Capitolo 6: Lo spettacolo del Musico Oscuro
Sorseggiare in tranquillità un buon thé nel primo pomeriggio era, probabilmente, una tradizione più inglese che francese, ma, non per questo, Remais di Cancer si sarebbe vietato un simile e sottile piacere nella sua giornata tipica, per quanto, quel giorno, ed i precedenti, non avessero niente di tipico.
Prima aveva avvertito un esplodere di battaglie in luoghi lontani, lì dove probabilmente stava combattendo anche la sua giovane allieva, Gwen di Corvus, poi, quando ormai gli scontri sembravano aver raggiunto il loro apice, quietandosi al fine, altre battaglie s’erano svelate alla sua mente, quelle in atto presso terre ancora più distanti, di cui prima non s’era curato, ma dove aveva diretto la propria attenzione non appena anche il discepolo più anziano, che aveva cresciuto come un figlio, era entrato nel campo di battaglia, Gustave della Lyra.
Il cavaliere d’oro, ironicamente, non sapeva per chi dei due preoccuparsi di più, se per la piccola Gwen, che fin da fanciulla aveva avuto dei seri problemi a relazionarsi con il prossimo, forse a causa dell’incidente che l’aveva resa orfana, problemi che, durante gli anni di addestramento, erano andati inspiegabilmente aggravandosi, specie nei confronti del suo compagno di allenamenti, o se per Gustave stesso, che era di certo un abile cavaliere, nonché un ottimo musico, ma, altresì, era così sicuro di se da rischiare spesso di peccare di superbia.
E la superbia era, in effetti, il peccato di cui Remais temeva d’essersi macchiato egli stessi, dopo aver avvertito i primi cosmi di giovani santi d’argento spegnersi, riflettendo su come anche Ascanus, poiché ne aveva riconosciuto l’energia cosmica, fosse sceso in campo, per ordine del Sommo Sacerdote, lasciando così un numero minore di custodi dorati a difesa del Santuario: se il pericolo era effettivamente così grande, forse anche la Quarta Casa avrebbe dovuto riavere il suo custode a difenderla in quelle ore.
Ed il pericolo era in effetti grande: i cosmi dei guerrieri imprigionati sull’Isola della Regina Nera erano ora liberi e si stavano scatenando in ogni direzione, anche verso la sua dimora.
Quel pensiero, comunque, nella mente del custode dorato fu interrotto da qualcosa di molto più immanente: un’esplosione d’energia cosmica, sul fianco opposto del suo castello, un’esplosione che distrusse per intero quel lato del maniero, scuotendolo fino alle fondamenta; un’esplosione per cui qualcuno lo avrebbe dovuto ripagare.
Una figura camminava in mezzo alle rovine ancora fumanti, mentre una seconda, più in alto, era immobile, intenta ad osservare la distruzione provocata.
"Mi arrischierei quasi a pensare che il cavaliere di Atena sia fuggito.", ipotizzò il giovane che camminava fra le macerie, voltandosi verso la figura che lo sovrastava, il cui volto era celato da una maschera amorfa, "Non credo, però, che sia questo il caso: mi aspetterei di più dal guerriero dorato che qui risiede.", commentò poco dopo, camminando fra le macerie, ergendosi nelle nere vestigia che lo distinguevano, pizzicando leggermente l’arpa oscura che teneva fra le mani, quel misterioso giovane con l’armatura della Lyra Nera; la figura dalla maschera amorfa non si preoccupò minimamente d’interrompere il proprio mutismo per dare un’opinione, quasi non gli interessasse quanto stava dicendo l’altro.
"Devo dire, comunque, che sono impressionato dalla forza di voi guerrieri d’oro nero, Gemini Oscuro: sono cresciuto in questo palazzo, per un breve periodo, e mai avrei creduto che fosse sufficiente così poco per ridurlo in questo modo.", si complimentò il guerriero della Lira Oscura.
Stava per aggiungere altro, l’Ombra, le parole, però, gli morirono in bocca all’uomo, quando alcuni macigni iniziarono a brillare di una luce dorata, sollevandosi da terra e volando contro di lui, che fu costretto a scartare lateralmente per evitare l’impatto diretto con gli stessi.
I sassi sembrarono decisi nell’inseguire quel singolo avversario, che, per tutta risposta, iniziò a picchiettare le corde del proprio strumento musica, producendo un leggero e momentaneo fascio di luce, che deflagrò all’instante in una possente esplosione, distruggendo i vari sassi e permettendogli di fermarsi e guardarsi intorno.
"I vostri modi, per nulla educati, mi fan sospettare che voi, Ombre malefiche, non siate qui in Francia per la cucina, o per una cordiale visita alla mia persona, bensì per più bellici motivi.", esordì a quel punto una voce, prima che, in un bagliore di luce dorata, una sagoma apparisse dal nulla davanti all’oscuro duo, la sagoma di Remais, che già indossava le vestigia del Cancro di cui era custode.
"Sarete così gentili da dirmi i vostri nomi, prima che mandi le vostre anime nell’Ade, oppure dovrò semplicemente liberarmi di sì fatti sconosciuti scocciatori?", domandò beffardo il santo di Atena, espandendo il proprio cosmo e sollevando l’indice destro.
"Maestro, voi mi ferite! Non ricordate forse il vostro primo discepolo?", chiese subito il musico oscuro, lasciando sbalordito il cavaliere d’oro, che abbassò la mano rivolgendo con più attenzione lo sguardo al nemico che s’era trovato dinanzi e, con suo estremo stupore, lo riconobbe, al di là dei capelli incredibilmente corti e biondi, nei profondi occhi grigi e beffardi, nel viso duro e spigoloso, seppur con delle vestigia nere che mai avrebbe pensato di vedergli indossare.
"Faust?", domandò sbalordito Remais, "Esatto, cavaliere di Cancer, più correttamente, Faust della Lyra Oscura e, l’uomo che così facilmente ha abbattuto parte della vostra casa è Giano dei Gemelli Neri, vostro pari, seppur d’altro segno, come grado.", si presentò il beffardo musico malefico.
L’altra figura, in effetti, sorprese ulteriormente Remais: erano passati anni dal suo addestramento, ma ancora ricordava il maestro che lui, Ascanus e Megatos avevano condiviso, Sartaq di Gemini e proprio ai Gemelli le vestigia d’oro nero dell’uomo mascherato assomigliavano incredibilmente.
"Bando alle ciance, mio vecchio maestro, perché non iniziamo la battaglia?", domandò, richiamandolo al presente, il giovane di nome Faust, "Permettetemi di cominciare le danze con una piccola ouverture in vostro onore, un esempio di come le lezioni che ho ricevuto in passato da voi, non siano, in effetti, andate perdute!", esclamò divertito il nero nemico, iniziando a suonare la propria arpa.
"Zerstörung der Flamme!", invocò l’oscuro avversario, espandendo la musica dal proprio strumento.
Grande fu lo stupore nello sguardo di Remais, ancora più di quanto non lo fosse stato in precedenza, quando, al suono di quella tetra melodia, diverse piccole fiamme si manifestarono sul campo di battaglia, "Tu non puoi, non è possibile!", esclamò il santo di Atena, "Al contrario, ho avuto il migliore dei maestri è più che possibile: è un dato di fatto!", ribatté divertito Faust, "Ed ora, esplodete, fuochi fatui!", ordinò infine il nero guerriero.
"Vague des esprits guerriers!", esclamò il cavaliere di Cancer, liberando la potenza del proprio attacco: una serie di piccole fiamme, del tutto simili a quelle del musico oscuro, che, al contatto con le altre, esplosero, inghiottendo la potenza deflagrante da quelle avverse.
Quando il fumo fu diradato, i due combattenti erano ancora in piedi, illesi entrambi; "Perché, Faust? Perché adesso, perché questa follia?", domandò a quel punto il santo di Atena.
"Perché mi chiedete? Eppure, se la memoria non m’inganna, e non lo fa mai, siete stato voi a spedirmi in quella maledetta isola prigione! Il mio maestro mi ha prima scacciato e poi imprigionato! Vi sorprende forse che sia tornato con un’armatura oscura? Mi credevate troppo debole? O forse volevate che indossassi le vestigia del Cancro Oscuro? Poiché le vostre mi avete negato, scacciandomi!", ruggì indispettito il musico.
"Non è stato facile scacciarti, Faust.", sibilò triste il francese, "Lo avete fatto, non di meno!", lo accusò l’altro, "Avevi ucciso quattro persone!", sbottò Remais, "Un piccolo prezzo, quello e tutte le altre anime che da allora ho collezionato, non erano niente di più!", ribatté superbo Faust, "Erano persone! Vite degne d’essere vissute!", lo apostrofò il santo d’oro, "Che cos’è una piccola vita dinanzi alla grandezza del potere che possediamo noi, capaci di controllare le anime?", replicò ancora la Lira Oscura.
Quelle parole lasciarono per alcuni attimi in silenzio il Custode della Quarta Casa, che poi chinò leggermente il capo, prima di rispondere: "Un vero peccato scoprire che tutti questi anni non ti abbiano dato la capacità di comprendere."
"No, voi non comprendete, ma vi farò comprendere io.", tagliò corto Faust, ricominciando la propria melodia, prima che un nuovo cosmo si facesse strada sul campo di battaglia.
"Non osare avvicinarti al mio grande maestro, insulsa ombra nera?", esclamò a quel punto una voce, mentre una nuova figura si palesava fra i presenti, la stessa che quel cosmo aveva introdotto, per quanto stremato: la figura di Gustave della Lyra, dalle vestigia chiaramente danneggiate.
"Il tuo maestro? Costui?", domandò il musico oscuro, voltandosi, per studiare il volto del giovane che aveva davanti, "Sei tu, piccolo Gustave?", chiese il nero nemico con un mezzo sorriso.
"Gustave", esclamò nel frattempo Remais, vedendo il discepolo, ferito e lacero, giungere nel luogo in cui per anni s’era addestrato, un luogo adesso non ridotto molto meglio di lui stesso.
"Quale bella ed inattesa riunione!", esclamava nel frattempo Faust, volgendo lo sguardo fra uno e l’altro, "Non trova anche lei, maestro Remais?", chiese ancora beffardo.
"Maestro?", ripeté perplesso il santo d’argento, rivolgendo l’attenzione al proprio insegnante e poi osservando il nemico che c’era lì con loro, "Chi è costui che vi chiama come solo io e Gwen possiamo fare?", domandò ancora il musico consacrato ad Atena.
"Non ti ricordi? Sono Faust, ora Faust della Lyra Oscura, il primo allievo di Cancer, che egli scacciò! Eri già con noi ai tempi, davvero non hai memoria di come mi girassi intorno?", chiese, con un pizzico di sospetto il nero nemico, ricevendo, però, solo uno sguardo carico di disprezzo, uno sguardo brillante d’odio, da parte del santo d’argento.
"Menzogna! Io, Gustave della Lyra, sono stato il primo discepolo del grande Remais! Poi è giunta quella povera sciocca di Gwen, ma io fui il primo! E sempre tale sarò!", esclamò ruggendo il musico.
"La Lyra è l’armatura che indossi? Non l’avrei mai detto dai pochi frammenti che ancora ti rivestono, tanto male sei ridotto!", rise Faust di rimando, "Ma se ti dicessi che tu sei invece il terzo dei suoi allievi? Che prima di te ci fu una ragazzina, aspirante alle vestigia del Pittore e, soprattutto, che il primo dei discepoli del Cancro fui io, Faust?", domandò baldanzoso l’altro, "Sembra che tu non ricordi, ma permettimi di darti una dimostrazione dei miei poteri!", suggerì, iniziando a suonare il proprio strumento musicale.
"Zerstörung der Flamme!", invocò il musicista negromante, mentre decine e decine di fuochi fatui si generavano tutti attorno a lui, "Non è possibile…", ebbe appena il tempo di balbettare il santo della Lyra, prima che quel gregge di Spiriti si lanciasse su di lui.
"Seikishiki MeikaHa!", urlò all’improvviso il santo di Cancer, intromettendosi fra il musico francese e la carica che stava per raggiungerlo, richiamando a se tutte quelle anime e lasciando che si dissipassero nel nulla; prima di raggiungere ed affiancare il proprio discepolo.
"Maestro, così ci rovinate tutto il divertimento!", lamentò Faust, osservando il musico con un pizzico di divertimento, "Non ti è comunque sfuggita la somiglianza, vero, piccolo Gustave? Forse se ti sforzi riuscirai a richiamarmi nella tua memoria! Dai, non rovinare così questa rimpatriata!", lo spronò l’oscuro musicante, volgendosi poi verso il cavaliere d’oro: "Nemmeno voi, maestro, però, dovreste continuare a rovinare il nostro divertimento! Siamo i suoi due allievi e, in fondo, dovrebbe essere lei stesso curioso di vedere chi è il migliore fra noi! Anche se la risposta è piuttosto ovvia.", suggerì con noncuranza nei confronti di Gustave.
"Adesso basta, Ombra maledetta! Non so come tu possa possedere i poteri che sono del grande Remais, mio insegnante, ma le tue menzogne hanno appestato troppo questo magnifico luogo che avete distrutto! Il cavaliere di Cancer ha due soli allievi: me e quel fallimento che è Gwen del Corvo!", lo ammonì con rabbia il santo della Lyra.
"Vero, l’orfanella inglese… non ci siamo mai propriamente presentati con lei, chissà che finito con voi non vada dire anche a lei la verità.", sghignazzò soddisfatto il nero cavaliere della Lyra.
"Tu, serpe cresciutami in seno! Adesso basta, devo correggere l’errore compiuto anni fa!", ruggì a quel punto il custode della Quarta Casa, sollevando l’indice al cielo, mentre l’espandersi del cosmo dorato bloccava l’Ombra nera, sbalordito da tanta potenza, "Se può consolarti, Faust, ciò che sto per fare provocherà più dolore a me, che non a te!", aggiunse, pronto a risucchiare l’anima di quello che si diceva il suo primo discepolo.
Non ebbe, però, il guerriero di Cancer, il tempo di pronunciare il nome del proprio attacco, che già una presenza cosmica dalla vastità incredibile invase l’area, una presenza così opprimente e, quasi, atavica, che raggelò tutti e tre i guerrieri, bloccando sul nascere l’azione del custode dorato, che, improvvisamente, si trovò sollevato da terra, costretto con le braccia ai fianchi prima di essere schiantato contro una parete ancora parzialmente integra, distruggendola.
Non ci fu tempo per Gustave nemmeno di avvicinarsi in soccorso del proprio insegnante che già quello veniva risollevato, da una forza misteriosa, e lasciato a galleggiare a mezz’aria, incapace del minimo movimento dal collo in giù.
"Una tale capacità psichica… ma chi?", balbettò appena Remais, prima che la voce di Faust gli chiarisse tutto: "Grazie mille, Gemini Oscuro.", esordì e, solo in quel momento, il custode dorato capì che quel cosmo così immenso che sembrava invadere l’intera Francia, proveniva da quella silenziosa figura mascherata.
"Tieni fermo il mio caro ed affettuoso insegnante, Giano, io, nel frattempo, concluderò questa riunione fra musicisti.", propose l’oscura Lyra, iniziando la propria melodia; "Preparati, piccolo Gustave, eccoti la melodia di poco prima, tutta per te, finalmente!", lo ammonì, scatenando lo Zerstörung der Flamme.
Il santo di Atena fu però ben pronto stavolta, iniziando la propria melodia vivace, una melodia che sollevò prontamente una difesa attorno a lui, "Reticulum Vif!", cantò con voce decisa, mentre i primi fuochi fatui andavano esplodendo su quella barriera energetica, incrinandola leggermente, subito seguiti da altri che la distrussero, investendo con violenza il musico, che volò al suolo, sanguinante.
"Male, male, piccolo Gustave!", lo accusò allora Faust, avvicinandosi leggermente e guardando al ragazzo che aveva appena lasciato al suolo, "Ti avrei detto un guerriero più capace, considerato quello che vidi in te quando iniziasti l’addestramento.", ricordò divertito.
"Che ne sai tu di me, maledetto bugiardo?", ringhiò a denti stretti il musico, "Che ne sai delle battaglie che ho dovuto affrontare in quel dannato tempio subacqueo, dall’altra parte del mondo? Che ne sai del mio addestramento?!!!", urlò rialzandosi in piedi.
"In vero, mio giovane amico, ne so molto, anzi, penso sia giunto il momento che ti racconti di quei giorni lontani, anzi, facciamo qualcosa di persino più divertente!", esordì, posando la lira sulla propria schiena, "Permettimi di offrirti una visione di quei giorni!", affermò, aprendo le mani dinanzi a se, "Melodie der Geisten Knechte!", invocò ed alcuni fuochi fatui presero forma dinanzi a lui, forme che andavano sempre più delineandosi sotto l’aspetto di una fanciulla, il cui volto richiamò qualcosa di confuso, un sentimento strano, in Gustave, mentre già la voce di Remais echeggiava nelle sue orecchie: "No, questo no, Faust… ti prego".
"Il nostro Maestro divenne cavaliere d’oro in giovane età, 16 anni se la memoria non m’inganna, sotto le direttive dell’allora custode della Terza Casa, Sartaq di Gemini.
Per due anni rimase al Santuario, forse per migliorarsi ancora di più, è sempre stato molto vago in questo senso, poi decise che fosse il tempo perché anche lui avesse degli allievi e così iniziò a cercare e trovò, nelle Fiandre, un giovane orfanello, unico sopravvissuto, di una piccola disputa territoriale che aveva portato alla morte della gente di un villaggio agricolo, poca cosa per le grandi potenze d’Europa e le famiglie reali di Olanda e Belgio.
Remais fu colpito da questo bambino, il piccolo Faust, me. Mi prese come suo primo discepolo ed iniziò a spiegarmi i segreti del cosmo.
Per un anno e mezzo fui il suo unico allievo, non mi disse mai per quale armatura mi stava addestrando, ma mi mostrò come dirigere il cosmo affinché si affacciasse verso il Varco dell’Ade, situato nella Nebulosa Presepe, a lui consacrata.
Poi accadde qualcosa di strano: ho ricordi confusi di quei giorni, ma ricordo che andammo in Grecia per il funerale di una sacerdotessa di Atena e, in quel luogo, il maestro scelse una ragazzina per concludere l’addestramento che la sua defunta insegnante non riuscì a concludere per lei, si chiamava Ygritte la ragazzina.
Quando tornammo qui, il mio addestramento cambiò: Remais non voleva più che apprendessi i segreti delle stelle di Cancer, ma puntava a mostrarvi i misteri delle Tredici Stelle di Pegaso! Capisci? Passare da futuro cavaliere d’oro ad un semplice cavaliere di bronzo!", sbottò, rivolgendo il proprio sguardo verso il custode della Quarta Casa che, però, evitò d’incrociarlo.
"Ygritte, intanto, si addestrava per diventare sacerdotessa del Pittore e per un altro anno andammo avanti così, poi, il maestro ebbe una visita: una qualche nobildonna del suo passato che gli chiese un semplice e quanto mai banale favore, prendersi cura del figlioletto più piccolo ed introverso, di nome Gustave… tu, mio giovane amico!", continuò lasciando sbigottito il musico d’argento.
A ben pensarci, per quanto si sforzasse, il cavaliere della Lyra non riusciva a ricordare in che modo era diventato allievo di Remais, non riusciva a ricordare il giorno in cui il maestro lo aveva preso con sé e, in generale, da sempre aveva solo frammenti di memorie dei primi due anni con il suo adorato insegnante.
"Il tempo passò, tu apprendevi dal maestro e pendevi completamente dalle mie labbra, oltre che, credo, avessi anche un’infantile infatuazione verso Ygritte, la quale, a sua volta, stava apprendendo come mutare il proprio cosmo attraverso le diverse gradazioni cromatiche, un potere davvero particolare, non si poteva negare.
Io, d’altro canto, continuavo ad addestrarmi, ma le mie innate abilità nel controllo delle anime dei morti erano tenute a bada perché apprendessi, piuttosto, ad affinarmi con le stelle di Pegaso.
Per quanto mi addestrassi, però, la mia naturale propensione mi rendeva tutto ciò spiacevole e sgradito e, un giorno, dopo l’ennesimo litigio con il tanto amato maestro, mi allontanai verso quei boschi.", ricordò indicando un punto nella radura circostante, "Tu e Ygritte mi raggiungeste. Litigai con la nostra cara compagna d’addestramenti, litigammo fino a scontrarci e, nella battaglia, le distrussi la maschera.
Ora, come penso tu sappia bene, una sacerdotessa che perde la maschera, ha due sole scelte e, così, forte delle mie capacità, usai i fuochi fatui per bloccarla e porla dinanzi a quella decisione: amarmi e servirmi, fino alla fine dei suoi giorni, oppure concludere quel giorno stesso la sua esistenza. E lei scelse la seconda.", continuò, affondando la mano sinistra nel fuoco fatuo dall’aspetto di ragazza, dinanzi agli occhi sbarrati di Gustave.
"Avevi quello stesso sguardo vuoto quel giorno, non riuscivi nemmeno a piangere.", ricordò impassibile Faust, "Il maestro, dal canto suo, pianse, pianse e si disperò per non aver potuto rispettare non so che promesse con non so chi, ma non poteva uccidermi, no, semplicemente mi scacciò.", aggiunse con una chiara nota di disprezzo nella voce.
"Per alcuni mesi vagai, arrivai fino in Inghilterra, in cerca di un antico ordine guerriero, di cui avevo sentito parlare, consacrato agli antichi culti celti: per quanto io sia un fiammingo, pensavo che mi avrebbero accettato, in fondo, le basi culturali sono le stesse.
Non trovai, però, mai nessuna vera traccia di questo culto, ciò che invece trovai, foste tu ed il maestro, nella casa di un misero artigiano, un falegname o qualcosa di simile, con la sua allegra famigliola.
E quella notte stessa, brucia quella casa usando i miei fuochi fatui. Una piccola rivincita sul maestro? Forse quello, forse fu semplicemente una follia momentanea, vedila come vuoi, ma fu lì che il nostro caro insegnante trovò la più recente delle discepole al suo seguito, la piccola orfanella inglese, Gwen, giusto?", domandò verso il musico di Atena e poi verso il custode dorato, ma nessuno dei due rispose, troppo sconvolto il primo e troppo furibondo il secondo.
"Quella volta, il maestro non fu altrettanto comprensivo, mi trovò, dopo aver portato via con se l’orfanella, e decise che lasciarmi libero era troppo rischioso, così mi portò di persona sull’Isola della Regina Nera, la prigione a cui sono condannati molti individui che hanno un grande controllo del cosmo, ma poco discernimento per usarlo… o almeno così dicono.
Sono rimasto su quel maledetto scoglio per sette anni, ma ne ho approfittato di tutto quel tempo: il mio controllo sulle anime dei morti è notevolmente migliorato, ho ottenuto un’armatura e, assieme all’Altare Oscuro veniamo chiamati i Due Negromanti.
Poi, quando improvvisamente i cavalieri d’oro nero al comando cambiarono, quando la combriccola di Giano iniziò a spadroneggiare, iniziammo ad organizzarci meglio tutti quanti, a strappar via le erbe deboli dal nostro piccolo orto.
Ci fu l’eccidio di Bronzo: tutti i piccoli prigionieri con vestigia di bronzo nero furono massacrati da noi d’argento, per tenerci in allenamento dicevano, così, alla fine, giusto oggi, siamo fuggiti e, quando ho sentito dell’attacco qui in Francia, ho deciso che un saluto all’uomo a cui devo così tanto, era dovuto.", concluse soddisfatto Faust, riprendendo fra le mani l’arpa e ricominciando una nuova melodia, mentre il fuoco fatuo con le forme di fanciulla veniva affiancato da altri due, con aspetti del tutto ignoti a Gustave e Remais.
Tre figure che sembravano pronte a combattere con il giovane cavaliere della Lira.
"Permettimi di presentarti, assieme all’apprendista sacerdotessa Ygritte, gli ormai defunti Jon del Reticolo Nero e Asha del Boote Oscuro, un tempo ombre ospiti dell’Isola prigione dove anch’io vivevo. Saranno loro a finirti.", spiegò deciso Faust, prima che la melodia della sua arpa animasse quelle tre figure, che si lanciarono all’unisono contro il santo d’argento.
Fiamme, dalla forma di piccoli ragni, corsero dalla figura maschile verso Gustave, mentre dal fianco opposto altre, che sembravano quasi delle pecore per costruzione, si mossero nella medesima direzione e, al centro fra le due inanimate marionette coperte di vestigia, si stagliava la ragazza il cui ricordo era confuso nella mente del cavaliere di Atena, la medesima ragazza le cui mani generarono un fiume dal colore azzurro dei fuochi fatui.
"Reticulum Vif!", urlò prontamente il santo della Lyra, cercando di contrastare le figure fatue e gli attacchi da essi prodotte, ma con scarsi risultati, data la violenza con cui l’unione dei tre colpi lo travolse, schiantandolo al suolo, malconcio.
"Hai tenuto stretta la tua lira, complimenti Gustave, ma anche così, cosa speri di fare? Gli attori del mio spettacolo possono crescere di numero e tu sei troppo stanco e troppo debole per essere per me, o loro, un ostacolo.", rise divertito l’oscuro musico, "Attori?", balbettò il francese in tutta risposta, "Esatto: attori. Il maestro sa mandare le anime nell’Ade, ma mi raccontò di un attacco, il cui ultimo utilizzatore era l’insegnante dell’attuale Sommo Sacerdote, qualcosa che permetteva di far confluire l’energia delle anime dall’oltretomba qui, per scatenarle in un impatto ben più devastante delle Fiamme Esplosive che sia Remais, sia io sappiamo usare.
Così, in questi sette anni, ho lavorato su quel concetto e creato le arti che mi hanno reso il Negromante della Lira Oscura! Richiamo in questo mondo le anime dei morti e le uso in battaglia con un memento della loro precedente forma e stile di lotta.
Sono i miei attori!", esclamò estasiato Faust, ricominciando il suono del proprio strumento, "Non preoccuparti, Gustave, ben presto anche tu ti unirai a loro.", concluse, riprendendo ad utilizzare il Melodie der Geisten Knechte.
"Sarai piuttosto tu a doverti piegare al mio potere, maledetta Ombra!", ringhiò il musico d’argento, iniziando la propria, di melodia, "Seereé Moderé!", decantò, sollevando decine e decine di fili energetici, in cui intrappolò le tre figure richiamate da Faust.
Il cosmo del cavaliere della Lira brillò intenso, mentre innalzava la propria melodia: "Forse veramente un tempo ci conoscevamo: non ho memoria di te, ma so cose che tu sembri disconoscere!", lo ammonì deciso.
"So che, che la tua storia sia vera o falsa, poco m’importa: Remais è il grande Maestro che mi ha cresciuto, è l’uomo a cui debbo tutto ciò che sono e non permetterò né a te, né a quel cavaliere d’oro sporco di toccarlo!
So che, alla fine, il potere delle anime che controlli non è poi così diverso da quello che controllo io: la musica prende forma attraverso il mio cosmo, la tua ti permette di concentrare il cosmo per domare i fuochi fatui… una banale ed orrenda imitazione dell’immane potere del grande Remais!
So, più di tutto, che tu mi chiami piccolo Gustave, ma il bambino che descrivi non era il degno allievo che ha adesso il mio grande Maestro! Non aveva ancora combattuto contro quella sciocca femmina dalle capacità empatiche d’Africa, contro il traditore polinesiano e poi contro il Sovrano d’Africa.
Mi hai sottovalutato dal primo momento ed ora sono stufo!", ruggì furente il musico d’argento, ricominciando la melodia andante, con cui stritolò sempre più le figure fatue, finché queste non scomparvero in una marea di scintille, lasciando una serie di piccoli incendi attorno al guerriero della Lira Oscura.
"Finito, piccolo Gustave? Complimenti, bel trucchetto, ma il tuo cosmo è decisamente troppo debole proprio per la missione in Polinesia che hai vissuto. Forse, se ci fossimo incontrati in un momento diverso, saremmo potuti essere amici, compagni d’addestramenti, o avere un combattimento più leale, ma, purtroppo per te, niente di tutto ciò avverrà. Il tuo tempo è concluso, cala il sipario!", incalzò deciso il fiammingo, iniziando una nuova melodia: "Explosion der Seelen!", invocò il guerriero nero.
I fuochi fatui attorno al musico oscuro iniziarono a scoppiettare, fino a diventare delle fiammate d’immane potenza che eruppero in altrettante violente esplosioni, travolgendo il santo d’argento, che volò diversi metri più lontano, schiantandosi e cozzando ripetutamente sul terreno prima di fermarsi, circondato dal suo stesso sangue, ma ancora intento a respirare.
"Sei testardo, mio piccolo Gustave, ma adesso sono stufo…", iniziò di nuovo il musico oscuro, prima che un cosmo dorato lo interrompesse, "Ho capito il mio errore, Faust, ora è tempo che tu subisca la sorte che meriti.", sentenziò la voce di Remais, adesso in piedi che avanzava verso i due custodi della Lyra.
"Maestro, come? Nessun saggio consiglio, o dura accusa? Niente da dire al suo primo allievo? Che sia io, o l’altro che si crede il primo?", domandò il musico nero agitando il capo, "Non c’è più tempo per le parole fra noi, Faust. Ho compiuto molti errori, il primo fu cercare qualcuno che prendesse il mio posto quando mi sono innamorato, per poi svilire ciò che volevo così tanto farti apprendere, non appena la mia amata morì.
E da allora molti altri errori si susseguirono, in ultimo cancellare la memoria di Gustave per ciò che vi riguardava, nella speranza che non rimanesse traumatizzato da ciò che era successo, ma ciò lo cambiò, lo rese, in qualche modo, molto simile a com’eri tu un tempo.
Alla fine, il mio unico e più grande errore è stato il mio egoismo.
Ora, però, basta: tu e Gemini Oscuri sarete i primi a cadere nel mio percorso di penitenza, prima di lasciare che Atena decida la mia sorte.", sentenziò deciso il cavaliere d’oro, sollevando l’indice al cielo.
"Che la Bocca dell’Ade vi accolga!", minacciò deciso, "Seikishiki MeikaHa!", invocò, infine, il santo di Cancer, rilasciando l’energia cosmica dall’indice, un’energia che parve aprire quasi un abisso oscuro sopra il custode dorato, prima di dirigersi, sotto la forma di una vera e propria spirale di luce, contro i due avversari.
Faust non ebbe nemmeno il tempo di reagire che già sentì l’anima stritolata da un dolore che niente aveva di fisico, poiché non riguardava il corpo, ma che, comunque, sembrava, per quanto istantaneo, incredibilmente reale, si chiese se quella fosse la sensazione che tutti i suoi attori subivano.
Accadde però qualcosa, qualcosa che Remais non si sarebbe aspettato: un’unica, portentosa, ondata d’energia cosmica travolse gli Strati di Spirito!
Il colpo supremo del cavaliere della Quarta Casa, la tecnica che da sempre distingue i custodi della Bocca degli Inferi, fra tutti e dodici i santi guerrieri d’oro, fu interrotta, spezzata, permettendo all’anima della Lyra Oscura di smettere di soffrire, qualcosa che Remais avrebbe creduto possibile solo per mezzo dell’intervento di un dio, ma che era stato compiuto da un uomo: l’ombra del Terzo Custode, fino a poco prima immobile, ma che ora si stava avvicinando inarrestabile.
Ci furono alcuni brevi secondi di silenzio, poi Faust, il volto imperlato di sudore, balbettò poche parole: "Potente Giano, grazie!".
"No, il tempo dell’attesa è concluso ormai, questa battaglia non ha motivo di continuare oltre! Restare qui ad attendere non ci sarà di nessuna utilità!", affermò secco l’uomo chiamato Giano, "Abbiamo deciso di scendere in campo tutti quanti, quindi fatti da parte, Lyra Oscura: un potere più grande lo schiaccerà!", concluse secco, la maschera inespressiva che si stagliava verso il santo d’oro.
Non si perse però d’animo, il santo di Atena, bensì, non appena l’altro si fece avanti, liberò ancora una volta il cosmo che gli era proprio: "Seikishiki MeikaHa!", invocò, "Che gli Strati di Spirito, la mia arma più potente, decidano la mia sorte!", sentenziò infine.
Giano, allora, allargò le braccia, il cosmo che increspava le nere vestigia quasi non bastassero a contenerne il potere, un cosmo che s’espanse, un cosmo che, per la sua vastità, terrorizzò persino Remais, "Apritevi, Cancelli del Pantheon!", ordinò secco l’Homo, "Distruzione Celeste!", urlò subito dopo, scatenando un’ondata di potenza devastante, tale da annullare gli Strati di Spirito e polverizzare il terreno che divideva i due combattenti.
Fu solo allora che Remais capì quale baratro li dividesse: quanto lui fosse più debole, una goccia nell’Oceano che era quel misterioso nemico mascherato e, in cuor suo, si augurò che Gustave e Gwen non dovessero fronteggiare un tale potere, un potere che riuscì a danneggiare le vestigia di Cancer, uccidendone il padrone, mentre il suo ultimo pensiero andava ai due discepoli, uno lì, al suolo, l’altra lontana.
Poi fu di nuovo il silenzio.
Homines 3: Giano
Vasto e freddo era il deserto in quella parte di mondo quella notte, di diciotto anni prima; una figura li attendeva in silenzio, ripensando a cosa l’avesse portata a quella situazione, a quello stato di esiliato.
L’odio che covava nel cuore per i fautori delle sue disgrazie, due uomini che si definivano Re e che non avevano accettato di vederlo come loro pari, ma piuttosto lo avevano scacciato quando aveva reclamato il ruolo che meritava; lo stesso odio che lo teneva sveglio la notte e che gli aveva permesso di sopportare i quasi cinque anni passati a vagare senza meta nel deserto, finché non aveva trovato quel luogo.
L’odio che vedevano nei suoi occhi quando lo raggiunsero.
Sorrise la figura solitaria, in fondo era stata una fortunata coincidenza individuare quelle rovine, quello strano palazzo, quella torre semidistrutta in mezzo al deserto, nell’antico territorio mesopotamico, anche se non era pienamente sicuro di trovarsi ancora nelle terre di Babilonia, o degli Accadici.
Quando aveva scoperto quelle rovine, aveva semplicemente pensato che sarebbero state ottime per riposarsi e ripararsi la notte, mai avrebbe sperato, nei suoi sogni più segreti, di riuscire ad intravedere la luce della vendetta alla fine del suo esilio, eppure era ciò che i due strani individui incontrati nell’oasi a due giorni di viaggio dalla torre gli avevano proposto, se gli avesse indicato come raggiungerla.
I pensieri dell’uomo s’interruppero quando sentì le loro voci, di quelli che lui definiva i suoi futuri benefattori avvicinarsi, quando ormai avevano finito di ispezionare quel luogo.
"Non lo avremmo trovato cercandolo, la Divinità è stata ben attenta nel celare agli uomini questo luogo.", furono le prime parole che riempirono l’aria, parole che provenivano dalla maschera che celava il volto di Giano.
"Solo il caso avrebbe potuto portare qualcuno ad individuare questo posto, o una ricerca scrupolosa lungo l’intero Medio Oriente.", confermò il Primo dei Compagni, il primo che s’era unito agli Homines prima che loro, rischiarati dai raggi della luna, si fermassero dinanzi all’Esiliato, "Per fortuna, noi abbiamo trovato te, Tiamat di Accad!", aggiunse Giano.
E l’accadico li guardò ancora una volta, vedendo il Primo compagno, un uomo che era per lui evidentemente un guerriero asiatico, come i suoi lineamenti orientali lasciavano intendere, mentre gli occhi, dorati e quasi simili a quelli di un falco predatore, lo scrutavano in silenzio, con evidente soddisfazione.
E poi lo sguardo si fermò su colui che conosceva come Giano, quello che aveva parlato per primo ed ultimo, era impossibile da vedere in volto, indossava una maschera, priva di alcun tipo di lineamento, una superficie bianca e vuota, che incuteva anche una certa ansia nell’esiliato che non aveva temuto di confrontarsi con i due sovrani degli Ummanu, né era stato preso dalla disperazione nel trovarsi da solo in mezzo al deserto, eppure, quando davanti a quella maschera così vuota, provava soggezione.
"Vi ho dato ciò che volevate, vi ho condotto alla torre che uso come rifugio. Ora fate onore alla vostra parte di accordo: datemi la forza di cui necessito per abbattere gli Anunnaki e gli Annumaki!", esclamò deciso Tiamat, distogliendo al qual tempo lo sguardo dalla maschera vuota.
"Ti daremo ciò di cui necessiti, uomo di Accad! Avrai un esercito che potrai guidare in guerra, per averci condotto alla Torre perduta di Babele!", affermò proprio l’uomo mascherato, prima che fosse il suo compagno a continuare: "Se però vorrai la certezza di avere un potere sufficiente per vincere i tuoi nemici, allora dovrai prometterci fedeltà, oltre che, per noi, farai altro, avuta la tua vendetta.", affermò ancora.
L’accadico guardò per qualche istante l’uomo dagli occhi dorati, poi lasciò esplodere il proprio nero cosmo con una furia inattesa, rivelando quelle che sembravano le possenti fauci di un coccodrillo, con cui caricò i due che gli erano dinanzi: "Voi mi darete il potere subito! Non sarò al vostro servizio! Io sono Re Tiamat!", tuonò.
L’attacco, però, così come le urla, si perse nel vuoto, poiché bastò un semplice gesto del Primo compagno per annullarne la potenza, lasciando l’Esiliato immobile, sbalordito dalla semplicità con cui quello aveva avuto di lui ragione.
"Non vogliamo ingannarti, uomo di Accad. Ti concederemo il potere ed un esercito, con il primo potrai soggiogare il secondo e schiacciare poi i tuoi nemici, ma vogliamo anche che, il giorno in cui tornerai vincitore, tu ricorderai chi ti ha offerto amicizia ed alleanza e per noi troverai un altro luogo, nelle profondità dell’Africa: una grotta, che fa parte del mito.", affermò, pacatamente, il mascherato, porgendo a Tiamat la propria mano.
L’altro rimase in silenzio, a guardare quella mano che gli veniva offerta, intimorito ed allo stesso tempo avido di un potere che gli desse modo di vendicarsi; alla fine fu quel secondo sentimento a vincere, portandolo a stringere l’alleanza con l’individuo mascherato.
Tiamat, una volta stretta la mano dell’altro, avvertì in se stesso un vasto cosmo, un cosmo che parve invaderlo, per poi mutarsi e diventare parte di lui, un cosmo che lo fece sentire una divinità quasi, per quanto gli sembrava vasto!
I tre sancirono la loro alleanza con un giuramento all’interno della Torre, prima che l’asiatico rivelasse all’accadico dove avrebbe potuto trovare un esercito privo di una vera guida, l’Esercito Nero d’Africa.
"Ci sono possibilità che riesca, Giano?", domandò, rimasti soli, l’asiatico al mascherato, "Poco importa, Temujin. Il potere che gli abbiamo concesso gli permetterà di sottomettere l’Esercito Nero, poi se con quello riesca o meno ad ottenere la propria vittoria sugli Ummanu non ha rilevanza, per noi.
Se lui cadrà, troveremo altri modi per raggiungere il nostro fine: usare l’Armata d’Africa per individuare il Pozzo di Ga-Gorib, se davvero esiste.", replicò l’altro.
"Esatto, per ora abbiamo ottenuto ciò che ci serviva: minare l’equilibrio delle forze in questa parte del mondo.
Per di più, eliminando l’idealista viceré d’Africa, potremo avere più facile presa su chiunque guiderà i rimasugli di quelle schiere.", concordò l’altro, prima che entrambi ricominciassero lo studio di quella Torre, il primo tassello del loro piano.
Un piano che dopo diciotto anni avrebbe visto la propria esecuzione.
Diciotto anni in cui loro erano aumentati, avevano trovato dei seguaci, che avevano avuto a loro volta altri seguaci al proprio seguito e che gli avevano permesso di prendere il potere di molte e molte divinità.
Avevano trovato il Pozzo di Ga-Gorib ed ora, a breve avrebbero avuto le vestigia con cui dominare il mondo, scacciando del tutto gli dei di ogni culto, proprio grazie al luogo che avevano trovato anni prima per mezzo di Tiamat.
Finché tutto non fosse stato pronto, però, loro erano lì, in mezzo ai guerrieri fuggiti dall’Isola della Regina Nera.
Questi i pensieri che avvolgevano la mente il cui volto era celato dalla maschera inespressiva, questi i pensieri che Faust della Lyra Oscura non poteva nemmeno immaginare, mentre il corpo senza vita del custode dorato, Remais di Cancer, era ormai cenere ai suoi piedi.
Rise il fiammingo, mentre le da quelle ceneri una serie di piccole fiammelle andavano a riunirsi nel palmo della sua mano, "Bentrovato, maestro, ora mi farai compagnia nei miei prossimi viaggi.", sussurrò il nero guerriero, volgendosi verso Gustave, "E presto, anche tu, piccolo amico.", rise divertito, prima che ancora una volta l’atona voce dietro la maschera parlasse: "Il musico puoi lasciarlo vivere, non è una minaccia per noi. Che racconti il potere che dovranno affrontare i seguaci delle divinità, se continueranno a contrastarci.", ordinò la voce impassibile, allontanandosi subito dopo, ben presto seguito dall’oscuro cavaliere d’argento.
Quelli gli ordini di Giano dei Gemelli Oscuri.
Giano, il nome con cui era conosciuto chi aveva dato inizio agli Homines.