Capitolo 28: Duelli nella sala di Scirocco

Nell’anticamera dello Scirocco sei guerrieri si studiavano vicendevolmente, scrutandosi con attenzione.

Lothar, Dominatore dei Venti posto a difesa di quella stessa sala, aveva vestigia ormai danneggiate, ridotte a pochi frammenti, il corpo segnato dal gelido cosmo dell’ormai defunta Kris di Orione Nero, contro cui fino a pochi istanti prima aveva combattuto.

Il suo sguardo passava pacatamente dalle tre figure oscure che si stagliavano fra lui ed il corridoio diretto alla sala centrale, per poi scivolare verso i due cavalieri d’argento giunti dalla Sala di Levante, dove avevano sconfitto qualsiasi nero invasore che lì si trovava.

Avrebbe voluto chiedere loro di Favonio, colui che considerava suo maestro, il Dominatore, ma non lo fece, poiché ben altri problemi più immediati aveva da affrontare.

Di fianco al seguace di Eolo, Cassandra di Canis Maior era già in guardia, studiava con attenzione i tre neri avversari, ricollegando quanto vedeva con informazioni già in suo possesso: vedeva il bestiale individuo dal cosmo selvaggio, lo stesso che aveva sentito vagamente mentre aleggiava al di sopra del tempio di Eolo, diretto da Sud verso Oriente; il guerriero poco lontano da lui, che soppesava con malefica sicurezza una spada d’oro nero ed infine una donna, il cui volto non conosceva, ma che, in qualche modo, richiamava in lui una sensazione di deja vù proveniente da un passato lontano.

Anche Damocle di Crux, nelle vestigia danneggiate, con il corpo stremato ben più fresco della compagna stremata dalle giornate di battaglia, osservava i tre nemici, valutando la potenza che scaturiva dai loro cosmi e la stabilità delle vestigia, riconoscendo in uno di loro la controparte oscura di Wolfgang e nel possente individuo dai capelli spettinati l’ombra di Gwen, due dei cavalieri con cui aveva condiviso la battaglia ad Accad.

La terza figura, invece, una donna guerriero di cui non riconobbe l’armatura, era immobile e lo osservava, chiaramente divertita.

"Tre cavalieri per tre guerrieri neri, quale ironica coincidenza!", esclamò d’un tratto il guerriero con la spada d’oro oscuro, i capelli neri e spettinati, gli occhi rossi che scrutavano con divertimento l’arma che aveva fra le mani, "Non so i vostri nomi, seguaci degli dei di Grecia, ma contro Iginio dei Cani Venatici Oscuri, avete ben poche possibilità di sopravvivere.", li minacciò, voltandosi poi verso i suoi compagni, "Non è vero, Kurnak?", chiese ancora.

Il più silenzioso dei tre, il mastodontico e dai lunghi capelli guerriero del Corvo Oscuro non parlò, semplicemente lasciò esplodere il proprio cosmo, quasi fosse quello il suo unico modo di comunicare, facendo vibrare il suolo dell’intera sala, costringendo tutti i presenti ad indietreggiare, mentre alzava leggermente il capo.

"Adesso basta, Kurnak!", ordinò allora la ragazza dai capelli leggermente rossicci, prima di volgere il capo ai nemici: "Cani venatici oscuri, Corvo Nero, permettetemi di presentarvi, nell’ordine, Lothar del Libeccio, che qui ha ucciso la povera Kris; Cassandra di Canis Maior, mia vecchia conoscenza dei tempi del Santuario, ed il piccolo Damocle, cresciuto in un cavaliere d’argento di cui però non riconosco le insegne.", esordì, leggendo lo stupore nel viso del discepolo di Kalas.

"Non ti ricordi di me, piccolo? Era appena un apprendista quando ci siamo incontrati ed allora indossavo una maschera, ma il mio nome dovrebbe dirti molto più di mille altri aneddoti: sono Megara, l’Ofiuco Nero adesso!", si presentò infine colei che faceva parte del Sestetto Nero.

"Lui non è qui, non preoccuparti.", aggiunse poco dopo, rivolgendosi al cavaliere d’argento, "Atene è stata la meta che ha scelto per combattere, ma sono certa che Iginio sarà per te un degno avversario.", ridacchiò, volgendosi poi verso il proprio pari che con un accenno del capo scattò all’attacco contro il discepolo di Kalas.

"Kurnak, elimina il seguace di Eolo.", fu il secco ordine che Megara diede subito dopo, lasciando che il cosmo del nero compagno spingesse indietro solo Lothar, prima che Corvo Nero stesso si lanciasse verso di lui.

"Siamo rimaste noi due, Cassandra! Uno scontro fra vecchie compagne d’addestramento, non pensi?", aggiunse sornione l’Ofiuco Nero, avanzando tranquilla verso l’altra, che già stava alzando la guardia contro di lei.

***

"Dannazione!", imprecò Coriolis del Maestrale, dopo aver sferrato l’ennesimo attacco contro la barriera d’energia che bloccava l’ingresso alla Sala centrale del Tempio di Eolo.

Il Dominatore dei Venti indietreggiò, il Tridente stretto nel pugno destro, mentre guardava con rabbia alla parete dai molteplici colori che lo divideva dalla meta della sua corsa.

"Non basterà colpirlo ancora ed ancora, guerriero di Eolo.", osservò con tono pacato la fanciulla dalle vestigia d’argento che affiancava il Dominatore di Maestrale: Gwen del Corvo; "Durante la battaglia di Accad non abbiamo affrontato niente del genere, perché Baal, il Ladro di Divinità presente ad Anduruna, aveva scatenato contro di noi un intero esercito, ma qui, i membri di quel medesimo gruppo, hanno avuto un minor numero di oscure ombre da poter utilizzare per prendere il tempo loro necessario, per questo hanno sollevato questa barriera, dalla potenza considerevole.", ipotizzò l’allieva di Remais.

"Non possiamo abbatterla da soli.", aggiunse poi la sacerdotessa di Atene, avvicinandosi quasi fino a toccarla, "Ci servirà l’aiuto degli altri guerrieri che stanno cercando come noi di raggiungere la sala centrale.", suggerì infine, prima di allontanarsi di nuovo e sedersi al suolo.

"Dammi alcuni minuti, guerriero di Eolo e concedimi il tuo aiuto, ho bisogno di conoscere la tua mente, per raggiungere quella degli altri Dominatori in questo tempio ed organizzare un attacco coordinato alle difese che ci dividono dai veri nemici.", concluse Gwen.

Per alcuni istanti, Coriolis la guardò stranito, quindi, con una certa sorpresa persino per le proprie parole, le si avvicinò, "Va bene, guerriera di Atene, di cosa hai bisogno?", chiese e l’altra gli porse la mano affinché egli la prendesse.

Fu dopo quel contatto che Gwen del Corvo iniziò a vagare nei ricordi del Dominatore di Maestrale, prima di espandere il proprio cosmo, in cerca dei compagni che si trovavano nelle altre Anticamere e nei corridoi interni.

***

Cassandra di Canis Maior osservò per alcuni secondi la passata compagnia d’addestramenti, quando entrambe erano solo apprendiste sacerdotesse, prima che quella si lanciasse alla carica.

Con un balzo, Megara sferrò un calcio contro la sacerdotessa guerriero, che fu abbastanza rapida da spostarsi, evitandolo, prima di tentare a sua volta un gancio destro al volto della nera avversaria, che, però, prontamente sollevò l’avambraccio sinistro, bloccando l’attacco con l’armatura, prima di compiere una mezza rotazione sul proprio asse per tentare un colpo di taglio con la mano destra al fianco di Cassandra.

Servì un leggero salto all’indietro perché la sacerdotessa del Cane maggiore evitasse quel colpo, per poi tentare un calcio frontale contro l’addome di Megara, che, però, bloccò quel nuovo assalto incrociando le braccia dinanzi al corpo e stringendo con abilità la gamba avversaria fra le mani.

Un sorriso si dipinse sul volto della guerriera dell’Ofiuco Nero, "Non ti tornano in mente gli anni dell’addestramento, Cassandra?", ridacchiò Megara, mentre il cosmo dell’altra esplodeva, costringendola ad abbandonare la presa sulla sua gamba, spingendosi indietro con un balzo, "Diverso tempo è passato, ma ancora ricordo quando assieme io, te, Umba, Ippolita ci addestravamo, con molte altre piccole marmocchie che speravano di diventare sacerdotesse.", aggiunse, lanciandosi di nuovo alla carica e sferrando decine e decine di veloci diretti.

"Ricordi quando sgattaiolavamo fuori di sera e tua sorella ci seguiva di nascosto? Agesilea era ossessionata dallo stare di fianco a te!", rise l’oscura avversaria, sferrando un gancio alto al viso, che l’altra evitò, piegandosi sulle ginocchia e sferrando un montante contro cui Megara si limitò ad indietreggiare d’un passo, rimettendosi in posizione di guardia.

"Dove si trova, a proposito, la tua sorellina? È entrata attraverso un altro ingresso di questo tempio? O è in un altro campo di battaglia, finalmente libera da quella sua piccola ossessione per te? Dimmi, era fin troppo piccola quando fui imprigionata, non potrei riconoscere il suo cosmo, nemmeno avvertendolo.", domandò curiosa la donna dalle nere vestigia.

Per un attimo, la sacerdotessa d’Atene rimase immobile, il volto nascosto dalla maschera d’argento che si rivolgeva chiaramente all’oscura avversaria, "Agesilea è caduta. Combattendo ieri nella guerra in Polinesia, è caduta per difendermi e combattere al mio fianco, seguendo la fede nella giustizia che condividevamo, assieme all’affetto reciproco.", raccontò con voce spezzata la guerriera di Canis Maior.

"Mi dispiace.", furono le prime parole di Megara, nel sentire tali notizie, parole, inaspettatamente, sincere da ciò che il volto mostrava: uno sguardo triste e cupo, "Non ne avevo idea.", ammise poco dopo.

"Come potevi? Oltre che prigioniera sull’Isola della Regina Nera, sei, come i tuoi compagni, e come i guerrieri d’Africa e di Mesopotamia prima di te, una pedina dei Ladri di Divinità.", tagliò corto Cassandra, cercando in quelle dure parole, sincere, un appiglio con cui scacciare la tristezza per il ricordo della sorella caduta.

"Ladri di Divinità? Di cosa vai parlando?", domandò incuriosita Megara, studiando l’altra.

"Avverti i cosmi che s’espandono sempre più avidi nella sala centrale di questo tempio? Li stessi che stanno ormai soverchiando l’essenza che aleggiava su questo luogo, a chi dovrebbero appartenere? Tu di certo li conoscerai!", la spronò Cassandra, "Ariete Nero e Pesci Oscuri.", esordì prontamente la guerriera dell’isola prigione, tralasciando di sottolineare come fossero ben più vasti del normale, "Assieme a loro riconosco il Sagittario Nero ed un altro suo alleato.", concluse semplicemente.

"Ebbene, due di questi cosmi sono vasti ed avidi del potere di Eolo, così come il Re dell’esercito d’Africa ed il suo alleato, traditore degli Areoi, lo erano delle divinità della Polinesia, la cui essenza hanno derubato dalle loro terre.", spiegò con voce determinata Cassandra, "Lo stesso che, mi è stato detto, è avvenuto con il Giudice di Accad, Shamash, per mano di un altro di questi Ladri di Divinità.", concluse.

Cassandra era in posizione di guardia: cercava una falla nella sincerità che sentiva dalla voce dell’altra, poiché dopo due giorni di lunghe battaglie, giorni in cui aveva affrontato guerrieri degni di rispetto per i loro ideali e la forza che imprimevano nel difenderli, da Garang in poi, ma non avevamo combattuto contro qualcuno che considerava un’amica.

Megara era stato questo per lei, quando erano solo delle bambine, lei, Umba ed Ippolita erano le sue più care amiche, dopo l’incidente avvenuto ad Umba e la prigionia cui furono condannate le tre, solo Agesilea le rimase, oltre ad altre sacerdotesse guerriero che molto meno conosceva, come Dorida, o Iulia stessa; rivedere adesso l’amica di un tempo, dopo la morte della sorella, era qualcosa di inatteso e scoprire che Megara si comportava in modo così sincero con lei la rendeva persino più confusa.

"Ladri di Divinità? Una storia interessante! Dovrò informarmi ulteriormente, sono sicura che anche Cicno ne sarà di certo incuriosito quanto me.", esclamò d’un tratto Megara, iniziando ad espandere il cosmo di un acceso color purpureo.

"Cicno?", ripeté sorpresa Cassandra, "Sì, Cavalcante ha deciso di cambiare il proprio nome… fin da quando eravamo apprendisti al Santuario non lo apprezzava particolarmente, pensavo il piccolo Damocle te lo avesse detto… o non siete così intimi?", scherzò la nera guerriera, accennando un sorriso malizioso, prima di prepararsi all’attacco.

"Solleva le tue migliori difese, mia vecchia amica, è tempo che ti mostri il potere dell’Oscuro Serpentario, la nera controparte di Asclepio!", minacciò sicuro l’apprendista esiliata, mentre anche la sacerdotessa di Atena lasciava esplodere il proprio cosmo luminoso.

"Non di difese farò uso, Megara, ma ti mostrerò la forza della mia Fede! Anghellos Fotou, colpisci!", invocò decisa la guerriera greca, portando avanti il pugno e liberando la lucente stella Mirzam nella sua corsa contro l’oscura avversaria.

Con prontezza, la nera avversaria si chinò lateralmente, piegandosi sulle ginocchia, prima di darsi con le stesse lo slancio per lanciarsi addosso alla sacerdotessa di Atena, la mano sinistra ricolma dell’energia cosmica, "Thanasimo Dontia!", urlò sicura di se la donna di Cicno, oltrepassando l’altra.

Non ci volle più di qualche secondo perché Cassandra cadesse sulle ginocchia, premendosi la mano contro la ferita, la testa preda di violente vertigini, "Mi dispiace, amica mia.", la avvisò alle sue spalle Megara, "Ma il mio tocco è portatore di morte, se lo desidero, sappi almeno questo, che non tale sorte ti riservo, bensì solo un malessere che t’impedisca di combattere ancora.", aggiunse laconica.

"Ora riposa, Cassandra, sapendo che solo l’amicizia che ci univa mi ha impedito di rendere effettivamente letali le mie zanne: Thanasimo Dontia!", imperò ancora l’Ofiuco Oscuro, pronto ad affondare alla base del collo dell’altra le affilate unghia, ma quella si mosse di scatto, rotolando al suolo e portandosi a qualche passo di distanza, prima di riportarsi in guardia, senza però riuscire ad alzarsi da terra.

"Non ti sarà così facile vincermi!", la avvisò decisa Cassandra, pronta a continuare la battaglia, mentre anche gli altri due duelli esplodevano intorno a loro.

***

Le quattro figure erano ferme dinanzi alla strana struttura d’energia che bloccava loro il cammino: un muro di luci contrastanti, sette colori diversi, gli stessi dell’arcobaleno, che si scambiavano costantemente rendendo in parte densa quella barriera.

"Un ostacolo non da poco… avete qualche idea per superarlo?", domandò Noto di Libeccio, avvicinandosi con attenzione, per poi indietreggiare, quando, a contatto con la muraglia, quella mutò in un colore verde acceso, quasi volesse esplodere, parve al giovane Dominatore.

"Attaccarlo non ha portato alcun risultato…", lamentò Aliseo di Ponente, che poco prima aveva cercato di sferrare la furia dei suoi Destrieri di Venti contro la barriera, solo per vederla brillare di un colore viola, nell’assorbire quel colpo e restare immutata.

"Potremmo attaccarlo con una maggiore forza offensiva, credo sia l’unica opzione possibile…", suggerì a quel punto Dorida della Sagitta, volgendo il volto mascherato verso la sacerdotessa dell’Altare, che già le si stava avvicinando, "Sì, è un piano fattibile. Potrei provare ad assorbire parte del potere intriso in questa barriera con i miei fiori e poi voi la attacchereste tutti assieme, potremmo creare una breccia.", ipotizzò.

"Stavo pensando, invero, a qualcosa di più drastico…", suggerì Dorida, "Lanciarmi io stessa, avvolta nella mia tecnica ultima, contro la barriera, assieme agli attacchi dei Dominatori dei Venti, dopo che tu ne avrai indebolito la struttura.", concluse, mentre ambedue i seguaci di Eolo la guardavano stupiti.

"Sei forse impazzita, guerriera di Atena?", sbottò Noto, "Quello che proponi è di suicidarti, o ridurti con ferite così gravi da non essere poi d’ulteriore aiuto per la battaglia!", sottolineò il Dominatore di Libeccio, "Può essere, ma sarebbe un sacrificio utile a fermare qualsiasi cosa i Ladri di Divinità stiano cercando di fare nel vostro tempio; ho visto le loro malefatte in atto ad Accad e sono disposta a tutto pur di fermarli.", suggerì Dorida, la cui determinazione era anche alimentata da una consapevolezza che, forse, la sacerdotessa dell’Altare meglio mascherava: quella d’aver avvertito il cosmo di Ascanus dello Scorpione spegnersi ad Atene.

"La tua è follia, ragazza spagnola! Non ti supporterò in questo gesto!", sbottò Aliseo, mentre le si faceva accanto, prima che una voce echeggiasse nelle menti di tutti loro: "Forse non ce ne sarà bisogno!", esclamò tale eco mentale.

"Gwen?", domandò sbalordita Dorida riconoscendola per prima, "Esatto, amica mia, sono io!", rispose quella, "Chi è? Una di voi?", s’intromise Aliseo, "Sì, una sacerdotessa guerriero ed una nostra alleata.", aggiunse prontamente un’altra voce, che ambedue i Dominatori riconobbero: "Coriolis!"

"Esattamente!", esclamò l’emanazione cosmica, "La sacerdotessa di Atene qui presente mi ha supportato nella battaglia presso le sale del Maestrale ed ora assieme siamo fermi dinanzi alla barriera che blocca l’ingresso alla sala centrale!", raccontò il Dominatore.

"Anche noi abbiamo trovato il medesimo ostacolo sul nostro percorso.", confermò prontamente Noto, "Un ostacolo che potremo superare collaborando!", suggerì subito la voce di Gwen, "Attendete e preparatevi, sacerdotesse e dominatori, assieme colpiremo da tutte le posizioni questo comune ostacolo.", concluse allora Coriolis, ricevendo da tutti e quattro i guerrieri riuniti alla fine del corridoio dello Scirocco, una risposta affermativa.

***

Il cavaliere della Croce del Sud scrutava il suo avversario: aveva evitato due tentati fendenti di quella sciabola d’oro nero, piuttosto patetici per chi, come lui, s’era addestrato a difendersi dall’Excalibur del Sacro Cavaliere di Capricorn.

"Spiegami, Cani Venatici Neri", esordì d’un tratto Damocle, mentre entrambi rifiatavano, "Poiché tale sei stato presentato poc’anzi e la tua armatura risulta identica a quella di Wolfgang ai miei occhi; come mai usi una spada? Non sembra un oggetto adatto alle tue abilità, anzi, decisamente sembri esulare da quest’arte bianca!

La tua valida controparte, il cavaliere al cui fianco ho combattuto ad Accad, è sublime cacciatore ed esperto nell’uso dei fulmini in battaglia, non un qualsivoglia nessuno come sei tu.", analizzò incuriosito lo spadaccino italiano.

"Io sarei un nessuno qualunque?", ribatté con disappunto il nero nemico, "L’ho appena detto.", confermò pacato Damocle, portando il braccio destro ad incrociarsi dietro il sinistro, "Rimpiangerai queste parole, cavaliere!", ruggì Iginio dei Cani Venatici Oscuri, aprendo le braccia dinanzi a se.

Decine e decine di neri cani iniziarono ad apparire attorno al guerriero, o almeno quello, ad una prima impressione, parve che stava succedendo al guerriero d’argento, prima che si rendesse conto che non veri canidi aveva dinanzi, bensì manifestazioni del cosmo del suo avversario, che dalla sua ombra prendevano forma.

"Come Wolfgang fa uso di segugi di pura elettricità, così i tuoi sono generati dalle ombre? Sei, mi dispiace dirti, una misera copia del cavaliere d’argento che vorresti imitare!", lo schernì ancora il santo di Crux, osservando le bestie che prendevano forma dal cosmo nero avanzare verso di lui, "Offrimi un avversario più degno! Dove posso trovare, che so, un Reticolo Oscuro? Non dirmi che è stato sconfitto in altri luoghi!", chiese ancora, scoprendosi poi incapace di movimento alcuno, per quanto ancora distante dalle fiere nemiche.

"Cosa c’è, cavaliere? Paura? Permettimi di darti allora anch’io qualche lezione: la paura dei cani è la Cinofobia, mentre quella del buio si chiama Acluofobia e sono loro che ora stai provando! E sai da cosa sono prodotte? Dal mio cosmo! Quello stesso cosmo di canidi d’ombra che tanto deridevi poc’anzi, ecco che ti mostra di cos’è capace, di cosa io sono capace! Questi i miei Cacciatori del Terrore!", esclamò soddisfatto Iginio, mentre ancora ed ancora i segugi di tenebre s’avvicinavano alla preda.

"Il mio maestro, uno dei guerrieri d’oro nero, mi ha mostrato come manipolare le percezioni delle vittime, come far nascere in loro il più antico e sacro dei terrori, frutto non di logica coscienza della loro debolezza, bensì dei più antichi ed oscuri meandri della mente e, in fondo, è proprio in quelli stessi luoghi che si cela la paura del buio e delle ombre, quindi quale arma migliore da usare in battaglia per noi, che dall’oscurità della nostra prigione proveniamo?", chiese divertito Cani Venatici.

Damocle non riusciva a contenere il terrore, non riusciva a fare passo alcuno, era come stregato da un qualche maligno inganno che bloccava i suoi movimenti e, la cosa più odiosa di tutto ciò, era che sentiva le proprie ossa tremare, come fuscelli al vento, dinanzi a quello che era un cosmo misero in confronto a quanti ne aveva affrontati nei giorni precedenti ad Accad.

"Mi hai chiesto del Reticolo Oscuro, ebbene sappi che, in effetti, in altri luoghi è caduto: sull’Isola della Regina Nera, per la precisione! Uno dei tanti guerrieri di nero bronzo che abbiamo sterminato notti fa, prima dell’evasione.

Da ciò che ho sentito, presso di voi anche la Corona Boreale ed il Reticolo sono d’argento, per un totale di ventiquattro vestigia di quel materiale, mentre quarantotto sono di bronzo, forse questo ti ha portato a cercare un nemico che di certo mi era inferiore, al pari tuo d’altronde.

Fra di noi, devi sapere, il numero della classe più infima, di cui il Reticolo faceva parte, è sì lo stesso, ma i guerrieri d’argento nero sono ventotto, e fra di loro si contano, al contrario vostro, Gru, Poppa, Carena, Calice, Bussola e Vela, malgrado questo implichi che Reticolo e Corona Boreale siano declassate a vestigia di bronzo, appunto.

Chissà cosa passava per la testa a chiunque abbia creato le nere armature di cui io ed i miei simili siamo bardati!", scherzò divertito Iginio, mentre già i cani d’energia cosmica stavano mordendo il corpo di Damocle, senza imprimervi ferita alcuna, ma inglobandolo in una trappola di tenebre.

"Li senti, cavaliere di Atena? Senti come si stringono sulle tue carni, intrappolandoti, bloccandoti, togliendoti ogni via di fuga? Ben presto ti chiuderanno nella loro presa ed allora potrò scatenare la furia ultima dei miei Cacciatori, l’apoteosi di questo colpo mortale!", esclamò lieto, il nero guerriero, prima di gettare un occhio verso gli altri due duelli, "Persino loro, membri del Sestetto Nero, dovranno ammettere le capacità di cui dispongo in battaglia! Forse accetteranno persino un settimo fra loro, anche se potrei prendere per me il ruolo di Icaros fra le Cinque Bestie, ormai rimaste Due, se non estinte per sempre!", rise Iginio divertito.

"Prima te, guerriero di Crux, poi il Dominatore dei Venti ruberò a quella bestia di Kurnak!", tagliò corto dopo qualche istante, "Cacciatori del Terrore! Dilagate!", ruggì infine.

I segugi d’energia continuarono a risalire ed espandersi, avvolgendo in sempre più neri maglie oscure il cavaliere della Croce del Sud finché non vi fu che tenebra a circondarlo, oscurando del tutto la sua visuale.

L’oscurità attanagliò il cavaliere d’argento, non solo nel corpo, ma nello spirito: uno spirito che si trovava bloccato da fili ben più stretti di quelli che i segugi d’energia stringevano sul suo corpo.

Era ben consapevole, Damocle, che anche Cassandra di Canis Maior stava combattendo poco distante da lui e che persino il Dominatore dei Venti affrontava un nemico, il cui livello sembrava ben superiore al suo.

Eppure la sacerdotessa non era una sua amica, non così stretta, ed il seguace di Eolo un perfetto sconosciuto per lui… altri erano gli individui a lui cari, fra questi il suo maestro e l’uomo che, a sentire Megara, adesso si trovava ad Atene, forse a combattere proprio quello stesso insegnante che avevano condiviso.

Allora perché si trovava lì in Italia, anziché combattere in Grecia, ad Atene? Per la volontà del Sommo Sacerdote, si disse, la stessa volontà che lo aveva fatto muovere verso Accad, giorni prima, assieme a Menisteo e Bao Xe.

Ora, però, Menisteo si era sacrificato, e come lui Husheif, Vincent… già sentiva combattere Hans e Talos in battaglie fra loro così vicine che di certo i due erano fianco a fianco, come i loro maestri ad Accad.

E proprio di Accad gli tornò il ricordo alla mente, della silente promessa di cui Zong Wu aveva accennato a Sin di Kur, quando solo loro due erano rimasti in piedi ad affrontarlo, una promessa di sopportare le ferite perché il sacrificio dei compagni che li avevano preceduti in battaglia non andasse perduto.

Una promessa che, mentre riposavano nella città accadica, Damocle aveva ripetuto alle stelle di Eracle, aggiungendo ulteriori parole fraterne per Menisteo e Husheif, poiché, semmai avesse avuto un normale rapporto con i suoi di fratelli carnali, di certo il cavaliere di Crux pensava che sarebbe stato simile a quello con i due parigrado, ricco di litigi, scherzi, sbeffeggiamenti, ma anche di riappacificazioni e di condivisione delle difficoltà.

E per quei due fratelli sacrificati, che gli erano cari quanto quelli con cui aveva condiviso madre e padre, non poteva lasciarsi schiacciare dalla malefica influenza di quella tetra ombra.

Fu questa nuova risoluzione che fece brillare il cosmo della Croce del Sud, fino a surclassare le tenebre che sembravano volerlo inghiottire, dandogli modo di spezzare le briglie d’energia che lo tenevano intrappolato.

"Cosa? Com’è possibile? Eri prigioniero!", urlò sbigottito Iginio dei Cani Venatici Oscuri.

"Sì, mio patetico nemico, ero prigioniero del terrore di cui ti dici padrone, ma poi uno ancora più grande mi ha invaso il cuore: il terrore di fallire agli occhi degli amici che mi hanno concesso di arrivare fin qui!", esclamò deciso il santo di Atene.

"Un terrore diverso dal tuo, che non immobilizza, ma spinge a muoversi ed attaccare, un terrore che mi ha permesso di spezzare la tela che avevi tessuto e che ora mi permetterà di mostrarti la luce che tu, piccola ed insulsa ombra, sembri voler fuggire!", continuò il cavaliere d’argento, posizionando la mano sinistra dinanzi alla destra.

"Lux Crucis! Che le tenebre siano scacciate!", imperò l’italico spadaccino, lasciando brillare il proprio cosmo, prima di affondare con facilità nelle vestigia del nemico, gettandolo al suolo, ferito e dolorante.

"Non lo accetto!", lamentò l’ombra dei Cani da Caccia, rialzandosi e stringendo con rabbia la sciabola d’oro nero, prima di lanciarsi urlante contro il santo di Atena.

Lesto fu Damocle nel muoversi: con estrema abilità portò il braccio sinistro parallelo al piatto dell’arma avversaria, spingendola verso il basso, mentre il destro compiva un secco movimento a tagliare, producendo una nuova ferita sul corpo del nemico, che indietreggiò dolorante.

"Maledetto, non vincerai così facilmente!", ringhiò Iginio, aprendo di nuovo le braccia, "Cacciatori del Terrore!", imperò, ma già il discepolo di Kalas era pronto, il destro dinanzi al sinistro, "Invece ho già vinto!", avvisò sicuro, "Crux Argentii!", sentenziò sferrando l’attacco.

I segugi di tenebre furono dispersi con furia dalla croce argentea, che investì mortalmente il guerriero nero, spingendolo di nuovo al suolo, mentre anche la presa sull’arma si scioglieva, lasciandolo agonizzante.

"Ero così vicino…", ebbe appena il tempo di sussurrare Iginio, "No, stolto, eri lontano dal successo come lo è chi cerca di catturare il mare con un bicchiere. Non sei stato una degna ombra di Wolfgang, né eri paragonabile a Husheif, o qualsiasi altro compagno abbia avuto accanto in questi giorni di battaglia.", sentenziò il cavaliere, mentre il sangue fiottava dalla croce che segnò la caduta del Segugio Nero.

Voltò le spalle all’oscuro e sconfitto avversario il santo di Crux, prima che un’ondata d’energia lo costringesse a guardare verso il punto dove Lothar dello Scirocco e Kurnak del Corvo Nero duellavano furiosi, prima che il suo sguardo si spostasse verso le due donne guerriere poco lontano.

Gli scontri erano ben lungi dal concludersi in quell’anticamera.

***

Anche Iginio era caduto.

Questa certezza aveva invaso la mente di Luis del Sagittario Oscuro nel momento stesso in cui aveva avvertito il cosmo dell’ultimo discepolo di Medonte spegnersi; ora anche lui, come Icaros, era tornato dal maestro, caduto come loro nelle lunghe battaglie all’interno del Tempio di Eolo.

Lo stesso tempio che, anni addietro, lo aveva visto diventare un uomo, un Dominatore dei Venti, un innamorato e, infine, un traditore e che ora lo vedeva ripresentarsi come invasore.

Si guardò intorno, il nero guerriero dal volto sfigurato, osservando le tre persone che con lui condividevano quella sala: silenziosi, Wuluwaid e Persefone erano immobili, seduti nella medesima posa meditativa che avevano interrotto solo nel breve periodo in cui avevano rivolto la parola a Favonio.

E proprio il Dominatore di Levante era in piedi, osservava i corridoi occidentali con sguardo incuriosito, forse lo stesso, si chiese Luis, che lui rivolgeva al corridoio di Grecale, quello in cui aveva visto allontanarsi il suo allievo, che sapeva adesso debole e probabilmente sconfitto, dato quanto ancora s’agitava gelido il vento di Okypede.

Che fosse anche Favonio preoccupato? Ma perché non voltarsi allora verso il corridoio di Scirocco, dove si trovava l’unico che poteva considerarsi un suo allievo fra tutti i Dominatori, adesso intento a combattere i suoi nuovi alleati.

"Si stanno organizzando…", esordì d’un tratto il traditore di Eolo, volgendosi verso Luis e gli altri guerrieri d’oro nero lì presenti.

"Che intendi dire, Favonio?", chiese proprio il Sagittario Oscuro, "Che ho sentito un eco, una voce che proponeva di prepararsi ad attaccare tutti assieme, una sacerdotessa di Atene che assieme a Coriolis stava cercando di raggiungere gli altri Dominatori e guerrieri di Atena. Si sono allontanati dalla mia mente, credo non appena la fanciulla ha individuato la mia posizione, ma ho avuto il tempo di cogliere parte delle loro parole.", spiegò l’uomo di Levante.

"Si stanno preparando, già Libeccio, Maestrale e Ponente: sono pronti, assieme alle sacerdotesse di Atena, per attaccare all’unisono la barriera che il tuo compagno ha creato.", continuò Favonio, indicando Wuluwaid dell’Ariete Nero, seduto poco distante, prima che terzi suoni risuonassero nella sala, i suoni prodotti dall’alzarsi e muoversi della donna dei Pesci Oscuri.

"E noi saremo pronti ad accoglierli.", imperò decisa Persefone, un fiore nero di melograno che iniziava a fiorire fra le sue dita.

Homines 15: L’Egizia

Le rivolgeva in silenzio uno sguardo accusatorio, mentre gli altri Homines, suoi compagni, confratelli, in quel singolo grande progetto, stavano combattendo con i restanti Faraoni consacrati a Ra, tutti a difesa della Coreana, che già stava compiendo il rituale per liberare il mondo dagli dei dell’Enneade.

"Jia di Uptat", sussurrò alla fine l’uomo, i corti capelli scuri sulla nuca ondulavano, il fisico possente e scuro come le vestigia dalla forma del divino Sciacallo, "Torni da noi come una traditrice, proprio come il divino Pastore sospettava e come alcuni fra i miei compagni temevano.", affermò quello con voce dura, "Speravo che si sbagliassero, ma la realtà mi colpisce più dura di un pugno.", concluse serio.

"Sei sempre stato cieco alla realtà, Bah di Vepvet, questa è l’unica verità. Sei tanto cieco da chiamarmi ancora con un nome che più non mi appartiene.", esordì lei di rimando, "Non sono più Jia di Uptat, altro è il nome che ho preso da quando sono diventata una degli Homines!", spiegò secca, avanzando di qualche passo.

"C’era chi credeva che tu ti fossi alleata con Ashur di Selkit, l’assassino che fuggì la stessa notte in cui tu ci tradisti, ma questo, Jia, è anche peggio!", la accusò il Faraone di Vepvet, "Al contrario, mio passato compagno d’arme: se mi fossi affiancata al vile che aveva ucciso la guerriera di Bastet per puro capriccio e per illogiche ed insane passioni, sarei stata sciocca e nell’errore, tanto quanto lui, di poco meno di voi, ma adesso agisco solo seguendo l’unica vera legge, quella della logica.", rispose secca l’altra.

"Farnetichi, Jia, quale logica staresti seguendo?", la accusò l’egiziano del divino Sciacallo, "La stessa che mi ha portato ad abbandonarvi.", tagliò corto quella.

Uno sguardo triste si dipinse sul viso del guerriero egizio, prima che alzasse le braccia sopra al capo, "Hai perso il senno, mi è ormai chiaro, mia vecchia amica. Non sarò però io a giudicarti, lascerò ai potenti Osiride ed Anubi il diritto di giudicarti! Segui la Via di Amenti!", urlò deciso Bah, prima che attorno a lui s’aprisse un varco d’energia che cercò di assorbire l’Egizia al proprio interno.

Una risata proruppe da sotto il mantello, mentre un cosmo ampio e dorato s’allargava dalla figura della donna, un’aura cosmica che a contatto con il varco creato dal Faraone di Vepvet produsse delle scosse nell’ambiente, scosse sempre più forti, che sembravano far ritrarre l’essenza stessa di quel mondo in cui la donna, un tempo chiamata Jia, sarebbe dovuta sprofondare.

"Stai avvelenando il mondo dei Morti? Com’è possibile?", domandò sgomento Bah, "Non lo sto avvelenando, mio sciocco e passato compagno, sto insinuando il germe della logica in un modo di superstizione!", ribatté lei sicura.

"Forse sì, puoi dire che è un veleno il mio, il veleno che uccide le antiche culture, basate su superstizione e falsi ideali! Un veleno che scaccia via le infezioni della mente! Il veleno della Logica che ogni sciocchezza uccide!", esclamò fiera la guerriera degli Homines.

"E come spieghi il Cosmo, le divinità e tutto ciò che ci circonda? Non Ra devi ringraziare per la tua vita e per il sorgere del Sole? Non la potenza dell’Enneade permette il governo sul mondo umano, la Duat ed Amenti?", incalzò il Faraone di rimando.

"No, la logica, la scienza, le esperienze umane, frutto di addestramenti e di sperimentazioni, loro hanno portato all’attuale condizione! Gli dei non sono altro che altri nomi che diamo alle reazioni naturali! E non alla natura io mi piego, bensì alla ragione!", ribatté l’avversaria, prima che quello le si lanciasse contro, il cosmo brillante nel pugno chiuso.

"Mi dispiace sapere che hai perso ogni fede, ma ora è tempo che tu cada, Jia! Addio! Che il Pugno della Piuma sancisca la tua discesa in Amenti!", imperò, brillante nel proprio potere cosmico, Bah di Vepvet.

La mano della guerriera nemica, però, fu più veloce, nel rilasciare un sottile dardo d’energia, che trapassò il combattente egizio, lasciandolo cadere al suolo, agonizzante, sconvolto da convulsioni terribili a vedersi, per quanto brevi, che si conclusero con la morte del Faraone dalla maschera di sciacallo.

Ispirò per qualche attimo in silenzio, l’Egizia, guardando ai suoi compagni, passati e presenti: il vecchio guerriero di Bes era stato tagliato in due; il comandante di Ihi, divorato dalle sue stesse creature; la guerriera del coccodrillo, uccisa dal sadico Azteco ed ormai il cosmo di tutti loro si era unito a quello della Coreana nel completare il rituale che avrebbe che avrebbe imprigionato le divinità Egiziane.

Ora anche il cosmo di lei s’era unito ai loro, che Ra e gli altri rimasugli di sciocche superstizioni sapessero che quella che un tempo li aveva pregati, cieca alla Logica, ora avrebbe portato alla verità le menti inferiori, liberandole dal giogo delle divinità.

Che tu sapessero che Jia era una degli Homines, dei liberatori; anzi, non Jia, ma l’Egizia: Mertseger!