Capitolo 3: Bronzo
Quando il cavaliere di Orione li aveva mandati a chiamare, i cinque giovani santi di Bronzo erano rimasti stupiti: sapevano che qualcosa era accaduto, qualcosa d’importante, le voci su come diversi guerrieri dalle vestigia d’argento si fossero riuniti ad Atene per poi partire, per diverse missioni, da cui un minor numero aveva fatto ritorno, s’erano diffuse ovunque fra i soldati e gli aspiranti cavalieri.
Ora, finalmente, anche loro erano stati resi partecipi dei fatti: Degos di Orione li aveva radunati per parlargli.
"Non voglio mentirvi, giovani cavalieri, la guerra sta per scatenarsi in questo Santuario. Ombre malefiche stanno per calare tenebre di violenza sul Tempio di Atena e per evitare che anche le genti comuni rischino, ho mandato io stesso apprendisti e soldati semplici a Rodorio, perché possano difenderla ed a voi spetterà un compito del tutto simile: andrete sulla strada che porta dal tempio al villaggio e lì vi stazionerete di guardia", questo l’ordine che gli aveva dato, questo il motivo per cui le cinque figure dalle vestigia di bronzo erano lì radunate, sulla stretta strada che si apriva circondata da pareti di roccia.
"Il vecchio di Orione ci ha giocato un bello scherzo con questo compito di poco conto.", lamentò uno dei cinque, i corti capelli castani che lasciavano risaltare gli occhi verdi ed il viso che ne tradiva le origini teutoniche.
"Non dovresti parlare così di uno dei nostri superiori, cavaliere del Lupo.", lo ammonì una giovane sacerdotessa dalla maschera su cui era dipinto una sorta di becco, "Hans ha ragione, sacerdotessa della Colomba. Sono stato io stesso allievo, indirettamente, del nobile Degos e la sua scelta d’inviarci qui è stata compiuta per difenderci.", ribatté un altro cavaliere, lo stesso che ore prima aveva incontrato il santo di Orione.
"Grazie della conferma, Talos, ne sentivo bisogno.", lamentò il primo, Hans del Lupo, fermandosi, però, dal dire altro non appena avvertì decine di cosmi irrompere nei confini del Santuario per poi dividersi in tre direzioni diverse.
"Attaccano direttamente il Grande Tempio.", esclamò stupito Talos, "Solo una parte, alcuni sono diretti verso l’Arena degli scontri ed altri…", aggiunse Hans, fermandosi a sua volta, "Si dirigono qui.", concluse l’altra sacerdotessa guerriero presente in quel quintetto, una fanciulla dalla maschera che rappresentava un volto piangente e dai lunghi capelli biondi.
"Guardate!", li avvertì Mirea, indicando alcune sagome oscure che già stanziavano fra loro ed il Grande Tempio, "Sono, uno, due…", iniziò a contarli, prima che l’ultimo, un giovane dal capo rasato e con profondi occhi azzurri la interrompesse: "Cinque nemici. E guardate chi li guida.", suggerì preoccupato.
In effetti, alla testa di quei cinque nemici c’era un uomo dalle nere vestigia che brillavano di una sinistra luce dorata.
"Persino le vestigia d’oro hanno una controparte oscura?", domandò preoccupata Mirea, prima che proprio quel nemico facesse udire la propria voce: "Cavalieri di bronzo di Atene, non potevo certo lasciarvi qui a riposare, così, ho scelto di prendere con me un po’ di amici ed amiche e gustarmi il confronto fra il vostro bronzo ed il nostro argento nero, per vedere quale sia di qualità migliore.", esordì, voltandosi poi verso i suoi compagni, "Ippolita cara, vuoi occupartene tu?", chiese pacatamente ad una delle figure, che iniziò ad avanzare, verso il centro della strada.
Altrettanto fecero i cavalieri di Atena, muovendosi a loro volta.
"Allora, bambini, attaccate?", rise divertita la figura, espandendo un cosmo di scariche elettriche tutte intorno a se: aveva pallidi capelli color cenere e profondi occhi dorati che li scrutavano con famelica rabbia, il corpo era adornato da vestigia nere quanto i fulmini che da lei s’espandevano, vestigia che subito una delle sacerdotesse lì presenti riconobbe, "L’armatura della Sagitta!", esclamò quella.
"Esatto, ragazzina, sono Ippolita della Sagitta Oscura, ritornata in questo luogo patetico per pagare un debito alla giustizia che qui praticate.", rise divertita, invitando di nuovo i cavalieri di bronzo a farsi avanti.
"Sicuro che questa sia la strategia migliore, sommo Haoma?", chiese l’altra donna presente che fino a quel momento non aveva parlato, "Sei parecchio noiosa, lo sai, Tolué?", scherzò un altro dei presenti, lo stesso cavaliere nero dal volto pieno di cicatrici che faceva parte del Sestetto Oscuro, "E poi è così difficile vedere qualcuna della Sorellanza che combatte, sono proprio curioso.", aggiunse Duhkra, sorridendo con quel viso pieno di cicatrici.
L’altro guerriero nero d’argento mugugnò qualche frase confusa, "Non lamentarti, Gwyvin, la prossima battaglia sarà la tua, dai, te la concederemo… vero, maestro?", domandò il Pavone Nero, sorridendo al comandante, seduto al suolo ad osservare lo scontro, con la donna in nero in piedi al suo fianco.
Fu Talos del Leone Minore il primo ad avvicinarsi all’oscura avversaria, il cosmo duro come la pietra ed immane come una montagna.
Il cavaliere attaccò con un veloce diretto ricco di uno sfavillante cosmo granitico, che non riuscì a trovare l’ombra, schiantandosi violento sul suolo, producendo una pioggia ascendente di lapilli dappertutto attorno a loro.
Lapilli che la nera nemica sfruttò come velo per lanciarsi in carica contro il cavaliere di bronzo, cercando di colpirlo con una serie di veloci calci sfilanti di scure scariche, scariche che, però, in parte raggiunsero il cavaliere di Atena: Talos evitò il primo due colpi, abbassando, per poi essere travolto dal secondo e riuscire a difendersi dal terzo solo sollevando le braccia, incurante delle ferite subite, il cavaliere sferrò un violento gancio destro allo stomaco dell’avversaria, un pugno, singolo e feroce, che trovò la mano sinistra della nera guerriera a bloccarlo, "Mi dispiace, ragazzino, ma ti sopravvaluti!", lo derise, lasciando esplodere delle scariche elettriche proprio a contatto del cavaliere di bronzo, spingendolo indietro di diversi metri.
Un urlo, in quello stesso momento, echeggiò nell’aere, anticipando il violento calcio ad ascia che avrebbe potuto colpire in pieno la nera guerriera, se questa non si fosse spostata, evitando il colpo, per poi osservare chi lo aveva portato: Hans del Lupo.
"Urlare per distrarmi? Un modo nobile, ma stupido, per aiutare il tuo compagno in difficoltà!", lo derise Ippolita, guardando al secondo nemico che si trovava davanti, "Non era mio interesse salvarlo! Non ho alcun affetto per nessuno di loro: poter sfruttare la tua distrazione a mio vantaggio era ciò a cui puntavo, peccato aver fallito!", ribatté deciso il cavaliere di bronzo, "Inoltre, volevo capire qualcosa di più delle tue abilità, per poi colpire.", aggiunse, scattando avanti con decisione.
"Temo allora tu abbia sbagliato tutto, ragazzino!", rise la Sagitta nera, vedendolo avvicinarsi ed espandendo il cosmo attorno a se, per poi lanciarsi all’attacco a sua volta, scatenando un violento gancio sinistro contro lo sterno del giovane, che, in tutta risposta, emise un lungo e violento ululato, incassando il colpo avverso, prima di essere scagliato indietro di diversi metri.
"Ora, vediamo chi di voi due ucciderò per primo!", avvisò ancora Ippolita, scrutando il Leone Minore ed il Lupo al suolo, prima che una terza voce echeggiasse: "Nessuno di loro!", urlò una ragazza, prima che, veloci e decise, due sagome si lanciassero alla carica all’unisono, le due sacerdotesse guerriero.
Uno sguardo di puro disprezzo si dipinse sul volto di Ippolita, "Voi, le vostre maschere… quanto disgusto mi procura anche solo vedervi, anche solo ricordare tutto ciò che quelle maschere significano!", ruggì, mentre scariche elettriche saettavano contro le due, costrette a spostarsi per evitarle.
"Non so di cosa tu parli, straniera! Ora, solleva le tue difese!", minacciò decisa Mirea, espandendo il bianco cosmo, "Leuké Ftera!", invocò, scatenando una pioggia di piume candide contro la nera Ombra, piume che, però, mai raggiunsero il bersaglio, bruciate dalle saette avversarie.
"Insulsa ragazzina, tu non sai niente!", la accusò, pronta a scattare contro di lei, per poi trovarsi improvvisamente stordita e, poco dopo, immobile, bloccata da fili d’energia cosmica, che le si erano legati alle gambe e stavano risalendo verso le braccia; "Tekercselés Haj!", sussurrò in quello stesso momento la sacerdotessa della Chioma di Berenice, mentre capelli di puro cosmo scivolavano da lei verso la tetra nemica.
"Stupide ragazzine!", ringhiò furiosa la nera nemica, "Eccovi una prima lezione di vita: mai sacrificarsi per dei maschi!", ruggì aprendo le mani dinanzi a se, verso le due sacerdotesse ed i cavalieri a loro vicini.
"Beli Skotadi!", invocò la Sagitta Oscura, scatenando decine di frecce di neri fulmini dalle proprie mani, disperdendo i lunghi capelli che la bloccavano e dirigendo poi la tetra selva di dardi contro i quattro bersagli che, oltre che probabilmente non avrebbero potuto salvarsi, se non fosse stato proprio Talos a muoversi per primo, colpendo il terreno con il pugno, "Fortis Talon!", urlò, liberando la furia del proprio colpo contro la dura roccia, che volò attorno ai quattro santi di Atena, proteggendoli dal più dell’attacco avverso.
Fu in mezzo a quella pioggia di lapilli e fulmini neri che una figura avanzò, silenziosa ed agile, portandosi a breve distanza dalla nera nemica, prima di lasciar brillare un accecante cosmo tutto attorno a se, "Morsus Lucis!", invocò la sagoma brillante, gettandosi contro la Sagitta Oscura che, presa alla sprovvista, subì in pieno l’attacco, ricevendo qualche leggera ferita al corpo ed un grave danno alla spalliera destra dell’armatura, che si frantumò sotto la pressione di quel colpo, un colpo inferto dall’ultimo dei santi di bronzo, Darius della Lince.
"Ottimo attacco, cavaliere!", si complimentò subito Mirea, "Niente di che, se non fosse stato per il mio aiuto.", lamentò poco lontano Hans del Lupo, rimessosi in piedi ed affiancatosi agli altri compagni, "Quale attacco?", domandò, con tono evidentemente derisorio, la sacerdotessa della Colomba.
Uno sguardo di disappunto si dipinse sul volto di Hans, mentre si voltava verso il cavaliere della Lince, ma non poté dire molto di più, non sul momento, "In fondo, cavaliere del Lupo, tu sei l’allievo di Husheif del Reticolo, ma Darius è stato addestrato da Amara in persona!", sottolineò poco dopo la sacerdotessa.
L’ombra di un sorriso, per quanto triste, scivolò sul viso di entrambi i cavalieri di bronzo: per tutti, Amara del Triangolo era una leggenda vivente, il santo d’argento che più di tutti era vicino alle peculiarità proprie dei custodi dorati.
Il giovane pelato, però, conosceva meglio di altri il santo d’argento: avevano passato poco tempo assieme, un anno, un periodo in cui Darius lo aveva seguito durante i suoi viaggi al servizio del Santuario, un periodo in cui aveva appreso molto sul controllo e l’utilizzo del cosmo, oltre a capire quanto vasto fosse il potere di Amara. Ed ora, che ne avvertiva il cosmo in meditazione, in un’altra area del Grande Tempio, un cosmo che ancora stava riprendendosi dalle battaglie passate, il dubbio sorgeva nel cuore della Lince di Bronzo, un dubbio su quante possibilità potessero avere loro, giovani santi, contro nemici così potenti, contro chi guidava quelle Ombre nere, come l’uomo seduto che li osservava divertito.
Quel dubbio, poi, era arricchito dalla vista e dalla percezione degli scontri attorno a lui: sia loro cinque lì, sia gli altri cosmi che s’espandevano in dure battaglie per tutto il Santuario, già sentiva, Degos di Orione e Bao Xe della Musca che duellavano contro qualcuno nell’arena dei Tornei, mentre gli allievi del Sagittario correvano nella loro direzione e, poco più lontano, anche il vasto cosmo di uno dei cavalieri d’oro si era acceso; ma oltre loro, altri cosmi ovunque si accendevano in battaglie, cosmi di compagni, di conoscenti, di alleati e di sconosciuti, di amici e di nemici.
Fu, però, un tuono a richiamare l’attenzione di tutti i presenti, perfino dall’assorto Darius, sullo scontro che li interessava: un tuono a cui ben presto seguirono neri fulmini, assieme alla figura, di nuovo in piedi, di Ippolita.
"Un colpo fortunato il tuo, piccolo sciocco senza capelli!", minacciò decisa l’Oscura Sagitta, scrutando i cinque guerrieri, prima di barcollare, leggermente stordita, un fatto che a nessuno dei santi di Atena sfuggì, ma a cui solo Hans replicò con una secca risata.
"Vedete?", esclamò indicando la nemica, "Questo è l’effetto del mio attacco! Non di quello di Darius il grande allievo del Triangolo!", sbottò, "Non il Morso di Luce è stato, ma prima ancora, quando mi ha raggiunto con un pugno, in quel momento l’Ululato Devastante, il mio Heulen Wrack, quello ha danneggiato l’equilibrio della nostra avversaria!", spiegò soddisfatto, guardando con superbia tutti i presenti.
Era come gli aveva spiegato il cavaliere d’argento che gli aveva fatto da maestro: "Non avere pietà, non mostrare mai compassione e, più di tutto, non fidarti mai di nessuno. Nemmeno di me.", queste le parole che gli aveva rivolto il primo giorno Husheif di Reticulum, quando Hans, dopo aver sofferto oltremodo per mano di quel guerriero, aveva ricevuto il beneplacito dello stesso, forse stanco di torturarlo, forse stupito dalla determinazione che dimostrava, ad addestrarlo. E da quel giorno, l’egiziano guerriero di Atena aveva continuato a ripeterglielo, fino alla mattina precedente alla sua partenza per Accad, l’ultimo giorno in cui s’erano visti.
"Non avrò pietà di te, Ombra, poiché tu sei una preda, e non l’avrò nemmeno degli altri tuoi compari! Poiché io sono un fiero predatore, un lupo!", sentenziò Hans, parafrasando una delle tante lezioni ricevute da Husheif, prima di scagliarsi alla carica, scatenando di nuovo l’Heulen Wrack in direzione della nemica.
Ippolita, però, non si fece trovare impreparata: si spostò lateralmente sul proprio fianco sinistro, lasciando che l’attacco la raggiungesse proprio su quel fianco, subendo al qual tempo un violento pugno allo sterno, che la spinse indietro, non prima, però, di aver portato lei stessa un colpo a segno.
"Belos Astrapis!", ringhiò la donna a denti stretti, affondando le dita della mancina nello sterno del cavaliere del Lupo.
La scarica elettrica che scaturì da quel semplice contatto fu tale da sbalzare entrambi i combattenti indietro di diversi passi, ma mentre Hans caracollò, finendo seduto al suolo, Ippolita rimase in piedi, lo sguardo leggermente perso nel vuoto, con evidenti segni di nausea.
"Pensi che questo trucchetto basti, ragazzino? Non penserai che questo trucco mi fermi!", ruggì, affondando con la mano sinistra nel proprio cranio fino a staccarsi l’orecchio stesso, gettandolo al suolo, poco lontano, mentre già il discepolo di Husheif urlava dal dolore, con scariche elettriche che circondavano il suo sterno.
"Ed ora voi, insulsi maschi!", ringhiò ancora la guerriera nera, volgendosi verso Talos e Darius, aprendo le mani dinanzi a se, "Beli Scotadi!", tuonò, scatenando di nuovo la pioggia di frecce oscure dirette contro i quattro seguaci di Atena ancora in piedi.
Ancora una volta, fu il Fortis Talon del cavaliere del Leone Minore a bloccare la selva avversa, ma, stavolta, l’Ombra della Sagitta fu più pronta nel contrattaccare, oltrepassando con un balzo il suo stesso assalto e la difesa del santo di bronzo, per poi apparirgli alle spalle, "Belos Astrapis!", sussurrò, affondando la mano destra nella schiena del cavaliere, fino a piegarlo a metà dal dolore.
Fu allora che Darius si mosse, il cosmo lucente che lo circondava, Mirea al suo fianco, avvolta nel bianco chiarore della sua impronta energetica, i due si lanciarono alla carica, "Morsus Lucis!", esclamò il primo, "Leuké Ftera!", aggiunse la seconda, scatenando un’onda di luce e bianche piume.
Era già pronta a reagire Ippolita, quando avvertì un ulteriore cosmo avvicinarsi, quello di Ayra della Chioma di Berenice. "Stavolta no!", ridacchiò la nera Ombra, spiccando un agile salto, incurante del fluire di quel duo d’energie contro di lei, ma sollevando all’unisono le mani sopra il capo.
"Sham Katastroferas!", imperò la guerriera oscura, rilasciando un gigantesco globo di tetre energie elettriche, che si schiantò contro i due colpi dei cavalieri di bronzo, esplodendo all’impatto e producendo una tempesta di fulmini tutto attorno a se, fulmini che investirono in pieno tutti e cinque i santi di Atena, fulmini che evitarono, come se pilotati da volontà propria, la Nera Sagitta, e fulmini che furono fermati dal vasto cosmo del guerriero d’oro oscuro seduto poco lontano.
La violenza delle saette nere schiantò al suolo tutti e cinque i consacrati di Atena e fra loro atterò Ippolita, guardando con soddisfazione il proprio operato: Hans e Talos si agitavano ancora al suolo, doloranti per il Dardo del Fulmine, mentre gli altri tre stavano già iniziando a rialzarsi, feriti, con le vestigia in più punti danneggiate, ma ancora pronti a combattere.
Fu sul petto di Darius, però, che si posò il tacco della guerriera della Sagitta Nera, tenendolo fermo al terreno, "Insulsi piccoli uomini… questo dovrebbe essere il vostro posto: sotto il giogo di una donna!", rise divertita, prima di scrutare alle due sacerdotesse, "E voi, sciocche ed ignoranti ragazzine che credete nel valore di quelle schifose maschere che avete sul volto, voi, più di loro mi disgustate!", minacciò rabbiosa, prima di sferrare un violento calcio contro il volto del cavaliere a terra, lasciando che sputasse sangue al suolo.
"Maledetta!", ringhiò Mirea, alzandosi in piedi, di nuovo pronta a combattere, "Maledetta, io? Maledetto questo luogo piuttosto! E la falsa Giustizia che vi vige!", ribatté la donna dalle nere vestigia, scattando ed affondando la mano nello sterno del cavaliere della Lince, infierendo anche su di lui con il Belos Astrapis.
Un urlo di dolore proruppe dalle labbra del santo allievo di Amara, "Assaggia anche tu la furia del mio attacco, così come i tuoi due compari!", gli augurò, allontanandosi infine da lui, volgendo appena lo sguardo a gli altri due che si agitavano a terra, "Le scariche nere si nutrono del vostro cosmo, continuando a mordere le carni fintanto che ancora dell’energia fluirà attraverso le stesse!", spiegò con noncuranza, prima di lanciarsi alla carica contro le due sacerdotesse guerriero.
"Ayra, dobbiamo colpire con ciò che abbiamo di più potente, capito?", suggerì Mirea, correndo per prima contro l’avversaria, mentre la sua parigrado già espandeva il cosmo attorno a se.
La sacerdotessa di bronzo sollevò le braccia dinanzi a se ed una muraglia energetica la circondò, muraglia che, lentamente, si sfaldò in una serie di ricci che si legavano gli uni agli altri, diventando poi un cono brillante che s’alzava verso il cielo.
"Esku a Berenice!", invocò Ayra, "Che il giuramento di Berenice si avveli, che la chioma sia consacrata ed innalzata agli dei, come avvenne al tempo di Tolomeo III, che le stelle del cielo siano testimoni della mia determinazione in battaglia.", pregò la giovane guerriera mascherata.
L’ondata d’energia che seguì a quelle parole volò lesta verso la Sagitta Oscura, ma Ippolita fu rapida nel saltare ed evitare quel singolo, per quanto portentoso, attacco, "Sciocche bambine!", le ammonì, prima che una sagoma oscurasse il sole sopra di lei, "Tu sei la sciocca.", avvisò Mirea.
"Leuko Ptose!", esclamò ancora con decisione la sacerdotessa della Colomba, eseguendo un rapido movimento: bloccato il collo dell’ombra nera fra le proprie ginocchia, si piegò all’indietro, costringendo ad un’innaturale torsione la schiena dell’altra, che urlò di dolore, finché il fiato non riuscì quasi più ad uscire dai polmoni schiacciati.
In una rotazione a mezz’aria, la sacerdotessa di Bronzo riuscì a portare il corpo della guerriera oscura parallelo al suolo, con se stessa sopra di lei, le ginocchia che spingevano sul collo e sulla schiena e, in una picchiata circondata da candida energia cosmica, pronte a schiantarsi assieme.
Fu però all’ultimo che il cosmo di Ippolita esplose furioso, allontanando Mirea, costretta a lasciare la presa per il calore delle scariche elettriche; entrambe caddero al suolo, qualche metro di distanza l’una dall’altra, con Ayra che osservava, come paralizzata, le due nemiche rialzarsi entrambe ferite in maniera vistosa adesso.
"Dovevi colpirla mentre era a terra! Lei non ci mostrerà la stessa compassione!", la ammonì la sacerdotessa della Colomba, "Possibile che Bao Xe non ti abbia mai spiegato niente di tutto ciò? E nemmeno Dorida!", incalzò ancora, "O forse sono le forme della sua armatura a fermarti?", aggiunse.
L’altra non rispose, ma sapeva che nelle parole della sua parigrado c’era del vero: la sacerdotessa della Sagitta non avrebbe dimostrato pietà per quella nemica, non lo avrebbe fatto per nessuna nemica, allo stesso modo in cui non aveva mai dimostrato di saper sopportare ed accettare in silenzio gli scherzi delle due allieve della Leonessa d’Oro.
Ayra, però, era da poco discepola della Musca, aveva in Dorida una compagnia, ma la discepola di Ascanus era la sua guida, la sua insegnante, e lei vedeva la violenza come l’ultima strada verso la vittoria, al contrario di Mirea che, per quanto fosse una semplice messaggera, aveva appreso da Cassandra ed Agesilea, le due discepole di Olimpia, la via delle sacerdotesse guerriere, e nessuna delle due era mai stata famosa per la gentilezza, se non per quella che l’una rivolgeva all’altra, come sostegno reciproco.
Oltre a tutto ciò, la giovane guerriera della Chioma di Berenice non poteva negare una certa soggezione dinanzi all’armatura della Sagitta, per quanto quella fosse solo la sua oscura ombra.
"Bao Xe della Musca è ancora un’insegnante? Povere le sue allieve.", rise, con una nota di dolore nella voce, Ippolita della Sagitta Oscura.
"Come conosci la mia maestra, Ombra?", domandò, evidentemente sorpresa, Ayra, "Come ho già detto, mocciose, voi siete delle sciocche: fino a quattro anni fa, anch’io ero un’allieva di questo Santuario, anch’io indossavo come voi una maschera e credevo nella Giustizia di Atena, ma poi la realtà si manifestata a me in tutta la sua durezza.", affermò con tono serio e triste, "Se la Vergine Guerriera ha mai vissuto in questi luoghi e dato i suoi ordini ai santi che la proteggono, allora quelle parole devono essere state travisate e molto.", spiegò con voce dura.
"Come puoi dire una cosa simile? Tu, criminale scacciata da questi luoghi!", la accusò Mirea, "Criminale? Permettimi di raccontarti perché fui condannata all’Isola della Regina Nera!", tuonò scatenando fulmini che fecero indietreggiare ambedue le giovani guerriere.
"Ero apprendista in questi luoghi, come già vi dissi, e come me lo erano due mie care amiche. Una di noi era innamorata di un apprendista cavaliere, ricambiata, seppur ancora non aveva mostrato lui il suo volto, né lui faceva pressione in tal senso: si rispettavano come era giusto che fosse. L’altra mia compagnia d’allenamenti, prossima a diventare allieva di Bao Xe, era invece più timida, insicura.", iniziò a raccontare Ippolita.
"Un giorno, io ero impegnata ad addestrarmi e l’altra mia compagnia era in giro con il cavaliere suo spasimante, la nostra terza amica, invece, era da sola, nell’arena, impegnata ad allenare il proprio cosmo e fu lì che tre giovani guardie di Atene le si avvicinarono.", una nota di disgusto riempì la sua voce.
"I cavalieri e le sacerdotesse guerriero devono difendere gli uomini, anche quelli ubriachi, così Umba, questo il suo nome, non fece loro alcun male, ma nel trattenersi fu distratta e quelli riuscirono a toglierle la maschera.", una nuova pausa nelle parole dell’Ombra della Sagitta, per soppesare più chiaramente le conseguenze di quel semplice fatto.
"Immagino che entrambe sappiate bene cosa ciò implichi per una sacerdotessa: amare o uccidere, ma la mia timida amica non voleva fare né l’una, né l’altra cosa… aveva, però, delle elevate capacità psichiche ed il legame fra me e l’altra di noi era potente, tanto che avvertimmo la sua paura e fummo subito accanto a lei.
Il resto fu istinto e rabbia: uccidemmo due di quelle tre guardie senza dar loro nemmeno il tempo di fiatare, la terza, poi, cercò di scappare, ma lo spasimante della nostra comune amica lo uccise, senza mai voltarsi a vedere il volto di Umba.
E sapete cosa fece il Santuario?", su quella domanda Ippolita si fermò.
"Il Santuario ci condannò tutti e tre per omicidio! Doveva essere Umba a difendere il proprio onore, non a noi spettava, dissero! Fummo scacciati ed inviati sull’isola prigione! La nostra colpa? Aiutare un’amica! Un’amica che, però, ci rimase leale: Umba decise di seguirci lì su quel tetro pezzo di roccia in mezzo al mare.
Lì fu addestrata da uno dei guerrieri d’oro nero, mentre io apprendevo da me, combattendo per la mia vita, circondata da criminali pericolosi, le vie del cosmo.
Poi, assieme, io e lei, creammo la Sorellanza Nera, un gruppo di guerriere nere che rifiutano gli uomini!", concluse con un sorriso soddisfatto.
"Tutto questo, piccole sciocche, cosa v’insegna?", chiese dopo una breve pausa, la Sagitta Nera, "Che sei una pazza con problemi verso gli uomini.", sibilò una voce alle sue spalle, una voce che costrinse Ippolita a girare leggermente il capo, per vedere i tre cavalieri di bronzo rialzarsi.
Proprio mentre i giovani difensori di Atene si rialzavano, l’oscuro guerriero dorato volse il capo verso gli altri spettatori di quella battaglia: "Duhkra, avverti anche tu due cosmi avvicinarsi, vero?", domandò, seppur era evidente che la sua non era realmente una domanda.
Il cavaliere del Pavone Nero si guardò intorno qualche attimo, prima di volgere la testa ad Oriente, verso la gigantesca meridiana che si vedeva all’orizzonte, "Sì, maestro, li avverto.", confermò.
"Bene, allora vai ed assicurati che abbiano la dovuta punizione per il volerci interrompere.", ordinò secco Virgo Oscuro, e, a quelle parole, il suo discepolo sorrise con il volto deformato da cicatrici, sorrise e diede una leggera pacca sulla spalla all’altro nero individuo lì presente, "Raccontami come si conclude lo scontro, Gwyvin, io vado a combatterne uno tutto mio.", lo derise, prima di allontanarsi con un agile balzo.
"Sarà sicuro mandare lui, maestro?", domandava nel frattempo l’altra guerriera lì presente, "Non preoccuparti, Tolué, Duhkra ha molti difetti, ma la passione per la battaglia è fra i suoi maggiori pregi, rallenterà, ed ucciderà, qualsiasi cavaliere di più elevato lignaggio che si sta dirigendo verso questo campo di battaglia.", affermò sicuro l’uomo seduto ad osservare il continuo dello scontro fra Ippolita ed i cavalieri di bronzo.
Era stato Hans del Lupo a parlare, poco prima, deridendo la loro comune avversaria, ma fu Darius della Lince a dare quello che alle orecchie di tutti sembrò un sensato suggerimento: "Non possiamo affrontarla singolarmente, cavalieri, dobbiamo collaborare per sperare di avere successo contro di lei."; tutti quanti fecero un cenno affermativo con il capo, tutti eccetto il discepolo di Husheif, "Non farmi ridere, cavaliere! Non ho mai avuto bisogno dell’aiuto di nessuno e di certo non inizierò oggi!", ringhiò quello, scattando da solo all’attacco.
Non sapeva, il giovane santo di bronzo, che persino il suo maestro aveva rivisto il proprio punto di vista durante le tre lunghe giornate ad Accad, non poteva saperlo, come non sapeva che s’era sacrificato per permettere ai compagni di vincere la battaglia contro Baal: per lui il cavaliere del Reticolo era morto così com’era vissuto, da predatore che insegue ed abbatte la sua preda!
Con questa certezza, Hans si scagliò all’assalto, sferrando un secco diretto destro contro la Sagitta Oscura, "Heulen Wrack!", ululò, incurante del dolore che le scariche elettriche subite in pieno petto gli provocavano, ignaro che, ormai, quel suo attacco era fin troppo noto alla mancata sacerdotessa guerriero, che con semplicità lo evitò, spostandosi alle spalle del Lupo di Bronzo, per poi bloccare con il proprio braccio sinistro quello del cavaliere, stringendoglielo attorno al suo stesso collo, fino a lussarlo.
Con il giovane nemico in quella morsa, Ippolita si voltò verso i restanti quattro avversari, "Osservate! Belos Astrapis!", esclamò, affondando le dita della mano destra, quella libera, nel mento del giovane avversario, fino a perforare il palato e liberare le scariche elettriche all’interno della testa del santo di bronzo.
Bastarono tre semplici e quanto mai tetre saette oscure perché il corpo di Hans smettesse d’agitarsi e fu allora che Ippolita lo lasciò cadere al suolo, privo di vita, con gli ultimi orridi sprazzi della nera energia che lo scuotevano, ormai inanimato.
"Assassina!", la accusò Mirea, avanzando leggermente, prima che un gesto di Talos la fermasse.
"Cosa c’è, cavaliere? Vuoi lasciare impunita la morte di uno di noi?", domandò quella, dalla voce evidentemente sbigottita.
Lo aveva sempre saputo, il Leone Minore, che la pietà non era qualcosa sempre apprezzata, ma mai come in quel momento sentiva di esserne privo: quando aveva sentito la storia di quella nera guerriera, però, ne aveva provata parecchia.
Una giovane che aveva semplicemente difeso un’amica e per questo era stata condannata dalla stessa giustizia che aveva promesso di difendere, una giovane cui era stato negato di concludere l’addestramento per cui aveva abbandonato i propri cari e la propria famiglia, come tutti gli aspiranti cavalieri e che, dopo di ciò, era stata anche bandita su un’Isola Prigione.
Tutti i giovani apprendisti cavalieri che si addestravano al Santuario condividevano le prime fasi del loro addestramento, prima di essere affidati a cavalieri d’argento, o, i più fortunati, d’oro, per apprendere i segreti più profondi del cosmo.
Lui era stato allievo di Menisteo per quasi due anni, due anni in cui aveva seguito le lezioni del cavaliere di Eracle sotto l’attento sguardo di Degos d’Orione, con la compagnia di Vincent di Scutum, spesso.
Quei tre uomini, così come Hans e Darius erano fra le persone a cui doveva ciò che era diventato, le capacità che aveva sviluppato, ma, più di quelle, il carattere e la personalità che lo avevano reso com’era.
Eppure, al contrario del suo maestro e di Vincent, Hans non lo avrebbe mai sentito ringraziarlo per questo… certo, il cavaliere del Lupo, dato il carattere, non avrebbe forse gradito tali parole, ma ormai Talos non avrebbe mai avuto modo di dirgliele e questo, forse più della ferita poco prima subita, gli bruciava dentro, tanto che adesso persino le parole del santo di Eracle sulla pietà sembravano non contare più, ma, ancora una parte di lui ricordava i passati allenamenti ed i saggi consigli di Orione sul gettarsi alla cieca in una battaglia.
Fu per quello che l’unica risposta che il ragazzo ferito disse alla sacerdotessa della Colomba fu: "Ha ragione Darius, non possiamo affrontarla singolarmente, se ci facciamo sopraffare dalla rabbia, sarà l’assassina, l’unica a guadagnarne."
"Ebbene? Abbiamo finito con le chiacchiere?", rise divertita Ippolita, osservando il quartetto di cavalieri di bronzo, mentre si spostava, per restare al centro fra loro, dimostrando estrema sicurezza nei propri movimenti.
Fu un urlo di Mirea, che ancora una volta partì alla carica, a catturare l’attenzione di tutti, mentre la sacerdotessa della Colomba tentava una nuova serie di pugni che, come prima, andarono a vuoto, evitati tutti con estrema facilità di movimenti da parte della guerriera nera.
"Sei lenta, bambina, troppo lenta e stupida per capire il tuo posto e quello degli uomini che reputi tuoi amici!", ribatté l’Ombra oscura, liberando il cosmo attorno a se e scatenando saette di tenebre verso la giovane consacrata ad Atena.
"Sarà anche lenta, ma non è sola!", esclamò Ayra, scattando alla carica anch’ella, tentando un calcio in salto, che Ippolita evitò con un semplice movimento laterale, lasciando che la sacerdotessa la oltrepassasse, prima di scacciarla con l’emanazione del proprio cosmo, "Nemmeno Berenice è sola!", avvisò però Darius, caricando ulteriormente contro l’avversaria.
L’artigliata della Lince andò a vuoto, mentre Sagitta Oscura si spostava leggermente di lato, sollevando poi il braccio sinistro, così da bloccare un gancio alla nuca di Mirea, mentre già le dita brillava dell’oscura energia del Belos Astrapis, fu però un calcio a martello di Ayra ad impedire al colpo di raggiungere la sua vittima, costringendo Ippolita a spostarsi all’ultimo momento, ma lasciandola scoperta alla carica portata da Talos che, però, non fece niente di più che sbilanciarla leggermente, portandola di qualche passo più lontana dai quattro.
Ora, con tutti e quattro i cavalieri di bronzo così vicini, l’oscura nemica aprì le mani dinanzi a se e di nuovo convogliando fra le stesse la tetra energia che le era propria: "Sham Katastrofeas!", imperò generando il globo, che schiantò al suolo.
Decine e decine di nere saette si dispersero dinanzi alla Sagitta Oscura, investendo tutti i suoi nemici, scagliandoli indietro, le vestigia visibilmente danneggiate ed il sangue che scivolava da diverse ferite sui corpi.
"Patetici.", fu l’unico commento della guerriera nera, alla fine del suo attacco, ma, non appena notò come ancora tutti loro respirassero, aggiunse: "E testardi, ma, più di tutto: stupidi! Continuate a rialzarvi e per quale motivo? Cosa sperate di ottenere se non allungare le vostre sofferenze?", domandò infine.
"Compiere un miracolo, ecco quello che possiamo fare! La forza della Speranza brucia dentro di noi!", ribatté Talos del Leone Minore, in piedi, malgrado le scariche elettriche che rendevano sempre più ammorbante l’odore di carne bruciata sul braccio.
"Combattere per la Giustizia, per difendere il mondo da voi, Ombre del male!", aggiunse Ayra della Chioma di Berenice, mentre fili e fili d’energia cosmica s’agitavano attorno a lei.
"Dimostrarti che non tutte le persone sono così come tu le hai catalogate per un semplice evento!", minacciò sicura Mirea della Colomba, il cosmo bianco che aleggiava attorno a lei.
"Superare le tue difese, poiché è nostro dovere sconfiggere te e tutti i tuoi compagni!", furono le secche parole di Darius della Lince, brillante nell’energia cosmica che gli era propria.
Lo sguardo sicuro di Ippolita s’incrinò leggermente alle parole dei quattro giovani santi, ma fu solo un istante, "Speranza e Giustizia mi preoccupano poco, piccoli sciocchi, ma se credi che fu un singolo evento quello che mi ha portato a comprendere la verità di questi luoghi, sciocca bambina, allora meriti sofferenze ancora maggiori.", minacciò irritata, prima di puntare l’indice contro il discepolo di Amara, "E tu, pelatino, non potrai mai sconfiggermi, ma anche se ci riusciste, poi che fareste? Affrontare così ridotti Gwyvin, addirittura Tolué? O perfino il sommo Virgo Oscuro? Pura follia per voi, ma non preoccupatevi… non è possibile che voi vinciate.", replicò decisa la guerriera nera.
"Questo, lo vedremo.", furono le semplici parole del cavaliere di Atena, prima di volgere lo sguardo sulle sacerdotesse di bronzo, che, ad un semplice cenno, si mossero: l’allieva di Bao Xe si portò alla destra della comune nemica, mentre l’altra sulla sinistra.
I cosmi delle due fanciulle dalla maschera di bronzo brillarono luminosi, le mani di Ayra si alzarono verso il cielo, "Eske a Berenice! Che le stelle ascoltino la mia preghiera ed il mio voto, che la nostra nemica non possa più fare male alcuno!", invocò la sacerdotessa, "Leuké Ftera!", le fece eco la parigrado sul fianco opposto.
La pioggia di ricci da un lato e lo stormo di piume dall’altro si gettarono all’unisono contro la tetra avversaria, che spiccò un salto, cercando di portarsi al di fuori della fitta selva di energia combinata delle due sacerdotesse.
"Morsus Lucis!", urlò allora il cavaliere della Lince, scatenando le luminose fauci del felino, il Leone Minore immobile al suo fianco, l’attacco diretto verso l’avversaria a mezz’aria che congiunse le mani, generando ancora una volta lo Sham Katastrofeas e dirigendolo con furia verso la belva creata dal discepolo di Amara.
"Pensavi fosse così facile colpirmi?", rise Ippolita, il suo attacco che si fronteggiava con l’altra quando un urlo echeggiò al di là degli stessi: "Fortis Talon!", aveva invocato il cavaliere di Leo Minor, liberando il vigoroso artiglio che andò a contrastare il globo oscuro, disperdendolo assieme alle fauci della Lince.
"Elvashak, risplendi!", invocò Darius, senza interrompere la furia dei propri attacchi, con le mani congiunte dinanzi al petto, mentre rilasciava un globo d’energia cosmica simile ad una stella, la stella della Lince, che, oltrepassato l’artiglio del Leone, investì in pieno la guerriera ancora sbilanciata nel suo atterraggio verso terra.
Le vestigia della Sagitta Oscura andarono in pezzi nella zona del tronco, prima ancora che lei ricadesse a terra e fu allora, mentre quella poggiava il primo piede al suolo, che la voce di Ayra echeggiò su tutti: "Tekercselés Haj!", esclamò, scagliando la chioma addosso alla mancata allieva della sua stessa maestra.
Con un balzo, stanco e lento, l’Oscura Freccia riuscì ad evitare il contatto con la chioma di Berenice,
ciò di cui, però, Ippolita non s’avvide, fu la bianca ombra che le si era portata alle spalle, spiccando un salto ancora più elevato del suo, "Non gli errori di un solo uomo, o di un ristretto gruppo, dovrebbero essere metro di giudizio per tutti e così non dovrebbe essere il modo in cui le persone usano la giustizia che gli dei gli hanno mostrato a rendere meno corretta quella. Ti è stato fatto un torto, ma ciò non ti dà diritto ad uccidere uomini che non hanno colpa per lo stesso!", ruggì Mirea, eseguendo con successo la presa al collo con le gambe.
"Leuko Ptose!", imperò la sacerdotessa della Colomba, schiantandosi al suolo con la nera Sagitta, per poi distanziarsi con un balzo, mentre già una seconda figura caricava contro la comune avversaria, "Impetum Leonis Minoris!", urlava già Talos, scagliandosi, avvolto dal cosmo, contro l’avversaria inginocchiata al suolo, travolgendola e schiantandola addosso alla dura roccia.
L’impatto fu devastante, distruttivo per le vestigia della guerriera oscura, che caddero per intero da sopra il suo corpo, lasciandola a terra, sanguinante, carponi, mentre già il discepolo di Menisteo si allontanava da lei con un balzo.
"Maledetti ragazzini…", ebbe appena il tempo di bisbigliare, il sangue che le scivolava dalla bocca, prima che una mastodontica ombra si posizionasse dietro di lei, costringendola a voltarsi.
"Gwyvin?", domandò e quella fu l’ultima parola che Ippolita della Sagitta Nera disse in vita sua poiché, con un secco movimento, l’altro oscuro invasore le recise la testa dal collo, facendola volare avanti, verso i piedi di Mirea.
"Come hai potuto? Era una tua compagnia d’armi!", urlò proprio la sacerdotessa della Colomba, senza ricevere risposta alcuna da quel nero nemico, mentre già lo sguardo di Talos sembrava pietrificato nel riconoscere le vestigia di quel nuovo avversario.
"Sono stato io ad ordinarglielo.", rispose però una voce nel frattempo, la voce del guerriero di Virgo Oscuro, "Ippolita era ormai sconfitta, quindi perché perdere ulteriore tempo con lei? Avete vinto una battaglia, cavalieri di bronzo, complimenti, ma come andrà con le altre? Come andrà contro Gwyvin dello Scudo Nero?", chiese il tetro individuo ancora seduto, mentre il mastodontico nuovo nemico si poneva dinanzi ai santi di Atena.
Un’altra battaglia stava per iniziare per loro.