Capitolo 39: Il Melograno Infernale
Le tre sacerdotesse guerriero corsero tutte verso la loro compagnia d’arme: Iulia dell’Altare era al suolo, filamenti di scura vegetazione crescevano, strappandole soffocate grida, mentre divoravano le sue carni, rendendole il corpo un gigantesco e nero fiore di melograno.
"No!", esclamò disperata Cassandra di Canis Maior, poggiandosi di fianco all’altra, avvicinando una mano fino a toccarne la sua, "Perché non ti sei difesa anche tu con la barriera di Speciose?", domandò ancora.
"Le mie forze erano ridotte, ho saputo vincerla nella mente, ma il mio corpo era debole… dovevo difenderci tutte… anche Crux…", balbettò la sacerdotessa dell’Altare.
"Non ho più frammenti di Khuluppu, altrimenti potrei salvarla…", lamentò, battendo il pugno contro il suolo, Dorida, ma la mano dell’altra la toccò sul braccio, per poi indicarle il volto celato da un semplice pezzo di stoffa, "La mia maschera… prima che sia distrutta…", bisbigliò con le poche rimastele, prima di usare la mano sinistra per rivelare il volto.
Gli occhi chiari, verdi come smeraldi, stavano perdendo di luminosità, mentre i lineamenti del volto si piegavano per il dolore di quella straziante agonia e si deformavano nel tentativo di offrire all’ispanica parigrado la propria maschera.
"Ricordate sempre, sacerdotesse, noi siamo più delle nostre maschere, abbiamo Fede e Lealtà verso Atena… e molto altro…", sussurrò con le ultime forze, prima che un grosso fiore rosso di melograno nascesse dal suo petto, privo d’armatura, strappando via la carne e le ossa e nutrendosi del sangue per germogliare, portandole via la vita.
Così perse la vita Iulia dell’Altare, sacerdotessa d’argento di Atene.
"La prima è morta, le altre ben presto la raggiungeranno! Ma rallegratevi, seguaci di Atena, diverrete tutte dei bellissimi fiori, così come la vostra compagnia!", le schernì Persefone, facendosi avanti, sicura ed imperturbabile, mentre un nuovo Melograno Rosso si generava dalle sue mani.
Dorida fu la prima ad esplodere in un urlo furioso, il cosmo che fiammeggiava attorno a lei, mentre la maschera che era stata di Iulia ora le celava il volto, "Assassina!", urlò la sacerdotessa guerriero, scattando avanti assieme alle compagne.
"Flechas Ardientes!", invocò l’allieva di Bao Xe, "Anghellos Fotou!", aggiunse la discepola di Olimpia, "Plumes Corneille!", fece eco Gwen di Corvus, unendo i propri dardi oscuri alle frecce infuocate ed all’energia luminosa di Canis Maior.
"Anthous Paschou, a me!", imperò di rimando Pesci Oscuri, generando i rossi petali che contennero la potenza dei tre attacchi, assorbendoli al proprio interno.
"Dovete sapere, mie piccole sciocche, che il Fiore della Sofferenza, come il suo stesso nome dice, ha diverse virtù che filtrano in esso grazie alle energie del Flegedonte!", affermò poco dopo Persefone, "Così come i bianchi frutti del fiume Lethe cancellano la volontà combattiva nel cosmo che vi entra in contatto e possono cercare di avere ragione delle menti più deboli, come purtroppo non sono le vostre, allo stesso modo, i rossi figli delle acque del Tartaro incamerano la potenza degli attacchi avversari, per poi rilasciarla al contatto!", esclamò lieta.
In una nuova esplosione scarlatta, poi, i rossi fiori deflagrarono attorno al trio di sacerdotesse guerriero, pronti ad investirle come avevano fatto poco prima con Iulia.
"Flecha Llover!", invocò prontamente Dorida, facendosi avanti, spazzando i proiettili scarlatti con le fiamme che la stavano già avvolgendo, permettendole di correre, incurante del dolore che provava sul corpo, contro la Ladra di Divinità.
Devastante era la furia della sacerdotessa guerriero, che cercò un violento diretto contro il muro di rossi petali che già circondava l’oscura avversaria, un pugno devastante ed incandescente, che parve quasi disegnare una vera e propria freccia sullo Scarlatto Melograno, senza però distruggerlo.
"Fermati, Dorida!", urlarono all’unisono Cassandra e Gwen, mentre i pugni di lei si scatenavano, uno dopo l’altro, incontenibili, contro la barriera difensiva nemica, senza, però, in alcun modo scalfirla.
Con uno scatto velocissimo, però, la sacerdotessa di Corvus si portò verso la propria parigrado, "Griffe de l’Esprit!", invocò Gwen, spegnendo le calde fiamme che già circondavano da diversi minuti l’ispanica compagnia, che cadde al suolo.
L’allieva di Remais di Cancer fu veloce nel richiamare a se, con i propri poteri psichici, la maschera che era stata di Iulia e che la sacerdotessa della Sagitta aveva lasciato cadere al suolo, per farla così reindossare all’altra, di cui vide la terribile smorfia di dolore, prima di osservarne le mani, che a malapena Dorida riusciva a sollevare, ustionate e piene di profondi tagli.
"Vi avevo avvisato, giovani sacerdotesse: la Sofferenza è ciò che il contatto con i rossi fiori del fiume Flegedonte, offre!", le derise la Ladra di Divinità, "Le mani della Sagitta, il braccio del Corvo, condannate a soffrire, finché non giungerà la morte che tanto anelate, dal giorno in cui avete indossato quelle stupide maschere!", rise divertita la nemica, lasciando esplodere ancora una volta la pioggia di scarlatti dardi contro le tre avversarie.
"Sabbie dello Scirocco!", furono le uniche parole che s’alzarono nell’aere, prima di un caldo vento che protesse il trio di guerrieri di Atena, ponendosi dinanzi a loro come solida barriera, bloccando i rossi fiori.
"Ti sei forse dimenticata di noi, guerriera oscura?", domandò una seconda voce, mentre tre figure raggiungevano le quattro combattenti, le figure di Damocle di Crux, affiancato da Coriolis del Maestrale e Lothar dello Scirocco.
Tutti e tre i guerrieri erano visibilmente stanchi, feriti anche, ma avanzavano decisi incontro a Pesci Oscuri.
"Sei l’ultima degli invasori che fin qui erano giunti stamani, nera guerriera, e da qui facilmente non fuggirai!", la avvisò l’uomo con il Tridente dei Venti, "Ben poco ho da temere da te, seguace di Eolo, poiché già poche ore fa ho piegato la tua mente e di certo mi riuscirà di nuovo.", lo schernì Persefone, "Intanto, però, permettetemi di risolvere la questione con queste seguaci di Atena!", concluse decisa l’oscura avversaria.
"Forse dimentichi una cosa, Ladra di Divinità!", esclamò la voce di Crux, correndo rapido contro l’oscura nemica, "Anch’io sono un cavaliere di Atena!", avvisò il santo d’argento, "Lux Crucis!", invocò subito dopo, scagliando più e più fendenti d’energia.
Anche gli attacchi di Damocle, però, al pari di quelli delle sacerdotesse sue pari, fallirono miseramente contro i rossi petali del Melograno. "Inutile è ogni vostro sforzo, servi di Atena, preparatevi a soffrire del Fiore della Sofferenza, piuttosto!", ribatté prontamente Persefone, mentre nuovi semi, pronti a germogliare dalla pelle delle loro vittime, furono lanciati addosso ai presenti.
Nuovamente, però, le sabbie dominate da Lothar si mossero, creando un anello di difesa, in cui l’assalto dell’oscura nemica si perse; "Forse i cavalieri di Atena non potranno superare le tue difese, ma che ne pensi di un’aridità tale da essiccare ogni tuo fiorellino?", domandò beffardo il guerriero dello Scirocco.
"Ghibli, a me!", imperò il Dominatore dei Venti, mentre l’anello di sabbia che aveva difeso i cavalieri di Atena si trasformava in una cupola, andando a chiudersi sempre più vorticante addosso alla guerriera nera.
I rossi petali del fiore del Flegedonte si sollevarono, chiudendosi attorno alla Greca, cercando di proteggerla con sempre maggiore copertura, contenendo la furia della sabbia addosso alla stessa, finché solo la sabbia fu visibile, occultando la presenza della nera nemica a tutti i presenti.
"Adesso, Coriolis!", suggerì subito Lothar, mentre l’altro sollevava la propria arma, "Tridente dei Venti, colpisci!", ordinò deciso il Dominatore del Maestrale, liberando la potenza delle tre punte contro il globo di sabbia.
Globo che, quando i tre fendenti d’aria gli furono prossimi, si aprì, rivelando i rossi petali, leggermente più deboli, contro cui la violenza del vento si scagliò strappando gli stessi dal terreno e lasciando che volassero in ogni direzione, quasi addosso anche ai diversi guerrieri lì presenti, che, però, ancora una volta, furono protetti dalle correnti dello Scirocco.
Illesa, però, apparve ancora una volta Persefone, poiché, dopo che i primi fiori rossi furono strappati, altri si sollevarono dal terreno stesso, contenendo la furia dei fendenti di vento e, alla fine, solo la risata dell’oscura nemica echeggiò nella Sala Centrale.
"Nemmeno le tue piume riescono a raggiungerla?", domandò allora Dorida, che aveva osservato in silenzio, sopraffatta dal dolore delle ustioni alle mani, il tentativo d’attacco da parte dei Dominatori dei Venti, "No, ho provato poc’anzi, assieme a voi, ma nemmeno i miei poteri psichici riescono a raggiungerla.", analizzò Gwen preoccupata, di fianco alla compagnia.
"Eppure avevi superato le difese del Golem, i tuoi attacchi oltrepassavano ogni sorta di barriera…", ricordava la sacerdotessa della Sagitta, "Ben diversa è la difesa di costei. Lei non protegge semplicemente se stessa, ma con quei petali scarlatti assorbe ogni impatto come se lo subisse sul corpo, sono quasi una sua estensione, seppur non comprensibile per me.", balbettò con perplessità la parigrado del Corvo.
"Non c’è modo di superare le sue difese?", analizzò preoccupata Cassandra, prima che nuove correnti di vento fischiassero sopra le teste dei presenti, "Forse un modo c’è!", esclamò subito una voce maschile, mentre due figure discendevano in mezzo ai combattenti.
Fu nel silenzio generale che Okypede del Grecale e Noto del Libeccio si riunirono ai compagni d’arme ed ai loro alleati.
"Dunque l’Aborigeno ha lasciato andare le sue prede, per portare il nostro nuovo confratello da Giano, mentre cos’è successo a quel povero sciocco che ancora venerava delle divinità? Avete ucciso il Sagittario Nero?", chiese, rompendo gli istanti di silenzio, la nemica comune.
"Sono stati i tuoi semi scarlatti ad uccidere i Dominatori di Ponente.", rispose secca la Comandante dei guerrieri di Eolo, "Delle vite di Aliseo e Luis sei egualmente colpevole d’averle rubate!", continuò decisa, espandendo il freddo vento che da lei nasceva.
"Ma non crucciarti, avrai ben presto di che pagare, poiché forse i tuoi fiorellini rossi sanno ben resistere ad attacchi diretti, ma noi Dominatori vedremo di aprire un varco fra gli stessi!", aggiunse deciso il guerriero del Libeccio, volgendosi verso gli altri presenti.
"Lothar, con noi!", urlò subito dopo Okypede, liberando le correnti di Bora.
"Fiammeggia, Garbin!", aggiunse prontamente Noto, "Sabbie dello Scirocco, andate!", gli fece eco il parigrado dell’altro vento meridionale.
Le tre correnti si mossero all’unisono, combinando freddi steli di ghiaccio ad incandescenti fiamme furiose, che vorticavano circondati dalla sabbia del deserto.
"Non funzionerà!", li avvisò sprezzante la nera avversaria, prima che la furia dei venti si dirigesse non addosso ai rossi melograni, ma verso il terreno sotto di essi, sradicandoli dal terreno, mentre già un’altra voce si univa al coro di guerrieri: "Mistral!", invocò infatti Coriolis, liberando la potenza del vento ascensionale sotto l’avversaria che, assieme a ciò che restava dello scarlatto fiore, volò alta in cielo.
"Adesso, cavalieri!", esclamò prontamente Okypede, mentre già i quattro santi d’Atena si muovevano a loro volta.
"Flecha Grande De Fuego!", urlò Dorida, di nuovo in piedi, scagliando l’incandescente dardo; "Kunegos Fotismou!", aggiunse subito Cassandra, liberando il feroce segugio; "Plumes Corneille!", fece eco Gwen, aprendo le nere ali d’energia psichica dietro di se; "Crux Argentii!", concluse Damocle, eseguendo la croce con il fendente destro, più devastante all’impatto.
Assieme i quattro attacchi travolsero la nemica a mezz’aria, senza che questa potesse sollevare parete di fiori rossi alcuna a propria difesa, investendola con violenza, distruggendo senza pietà le nere vestigia che indossava e lasciandola cadere pochi metri più indietro, al suolo.
"Ci siamo riusciti!", fu l’esclamazione di gioia del Dominatore dello Scirocco, "Ovviamente.", confermò Noto, "Quei suoi fiori, anche quando inizialmente hanno difeso la fuga degli altri neri invasori, erano stati vinti sradicandoli dal terreno. Per colpire anche lei, dovevamo impedire che potesse generarne altri attraverso il proprio cosmo, o almeno rallentarla nel farlo.", spiegò semplicemente il parigrado del Libeccio.
Fu allora che l’oscura avversaria si rialzò, l’armatura dei Pesci Neri i cui frammenti cadevano dal suo corpo, ma grande fu lo sgomento nello sguardo dei cavalieri di Atena nel vedere l’altra in piedi, ora priva di vestigia, ma non ferita e stremata, bensì circondata da qualcosa di ancora più tenebroso della corazza distrutta.
"Sono… fiori?", balbettò sgomenta Cassandra, nel riconoscere ciò che proteggeva il corpo dell’avversaria, "Dei fiori di Melograno…", confermò preoccupata Gwen, "Neri."
"Esatto, sacerdotesse di Atena, l’ultimo dei semi dell’Ade sboccia ora dinanzi a voi, il più virtuoso e potente, per attacco e difesa che concede!", esordì soddisfatta Persefone.
"Il Melograno Bianco del fiume Lethe mi difendeva spezzando l’impeto di qualsiasi attacco contro di me diretto e, al qual tempo attaccava sotto forma di pura energia psichica, raggiungendo le vostre menti, lasciando illesi i corpi, ed annullando ogni ricordo.", ricordò la Ladra di Divinità, guardando verso le tre sacerdotesse d’argento, che avevano saputo vincere quella sfida mentale, dopo aver sorriso beffarda contro il Dominatore del Maestrale, che dal Fiore della Memoria era stato, seppur in modo lieve, infettato.
"Il Melograno Rosso del fiume Flegedonte, invece, mi proteggeva assorbendo qualsiasi emanazione cosmica vi entrasse in contatto e bruciando con il potere incamerato qualsiasi corpo lo sfiorasse, ma allo stesso tempo poteva attaccare disperdendo parte dei propri semi nell’aere e mutando i bellissimi fiori inferi chiunque ne venisse colpito, come successo all’Altare di Atena e, a quanto pare, a ben due seguaci di Eolo.", aggiunse la Greca, rivolgendo lo sguardo verso le guerriere di Atene, specialmente Dorida e Gwen, ferite dal contatto con il Fiore della Sofferenza, prima di fermarsi ad osservare Okypede e Noto, che avevano accennato come, al pari di Iulia, anche chi con loro aveva combattuto sul tetto del tempio, fosse rimasto vittima di quell’infausta pianta.
"Ed ora, ecco il più potente dei semi in mio possesso! Il Melograno Nero del fiume Stige!", esclamò estasiata Persefone, lasciando esplodere il proprio cosmo, mentre le radici e le foglie oscure iniziavano ad espandersi anche verso quelle parti del corpo di lei ancora protette dall’armatura d’oro sporco, distruggendola e coprendone le nudità come una seconda pelle, una pelle vegetale e malevola.
"Immagino che tutti voi abbiate almeno una volta sentito parlare del mito di Achille, giusto?", continuò, avanzando a passi brevi ed accorti, l’avversaria, "Per quanto non fosse pienamente simile alla realtà, ai tempi del Mito, qualcosa è trasparito di corretto: le acque del fiume Stige donano l’invulnerabilità e molto di più! Preparatevi dunque, poiché non più contro la guerriera dei Pesci Neri avrete di che combattere, ma contro Persefone del Melograno Infernale!", si presentò orgogliosa, "E questo è il mio Anthos Thanathou!", concluse, scagliandosi all’attacco.
Fu grande la sorpresa di Cassandra quando vide l’altra proprio dinanzi a lei, sferrarle un violento gancio sinistro proprio sulla spalla destra, grande quasi quanto il dolore provato nel sentire la stessa slogarsi per la violenza del colpo, mentre barcollava indietro.
"Maledetta!", urlò prontamente Damocle, facendosi avanti e cercando di colpire la nemica con un fendente, ma l’attacco si perse sulla nera pelle vegetale, che resse senza danno alcuno all’impatto, prima che la mano stessa di Persefone si allungasse verso di lui, tramutandosi in un gigantesco petalo nero ed affilato, che il cavaliere evitò solo grazie ad un agile movimento, o almeno pensò d’averlo evitato, poiché, nel momento stesso in cui rimise il piede sinistro al suolo, il santo di Crux trovò la gamba segnata da un profondo taglio.
"Ti sei forse scordata di noi Dominatori?", ringhiò allora Coriolis, scattando alla carica, mentre una nuova barriera si portava a difesa dei guerrieri di Atene: "Sabbie dello Scirocco!", invocò Lothar, portandosi dinanzi agli stessi, "Tridente dei Venti!", aggiunse prontamente il guerriero del Maestrale, liberando il proprio attacco addosso alla comune nemica.
Una risata fu, però, la risposta di Persefone a quel violento attacco che la investì, spingendola leggermente indietro: "Tutto inutile!", esclamò l’avversaria, lanciandosi addosso all’uomo che l’aveva appena attaccata, "Il potere del Fiore della Morte mi dona la massima difesa!", affermò, il colpo illeso malgrado l’attacco appena subito in pieno, "E mi concede l’assalto più devastante!", aggiunse ancora.
Il braccio di nuovo si allungò in un nero ed affilato petalo, mentre un muro di sabbia si poneva fra la Ladra di Divinità ed il Dominatore dei Venti, subito seguito dalla sagoma di Lothar, affiancatosi al parigrado, "La mia è la migliore difesa fra i guerrieri di Eolo! Non potrai superarla!", esordì sicuro l’uomo.
"Migliore difesa? Patetica piuttosto!", ribatté sicura la Greca, mentre imprimeva nuova energia nel nero petalo, distruggendo la barriera di sabbia e trafiggendo il fianco sinistro di Coriolis, primo di spazzare con il braccio e raggiungere il braccio ed il pettorale destri di Lothar, aprendo nuove crepe anche sulle vestigia e la pelle di lui.
"Un fiore resta sempre un fiore! Il fuoco lo distrugge!", esclamò allora una voce alle spalle della nemica dal nero fogliame, "Incendia Garbin!", invocò Noto del Libeccio, liberando le fiamme vorticanti del vento a lui asservito e travolgendo Persefone tanto da sollevarla dal suolo, ma grande fu lo stupore sul volto del Dominatore quando vide dei rampicanti oscuri generarsi dalle gambe ed affondare nel terreno, riattraendola verso lo stesso.
Con estrema velocità, l’illesa nemica generò nuovi tentacoli dalle braccia, sferrando una violenta coppia di attacchi sul petto del guerriero del Libeccio, spingendolo al suolo, ferito e sanguinante ed atterrando poco dopo, lei stessa, a terra, vicina al giovane italiano.
Furono però due nuove figure a lanciarsi contro la Greca, catturando la sua attenzione: "Griffe de l’Esprit!", urlò la voce di Gwen di Corvus, lanciandosi alla carica e sfiorando con la mano sinistra il pettorale dell’avversaria che, indietreggiando, vide appena le nere foglie ritirarsi, lasciando parte dello sterno, rigoglioso ed abbronzato, scoperto, proprio mentre la voce di una seconda sacerdotessa di Atene echeggiava nell’aria.
"Flechas Ardientes!", aggiunse prontamente Dorida, scatenando la pioggia di frecce di fuoco, che cercarono di investire la Ladra di Divinità, che, però, prontamente sollevò le braccia a proteggere la parte di corpo ora priva di altre difese, contenendo così la furia dell’assalto fiammeggiante, prima di volgersi di nuovo verso le due guerriere consacrate ad Atena e liberare contro di loro una violenta tempesta di rampicanti che, al pari di fruste, le colpirono, dilaniando le armature e gettandole su lati opposti della Sala Centrale.
"Bel tentativo il tuo, piccola sacerdotessa, ma inutile come quello della tua compagnia! Finché non superate i miei riflessi, anche aprire un varco nelle difese assolute che il Fiore dello Stige mi concede, sarà vana fatica!", le redarguì, prima che una fredda corrente d’aria si facesse largo nella sala.
"E se invece di cercare di ucciderti, semplicemente, ti imprigionassimo?", domandò Okypede, facendosi avanti, "In fondo, l’inverno non è una stagione favorevole ai fiori!", suggerì ancora, sollevando le braccia, "Che l’Aurora Artica ti abbracci, profanatrice del tempio di Eolo!", imperò infine, liberando la corrente congelante che tanto sorprese i cavalieri di ritorno da Accad, per la similitudine con i poteri di Leif, mentre già il gelido vento di Grecale investì l’oscura avversaria, intrappolandone il corpo in una bara di ghiaccio.
"Ci sei riuscita, Okypede!", esclamò Lothar, poggiando la mano contro la ferita al petto, "Non sottovalutate questi Ladri di Divinità, Dominatori.", suggerì Gwen, rialzandosi in piedi, di fianco al ferito cavaliere di Crux, "La nostra comandante è potente, sacerdotessa, te lo posso assicurare.", replicò Coriolis, sostenendosi dall’arma; "I Ladri di Divinità, però, sono nemici ben più ostici dei neri invasori di cui hanno fatto uso.", avviso di rimando la sacerdotessa di Canis Maior, avvicinatasi a Dorida, che stava ora aiutando a rialzarsi, assieme a Noto del Libeccio.
Fu su quelle ultime parole, però, che, in un’esplosione di scura energia cosmica, il ghiaccio che circondava Persefone andò in frantumi, liberando la Greca, che, già, osservava con divertimento gli otto avversari attorno a se.
"Sono ancora viva!", imperò perfida la Ladra di Divinità, scuotendo le fruste rampicanti che roteò attorno a se, puntando a colpire tutti i guerrieri consacrati a divinità elleniche lì presenti.
Veloce fu il colpo dell’improvvisata frusta sinistra, nel raggiungere per primi Cassandra, Dorida e Noto; il Dominatore dei Venti cercò di deviarla con i caldi venti del Libeccio, ma l’arma fu più lesta e lo colpì in pieno sterno, frantumando quanto restava delle vestigia e scagliandolo al muro, prima di agitarsi e raggiungere alla spalliera destra la sacerdotessa della Sagitta, spingendola, sanguinante, addosso alla parigrado e lasciandole entrambe al suolo.
Lesta fu, altresì, l’arma destra nel dirigersi addosso a Gwen del Corvo, avvicinatasi a Coriolis e Lothar, colpendo per primo proprio il Dominatore dello Scirocco, che aveva cercato di sollevare le sabbie di cui era padrone per difendere se stesso ed i compagni, una difesa fallimentare, subito dispersa dall’oscuro tentacolo, che colpì in pieno addome il guerriero, spingendolo indietro, piegato dal dolore.
Subito dopo fu l’uomo del Maestrale a porsi a difesa della sacerdotessa di Atena, cercando di difenderla con la propria arma, che, però, si spezzò, lungo l’asta, lasciando sbalordito il Dominatore, facile vittima per l’attacco della donna nemica, se Gwen non lo avesse spostato prontamente con le proprie capacità psichiche, rimanendo però, lei stessa, scoperta all’attacco, che la colpì, danneggiando l’armatura e lasciando scorrere caldo sangue dal corpo dell’allieva di Remais, che ricadde al suolo.
La Ladra di Divinità, quindi, si voltò, puntando le armi sui due nemici rimasti in piedi e per primo colpì Damocle, che non s’era affiancato a Coriolis e Lothar, così come Gwen, trovandolo lento e zoppo, ma non per questo impreparato, tanto che quasi il cavaliere di Crux riuscì ad evitare l’attacco, abbassandosi e lasciando schioccare l’arma sopra la sua testa, ma bastò un secco movimento di polso della Greca, perché il tentacolo cambiasse traiettoria, colpendo il santo d’argento sulla schiena e dilaniandone vestigia e pelle, mentre lo buttava al suolo.
Le fredde difese di Okypede, altresì, cercarono di rallentare e bloccare l’oscura arma di Persefone, trovandosi a loro volta sconfitte dalla potenza del rampicante, che superò la barriera di gelide correnti, colpendo di nuovo la donna e distruggendone la spalliera sinistra e parte del pettorale, lasciandola cadere al suolo, ferita, come mai lo era stata prima durante quella lunga giornata di invasioni e battaglie.
Nel silenzio di quella vittoria, Persefone si guardò attorno e gioì, poiché finalmente si sentiva pienamente realizzata, come mai era stata in quella sua reincarnazione e tutto ciò, grazie all’incontro con Giano e gli altri Homines.
Era solo una ragazzina stupida allora, una ragazzina che non comprendeva il vuoto che sentiva dentro di se: aveva sempre pensato che trovare l’amore l’avrebbe salvata da quel vuoto, ma non aveva mai incontrato l’uomo adatto.
Il vuoto era tutto ciò che ricordava; certo, aveva avuto momenti allegri con la propria famiglia, nel piccolo villaggio del Peloponneso dov’era cresciuta, ma si era sempre sentita nel bisogno di qualcosa di più, un bisogno che aveva avuto una forma ed una spiegazione solo quando li aveva incontrati, quel lontano giorno del suo sedicesimo compleanno.
La festa era stata semplice, la sua era una famiglia agiata, seppur non benestante, e gli amici le erano stati intorno, anche se tutto ciò le aveva dato poco più che un banale sorriso niente altro, tanto che, alla fine, era scappata via dalla festa, raggiungendo un piccolo promontorio dove le piaceva guardare le stelle.
"Cerchi forse la stella del tuo amato Giudice?", le aveva detto d’improvviso una voce alle sue spalle e, voltandosi, la ragazza aveva visto dinanzi a se due uomini: uno aveva lineamenti forti, maschili, e chiaramente asiatici, per quel che lei ne sapeva, l’altro indossava una maschera senza alcun segno riconoscibile, una maschera che ne celava completamente il viso e ne distorceva la voce.
"Chi siete voi?", balbettò spaventata, indietreggiando, "Devi chiederti piuttosto chi sei tu, fanciulla.", rispose l’asiatico, "Noi siamo qui per rispondere a questa domanda.", aggiunse quello mascherato.
"Il mio nome è Temujin e lui è Giano.", continuò poco dopo il primo, "Mentre tu, fanciulla, non sei semplicemente chi credi di essere.", la avvisò ancora, "Certo, puoi dire di essere Almena, figlia di una banale famiglia di questo piccolo villaggio, ma la verità è molto più profonda e sfaccettata.", aggiunse, mentre l’uomo mascherato si avvicinava alla ragazzina.
La maschera senza forme rifletté il volto della giovane e d’improvviso lasciò esplodere un bagliore luminoso che avvolse lo sguardo di Almena, immergendola nella luce stessa.
Quando la luce si schiarì, la ragazza si vide donna, in uno specchio d’acqua, prima di alzare lo sguardo verso un altare dove sedeva un uomo, vestigia dorate, bellissime sul suo corpo possente, rifulgevano alla luce del sole, mentre una fanciulla s’inginocchiava davanti a lui.
Calde lacrime riempirono gli occhi di Almena, osservando la figura inginocchiata che si alzava e lasciava esplodere il proprio cosmo, richiamando su di se una nuova armatura d’oro, che la avvolse, rivestendola; "Lode a te, Ifigenia dell’Acquario, servitrice di Atena!", esultò a quella vista l’uomo dall’armatura dorata, alzandosi in piedi, "Grazie, Sommo Sacerdote, Agamennone…", rispose la fanciulla, "Padre mio….", concluse e nel sentire quelle parole, la solitudine la invase.
Fu poi il silenzio di un castello vuoto, solo questo circondò le immagini successive, finché, fra quelle ombre senza suoni una forma si delineò, una forma oscura con delle vestigia altrettanto nere, una forma che salutò la donna inchinandosi.
"Clitennestra, moglie del Sommo Sacerdote, soffri perché il tuo sposo ti ha derubato della vostra primogenita, offrendola alla dea Atena ed al suo culto spietato.", esordì la misteriosa figura, prendendo forme sempre più nitide, "Soffri perché Atena, per quanto si dica una divinità di Giustizia, ruba il futuro ai giovani per farne sue pedine e non c’è vera giustizia in tutto ciò.", continuò.
Almena, o Clitennestra, come la chiamava quella figura, aguzzò la vista e fra le tenebre riconobbe il volto dell’uomo, poiché tale, che le stava parlando, "Egisto?", balbettò nel vederne i maschili lineamenti.
"No, non sono semplicemente il cugino del Sommo Sacerdote, sono molto di più, sono l’uomo che il Sommo Hades ha scelto per guidare una parte del suo esercito! Sono la reincarnazione del Giudice Infernale Aiace ed indosso una delle tre Surplici che mi concedono il ruolo di comandante sulle sue schiere di Spettri.", spiegò l’altro.
"Hades, il Signore degli Inferi?", domandò la donna, "Sì! La guerra fra Atena ed Ares ormai è esplosa da giorni e guerrieri su guerrieri cadono da entrambe le parti, alleandosi al signore degli Inferi. Egli si sta preparando per prendere il controllo del mondo dei Vivi e mostrare a tutti l’unica vera Giustizia, una Giustizia che non farà differenza, che non obbligherà i giovani a combattere per i vecchi, o per gli dei.", rispose con orgoglio l’uomo.
"Quindi, ha scelto te perché sei vecchio?", domandò con superbia e derisione l’altra, ricevendo una risata soddisfatta in risposta da colui che si faceva chiamare Aiace. "No, ha scelto me, perché come te ho subito l’Ingiustizia di questa vita mortale, guidata da leggi che non sono quelle degli Inferi. Il Signore dell’Ade ha deciso di donare agli uomini la vera Giustizia! Quindi ti chiedo, Clitennestra, vuoi rinunciare alla tua vita ed identità mortale, di questa piccola esistenza, ed unirti agli Spettri al seguito di Aiace?", chiese l’uomo di rimando.
In silenzio la donna continuò ad osservarlo e nella mente di Almena si confusero ricordi della vita di quella donna con il proprio sposo e la figlia amata, si confusero le immagini di freddo distacco del marito da quelle di affetto per Ifigenia.
"Accetto di diventare una seguace di Hades.", furono le uniche parole della donna, le ultime che la giovane ragazza del Peloponneso sentì, prima che la luce la circondasse di nuovo, riportandola al piccolo promontorio, con i due sconosciuti.
"Che cosa?", balbettò la fanciulla, "Quella era una memoria del tuo passato, la prima.", spiegò l’uomo mascherato, "La prima di molte…", fece eco l’altro, "Questa la maledizione di chi serve il Signore degli Inferi nella sua ossessiva e vuota guerra per la conquista del mondo dei vivi.", continuò.
"Che cosa?", ripeté confusa la fanciulla, la cui mente ancora vagava, così come lo sguardo, perso in un vorticare di immagini senza senso che, quel bagliore aveva risvegliato e che ora si sovrapponevano ai suoi ricordi ed alle figure dinanzi a lei.
"Tu, piccola Almena, sei, in realtà, la reincarnazione di uno degli Spettri di Hades, Signore degli Inferi dell’Olimpo, il Pantheon greco, se preferisci.", spiegò con parole dure l’uomo di nome Temujin, "Ogni due secoli, approssimativamente, il tuo risveglio avviene in modo completo e l’anima che adesso dentro di te riposa, prende il sopravvento, richiamando a te le vestigia di cui sei padrona e riunendoti all’esercito di cui fai parte, ma non in questa generazione, adesso l’unica cosa che ti è concessa è di vivere una vita fra questo breve momento e l’eterno presente di struggimento e desiderio, gli stessi desideri che tu hai avuto nella prima esistenza vissuta come Clitennestra.", continuò, prima che fosse l’altro a parlare.
"Noi ti offriamo di spezzare questo eterno susseguirsi di esistenze vuote, ti offriamo di vendicarti di tutte le divinità che giocano con le vite e le anime degli uomini, ti offriamo di diventare più di una semplice seguace, di uno Spettro, bensì una donna, anzi, un Homo, un essere umano, nuovo.
Unisciti a noi ed avrai poteri che non immagini, oltre a poter risvegliare tutti i tuoi ricordi passati.", concluse Giano.
Non rispose quel giorno Almena, né tornò su quel promontorio per giorni. I giorni divennero settimane e le settimane mesi, in cui i ricordi si risvegliarono, lentamente, ma inesorabilmente, risvegliando anche in lei una verità: il motivo per cui si sentiva così vuota, cosa le mancava, cosa le era stato offerto servendo Hades e poi portato via: Egisto, Aiace, l’uomo che l’aveva amata come Agamennone non aveva potuto, servendo ciecamente Atena, l’uomo che rivedeva ad ogni Guerra Sacra, per poi perderlo di nuovo.
E fu con quella verità che ritornò al promontorio e maledisse le divinità olimpiche; fu per quella verità che decise di allearsi con Giano, Temujin ed i loro compagni; fu grazie a quella verità che gli Homines individuarono dove le anime delle divinità dei Sogni, servitori di Hypnos, erano sigillate e ne rubarono i poteri, fra le prime di molte prede assorbite negli anni.
Una vita sembrava essere passata da allora, una vita di menzogne svelate e di divinità sconfitte, una vita che, per lei, sarebbe culminata nel giorno in cui avrebbe ottenuto i poteri del signore degli Inferi e ritrovato l’uomo amato e nessuno glielo avrebbe impedito, nemmeno quei seguaci di Atena ed Eolo che, adesso, si stavano rialzando in piedi.
"Ancora desiderate combattere? Perché affaticarvi? Ma in fondo, non avete accettato nessuna delle mie offerte di morte finora e nemmeno il dolce abbandono della Dimenticanza!", rise Persefone, osservando le sacerdotesse d’argento alzarsi, "Non ci arrenderemo a te, come non ci siamo arresi dinanzi a Baal.", avvisò decisa Dorida, "O contro il Re d’Africa!", aggiunse Cassandra, mentre i cosmi di entrambe brillavano possenti, assieme a quelli di Gwen e Damocle.
"Né noi ci arrenderemo, poiché avete violato la sacralità del Tempio di Eolo, dei cui venti siamo i Dominatori!", avvisò subito Noto del Libeccio, "E per il nostro Signore combatteremo, per liberarlo dal vostro giogo!", confermò Okypede, in piedi di fianco a Lothar e Coriolis, tutti circondati dalle possenti correnti che gli erano proprie.
"Belle parole le vostre, ma niente di più dinanzi all’invalicabile difesa del Melograno Nero che mi protegge!", esclamò soddisfatta la Ladra di Divinità, ma un sorriso sul viso di Noto la sorprese, mentre il seguace di Eolo sollevava lo sguardo verso le sacerdotesse di Atena.
"Broké Fotismou!", invocò Cassandra di Canis Maior, investendo con la Pioggia di Luce la malefica nemica, travolgendola e spingendola indietro, sbilanciandola, seppur non riuscendo a superare le sue difese, finché, alla fine di quel impetuoso attacco, Persefone si trovò ancora circondata, ma adesso i suoi avversari erano disposti in modo diverso.
Per alcuni secondi la Greca si guardò attorno, confusa: vide il Dominatore del Libeccio, il cosmo caldo che brillava di fianco alla sacerdotessa della Sagitta; poco lontano il santo di Crux ed il guerriero del Maestrale, pronti con le loro affilate lame a continuare la battaglia, mentre la Comandante del Grecale era alla destra della guerriera di Canis Maior che l’aveva appena attaccata e, distanti dagli altri ed anche fra loro, si trovavano infine la fanciulla dalle vestigia del Corvo ed il giovane dall’armatura dello Scirocco.
"Quale che sia il vostro piano, sciocchi seguaci di divinità, fallirà!", sentenziò sicura la Ladra di Divinità, lasciando esplodere il proprio cosmo e sollevando di nuovo duri rampicanti dal proprio corpo, per cercare di colpire i diversi guerrieri attorno a lei.
Fu proprio in difesa dei compagni, però, che la Bora di nuovo esplose, gelida e feroce, rallentando i tentacoli oscuri, senza distruggerli, venendone in parte sconfitta, ma permettendo così a tutti gli otto guerrieri di divinità elleniche, di muoversi abbastanza velocemente da attaccare.
"Brucia, Sta!", imperò la voce di Noto del Libeccio, scatenando il gigantesco globo di vento infuocato che con furia corse contro Persefone che, sollevate le braccia, non si curò nemmeno di difendersi, fin troppo sicura della protezione che il nero fiore infernale le offriva per notare un particolare: l’assenza di Dorida di fianco al Dominatore di Eolo.
La sorpresa di quella consapevolezza la investì assieme a quella del vedere la sacerdotessa della Sagitta balzare fuori dal globo di fuoco, nel momento stesso dell’impatto, avvolta da alte fiamme, "Flecha Llover!", esclamò l’ispanica guerriera, colpendo con un violento diretto lo stomaco della Ladra di Divinità, spingendola in alto, ben lontano dal suolo a cui, però, Persefone cercò di aggrapparsi con le sue rampicanti, solo per sentire un altro ordine echeggiare nell’aere: "Ghibli!".
La possente sabbia dello Scirocco, però, non cercò di catturare o colpire la nemica, bensì si portò fra il terreno ed i filamenti del Melograno Nero, venendone distrutto, ma dando il tempo a Dorida di sferrare un secondo possente pugno alla comune nemica che ne la sbalzò ancora più in alto nel cielo, lì dove stava già arrivando in una picchiata lesta e decisa, Gwen di Corvus.
"Aurora Artica!", urlava nel frattempo la voce di Okypede, unendo la potenza delle fredde correnti del Grecale alle sabbie dello Scirocco, così da impedire che i rampicanti potessero soccorrere la propria padrona, mentre già altre nascevano, pronte a colpire l’allieva di Remais; "Anghellos Fotou!", esclamò prontamente la voce di Cassandra, soccorrendo la compagnia ed evitando che venisse travolta dalle armi di Persefone.
"Griffe de l’Esprit!", furono le uniche parole di Gwen, il cui artiglio oltrepassò l’avversaria, da parte a parte, strappando via la nera cellulosa che ricopriva il suo tronco, lasciandola per qualche istante nuda da qualsiasi difesa, mentre già due figure si lanciavano contro di lei.
"Crux Caelum!", imperò Damocle, sferrando il possente attacco e segnando la pelle della donna con la furia dello stesso, prima che questa iniziasse a cadere verso il suolo, dove già un’altra voce si alzava, quella di Coriolis: "Mistral!"
Il tridente di vento si sollevò dal suolo, investendo il petto della Greca, perforandolo da parte a parte con affilate lame d’aria, che sputarono fuori il sangue della stessa, reso nero per il tetro fluire delle acque dello Stige nello stesso.
Non cadde però a terra Persefone, no, con la forza della disperazione, lasciò che dei rampicanti fluissero dalle ferite, sostenendola a mezz’aria, "Non posso morire, non ancora!", urlò disperata, lanciando decine di neri semi in ogni direzione, perforando le vestigia dei cavalieri e la loro pelle, strappando urla di dolore ai nemici, mentre, pazza di dolore, anche lei lasciava che il Nero Melograno consumasse il corpo e le ferite.
Fu una fuga figura a lanciarsi contro di lei, impugnando con ambo le mani l’arma che per così tanti anni aveva usato in battaglia, la figura di Coriolis, che conficcò con violenza le tre punte nella grande croce che Damocle aveva inciso sulla pelle di lei.
"Tridente dei Venti!", invocò ancora il Dominatore del Maestrale, liberando tutta la furia di quel potere, spezzando a metà il corpo della donna e strappando collo, con braccia e testa, dal resto del tronco, mentre, in una disperata reazione, decine di oscuri fiori affilati affondavano nel corpo di lui, perforando stomaco, cuore ed ogni altro organo vitale.
In silenzio, doloranti al suolo, per alcuni secondi, gli altri osservarono, finché non si andarono avvicinando a Coriolis, ancora sospeso a mezz’aria, dall’orrida pianta che era stata il corpo della loro nemica.
"Abbiamo vinto…", sussurrò il Dominatore del Maestrale, "Sì, il piano che abbiamo elaborato assieme, ha funzionato.", concordò con tono triste Lothar, "Non alla perfezione, ma ha funzionato.", sottolineò Noto con un sorriso dispiaciuto.
"Grazie, sacerdotessa del Corvo…", continuò Coriolis, "Le mie capacità ci hanno legato in questa battaglia, un legame che è stato forgiato dalla necessità, ma di cui sono orgogliosa.", rispose Gwen, zoppicante per una delle ferite inferte nell’ultimo disperato attacco della nemica.
"Ora andate, guerrieri di Atena, continuate a combattere questi dissacratori di templi.", sussurrò il Dominatore moribondo, "E voi, amici miei, non disperate: mi riunirò al vecchio Austro, a Shiltar, a Oritia, Ekman, Aliseo e sì, persino a Luis… assieme vi osserveremo liberare il Sommo Eolo e vendicare le pene che ci ha inflitto Favonio, l’Ingannatore, sperando di aspettarvi ancora per tanti e tanti anni.", bisbigliò infine, prima che la vita lo abbandonasse.
Fu così che si concluse l’invasione del Tempio di Eolo, iniziata dalle Ombre dell’Isola della Regina Nera, con il sacrificio di grandi guerrieri in tutte le fazioni che vi avevano partecipato e la caduta di una dei Ladri di Divinità.