né tanto meno poté continuare con la narrazione delle avventure di Odisseo e dei suoi compagni. Il piccolo Aiolos si era addormentato, le labbra ancora semichiuse e sorridenti, il volto disteso e sereno. Admeto richiuse il libro, si alzò e si chinò sul figlio baciandogli la fronte "Sogni d'oro, piccolo Aiolos" sussurrò.Dopodiché prese il lume e si apprestò a raggiungere l'amata sposa.