Capitolo 26: Grecale

"Okypede del Grecale è una guerriera da non sottovalutare, ricordalo.", queste le parole con cui il suo maestro lo aveva condotto fin dinanzi all’ingresso dove s’erano divisi.

Diverse erano le cose che non capiva degli ultimi eventi: inizialmente tutto era sembrato più semplice e logico, avevano attaccato il Santuario, poiché molti fra loro portavano rancore ad Atena ed il tempio dei Venti, poiché questa era la volontà di Luis, ma adesso non era il Sagittario Oscuro ad avere il comando, bensì il più silenzioso Ariete Nero, assieme a Persefone ed all’unico dei Dominatori che, sapeva, essere alleato del suo maestro, Favonio di Levante.

Quello che, però, aveva visto, non era il rapporto fra due alleati, era la superbia di un uomo, all’apparenza mite, che comandava su un altro e, fra i passati compagni, il suo maestro era il succube, cosa che ad Akab della Vela Nera non piaceva affatto.

Il Nero Sagittario sembrava non farci caso: per tutto il percorso che i due avevano fatto assieme, il suo maestro non aveva fatto altro che parlare di Okypede: "Ricorda, il suo addestramento era già iniziato ancora prima che venisse scelta dal vento di Grecale; per questo, quando ancora io e Coriolis apprendevamo come dominare le correnti d’aria, lei già stava perfezionandosi oltre limiti che io, allora, immaginavo di non poter solcare.", raccontava.

Quelle parole risuonavano ancora nella mente del guerriero nero quando si fermò nell’ampio spiazzo di Nord-est, lì dove trovò una donna ad osservarlo, con evidente sorpresa negli occhi.

La donna che aveva davanti era da mozzare il fiato: capelli biondi legati in due trecce, che scivolavano delicatamente sulle spalliere dell’armatura, occhi verdi, lineamenti gentili ed affascinanti, un corpo snello e femminile come pochi ne avesse mai visto.

L’armatura ricordava quella di Oritia della Tramontana, così come quella di Favonio di Levante, per quel poco che il guerriero nero aveva avuto modo d’osservarlo: i colori dominanti erano azzurro e bianco, molto simile, alle vestigia della guerriera dell’ingresso Nord, per quanto, i cristalli ottagonali incisi sul pettorale e lungo i bracciali, ricordavano di più le decorazioni dell’alleato del suo maestro. La maschera che ricalcava un viso intento a soffiare, invece, sembrava un elemento comune in tutte le loro armature.

"Tanto bella quanto letale… aveva ragione il mio maestro.", sussurrò fra se il guerriero nero, avanzando ancora di più verso la seguace di Eolo.

La sorpresa per Okypede non fu vedere un nemico apparire dinanzi a lei, aspettava l’arrivo di qualcuna di quelle Ombre, dopo le innumerevoli battaglia che aveva sentito esplodere in tutto il Tempio dei Venti per quelle lunghe ore, dopo la terribile condizione di stallo cui il suo ruolo l’aveva relegata, quando s’era infine spostata, convinta da Noto e gli altri a proteggere le varie anticamere.

Le sorprese erano state altre: la prima, la più terribile, avvertire dei cosmi manifestarsi all’interno della Sala centrale del Tempio, dove una barriera sembrava impedire a chiunque di entrare, ma, come l’ulteriore sorpresa dimostrava, non di uscirne, giacché il nuovo giunto arrivava proprio dall’interno della barriera.

Okypede lo osservò ancora per qualche istante: aveva sentito i cosmi di quei misteriori invasori, ma non aveva incontrato nessuno di loro, con quelle armature oscure, quasi forgiate nella notte stessa, e quello che aveva davanti era un giovane dal viso elegante e serio, non aveva l’aspetto di un assassino, o di un invasore malefico; gli occhi marroni erano incuriositi e quasi divertiti, seppur la guerriera di Eolo parve leggervi anche un po’ di preoccupazione; i capelli, corti e ben curati, erano biondi e ben incastonati nella corona che portava al capo. La pelle chiara, seppur leggermente abbronzata, il fisico allenato sotto l’armatura, piuttosto semplice su gambe e braccia, così come all’addome, ma il pettorale che si univa alle spalliere appuntite, richiamava l’immagine di un viso sorridente, un volto greco, come quello che spesso veniva cucito sulle vele delle navi più antiche, lo stesso che riusciva ad intravedere sull’ampio e scuro mantello che s’agitava sulle spalle del guerriero.

Ci volle qualche istante ancora perché la Dominatrice del Grecale ricordasse gli anni di addestramento, con ambo i suoi maestri, e riprendesse il controllo della sorpresa appena avuto.

"Ho molte domande per te, invasore oscuro, la prima fra tutte è: chi sei?", domandò decisa la seguace di Eolo, mentre quello accennava un ancora più ampio sorriso.

"Cosa c’è da sorridere?", incalzò con disappunto la guerriera, "Il mio maestro mi aveva avvisato che avresti cercato di razionalizzare la situazione…", ridacchiò l’altro, "Il tuo maestro, invasore?", ripeté la prima.

Fu allora che il nero avversario fece un leggero inchino, avvolgendosi nel tetro mantello, "Giusto! Non mi sono ancora presentato! Sono Akab della Vela Nera, uno dei Quattro guerrieri oscuri che comandano le schiere d’argento fra i prigionieri dell’Isola di Deathqueen.", affermò sicuro l’invasore, alzandosi poi di nuovo in tutta la propria figura.

"Sono anche il primo fra gli allievi di Luis, il Sagittario Nero!", concluse con sicurezza, espandendo il proprio cosmo e lasciando che ondate di vento sferzassero verso la sua avversaria.

"Allievo di Luis, hai detto?", domandò immobile la Dominatrice dei Venti, "Dunque sai già chi hai davanti?", continuò, mentre le correnti avverse si fermavano, quasi paralizzati, "Sai già chi io sia? Okypede del Grecale, Comandante del Tempio consacrato ad Eolo?", aggiunse, "E nonostante ciò, mi attacchi con correnti di vento?", tuonò infine, mentre una fredda corrente si scagliava addosso al nero invasore, travolgendolo.

O almeno, quello la prima guerriera di Eolo si sarebbe attesa che succedesse, quando, però, il nemico espanse il mantello alle sue spalle, che divenne una gigantesca vela d’energia cosmica, grande fu la sorpresa sul volto della donna, nel vedere il vento ghermito da quel costrutto d’energia.

Una leggera risata scivolò fra le labbra del guerriero nemico: "Il mio maestro mi aveva suggerito di non sottovalutarti, ma, temo, che sia stata tu a fare tale errore, seguace di Eolo!", la ammonì Akab, mentre il mantello alle sue spalle andava gonfiandosi sempre di più, "Osserva il marchio che determinerà la tua morte!", aggiunse poi, mentre una sagoma andava disegnandosi anche sul mantello d’energia.

"Sailing Wind! Guida la mia nemica verso la morte!", urlò deciso il nero avversario, mentre le correnti di vento che Okypede aveva poco prima generato si ritorcevano ora contro di lei, condensate in un unico dardo di aria ed energie oscure.

Con lo sguardo sicuro, Akab osservò il proprio attacco correre contro l’avversaria, pronto a finirla il prima possibile per correre di nuovo in supporto al proprio insegnante, che riteneva in pericolo, per quanto fosse circondato solo da quelli che entrambi avrebbero dovuto semplicemente considerare alleati.

Okypede poteva essere bella e la più potente dei guerrieri di quel tempio, ma era una singola avversaria e nemmeno Medonte, Syrin, o Kirin sarebbero stati sconfitti se avessero affrontato un singolo avversario, di questo era sicuro. Com’era sicuro, il discepolo di Luis, di essere pari, se non superiore agli ultimi due e, probabilmente, capace quasi quanto il primo, seppur non egualmente.

Furono queste certezze e queste urgenze su cui la Vela Nera si concentrò, mentre il suo attacco volava addosso all’avversaria.

***

"Okypede!", esclamò preoccupato Aliseo di Ponente, lungo il corridoio che dall’anticamera del Libeccio portava alla Sala centrale del tempio, fermandosi e volgendo verso Nord il proprio sguardo.

Anche le due sacerdotesse guerriero si fermarono di colpo, mentre ancora qualche passo compì Noto, il custode dell’anticamera che avevano appena superato, prima di portare il proprio sguardo verso gli inattesi compagni ed alleati.

"Sì, è il vento della nostra comandante quello che senti, Aliseo, ma credi che restando a guardare la dura roccia potrai esserle di aiuto alcuno?", chiese con sarcasmo il figlio di Austro, "L’unica cosa che puoi fare, che possiamo fare tutti noi, è impedire che, chiunque siano gli alleati del tuo predecessore, possano rubare l’Otre dei Venti. Questo è il nostro ruolo e dovere, dall’Era del Mito.", suggerì, pronto a riprendere la corsa.

"Ma… Okypede, la nostra comandante…", balbettò Aliseo e l’altro batté pesantemente un piede al suolo, "Oritia ed Ekman, allora? Entrambi morti ormai per difendere gli ingressi Nord e Sud del Tempio? O Coriolis, che sento anche intento in uno scontro, così come Lothar che, da ciò che avverto, ha da poco concluso una battaglia e presto ne inizierà un’altra?", sbottò con disappunto il Dominatore del Libeccio.

"Non senti forse i cosmi che sono giunti in loro aiuto? Al contrario della nostra comandante, sembra che anche nelle Anticamere di Maestrale e Scirocco sia giunto l’aiuto dei cavalieri di Atena, così com’è successo in quella di Libeccio, mentre nelle sale del Grecale combatterà da sola contro un nemico!", sottolineò con decisione l’altro.

"Dimentichi forse che è il Comandante dei Dominatori? Che persino mio padre la scelse come la più forte di tutti noi e che poi anche Coriolis e Favonio confermarono tale scelta? Non stiamo parlando di te, piccolo stalliere di Ponente, ma di una ragazza che, oltre il bel visino nordico, possiede un potere ben più addestrato di qualsiasi altro fra noi, probabilmente.", sbottò con disappunto il figlio di Austro.

Fu allora che una figura ferita e dalle vestigia danneggiate si posizionò fra loro: "Non serve litigare fra voi, guerrieri di Eolo!", s’intromise decisa Dorida della Sagitta, "Specialmente se, da quel che ho capito, è la vostra comandante la donna di cui parlate! Una donna guerriero che, per di più, è al comando di un gruppo di uomini, di certo non deve essere avversaria da poco per nessuno.", sottolineò decisa la sacerdotessa di Atene.

"Ricordate inoltre, Dominatori dei Venti, che la misura di una vera guida è nella fiducia che i suoi compagni gli rivolgono, quindi, se veramente tu consideri questa Okypede come la tua comandante, Dominatore di Ponente, dovresti avere maggiore fiducia in lei!", concluse Iulia dell’Altare, poggiata contro la parete di roccia che costituiva il corridoio, prima che la parigrado le si avvicinasse, porgendole la mano, affinché si sostenesse a lei per ricominciare l’avanzata.

"Hanno ragione, lo sai, vero?", incalzò Noto, rivolgendosi con un tono più gentile verso il parigrado, "Se non hai fiducia tu in Okypede, tu che la veneri e segretamente, credo, la ami, chi altri potrebbe averla? Io, che non riesco a sopportare il suo modo così razionale di voler agire in ogni frangente?", domandò con un sorriso beffardo, ma, chiaramente, più bonario.

Rimase per qualche istante in silenzio l’ustionato Aliseo, prima di fare un cenno affermativo con il capo e riprendere ad avanzare, subito seguito da Noto stesso, che sorrise nell’oltrepassare tutti i compagni improvvisati.

***

Il dardo di vento volò con decisione contro la guerriera consacrata ad Eolo, ma lo sguardo di lei non si mosse, bastò soltanto che aprisse una mano, perché una barriera di vento si alzasse in sua difesa, bloccando ogni velleità offensiva.

"Non è nella mia natura sottovalutare da subito un nemico, allievo di Luis, ma nemmeno di temerlo senza ragione! Se vuoi avere ragione di me, sappi, dovrai fare più di questo, poiché questa corrente che con tanta ferocia mi hai scagliato contro è ben poca cosa rispetto ai venti che comando!", avvisò seria Okypede, volgendo gli occhi, gelidi, verso il nemico, "Ben poca cosa è rispetto alla Bora!", urlò infine e l’aria attorno a lei di nuovo si congelò, ma stavolta il gelo divenne quasi palpabile con le mani, un brivido di freddo, persino, scosse la pelle di Akab, prima che il proiettile stesso si congelasse per poi esplodere in una corrente avversa.

Fu sollevato da terra il nero guerriero, mentre striature di ghiaccio segnavano le vestigia e la corrente d’aria lo sbalzava indietro.

Ci volle tutta la concentrazione ed il controllo che l’allievo di Luis aveva sviluppato durante gli anni di addestramento perché potesse sollevare il mantello alle sue spalle e domare così il vento, creando una densa e nera barriera d’aria attorno a se, una vera e propria Vela d’energia, quasi simile a quella che poco prima gli aveva visto usare Okypede, ma ben più resistente.

"Come puoi controllare le correnti d’aria che io, Dominatrice dei Venti, guido?", domandò sbalordita la comandante del Tempio di Eolo, ricevendo una risata come prima risposta, "Ben poco sai di me, abile guerriera, poiché niente in vero tu sai dei progetti che aveva il mio maestro, se fosse riuscito ad ottenere l’Otre della vostra divinità, come era nei suoi piani!", ribatté sicuro Akab, allargando le braccia, "Black Wing!", imperò subito dopo e parve quasi che il vento e la vela stessa si tramutassero in un’ala dalle nere piume, che si scosse, liberando un’ondata d’energia contro Okypede, sbalordita da ciò che vedeva.

Lo stupore, però, fu facilmente controllato dalla donna, che aprì le mani dinanzi a se, "Bora, proteggimi!", ordinò sicura, mentre le gelide forze dei venti contrastavano quelle del suo giovane ed oscuro avversario, creando un piccolo vortice di ghiaccio ed oscurità fra di loro, un vortice che frantumò il suolo e, ben presto, scosse il soffitto, prima di esplodere in una pioggia di lapilli ed energie su ambo i fronti.

In silenzio, Akab sollevò il braccio destro, lasciando che il mantello lo avvolgesse, impendendo che le pietre lo toccassero, ma, impedendosi così, di osservare come Okypede riuscì ad evitare di essere ferita, un mistero che si palesò agli occhi del nero invasore quando abbassò le proprie di difese e la vide ancora immobile e determinata a studiarlo, con le vestigia ancora illese, persino più di quelle nere che lui indossava.

"In attacco, così come in difesa, sembriamo eguagliarci, Comandante dei Venti!", si complimentò la Vela Nera, mentre l’altra rimaneva in silenzio, il che lasciò una nota di disappunto sul volto dell’allievo di Luis che avrebbe sperato in una replica, un complimento, velato forse quanto il suo, ma egualmente rivolto ad entrambi.

"Gelida e distaccata, di questo il maestro non m’aveva informato…", rifletté, più per se stesso, Akab, aprendo poi le braccia in avanti verso l’avversaria, "Vedremo se le tue doti difensive potranno ancora reggere contro il mio di potere! Sailing Winds, colpite!", imperò subito il nero nemico, scatenando non uno, ma più dardi di vento oscuro contro la guerriera avversa.

Ancora una volta, la Dominatrice del Grecale non fece niente di più che muovere le mani dinanzi a se, aprendole e disegnando quasi un cerchio, una superficie oltre la quale gli assalti nemici non sembravano poter continuare.

"Forse dovresti usare l’attacco che hai ereditato dal tuo insegnante, ragazzo.", suggerì impassibile Okypede, "Forse, usando un potere che dovrebbe essere solo dei veri Dominatori dei Venti, anziché provando a plasmare in malo modo il vento, come farebbe un seguace di divinità meno legate ad un singolo elemento, potresti riuscire a superare le mie difese. In questo modo, però, sappi che le tue opportunità di ferirmi sono nulle, perché nessun vento vince l’intensità e la furia della Bora!", urlò infine, scatenando di nuovo la fredda corrente che si scagliò contro il giovane invasore, il quale, però, fu pronto a risollevare la vela d’energia attorno a se.

"Hai dunque notato la particolarità del mio attacco? Ma sbagli nel credere che sia solo un’imitazione del potere che appartiene a Luis! No, io sono ben diverso da Kirin e Yuri, io ero da sempre destinato a diventare allievo dell’ultimo vero Dominatore di Ponente, l’attuale Sagittario Nero! Io con lui ho da sempre dovuto condividere il mio destino, nel bene, o nel male!", ruggì con orgoglio il giovane, "Black Wing, offri una dimostrazione delle mie parole!", imperò infine, scatenando di nuovo il proprio di assalto.

"Parli per misteri ragazzo, un gioco che non m’aggrada!", ribatté gelida la donna, prima di intensificare la propria corrente d’energia, provocando un nuovo scontro di forze tale da devastare il terreno fra loro e costringendo ancora una volta entrambi alla difesa dal confronto fra i loro poteri.

Quando l’esplosione dei poteri fu quietata, Okypede vide l’Ombra malefica scattare avanti, il mantello che s’agitava, sempre più vasto, quasi a riempire l’intero orizzonte dinanzi a lei, un mantello che, ben presto, si manifestò, ancora una volta, come una Vela su cui era inciso un viso greco.

"Con il vento non potrò sconfiggerti, Comandante di Eolo, ma ho altre armi nel mio arco, o, più correttamente, nel mio mantello!", avvisò Akab, avvicinatosi fino a pochi passi dall’altra, "Dark Flag! Incidi la morte nel destino di questa donna!", imperò deciso l’allievo di Luis, espandendo il manto e scuotendolo, per poi lanciarlo dinanzi a se.

La guerriera di Eolo cercò di respingere il mantello con le correnti gelide, ma l’unico risultato che ottenne fu l’ampliarsi dello stesso, tanto da sembrare, quasi un manto di tenebra che voleva avvolgerla e, come tale, quel costrutto di stoffa e cosmo si comportò, chiudendosi sulla fanciulla.

Stavolta fu più attento il primo allievo del Sagittario Nero: già la seguace dei Venti lo aveva sorpreso, dimostrandosi degna delle parole di lode che Luis utilizzava nel descriverla, parole che non erano cambiate negli anni, cosa che, invece, Okypede sembrava aver fatto, diventando forse più persino più forte, ma di certo più glaciale.

Un leggero sorriso si dipinse sul viso del giovane guerriero nero, mentre si diceva che, forse, gli occhi di Luis erano quelli che avevano visto una diversa Dominatrice del Grecale, occhi pieni d’amore per quella stessa fanciulla, un sentimento che la prigionia e l’esilio, come ciò che li aveva causati, non avevano spezzato.

"Solo per il sentimento che il mio maestro prova verso di te, Comandante di Eolo, non farò durare oltre le tue sofferenze, piuttosto, ti ucciderò in modo veloce.", assicurò con voce pacata Akab, mentre un’estremità del mantello si estendeva lungo il bracciale dell’armatura, mutando in una lunga lama oscura, "Addio!", urlò subito dopo, pronto a sferrare il proprio attacco, per poi trovarsi bloccato, paralizzato da qualcosa che comprese solo quando ormai era tardi: correnti di ghiaccio.

Fu allora che il mantello s’allargò, sollevandosi, permettendo alla Dominatrice di Grecale di rivelare di nuovo il proprio volto sotto lo stesso, "Prima di apprendere come controllare i Venti, avevo già scoperto tutto sull’essenza del cosmo, allievo di Luis.", spiegò pacata la fanciulla, "Non puoi sperare di vincermi né con l’uno, né con l’altro, se tale è il tuo controllo su di loro!", continuò, mentre le fredde correnti attorno al suo avversario mutavano in anelli di ghiaccio, che si chiusero a bloccare i suoi movimenti.

"Ora, è tempo che tu mi dia delle vere risposte, ragazzo.", tagliò corto gelidamente, sollevando con delle correnti ascensionali il nemico intrappolato.

"La prima e la più importante, dimmi: come hai fatto a raggiungere l’Otre dei Venti? Né io, né qualcuno degli altri Dominatori ti ha affrontato in battaglia.", osservò pacatamente Okypede.

Uno sguardo dubbioso si dipinse sul volto di Akab, prima che rispondesse: "Sai come mai conosco così tanto di voi, Comandante di Eolo? Perché da tempo mi stavo preparando a questa battaglia, dal giorno in cui il mio maestro cercò di prendere il comando di questo tempio.", raccontò, evitando del tutto le informazioni che l’altra gli aveva chiesto.

"Conoscevo il grande Luis fin da quando era un Dominatore dei Venti!", confessò Akab, "Egli mi trovò da solo, com’ero sempre stato dall’età di cinque anni, in un piccolo paese vicino Dallas, in Texas. Sono americano, sai? Il mio maestro, però, mi disse che questo non era un elemento importante per il mio futuro, che sarei comunque potuto diventare il nuovo guardiano dell’Ostro, una volta preso il controllo del Tempio.", aggiunse ancora, con soddisfazione, il nero guerriero.

"Saresti diventato il nuovo Dominatore dell’Ostro?", ripeté con stupore, forse senza nemmeno rendersene conto, Okypede, "O del Libeccio secondo ciò che avrei scelto.", confermò l’altro.

"Il progetto del mio maestro era semplice: non essere più servitori dei Venti, e di Eolo, ma essere realmente coloro che li dominano, scegliendo noi chi avrebbe dovuto comandare su cosa.", raccontò il nero guerriero, "Per questo iniziò il mio addestramento, incontrandomi una, ogni tanto persino due, volte a settimana, per spiegarmi come dominare le correnti d’aria. Parlava spesso della bella fanciulla russa che aveva preso il suo cuore e del guerriero che considerava il più stretto e fidato degli amici, così come degli altri vostri compagni d’allora. Era certo che voi due avreste accettato il cambiamento da lui proposto.", continuò con rammarico.

"Immagina la mia sorpresa quando ho saputo del suo fallimento, della ferita subita, della prigionia! Ho dovuto scatenare le forze che avevo appena appreso come controllare per riuscire ad essere imprigionato nella medesima Isola prigione, dove il mio insegnante continuò il mio addestramento, anche se, ormai, non puntavo più a divenire uno di voi Dominatori, ma solo ad aiutarlo a vendicarsi di voi.", concluse con uno sguardo serio sul volto, "Ed oggi è il giorno della vendetta!", concluse, mentre dall’ombra stessa di Okypede si palesava un simbolo, che andò tracciandosi ed avvolgendola, mentre una nuova vela appariva nell’aria, creando una corrente calda ed intensa, che sciolse gli anelli con cui Akab era stato intrappolato, permettendogli di liberarsi.

"Ti avevo avvisato, Comandante di Eolo: sei stata marchiata!", concluse, mentre la corrente ascensionale esplodeva sotto i suoi piedi, sollevandola e tempestandola di incandescenti strali d’ombra.

***

Anche dall’anticamera del Maestrale due figure stavano correndo verso la Sala centrale del Tempio: Gwen del Corvo accompagnava Coriolis, dominatore di quello stesso vento verso il luogo dove le forze nemiche sembravano essersi già insediate, il cuore stesso del santuario di Eolo.

"Ancora battaglie si combattono in alcune anticamere…", osservò il guerriero, fermandosi un istante, quasi ascoltasse qualcosa di distante attorno a lui, "Dici il vero, Dominatore, avverto anch’io il cosmo del Cavaliere della Croce del Sud e dell’altra sacerdotessa nostra compagnia che combattono, con un altro alleato, contro tre nemici.", analizzò l’allieva di Remais, il cui volto mascherato sembrava vagare persino oltre quelle mura, "E molte altre battaglie si stanno combattendo nel mondo circostante…", aggiunse preoccupata.

"Questo va al di là delle mie percezioni, in vero, guerriera di Atena: al contrario di voi, cavalieri della Giustizia, e di molti altri eserciti di Grecia, noi seguaci di Eolo non avvertiamo l’esplodere delle energie cosmiche, bensì, sono i venti che ci indicano quali forze sono in movimento e fluiscono lungo le correnti che circondano ogni cosa. Il vento ci parla, ma in questo momento ciò che sta avvenendo nella sala centrale del nostro tempio, mi occlude ogni altra percezione.", spiegò con tono pacato l’altro.

"Una caratteristica piuttosto singolare…", osservò sorpresa Gwen, "Vero, ma spesso il vento può dirti molto più dei soli sensi, ti concede quello che i più chiamano l’Intuizione, il Sesto Senso, la stessa abilità che mi permetteva di danzare fra le correnti d’aria della Lucertola Nera. I più potenti fra i Dominatori, mi è stato raccontato, sono arrivati a superiore questo livello di percezione, durante le diverse generazioni.", spiegò Coriolis.

"Un potere particolare il vostro, di certo. Dunque nelle passate generazioni c’era chi persino è arrivato a superare il Sesto Senso?", chiese, mentre i due ancora avanzavano, la sacerdotessa del Corvo, "Sì, ed anche in questa… ma è qualcuno che ha avuto come primo insegnante un cavaliere d’oro.", concluse, con un sorriso accennato il guerriero del Maestrale.

"Uno di voi era un apprendista di Atena?", domandò sbalordita Gwen, "La nostra attuale comandante è stata un’apprendista sacerdotessa guerriero, prima che il vento, tramite il suo defunto predecessore, Austro, la chiamasse al nostro Tempio.", iniziò a spiegare Coriolis, "Quella di Okypede è una storia complicata e, sotto alcuni aspetti, triste: in parte mi è stata raccontata, ma per lo più ho avuto modo di vedere ciò ha vissuto e so quale tristezza si nasconde sotto la maschera di freddezza che spesso indossa.", concluse, prima che la mente vagasse sulle esperienze passate condivise con la Dominatrice di Grecale.

***

Ricordi analoghi scivolarono nella mente della Comandante dei seguaci di Eolo.

Era ancora una piccola bambina di un villaggio della Russia, quando i suoi genitori, sperando che lei potesse avere un futuro migliore del loro, un futuro diverso da quello di una povera famiglia di contadini, aveva accettato che il misterioso uomo, di nome Vladmir, la prendesse come sua allieva.

Non era di molto più grande di lei e, da ciò che gli avevano spiegato i genitori, proveniva da un villaggio vicino, che aveva abbandonato molti anni prima.

La giovane Okypede era triste il giorno che aveva abbandonato la sua casa, ma, con il passare del tempo, l’addestramento e la scoperta di più complesse verità, Atena, il cosmo e le guerre sacre, le fecero capire che la scelta compiuta dai suoi genitori era stata fatta per amore e per dare un futuro alla figlia, eppure, per quanto la affascinasse quella nuova vita, la ragazza sentiva che le mancava qualcosa.

Forse era vedere il proprio volto, sempre nascosto dietro quella impassibile maschera d’argento, forse era il contatto con altre persone, che non fossero Vladmir, un amico, oltre che un maestro, di certo, ma anche un cavaliere che solo da pochi mesi era divenuto tale, quindi sembrava anch’egli incerto nel modo d’addestrare la sua prima allieva.

Fu durante una delle sue solitarie notti, nelle brevi giornate invernali, quando approfittando delle ombre notturne si allontanava dalla piccola casetta per andare a specchiarsi nel vicino lago ghiacciato che Okypede, però, lo incontrò.

"Le regole degli dei sono spesse incomprensibili agli uomini, così come le possibilità che ci offre il destino, bambina.", esordì una voce d’uomo, una voce saggia e gentile, alle spalle dell’allora sacerdotessa guerriero, che fu veloce nel indossare di nuovo la maschera e voltarsi verso lo sconosciuto che l’aveva sorpresa alle spalle.

Si trovò dinanzi un uomo avanti con gli anni, per quanto dall’aspetto deciso e cordiale, in vestigia dai colori vividi e caldi, che subito la salutò con un leggero inchino.

"Piacere, fanciulla, io sono Austro dell’Ostro, comandante dei Dominatori di Eolo.", si presentò, "Ed è stato il vento del mio signore a condurmi da te, poiché avvertiva il tuo desiderio di libertà e voleva offrirti un legame con un culto ben diverso, dove il soffio del Grecale si potrebbe piegare al tuo comando.", spiegò con calma, prima di aggiungere, "Come ti chiami?", porgendole la mano.

"Il suo nome è Okypede, seguace di Eolo, mentre il mio è Vladmir, cavaliere dell’Acquario!", esordì allora una voce, improvvisa e glaciale, mentre anche la giovane allieva avvertiva il possente e freddo cosmo del maestro espandersi lungo la bianca riva innevata del lago.

"Mi scuso per essermi intromesso nei vostri allenamenti, cavaliere di Atena.", riprese prontamente l’anziano, volgendosi verso il ben più giovane santo d’oro, "Ma seguo gli ordini ed il volere del Vento e, come forse anche tu in queste fredde terre saprai, il vento è di per se ribelle e difficilmente si piega al volere degli uomini.", spiegò pacatamente.

"Questa scusa ti dà il diritto di minare le schiere di Atena a vantaggio di quelle di Eolo?", chiese con disappunto Vladmir, ma l’altro offrì un nuovo tranquillo sorriso, "Niente di tutto ciò è nei miei propositi, cavaliere, non sto costringendo nessuno ad abbandonare una divinità per seguirne un’altra, né ho intenzione di minare in alcun modo le schiere della Giustizia, semplicemente, come è dovere dei consacrati di Eolo, offro un’opportunità alla sua allieva.", rispose semplicemente Austro.

"Starà alla giovane Okypede decidere: se non vorrà abbandonare la via della Giustizia per la Libertà, allora il Vento, come è nella sua natura, soffierà ancora, in una nuova direzione, cercando qualche altro giovane a cui offrire il controllo delle correnti del Grecale.

Se, invece, lei vorrà seguirmi, spero che ciò non provochi inimicizie fra Atena ed Eolo.", concluse l’uomo dell’Ostro, prima di voltarsi verso la giovane apprendista, cosa che anche il santo d’oro fece prontamente.

Rimase a lungo in silenzio Okypede, confusa da ciò che stava succedendo, confusa da quella più che inattesa opportunità, finché fu la voce del cavaliere d’oro a richiamarla al presente: "Scegli, mia giovane allieva ed amica, scegli se vivere per Atena o meno.", propose con un tono cordiale, ma, in qualche modo, distante.

Fu dopo quelle poche parole che, quasi, alla giovane apprendista, parve di sentire una seconda voce, che la invitava a seguire il proprio spirito, il proprio vero desiderio e fu in risposta a quel suggerimento che lei parlò: "Mi dispiace, nobile Vladmir, ma scelgo di diventare una seguace di Eolo."

Per qualche istante, ricordava ancora perfettamente, Okypede ebbe l’impressione che l’aria attorno a lei si scaldasse, che il vecchio Austro, così pacato e socievole, fosse pronto a difenderla da una possibile reazione del cavaliere d’oro, poi, però, Vladmir chinò leggermente il capo, "Così sia se è questa la tua scelta, mia giovane allieva. Anzi, Okypede.", tagliò corto il Custode dell’Undicesima Casa, malgrado la nota triste nella sua voce, prima di allontanarsi.

Furono poi Austro ed Okypede, il primo tenendo per mano la seconda, ad abbandonare la riva di quel lago ghiacciato, dirigendosi verso luoghi molto più caldi, così caldi come la fanciulla aveva mai immaginato in vita sua.

Il suo primo ricordo del tempio di Eolo era proprio quello: il caldo tipico dell’inverno siciliano, un inverno che alla giovane ragazzina russa, sembrava un’afosa estate.

Il secondo ricordo fu quella voce: "Siete tornato, nobile Austro!", una voce che ben presto fu associata ad un viso sorridente, il viso di un giovane dal bellissimo aspetto, che, con un sorriso ed una leggera sorpresa dinanzi a quella maschera che ancora Okypede indossava, le si presentò, "Piacere, sono Luis."

Quella fu la prima volta in cui la giovane ragazza ringraziò per avere sul volto la maschera, poiché sapeva d’essere arrossita, e, allo stesso tempo, ne era dispiaciuta, poiché sapeva che la allontanava dal giovane e bel guerriero che aveva appena incontrato.

Ci vollero alcuni mesi perché la nuova giunta al Tempio di Eolo rinunciasse alla propria maschera, ultimo memento del suo essere stata un’aspirante sacerdotessa di Atena, anche se, a detta di Austro, tutto ciò che aveva appreso sarebbe rimasto per sempre con lei; una verità che gli allenamenti portati avanti assieme a Luis e Coriolis avevano dimostrato, quando per prima aveva raggiunto il controllo del Vento.

Quando alla fine rinunciò alla maschera, Okypede rinunciò anche a nascondere la propria femminilità ed i propri sentimenti, che scoprì ricambiati da Luis.

Quello era il ricordo che più di tutti la feriva, da quando era diventata la nuova comandante del Tempio, quello il ricordo che la riportò al presente ed al giovane guerriero nero che stava affrontando.

Lo stesso oscuro avversario che osservò con stupore quella che pensava vittima ormai inerme del suo attacco, ma che, controllando le correnti d’aria era riuscita ad uscirne in piedi e quasi illesa, con solo l’armatura danneggiata.

"Sei ancora viva?", balbettò stupito Akab della Vela Nera, "Come ti ho già detto, allievo di Luis, avevo già appreso l’essenza del cosmo prima di scoprire le vie del Vento!", ribatté lei, mentre l’energia fredda che dal suo corpo s’espandeva, si andava disperdendo sul terreno, congelandolo e bloccando nelle striature del ghiaccio il marchio che il cosmo dell’oscuro avversario aveva inciso sulla sua ombra.

Fu mentre si rendeva conto dell’impossibilità di utilizzare ancora il Dark Flag che il guerriero nero vide l’altra aprire le braccia sopra il capo e lasciare che le correnti d’aria si confondessero, quasi a creare una luce abbagliante, un’aurora luminosa che pareva circondarla.

"Questa, invasore, è la sintesi della mia natura di guerriera di Eolo, un tempo consacrata ad Atena, questa è l’espressione massima del mio potere.
Contempla, Ombra: questa è l’Aurora Artica!", imperò infine Okypede, calando le braccia dinanzi a se e congiungendo i pugni.

Grande fu lo stupore di Akab, mentre la luce che circondava la fanciulla confluiva lungo le braccia, rilasciando un fiume di vento ed energia che travolse il nero guerriero, congelando le vestigia oscure fino a distruggerle quasi del tutto, lasciando solo parte del mantello a coprirlo.

Lo stesso mantello che, come facilmente lo stesso Akab capì, lo aveva salvato da quel potente attacco d’energia, lo stesso per cui, dopo esserne stato travolto, si trovava ora al suolo, paralizzato e congelato dalle gambe in giù.

Okypede si avvicinò al nemico sconfitto, guardandolo con fredda determinazione, il pugno destro chiuso, pronta alla conclusione di quella battaglia, o almeno tale sembrava agli occhi del discepolo di Luis, ma così non era per se stessa.

Fu infatti quando le correnti d’energia fredda attorno alla Dominatrice si quietarono che lei parlò: "Non ti ucciderò, guerriero nero, piuttosto tu mi condurrai fino alla sala centrale e lì scoprirò perché, oltre ai tuoi compagni invasori, avverto non uno, ma due presenze che mi sono note… qualcuno che, oltre Luis, lì si trova, anche se non dovrebbe.", sussurrò con determinazione la comandante dei seguaci di Eolo.

Lo aveva sempre saputo Okypede, ma quella vittoria in battaglia glielo aveva dimostrato: non poteva prendere una vita e vivere la sua con quella freddezza così glaciale che Vladmir gli diceva essere alla base del vero potere di una sacerdotessa di Atena, non poteva estraniarsi dal mondo per difendere la giustizia, preferiva vivere la libertà del vento per combattere in ciò in cui credeva e lei non credeva che uccidere il discepolo di Luis sarebbe stato utile.

Tanto più se non era solo il suo primo amore ad averli traditi.

Homines 14: Il Giapponese

Osservava l’uomo dinanzi a lui, un guerriero dalle vestigia nere ed il viso del medesimo scuro colore che lo scrutava con decisione, un uomo in cui vedeva la medesima ossessiva lealtà che aveva visto in molti altri negli anni, un uomo in cui, in qualche modo, rivedeva persino suo padre.

Fu infatti il padre la prima persona a parlargli delle divinità: "Ho servito il divino Kagutsuchi, figlio mio, con la massima lealtà e dimostrandomi un guerriero d’onore, un vero Samurai della Fiamma!", aveva raccontato più e più volte.

Quello era l’inizio dei racconti del padre, racconti che, però, non parlavano d’onore, alle orecchie del giovane ragazzo, ma di vergogna; "Sono stato inviato dal divino Signore del Fuoco ad invadere l’Oceania assieme al resto del nostro esercito, un piano d’espansione che avrebbe ridato gloria e potere al Giappone, ora che il mondo Occidentale sta spezzando le nostre tradizioni, ci avrebbe aiutato a ritrovarle!", spiegava.

Una spiegazione che, però, era solo l’incipit della descrizione delle battaglie che i Samurai della Fiamma affrontarono contro i bianchi guerrieri polinesiani: il padre nel parlava con orgoglio, definendoli avversari gloriosi e potenti e tali, in effetti, dovevano essere se, inferiori di numero, avevano saputo vincere ed annientare quasi del tutto l’esercito di Kagutsuchi, e come aveva reagito la divinità del Fuoco dinanzi al solo seguace sopravvissuto? Lo aveva scacciato, rinnegandolo, tacciandolo di codardia e lasciandolo privo di qualsiasi onore di guerriero.

Per tutta la sua infanzia, il figlio di quello che era stato l’ultimo Samurai della Fiamma aveva sognato di riguadagnare l’onore paterno servendo la medesima divinità, ma il nuovo ordine di guerrieri consacrati a Kagutsuchi lo aveva rifiutato, accusandolo che il disonore che il padre aveva portato alle loro schiere sarebbe stato sufficiente per molte altre generazioni e che il Signore del Fuoco non voleva più avere nessun legame con la loro famiglia.

Dopo tale rifiuto, aveva cercato il luogo dove i più potenti fra i guerrieri nipponici si trovavano, i Portatori di Luce, consacrati ad Amaterasu, la Regina del Sole, ma anche loro avevano rifiutato il figlio di un uomo senza onore com’era suo padre, o almeno come tutti lo definivano.

Solo dopo tanti e tanti altri rifiuti, che il giovane figlio di un Samurai della Fiamma rinnegato capì che, probabilmente, erano le divinità che voleva venerare ad essere prive d’onore.

Ora aveva un altro sciocco dinanzi a se: un vecchio guerriero che, come lui un tempo, credeva che gli dei avessero onore e meritassero d’essere protetti e serviti, un uomo dell’età di suo padre con nere vestigia che ricordavano un cervo, o comunque un qualche animale piuttosto atletico e con le corna, che, vagamente, richiamava quelle forme.

"Dimmi il tuo nome, servitore delle divinità egiziane, che possa ricordarti con onore fra i miei nemici sconfitti.", esordì allora l’Homo di origini giapponesi, "Sembri sicuro di te, invasore, ma apprezzo il tuo senso dell’onore. Il mio nome è Geb di Anukit, Faraone anziano al servizio dell’Enneade. Tu, invece, chi sei?", domandò di rimando l’egiziano.

"Sono uno degli Homines, il Giapponese, ma tu puoi considerarmi il tuo carnefice.", ribatté lui con tono deciso, avvicinando la mano destra all’arma che nascondeva sotto l’ampio mantello, una katana molto particolare, dono dello Slavo, primo lavoro da lui prodotto.

"La troppa sicurezza sarà la tua fine, Giapponese!", avvisò indispettito Geb, "Pietre Nere, sollevatevi!", imperò poi, mentre il suolo attorno a loro tremava, scatenando dei giganteschi picchi di di scura roccia che volarono contro l’Homo.

L’ultima cosa che il Faraone vide, furono gli aculei che si lanciavano con furia sulla loro vittima, prima che in un bagliore accecante, gli stessi macigni andassero in pezzi, distrutti in più e più piccoli segmenti di roccia, lasciando dietro di loro solo polveri e vuoto.

"Possente e veloce la tua tecnica, egizio, questo è innegabile, ma ben poca cosa per chi possiede la Yamata No Orochi.", sentenziò una voce alle spalle del servitore di Ra, che, sorpreso, vide l’avversario alle proprie spalle riporre l’arma nella custodia.

Fu solo un secondo poi e l’armatura di granito, da molti considerata indistruttibile, si aprì, all’altezza del petto, prima che un profondo taglio nelle carni la seguisse, dilaniando muscoli, pelle ed ossa.

L’inchino che l’Homo rivolse all’avversario fu secco e determinato, prima di voltargli le spalle ed allontanarsi: avrebbe sempre mostrato rispetto per i suoi nemici, anche se loro erano degli sciocchi che ancora davano fiducia nelle divinità.

Questa era l’unica vera forma d’onore per lui, il Giapponese, Onamujii.