Capitolo 33: Memorie e Simboli
Erano giunti tutti alla Sala Centrale del Tempio di Eolo, ma adesso si erano di nuovo divisi: tre dei Dominatori dei Venti si erano lanciati alla carica del Sagittario Oscuro che, da ciò che era stato possibile comprendere, un tempo era stato un seguace di Eolo, poi cacciato ed imprigionato sull’Isola Prigione della Regina Nera.
I restanti due guerrieri dei Venti, poi, avevano deciso di attaccare il traditore che più di recente si era rivelato loro: il Dominatore di Levante ed il cavaliere di Crux aveva scelto di aiutarli, poiché, al pari delle quattro sacerdotesse guerriero, si era reso conto di un qualche arcano potere illusorio che quel nemico sembrava avere sui propri passati compagni.
E proprio le sacerdotesse d’argento erano tutto ciò che restava a bloccare una dei due neri nemici d’oro sporco rimasti, una dei due Ladri di Divinità che avevano condotto quella lunga invasione, la donna dalle vestigia dei Pesci Oscuri.
Ognuna delle quattro era ben consapevole delle condizioni proprie e delle relative compagne, malgrado si nascondessero dietro il silenzio delle loro maschere d’argento: Iulia dell’Altare ben sapeva di essere allo stremo delle forze fisiche, priva di qualsiasi armatura che possa proteggerla, la discepola del Sommo Sacerdote aveva dalla propria solo le energie sottratte al Leone Nero quando lo avevano sconfitto.
Dorida della Sagitta era in una situazione migliore: le vestigia erano di certo danneggiate dallo scontro con l’Auriga Oscuro prima e quello con il Leone Nero dopo, ma poteva contare su una maggiore freschezza di forze rispetto alla compagnia, malgrado al momento si celasse il volto solo grazie ad un leggero velo, avendo perso nella battaglia contro la ripudiata del tempio di Apollo la propria maschera.
Cassandra di Canis Maior, dal canto suo, era sorpresa: le sue vestigia erano ormai un vago e danneggiato ricordo che con difficoltà l’avrebbe difesa nella battaglia che stava per iniziare, però, in qualche modo, inaspettatamente, Megara, vecchia amica ed adesso guerriera dell’Ofiuco Nero, le aveva curato le ferite, per quanto, nel fare ciò, aveva ridotto ancora di più le energie della giovane sacerdotessa che, però, ben sapeva di non potersi arrendere, anche guardando le compagne altrettanto ferite.
Gwen di Corvus, infine, era sicuramente quella più fresca, in quanto pure energie, avendo partecipato solo parzialmente agli scontri contro Nesso del Centauro Nero e contro Kirin della Lucertola Oscura, ma aveva dovuto affrontare in una complessa battaglia mentale e spirituale l’ombra dell’Altare e, dopo, si era impegnata a coordinare le azioni dei cavalieri e dei Dominatori sui diversi versanti del Tempio, permettendo tutti loro di ritrovarsi nella Sala Centrale; di certo anche lei avvertiva una certa stanchezza psicologica.
Dinanzi alle quattro guerriere, l’Oscura figura dalle vestigia d’oro nero: lunghi e spettinati capelli scuri le scivolavano sciatti sulle spalle, il viso, pallido oltre ogni dire, sembrava quasi quello di un vero fantasma e non di una persona, mentre gli occhi, sottili e tenebrosi, scrutavano con curiosa malignità le consacrate di Atena.
"Sacerdotesse guerriero, saranno almeno due, o forse tre, vite, che non uccido nessuna di voi.", esordì l’avversaria, "Che intendi dire?", domandò per prima Dorida, ma con un cenno della mano Gwen le intimò di calmarsi, "Costei crede di essere la reincarnazione di una servitrice di Hades, il signore degli Inferi e so per certe che i suoi poteri possono deformare la memoria delle vittime.", spiegò la guerriera d’argento, memore di quanto aveva scoperto affrontando prima Viktor dell’Altare Oscuro e poi contro Kirin.
"Dunque è folle e, probabilmente, un altro membro dei Ladri di Divinità? Che sorpresa dopo quel pazzo esaltato di Baal!", schernì Dorida, "Attenta, però, Sagitta!", la ammonì Iulia, "Se il Ladro di Divinità da voi affrontato ad Accad era forte tanto quanto il Leone d’Africa che abbiamo combattuto in Polinesia, costei non è nemico da sottovalutare, specie per il suo controllo sulle piante.", aggiunse la sacerdotessa dell’Altare, che aveva intravisto le scarlatte piante dalla nemica evocate per proteggerli poc’anzi.
"Sì, potete paragonarmi per poteri all’Africano, ma mentre lui era una selvaggia furia legata al suo ruolo presente, io sono la nuova Signora degli Inferi di Grecia, se preferite! Persefone è il nome con cui mi conoscerete ed il potere dei Melagrani dell’Ade sarà l’arma con cui vi spazzerò via!", sentenziò la guerriera dei Pesci Oscuri.
"Melograni dell’Ade? Un nome che di certo incute timore, ma chissà cosa possono fare questi tuoi fiorellini…", la schernì Dorida, il cui cosmo bruciò incandescente attorno a lei, "Permettimi di metterli alla prova!", aggiunse, mentre già Cassandra le si affiancava, "Sono con te!", esclamò la sacerdotessa di Canis Maior.
"Flechas Ardientes!", imperò la guerriera della Sagitta, "Anghellos Fotou!", fece eco l’allieva di Olimpia, mentre i due attacchi si scagliavano all’unisono contro l’oscura avversaria che, però, nemmeno sollevò le proprie difese, semplicemente alzò una mano e dalla stessa germogliò un bianco fiore, brillante d’energia.
"Tre sono i Melograni dell’Ade, diverso il fogliame secondo il fiume da cui essi provengono ed altrettanto diverso il potere.", iniziò a spiegare Persefone, mentre le frecce infuocate e la brillante stella di Canis Maior si quietavano, come avessero perso ogni forza per combattere.
"Dei tre fiori, quello germogliato sul fiume Lethe è il Melograno Bianco; la sua sola presenza cheta ogni volontà bellica e dissipa i ricordi più immediati di chi ne avverte il profumo.
Un più intenso contatto, con i petali del fiore, ad esempio, permette alla mente di vagare nelle vite passate, mentre, se il seme irrigato dalle acque del Lethe viene a contatto diretto con un uomo, allora lo svuoterà di ogni ricordo, di ogni consapevolezza di se e lascerà solo una tela bianca, che sarà mio piacere ridipingere!", spiegò con un sorriso malefico la nera avversaria.
"Preparatevi dunque, seguaci di una divinità, poiché ben presto di voi non resterà che delle servitrici da usare nella nostra prossima guerra! Anthos Mnemes!", invocò Persefone, prima che il fiore bianco si disperdesse lanciandosi addosso alle quattro donne guerriere.
"Non pensare che ci arrenderemo così facilmente!", esclamò di rimando Iulia, mentre già i gigli da difesa s’alzavano attorno a loro: "Speciosae Scudis!", invocò la sacerdotessa dell’Altare, lasciando che i candidi semi s’intrappolassero sulle spesse foglie dell’altro fiore.
Ci volle poco, però, perché i gigli venissero letteralmente fagocitati da dei melograni bianchi, che dagli stessi si generarono, disperdendo nuovamente il loro polline nell’aere attorno alle sacerdotesse di Atena.
"Se pensate che sia solo respirando il profumo dei miei fiori che la dimenticanza vi può raggiungere, siete ben lungi dall’aver compreso il vero: il Melograno della Memoria al minimo contatto fisico già ha ottenuto la vittoria! Anche con le vostre maschere d’argento, giovani sciocche, non farete niente di più che ritardare l’inevitabile, poiché i semi nati dal fiume Lethe già vi hanno sfiorato!", rise divertita Persefone, prima che le quattro si rendessero anche solo conto del leggero contatto che il venefico fiore aveva avuto con loro.
"Noire Voler!", furono le poche parole che, in un disperato tentativo, urlò Gwen del Corvo, ma non dirigendo il proprio attacco contro la comune avversaria, bensì cercando di ottenere quanto le era già riuscito, seppur involontariamente, con Oritia della Tramontana e l’Altare Nero: collegare la propria mente con quella delle tre parigrado.
"Dobbiamo aggrapparci ai nostri ricordi…", sussurrò la sacerdotessa di Corvus e quelle furono le ultime parole di cui tutte e quattro furono coscienti, prima che l’oblio le catturasse.
Iulia dell’Altare riaprì gli occhi in uno spazio oscuro, tanto che per qualche istante quasi si chiese se, effettivamente, i suoi occhi fossero aperti o meno, prima che un respiro al suo fianco la portasse a voltarsi, vedendo al proprio fianco Dorida della Sagitta.
"Che cosa?", balbettò la sacerdotessa di origini ispaniche, "Il Volo Nero ha funzionato, siamo salve…", sussurrò la voce di Gwen del Corvo, mentre appariva di fianco alle compagne.
"Al contrario, sciocca ragazzina, siete solo tutte assieme in questo ultimo ricordo che condividerete!", rise, sorprendendo le tre, una figura che apparve dalle ombre, con l’armatura d’oro nero che brillava sul suo corpo: Persefone dei Pesci Oscuri.
"Com’è possibile? Puntavo a connettere i miei ricordi con le altre sacerdotesse, non te!", esclamò sgomenta l’allieva di Remais, "Sei solo una ragazzina, dagli elevati poteri psichici, ma una ragazzina! Ho secoli di vite alle mie spalle ed il potere delle divinità che finora abbiamo già conquistato nel mio pugno! Mediante i semi del Fiore della Memoria mi sono intromessa per vedervi cadere, una dopo l’altra.", spiegò orgogliosa l’oscura nemica, "Iniziando dalla vostra più debole compagnia!", rise, proprio mentre le tre sacerdotesse si rendevano conto dell’assenza di Cassandra.
"No, non è assente… questa è la sua mente!", rifletté sgomenta Gwen, mentre poco lontano si materializzava dinanzi a loro la figura della sacerdotessa di Canis Maior, seduta, con le ginocchia strette al petto, in un angolo dell’infinito spiazzo.
"La mente più debole fra tutte voi, la vittoria più facile, ma non l’unica, mia giovane psichica… guardati intorno.", suggerì Persefone e, solo allora, Gwen vide di essere rimasta sola, priva della presenza di Iulia e Dorida.
"Cosa pensi di fare, piccina?", ridacchiò curiosa la Ladra di Divinità, prima di lasciare la sacerdotessa del Corvo nell’oscurità più totale.
Il silenzio era assordante nella mente dell’allieva del cavaliere di Cancer, non riusciva a pensare e, con suo sgomento, abbassando il volto mascherato verso l’armatura, si rese conto di non distinguerne le forme, per quanto fosse sicura che la stessa avesse ottenuto nuova vita dopo l’ultima battaglia, ma quale era stata l’ultima battaglia?
Cercò di ricordare la sacerdotessa, finché una voce non bisbigliò qualcosa nella sua mente, una voce che, era certa, lei conosceva, ma non avrebbe saputo dire a chi appartenesse: "Cosa vuoi ricordare, sciocchina? Quale valore c’è nella tua vita che valga la pena di essere ricordato?", domandò silenziosa e malevola, la ragazza, però, si concentrò, focalizzò il più possibile la propria mente verso un unico obiettivo, ricordare.
"Vuoi qualche memoria del tuo passato? Ebbene, ecco, ti accontenterò!", bisbigliò la voce femminile, prima che dei lampi, immagini passate, si rivelassero alla giovane fanciulla: ben presto la ragazza si ritrovò in una stanza molto grande e spoglia di ogni mobilio, dove sono un letto si trovava, una stanza, che in qualche modo, sapeva esserle famigliare, anche se non avrebbe saputo dire per certo dove si trovasse.
In quella stanza arrivò un giovane dai capelli biondi con un’arpa fra le mani, una figura che subito fece scaturire in lei paura, anche se non avrebbe saputo dirne il nome, un individuo con cui iniziò a parlare, in modo anche animato, finché questi non suono il proprio strumento, intrappolandola in fili musicali simili a serpenti.
"Un adagio di sofferenze! Ecco cosa meriti. Melodia che lasci per sempre su di te i segni che avresti da sempre dovuto portare, come straniera e plebea, prima che come femmina! Scaverò la pelle fino a raggiungere le ossa, sottili segni resteranno per sempre a ricordarti chi fra noi è il primo, e sempre deve esserlo, in tutto.", urlò il musico di cui non ricordava il nome, prima di vederlo avvicinarsi per strapparle la maschera, che, ne era certa (senza saperne il motivo) aveva un grande valore per lei.
Si vide difendersi e scacciare l’altro e si sentì, come allora, sola, in una gigantesca sala vuota, piangente una volta certa che nessun altro fosse presente.
"Amici che ti trattano come oggetto in loro possesso, questo vuoi ricordare?", chiese la voce nelle ombre, "O forse, vorresti ricordare la tua famiglia?", incalzò, mentre la scena mutava in una casa che bruciava nelle Highlands.
"Dimmi un solo motivo perché tu voglia mantenere i tuoi ricordi, bambina! Dillo e chissà che tu non riesca a muovermi a compassione!", la derise quella nera entità che vagava nella sua mente, come un parassita pronto a divorare ogni cosa.
"Non sono solo questi i miei ricordi, non possono esserlo.", bisbigliò fra se la giovane dalla maschera d’argento, "Anche se non lo fossero? Cosa speri di ottenere? Come speri di fermarmi? Guarda!", esclamò la nera figura, improvvisamente illuminata da una bianca luce, "Il Melograno del fiume Lethe sta per sbocciare, una volta che sarà dischiuso, non avrai più di che preoccuparti di queste spiacevoli memorie! Sarai rinata!", la assicurò la donna.
Cercò di concentrarsi la giovane, di focalizzare la propria mente, di sfuggire da quei ricordi tristi per aggrapparsi ad altri più felici; si vide bambina, mentre giocava con un bimbo dai lineamenti simili ai suoi, ma ricordo dopo ricordo, l’immagine della casa bruciata tornava ad infestare la sua mente, mentre la nemica rideva soddisfatta, si concentrò, il più possibile, dando alito a tutte le proprie energie, finché non la scena non cambiò del tutto.
Non era più fra le montagne della sua terra natia, quale essa fosse, ma in un bosco, dove si trovava un gigantesco castello, lì un uomo stava istruendo lei ed il musico; sentiva il freddo della distanza e del disprezzo che l’altro aveva nei suoi confronti, ma oltre quello, vide l’uomo, i cui lineamenti, però, le apparivano confusi, avvicinarsi alla giovane se stessa.
"Immagino che tu e Gustave abbiate litigato.", esordì l’uomo, "No, maestro… è solo che…", balbettò incerta la fanciulla, "Non ti preoccupare piccola Gwen, conosco bene il mio allievo, so quanto spesso possa essere orgoglioso, ma speravo che le mie parole dell’altro giorno gli portassero giovamento, non ulteriore arroganza.", analizzò con tristezza l’uomo.
"Mi dispiace per ogni possibile problema che possa averti dato, speravo di averlo cresciuto migliore di come, invece, mi appare alcune volte… così simile a… me.", si scusò con rammarico il cavaliere, "No, maestro, voi siete un’ottima persona, mi avete accolto nella vostra casa ed addestrato, non avrei potuto chiedere niente di più.", s’affrettò ad assicurarlo la giovane allieva.
"Quindi Gustave non è un’ottima persona?", rifletté l’altro, accarezzandole con affetto paterno i capelli, "Non preoccuparti, Gwen, spero solo che un giorno tu possa avere di nuovo una vera famiglia che ti apprezzi e ti offra l’affetto che meriti e che né il mio poco ottimo allievo, né io, riusciremo mai a donarti.", le disse, "Ed un giorno, quando avrai trovato le persone degne del tuo affetto, tu saprai anche offrire loro tutta la tua forza ed assieme ad essere vincere le avversità della vita, poiché è questo che fa una famiglia.", concluse.
Il ricordo iniziò a sbiadire, ma nella mente della giovane guerriera quelle parole rimasero vivide: "Una famiglia…", mentre nuovi lampi di passate battaglie illuminavano di molteplici colori la stanza ormai quasi satura di bianco.
Vide se stessa che prendeva fra le braccia un’altra donna mascherata ed assieme si allontanavano, travolti dalla potenza dell’attacco di un uomo con uno scettro scarlatto; poi assieme ad altri otto compagni combattere contro un anziano guerriero dalle vestigia verdi, in una sala piena di vasche d’acqua; quindi vide se stessa, priva di maschera, affrontare un individuo dall’armatura rossa come il sangue, assieme ad un giovane dagli occhi chiusi ed infine si osservò assieme a quelli stessi compagni, il guerriero dagli occhi chiusi, ora aperti, e la ragazza dai capelli rossi, oltre ad altri, mentre discuteva con il musico biondo.
"Una famiglia…", ripeté fra se la sacerdotessa di Atena, mentre il suo cosmo esplodeva invadendo la sala e riempiendola di piume corvine, che scacciarono il bianco fiore, con sempre maggiore determinazione, rivelando, ad ogni contatto, nuovi ricordi, che tornava alla sua mente, alcuni dolorosi, altri belli, ma tutti egualmente importanti per lei.
"Complimenti, bambina, sei riuscita a risvegliare in te un potere tale da resistere al Melograno Bianco, ma che ne sarà delle tue compagne? Esse sono quasi prive di memoria, ormai.", avvisò la voce che, adesso, Gwen sapeva essere della Ladra di Divinità loro nemica, prima di scomparire dalla sua mente.
Fu così che anche la sacerdotessa guerriero si mosse, cercando il legame che aveva, poco prima, formato con le parigrado.
"Chi vuoi salvare per prima, ragazzina? La tua coscienza può raggiungere quella delle tue compagne, ma singolarmente, io, al contrario, sto aspettando che il Fiore della Memoria cresca, contemporaneamente, dentro ognuna di loro.", schernì ancora Persefone, mentre la sacerdotessa volava, sulle nere ali del corvo, fino a raggiungere quella che immaginava essere la più in pericolo fra tutte loro.
La trovò inginocchiata al suolo, il volto, coperto dalla maschera, che osservava il bianco melograno cresce e riempire la sala del suo candido colore.
"Canis Maior…", la chiamò con gentilezza Gwen, avvicinandosi alla manifestazione della coscienza dell’altra, che, però, nemmeno si voltò verso di lei.
"Guardala, piccola psichica! Ormai ha rinunciato a se stessa per rinascere!", esultò gioiosa Persefone, apparendo dal fiore stesso, "Osservala rinascere, comprendi a cosa hai rinunciato!", rise soddisfatta, mentre la sacerdotessa osservava la propria parigrado, adesso priva anche degli ultimi frammenti d’armatura, con un corpo che appariva illeso e coperto da una tunica bianca e, cosa ben più sconvolgente, priva di maschera.
"Cassandra, non ti abbandonare ai poteri di questa Ladra di Divinità!", la esortò prontamente l’allieva di Remais, "Ricorda la tua maschera, i tuoi doveri!", incalzò ancora e, intorno a loro, l’ambiente cambiò forma.
"Addio, Cassandra, perdonami se non ho saputo essere all'altezza delle tue capacità e ho dovuto dare la vita, per ben due volte, per vincere i miei nemici; chiedi scusa, in mio nome, alla Maestra Olimpia per la mia incapacità come sacerdotessa guerriero…", sussurrò una voce, mentre un’altra sacerdotessa guerriero, stretta ad un nemico dalle vestigia nere, che però non ricordavano a Gwen nessuna sacra armatura, esplodeva in un mare di luce.
L’allieva di Olimpia allungò il braccio destro, il volto, visibile e segnato dalla sofferenza che quel ricordo le risvegliava, "Sì, ricorda tua sorella, sacrificatasi per una dea che non vi ha mai considerato, ricordati il motivo per cui vuoi dimenticare!", ribatté l’oscura avversaria.
Gwen ricordò, allora, le parole di Dorida sulla sorella di Cassandra, morta durante la battaglia in Polinesia e, proprio quelle sue memorie, condivise con la parigrado.
"Agesilea e Cassandra sono state le uniche altre sacerdotesse, oltre me, ad essere addestrate nei campi per il nostro ordine al Santuario. Quando eravamo più piccole vi erano anche altre ragazzine con noi, ma poi, rimanemmo solo noi tre.
Loro erano le discepole di una dei Custodi Dorati, io, come sai, sono stata addestrata dalla maestra Bao Xe, ma non per questo volevo mostrarmi più debole di loro e quindi con Agesilea bisticciavamo parecchio.
Forse era colpa mia, del mio carattere infuocato.", aveva ammesso con tono scherzoso la spagnola, "Ad essere sincera, però, devo ammettere che ho sempre invidiato il loro legame: l’affetto reciproco e la fiducia che ognuna delle due sapeva dare ciecamente all’altra.", aveva poi aggiunto.
"Non ricordi quanto tua sorella avesse fiducia in te, sacerdotessa? Non abbandonarti allo sconforto! Agesilea è caduta, è vero, ma proprio per questo non puoi disonorare la sua memoria arrendendoti a questa Ladra di Divinità!", la spronò Gwen, "Ricorda tua sorella, Cassandra!", la supplicò, mentre ancora le memorie, prossime a svanire, della sacerdotessa di Canis Maior, stavano prendendo forma nello spazio attorno a loro.
Erano di certo ad Atene, l’ambiente ricordava i luoghi che, seppur brevemente, la stessa Gwen aveva visto, e la fanciulla che si manifestò dinanzi a lei era la stessa che si era sacrificata contro l’avversario dalle vestigia nere.
"Non ti vedo in volto, sorella, ma so che sei dubbiosa… ti preoccupa qualcosa?", domandò Agesilea, "Dorida è partita per una missione e ho sentito dire da Ayra che anche Bao Xe partirà a breve.", spiegò la voce di Cassandra.
"Bene! Probabilmente le prossime ad essere mandate in missione saremo noi!", esultò la più giovane, "Non essere così entusiasta, sorella: qualsiasi sia la battaglia cui dovremo partecipare, se accadrà, sarà un rischio per le nostre vite.", spiegò la maggiore, prima che l’altra le poggiasse una mano sulla spalla.
"Sono sicura che, quale che sia il pericolo, tu sopravvivrai!", la rassicurò la guerriera dell’Aquila, "Noi sopravvivremo.", la corresse prontamente la più grande.
"Lo spero, sorella, ma, almeno, so che tu supererai ogni pericolo: hai la forza della Fede!", esclamò sicura Agesilea, "Anche tu hai quella stessa forza e poi non potrei pensare di vivere senza di te attorno.", le rispose Cassandra.
"Non c’è questo rischio!", continuò quella di rimando, allontanandosi, "Semmai il destino decidesse di dividerci: so che vivrò sempre nei tuoi ricordi e nel tuo cuore, così come tu vivrai nei miei.", sentenziò sicura la più giovane.
"Vuoi che tua sorella muoia di nuovo, sacerdotessa di Canis Maior? Vinci questo maleficio! Ricorda Agesilea!", la spronò Gwen, lasciando che poi fosse l’altra ad agire, a concentrarsi e ricordare, finché il cosmo dell’allieva di Olimpia esplose nell’ambiente, distruggendo il grande fiore bianco e lasciando che i frammenti dello stesso prendessero le forme della sua armatura e della maschera sul corpo, mentre immagini della defunta sorella minore riempiessero l’ambiente.
"Grazie, Corvus…", bisbigliò la discepola della Leonessa d’Oro, prima che l’altra la invitasse a seguirla, al di fuori da quello spazio, ora pieno di ricordi.
"Andiamo a salvare le nostre compagne.", suggerì.
Non ci volle molto perché, seguita dalla coscienza della parigrado, Gwen arrivasse in un altro ambiente dove ora brillava un bianco melograno, sotto le cui ampie foglie era inginocchiata la figura di Dorida.
"No!", esclamò sgomenta la sacerdotessa che per diversi giorni aveva combattuto al fianco della rossa ispanica nella città di Anduruna, poiché era sicura che, di tutte loro, Dorida fosse quella più ferma ed impossibile da vincere con quel tipo di controlli mentali.
Ancora maggiore fu la sorpresa nell’urlo soffocato di ambedue le sacerdotesse guerriero nel vedere la compagnia con la bianca tunica, ma priva sia di maschera che di volto alcuno.
"Non è stata una preda poi così difficile da vincere… mancava di un’identità che non fosse quella datale dalla sua stessa maschera.", rise la voce di Persefone, che echeggiava nell’intero ambiente.
"Perché vuoi essere schiava di una dea vergine e guerriera, che manda al massacro milioni di giovani, anziché essere semplicemente te stessa? Odiavi così tanto la ragazza che eri prima di diventare la persona che indossa questa maschera?", esclamò d’improvviso una voce di donna, mentre un volto, sconosciuto alle due consacrate di Atena, prendeva forma fra i ricordi di Dorida.
"Amaltea deve aver fatto breccia nelle sue certezze…", ridacchiò la Ladra di Divinità, riconoscendo la guerriera dell’Auriga Nera, che sapeva aver combattuto e perso lungo il corridoio Meridionale di quel Tempio.
"Non può essere vero! Dorida ha sempre adorato il proprio ruolo e la maschera che indossava!", esclamò stupita Cassandra, "Dunque è tempo che lo ricordi anche lei…", sussurrò Gwen, richiamando alla mente gli avvenimenti del giorno prima, mentre si riprendevano dalla passata battaglia ad Anduruna.
Le pareti di quello strano ambiente cambiarono di nuovo, offrendo un nuovo scenario alle figure femminili lì presenti: gli interni del palazzo principale di Accad, i giardini dove, giorni prima, proprio la sacerdotessa della Sagitta aveva salvato la vita della propria compagnia d’arme contro l’Ummanu di Khuluppu, la stessa che, in quel ricordo, stava curando le loro ferite.
"Un vero peccato che questo giardino sia andato distrutto dalla follia di Nanaja…", osservò proprio Dorida, "Questo giardino è solo un luogo, per quanto bello; il mio vero rimpianto è per la morte di tutti i miei amici e compagni e per il sacrificio dei vostri due pari che hanno dato la vita perché il folle piano di Baal non potesse compiersi.", affermò triste l’Ummanu.
"Mi preoccuperò di curare le piante che qui si trovano quando la guerra contro gli alleati di Baal sarà conclusa ed il Divino Shamash sarà libero.", aggiunse poco dopo, cercando di darsi forza la giovane accadica.
"Sei stata una temibile avversaria, Ninkarakk, e ora sei un’alleata ancora più di valore, non credo che sarei sopravvissuta ai tre giorni di battaglie in questo luogo, senza le cure dell’Albero della Vita di cui mi hai fatto dono.", ringraziò allora la sacerdotessa della Sagitta, "Sei stata un’avversaria capace anche tu, seguace di Atena, non sottovalutarti, sei molto più di ciò che mostri.", si complimentò di rimando l’altra.
"Le vostre maschere servono proprio a questo, immagino, ad impedire d’intuire il vostro vero aspetto, anche se, devo ammettere, come strategia mi lascia parecchio sorpresa. I vostri volti non sono mai accarezzati dai raggi del sole?", chiese l’Ummanu.
"Le nostre maschere sono molto più di questo: sono il simbolo della nostra dedizione alla dea Atena ed al nostro ruolo. Una sacerdotessa guerriero che viene vista senza maschera da un uomo ha solo due opzioni, ucciderlo, o amarlo, proprio perché noi rinunciamo alla nostra femminilità, almeno in parte, per compiere al meglio il nostro dovere verso la Giustizia.", spiegò Gwen alla loro nuova alleata.
"Sembra una triste sorte la vostra…", rifletté Ninkarakk, "Al contrario, dà ancora più valore alle nostre persone. La maschera non è una negazione della nostra femminilità, è un simbolo della nostra determinazione nel rispettare una causa e, allo stesso tempo, del legame che un giorno forgeremo con l’uomo che abbiamo scelto di amare.", rispose prontamente Dorida.
"Io sono fiera di questa maschera, è il simbolo della mia rinascita come sacerdotessa di Atena, dopo aver vissuto per tanti anni come semplice orfana per le strade della città dove sono cresciuta; è il simbolo della fiducia che la maestra Bao Xe mi ha concesso, addestrandomi e parte stessa della mia identità.", concluse la sacerdotessa della Sagitta.
Quando quel ricordo si affievolì, le due sacerdotesse guerriero si portarono dinanzi al volto, privo di lineamenti, della compagnia: "So bene che non sono state le parole di quella nemica oscura a confonderti, Dorida, ma il frantumarsi della tua maschera!", esordì subito la guerriera di Corvus, "Ritorna in te! Sei più del velo che cela il tuo volto! Non è l’unico metro per dimostrare il tuo valore, né serve per confermare la tua lealtà verso Atena! Sei tu stessa l’emblema maggiore della tua lealtà alla Giustizia!", aggiunse Cassandra e, a poco a poco, le due consacrate di Atene riversarono i ricordi condivisi con la parigrado nella memoria della stessa.
"Ricorda chi sei, al di là della semplice maschera!", la incalzò Gwen, "Ricorda le battaglie vissute assieme!", continuò, mentre già il caldo cosmo di Dorida si risvegliava, incendiando l’ambiente ed il Fiore Bianco, dalle cui ceneri ripresero forma le vestigia della Sagitta e le memorie della rossa ispanica, che le osservò attraverso i propri occhi, mentre una maschera, simile a quella che Amaltea le aveva distrutto, le copriva di nuovo il viso, lì, all’interno della sua coscienza.
"Manca Iulia…", osservò l’allieva di Bao Xe, "Andiamo a soccorrerla, se ve n’è bisogno.", suggerì Cassandra, prima che le tre si muovessero all’unisono verso l’ultima loro parigrado.
La coscienza della sacerdotessa dell’Altare, però, non era stata vinta dalla presenza nemica come le altre: le tre guerriere d’argento non trovarono il Bianco Fiore brillante e rigoglioso, bensì il Melograno sembrava quasi spento, circondato da diversi gigli che brillavano di una luce molto più intensa.
"Non è avversaria da poco l’allieva del Sommo Sacerdote.", analizzò con genuina sorpresa Dorida, raggiunta la compagnia assieme alle altre, prima che la voce di Persefone echeggiasse nell’aere: "Questo è vero! Non avrei immaginato che avrebbe saputo resistere alla Dimenticanza!", ammise.
"In fondo, per quanto i nostri poteri prendano forma attraverso i fiori, sono semplici manifestazioni del nostro cosmo e maggiore è la padronanza dello stesso, maggiore è la consapevolezza di noi! Il Sommo Oracolo mi spiegò tutto ciò durante gli anni d’addestramento e certo non basterà qualche insulso inganno e l’insinuarsi del tuo potere malevolo nella mia mente, perché tu abbia ragione, Oscura Ladra di Memorie! Osserva, adesso! Anche se questi non sono veri fiori, l’effetto sarà comunque lo stesso: Martagonae Mortis!", invocò Iulia cercando di attirare a se tutto ciò che restava del Bianco Melograno, assorbendone il potere attraverso dei candidi gigli.
Il cosmo della giovane discepola di Sion esplose di determinazione, mentre i fiori da lei generati brillavano fino a circondarla di luce, donandole di nuovo, seppur solo in quel piano della coscienza, le vestigia che le erano proprie, integre e pronte per la battaglia.
"L’armatura dell’Altare…", ringhiò la voce di Persefone, mentre l’ambiente attorno alle quattro sacerdotesse mutava, portandole in un luogo a tutte loro ignoto e, all’apparenza, incredibilmente antico.
"Che posto è mai questo?", domandò per prima Dorida, "Di chi è questo ricordo?", incalzò Cassandra, "Della Ladra di Divinità…", rispose prontamente Gwen, mentre tutte loro osservavano un esercito di uomini dalle vestigia oscure, differenti sia dai nemici affrontati nel tempio di Eolo, sia dai guerrieri d’Africa incontrati in Polinesia.
"Spectres… i servitori di Hades.", commentò Iulia dell’Altare, riconoscendo le vestigia di quei guerrieri, per la maggior parte caduti al suolo, sconfitti da un gruppo di cinque, o poco più, santi di Atena, capitanati da un uomo le cui vestigia erano chiaramente le stesse dell’allieva di Sion.
"Forza, cavalieri! Il nobile Ulisse sta compiendo il miracolo! Egli è sceso fino negli Inferi con i propri compagni per impedire che i servi di Hades potessero ancora tornare alla vita, battaglia dopo battaglia, a noi spetta una missione di altrettanto valore: vendicare il Sommo Sacerdote, il grande Agamennone!", invocò il giovane, lanciandosi avanti assieme ai compagni verso gli ultimi due nemici ancora in piedi.
Osservando la scena, le quattro sacerdotesse videro che, confusi fra i cadaveri degli Spettri, vi erano anche alcuni santi di quella generazione, anche se nessuna di loro riusciva ad individuare dove fosse Persefone, come potesse quella essere una sua memoria.
"Egisto, Clitennestra, voi, assassini!", li chiamò il giovane cavaliere, rivolgendosi ai due servi di Hades ancora in vita.
"Ti prego, giovane Oreste, non confonderci con le persone che eravamo prima del nostro risveglio! Io sono Aiace, la Garuda il mio simbolo, Giudice degli Inferi il mio titolo! E questi è…", ma l’esplosione del brillante cosmo del guerriero avverso lo interruppe dal parlare ancora.
"Non ho interesse per i nomi che il Signore degli Inferi vi ha dato, sappiate piuttosto che sarà Oreste dell’Altare, primo discepolo del defunto Agamennone, a finirvi, maledetti assassini!", li accusò prontamente.
"Lui ed i suoi compagni!", esordì un altro cavaliere al suo fianco, assieme ad una sacerdotessa guerriero, "Pilade di Andromeda ed Elettra del Cavallo!", si presentarono i due.
Il resto della battaglia fu una caotica sequela di attacchi da parte dei cinque santi e del duo nemico, finché, alla fine, loro Oreste ed Elettra rimasero in piedi, feriti, stremati, ma non su di loro si concentrarono i ricordi di Persefone, bensì su Aiace della Garuda che cercò con la mano il contatto dell’alleata, anch’ella moribonda al pari suo.
"Fino alla nostra prossima vita, mia fiera compagnia…", sussurrò il Giudice Infernale e quello fu l’ultimo ricordo.
Solo allora la Greca riapparve nella vuota coscienza assieme alle quattro nemiche, "Liete di aver visto la prima delle mie tanti morti? Vorreste osservarmi combattere l’ultima Guerra Sacra, o magari una delle precedenti, per soddisfare la vostra curiosità?", domandò la guerriera dei Pesci Oscuri, "Sapete cosa si prova ad aver vissuto molte vite, sempre lottando per stare assieme all’uomo amato ed esserne costantemente allontanata per i capricci delle divinità? Ebbene questa è stata la mia sorte prima che Giano mi risvegliasse!", esclamò lasciando esplodere il proprio cosmo.
"Ora è tempo che anche voi vi risvegliate, seguaci di una divinità, poiché avete rifiutato la Dimenticanza e dunque solo la morte e la sofferenza vi attendono!", imperò la voce di Persefone, mentre la sua energia esplodeva in quel vuoto spazio, spezzando il legame fra le cinque menti.
Le quattro sacerdotesse guerriero si guardarono intorno, ritrovandosi di nuovo nel Tempio di Eolo; notarono, nell’altro versante della Sala, Damocle che combatteva contro il traditore dei Dominatori, mentre sul tetto, sentivano l’infuriare dei venti dell’altro combattimento.
"Come già vi ho detto, piccole sacerdotesse…", esordì la voce di Persefone, in piedi con le nere vestigia dei Pesci, "Avete vinto il Fiore della Dimenticanza, che sul fiume Lethe è germogliato, ma ben più dolorose e potenti armi possiedo! Permettetemi di mostrarvi la seconda: il Melograno Rosso, nato dalle acque del Flegedonte, nelle profondità del Tartaro.", esclamò, rivelando lo scarlatto fiore fra le proprie mani.
"Non ti daremo certo il tempo di usarlo su di noi!", esclamò prontamente Dorida, lanciandosi in avanti, assieme alle compagne.
"Flecha Grande De Fuego!", invocò la sacerdotessa ispanica, "Kunegos Fotismou!", si affiancò prontamente l’allieva di Olimpia del Leone, "Plumes Corneille!", continuò la guerriera del Corvo, mentre i tre attacchi energetici si dirigevano all’unisono contro l’oscura avversaria.
Bastò, però, un istante perché Persefone sollevasse sopra di se il Rosso Fiore, che generò grossi petali che attorno alla malefica nemica s’avvolsero, subendo sulla propria superficie il potere dei tre attacchi coordinati.
Una risata proruppe dall’interno di quella scarlatta difesa, "Ridi di noi? Ombra e Ladra? Ebbene non riderai ancora per molto!", imperò in tutta risposta Iulia dell’Altare, mentre nuovi gigli dal bulbo arancio iniziarono a circondare l’oscura avversaria, "Bulbifera Solis, devasta!", invocò, lasciando detonare il potere della propria arma d’attacco che, però, dopo la grande deflagrazione ed il sollevarsi di innumerevoli macerie, si rivelò inutile, avendo lasciato la difesa scarlatta immacolata, così come s’era mostrata alle quattro guerriere.
Le sacerdotesse di Atena non si persero d’animo: subito Gwen scattò in avanti, seguita da Dorida, "Lascia tentare me, prima di fare qualcosa d’azzardato!", suggerì l’allieva di Remais, spiccando un agile balzo verso la parete rossa che le divideva dalla nemica, "Griffe de l’Esprit!", invocò la sacerdotessa del Corvo, usando l’Artiglio Spirituale per aprire un varco nella difesa nemica.
Fu proprio nel lieve appassire di alcuni di quei petali che Iulia si lanciò, oltrepassando una più che sorpresa Dorida, "Martagonae Mortis!", invocò la guerriera dell’Altare, scagliando i bianchi fiori addosso all’oscura nemica.
Solo quando, però, Iulia oltrepassò l’avversaria, Cassandra e Dorida si resero conto che Gwen era al suolo, dolorante, costretta a stringere il braccio con cui aveva inferto il proprio attacco e, adesso, anche Iulia era inginocchiata, poco lontano da lei.
"Povere sciocche, pensare di vincere così sul Fiore che nel fiume Flegedonte è nato! Assaporate, dunque, la vera sofferenza, assaporate, e morite, della mia assoluta difesa e devastante arma d’offesa: Anthos Paschou!", imperò Persefone, prima che i rossi petali esplodessero in ogni direzione, diretti contro le quattro guerriere d’argento e, allo stesso tempo, rivolti verso l’alto, lì dove ancora i Dominatori combattevano contro il Sagittario Nero e, anche, nella zona dove Damocle di Crux si trovava assieme ai restanti seguaci di Eolo.
Avrebbe travolto tutti, la Greca, se una voce non fosse echeggiata nella Sala Centrale: "Speciosae Scudis!".
Barriere di rossi petali di gigli s’alzarono a proteggere i tre più lontani così come le sacerdotesse più vicine, barriere brillanti d’energia cosmica, la stessa che Iulia dell’Altare bruciò oltre ogni limite, sfruttando le ultime riserve d’energia rimastele e lasciandosi al di fuori di quelle protezioni, immobile a subire i dardi nemici, da cui iniziarono a germogliare rossi fiori.
"Una eliminata, poche altre che ben presto la raggiungeranno.", sussurrò divertita Persefone a quella vista.
La battaglia stava per raggiungere la sua conclusione.