Capitolo 21: Libeccio

"Sono Noto del Libeccio, piacere di fare la tua conoscenza, gattino.", così aveva esordito il Dominatore dei Venti dinanzi al guerriero d’oro nero, ma ora, osservandolo meglio, non poteva che avere un po’ più di dubbi sulla propria baldanza.

L’uomo che aveva dinanzi era massiccio, parecchio più alto di lui, lunghi capelli rosso sporco scivolavano dall’elmo nero, occhi spiritati e castani lo squadravano con superba sicurezza e malvagità, mentre le tetre vestigia d’oro sporco brillavano sul corpo di lui.

L’altro lo guardava di rimando: i capelli castani, gli occhi nocciola ed i lineamenti greci quanto i suoi, indicavano che anche quel giovane aveva origini mediterranee come le sue.

L’armatura era molto simile a quella degli altri Dominatori, anche se il Leone d’Oro nero questo non poteva saperlo, ad un primo sguardo gli era parsa fuoco ed ambra, ma, adesso, avvicinandosi, aveva potuto notare i veri colori della stessa: oro ed arancio, riscaldati dal cosmo del giovane guerriero che si portava dinanzi.

Le vestigia sul pettorale, sulla cinta, sui gambali e sulle coperture delle spalle, avevano incise fiamme e scintille, mentre le braccia avevano dei blocchi ben più semplici e privi di qualsiasi decorazione e, come le altre armature, anche queste avevano una maschera con sopra disegnate labbra intente a soffiare.

Uno sbuffo fu tutto ciò che Medonte, il Leone d’Oro nero concesse al suo nemico dopo quella piccola analisi del suo aspetto, sollevando contro di lui il suo indice sinistro: "Non ho nemmeno bisogno di utilizzare i miei attacchi migliori, seguace di Eolo, basterà la sola emanazione del mio cosmo ad abbatterti!", imperò sicuro, liberando un’ondata di calde lame di luce rossastra, liberando un reticolo di energia che dilaniò il terreno nella sua corsa contro il Dominatore di Libeccio.

Noto, però, fu svelto: spiccò un salto, correndo in mezzo alle lame di luce, volando guidato dal vento che sapeva generare, finché, balzato oltre un quadrante luminoso, aprì le mani verso l’oscuro nemico.

Una calda ondata di vento sospinse il guerriero oscuro, arrossando leggermente il suo viso per qualche istante, mentre il cosmo impediva a quella corrente di fargli perdere l’equilibrio.

Noto, intanto, appoggiava le mani sul terreno, calandosi leggermente per poi sferrare un veloce calcio sinistro alla gamba del massiccio uomo in nero, il quale, però, si dimostrò degno di tanta possanza, riuscendo a reggere l’impatto senza scuotersi dalla propria posizione, anzi, approfittando per scagliare un violento pugno lì dove si trovava il guerriero di Eolo.

Il Dominatore di Libeccio, però, agì con prontezza, scivolando sul terreno ed allontanandosi da Medonte, il quale liberò prontamente il proprio cosmo luminoso e terribile attorno a se, incrinando il terreno stesso, al momento del contatto con il pugno della roccia.

Poggiato sulle mani, il guerriero di Eolo, con un’agilità che in pochi il suo avversario aveva visto, riuscì a rimettersi in piedi, sostenendosi sulle braccia, prima di compiere un’elegante capriola.

"Non è abbastanza!", ruggì allora il Leone d’Oro Nero, scatenandosi in avanti, dove vide l’altro portare indietro i pugni, brillanti di fuoco, prima di aprirli frontalmente contro di lui.

"Tutto per te, nero invasore! Garbin, fiammeggia!", imperò il Dominatore, liberando un tornado di fiamme che bruciò in pochi istanti la distanza fra i due avversari, complice anche lo scatto in avanti dell’altro.

L’ondata di fuoco avvolse il guerriero nero, intrappolandolo in fiammeggianti e calde spire d’energia, che lo bloccarono, impedendogli ulteriori movimenti, "Pensi che basti questo a fermarmi, ragazzino? Quanto ti sbagli!", urlò il guerriero nero, liberandosi con un ruggito di puro cosmo, luminoso e malefico, che disperse le fiamme, lasciando però evidenti ustioni sul volto di Medonte.

Noto, con un sorriso, indicò il viso ferito del nemico, "Questo è solo l’inizio della tua caduta, guerriero oscuro!", disse sicuro, "No, questa è la fine della tua salita!", ruggì di rimando quello, aprendo a sua volta la mano sinistra, ricolma di luce.

"Sovrano della Paura!", imperò in un lampo accecante Medonte, prima che il fascio luminoso oltrepassasse il guerriero di Eolo, frantumando la maschera protettiva.

Il Dominatore si voltò di scatto, appena un rivolo di sangue che scivolava lungo il volto, "Attacco altisonante e minaccioso, guerriero nero, ma niente di più, a ciò che vedo!", lo derise Noto, prima che un rumore lo sorprendesse: "Ancora intento a giocare, ragazzo? Dopo tutti questi anni non hai appreso niente? Nemmeno dopo la mia morte?", domandò una voce, prima che una figura apparisse agli occhi del guerriero di Eolo.

"Padre!", fu l’unica cosa che disse il giovane, sbalordito da ciò che vedeva.

***

L’ambiente attorno a Noto cambiò all’istante: non era più nell’Anticamera del Libeccio, ma a casa sua, in una piccola cittadina siciliana che s’affacciava sul Tirreno, osservando le isole Eolie, il padre Austro dinanzi a lui.

Ricordava quel giorno: erano passate due settimane dalla morte di Shiltar del Libeccio, ancora si ricordava del vecchio Dominatore dai lunghi capelli candidi e dalla pelle così secca che sembrava quasi che il teschio fosse uscito al di fuori della pelle… spesso, da bambino, lo aveva immaginato armato di una falce, tanto lo intimoriva.

Quel giorno, però, Austro non era lì per parlare dell’amico morto, era tornato alla casa dove lo attendevano la moglie ed i tre figli, "Il vento di Libeccio ha raggiunto questa casa.", esordì il padre, "Uno di voi dovrà compiere il suo dovere verso il nostro signore Eolo, così come me e tutta la nostra famiglia prima di voi.", aveva spiegato.

Noto conosceva bene quella storia: si diceva che, ai tempi del Mito, Eolo viveva in quel piccolo anfratto, lo stesso dove, secondo l’Odissea, il Re di Itaca lo aveva incontrato, e lì, il Signore dei Venti aveva trovato un altro naufrago, graziandolo ed aiutandolo a sopravvivere e quello stesso naufrago aveva consacrato la vita alla divinità.

Per generazioni avevano costruito il tempio di Eolo e lì, la divinità greca, aveva deciso di onorarli dandogli il dovere di custodire l’Anfora dei Venti, la stessa che, nell’era del Mito, aveva offerto al Re di Itaca, per quanto questi ne avesse fatto uno scarso utilizzo.

Da quel naufrago dal nome sconosciuto discendeva la famiglia di Noto: suo padre era il Dominatore dell’Ostro e comandante della propria generazione di servitori dei Venti; il padre di suo padre altrettanto; Favonio, che dimorava nella sala di Levante, discendeva dallo zio di suo nonno ed anche loro erano stati una famiglia di servitori di Eolo.

Quel giorno sarebbe toccato ad uno dei figli di Austro: Borea, il primogenito, lui, il secondo nato, oppure il più piccolo fra loro, Zefiro; a tutti quanti loro il padre aveva dato i nomi grechi dei figli di Eos, le personificazioni dei Venti.

Erano tutti convinti che sarebbe stato Borea, l’orgoglio di Austro, il primogenito preparatosi tutta la vita a quel momento, su di lui il vento di Libeccio si sarebbe dovuto fermare, ma, invece, fu sull’allora adolescente Noto che le correnti calde si fermarono.

"Sei stato scelto, figlio mio.", gli disse il padre, portandolo via con se, verso il luogo dove i venti lo avrebbero addestrato.

Per anni si allenò, sotto le accuse del padre, che sempre sottolineava la svogliatezza del suo secondo genito, incapace di comprendere come Noto fosse più un sognatore, una nuvola scossa dal vento, che per tutta la propria giovinezza, aveva atteso che il fratello fosse scelto, così che lui potesse vivere la vita che aveva sempre sognato.

"Questo era il tuo desiderio, è vero, ragazzo, ma proprio per questo hai fallito in tutto: in ciò che desideravi essere ed in ciò che dovevi essere!", lo accusò il fantasma del padre, riapparendo dinanzi a lui, mentre la scena cambiava, non più la casa da cui era stato allontanato, ma la sala centrale del tempio di Eolo.

***

Medonte sorrideva: il nemico era imbambolato, paralizzato dal suo Sovrano della Paura, la tecnica che aveva generato osservando il Fantasma Diabolico che i Custodi dell’Isola della Regina Nera si tramandavano.

Uccidere quel seguace di Eolo sarebbe stato incredibilmente facile, ma questo non era un problema per il Leone d’oro nero, si disse, mentre la luminosa energia cosmica di colore scarlatto circondava le sue dita, allungandosi in affusolati artigli felini.

Medonte si lanciò alla carica, pronto ad affondare la mano nel petto dell’altro, strappandogli il cuore, cibandosene magari, affinché la paura che il nome del Leone d’oro nero procurava crescesse!

"Destrieri del Vento!", urlò d’improvviso una voce, prima che un nitrito echeggiasse nell’aere, investendo con violenza, nemmeno troppo elevata, il guerriero oscuro, sospingendolo indietro e costringendolo ad una veloce sequela di passi per fermarsi senza cadere.

Quando fu di nuovo certo del proprio equilibrio, Medonte osservò chi lo aveva attacco e fragorosa fu la sua risata nel vedere, dinanzi a se, una guerriera maschera, priva quasi del tutto d’armatura, con il corpo segnato da più e più ferite, ed un uomo, gravemente ustionato su quasi tutto il corpo, le cui vestigia non versavano in condizioni migliori di quelle dell’altra.

"Che scherzo è mai questo? Una sacerdotessa guerriero di Atene e quello che credo sia un Dominatore di Eolo tanto mal ridotti dovrebbero essere i miei nemici? Specialmente dopo aver già sconfitto un avversario ancora nel pieno delle forze?", li schernì, il cosmo che s’espandeva prepotente.

"Non sottovalutarci, guerriero nero, non siamo nemici da poco.", esclamò l’uomo dal volto sfigurato, prima di volgere la propria attenzione verso il Dominatore del Libeccio, ancora in piedi, paralizzato e completamente ignaro di cosa succedesse attorno a lui.

"Le vestigia del Leone…", riconobbe nel frattempo la guerriera mascherata, "Esatto! Medonte del Leone d’oro Nero, questo il mio nome! Voi, invece, chi siete povere sventurate vittime del terrore che so incutere?", domandò beffardo il nemico, avanzando di qualche passo.

"Iulia dell’Altare, sacerdotessa di Atene, come avevi già intuito, ed allieva del Sommo Oracolo della dea!", esclamò la giovane guerriera, "Ed io sono Aliseo di Ponente, seguace di Eolo!", aggiunse l’altro, i cosmi che splendevano, seppur deboli rispetto a quello dell’oscuro avversario.

"Patetiche pulci…", ringhiò divertito Medonte, "Nemmeno degne della mia attenzione, vi spazzerò via tutti e tre assieme con le mie Zanne della Paura!", urlò, aprendo le mani dinanzi a se e lasciando che due grossi globi di luce rossa si generassero, correndo, sotto forma di bocche di leone, contro i cavalieri che gli si opponevano.

"Speciosae Scudis!", invocò prontamente Iulia, sollevando le scarlatte difese vegetali dinanzi a se stessa ed ai due Dominatori dei Venti, difese che ridussero, ma non bloccarono, la potenza dell’attacco avverso, che le divorò, schiantandosi poi contro il trio di guerrieri.

Volarono al suolo, tutti assieme, urlando Aliseo ed Iulia, in silenzio Noto, ferite, simili a morsi, che s’aprivano lì dove i globi di luce avevano trovato un ostacolo.

"Come fai a stare così in silenzio?", chiese d’improvviso il guerriero di Ponente al proprio parigrado, rendendosi conto solo allora del vacuo sguardo che quello rivolgeva dinanzi a se; "Credo che sia intrappolato in una qualche illusione.", suggerì subito la sacerdotessa di Atene, "Così come lo siamo stati entrambi noi durante lo scontro con la Mosca oscura, seguace di Eolo.", ipotizzò.

Una risata fu la reazione di Medonte a quelle parole, che sentì chiaramente: "Paragonare il potere del Sovrano della Paura con le misere tecniche del mio discepolo Icaros, è come paragonare il sole con una candela! Fui io ad addestrarlo nel risvegliare il terrore dei dubbi nei suoi nemici, ma quello che sapeva fare lui, ben poca cosa era rispetto alla suprema paura che i miei attacchi sanno richiamare nelle vittime che scelgo.", spiegò sicuro il nero guerriero, avanzando con passo calmo contro i tre.

"Non sopravvalutarti, invasore! Abbiamo avuto ragione del tuo allievo ed allo stesso modo, ne sono certo, Noto avrà ragione delle tue, di illusioni!", esclamò Aliseo, il vento che vibrava attorno a lui, "Se non avessi urgenza di risolvere questa schermaglia, per non lasciare l’onore solo a Luis, Persefone e l’Ariete Nero, ti dimostrerei quanto poco comprendi, sciocco! Ringrazia la buona sorte per la mia fretta e cedi il passo dinanzi alle Zanne della Paura!", urlò deciso Medonte, lanciando di nuovo i globi di fauci luminosi.

"Afferra Noto per un braccio!", ordinò lesto il Dominatore di Ponente, aggrappandosi al braccio destro del proprio parigrado, mentre, con pochi istanti di ritardo, Iulia faceva altrettanto con il sinistro, spingendo quindi lateralmente il guerriero di Eolo intrappolato nelle illusioni, cercando così d’evitare l’assalto nemico.

Il movimento fu però troppo lento e, nello spostarsi, Aliseo fu preso in pieno al fianco destro da una delle sfere, mentre la seconda divorò quel che restava della spalliera sinistra dell’Altare, strappando via carne e sangue dal corpo della sacerdotessa, che ricadde al suolo, assieme all’inatteso duo di alleati.

"Non possiamo mantenerci sulla difensiva…", balbettò rialzandosi la consacrata di Atena, "troppa è la sua potenza per rischiare di subire altri attacchi.", sottolineò, sollevandosi in piedi ed espandendo il cosmo brillante.

"Bulbifera Solis, risplendi!", invocò Iulia, mentre decine di fiori dal bulbo color arancio iniziava a brillare attorno al nero nemico, circondandolo da ogni posizione, "Nitrite, Destrieri del Vento!", fece eco Aliseo, liberando i fedeli cavalli d’energia e scatenandoli contro il nemico, mentre la detonazione dei gigli dell’alleata cercava di confonderlo a sufficienza.

Ci volle qualche secondo perché la furia degli attacchi combinati si disperdesse, rivelando il nemico ancora in piedi, illeso apparentemente, baldanzoso nel suo ridere, mentre osservava gli altri due, "Poveri sciocchi…", ghignò osservandoli, "Non avete ancora compreso la vera essenza della Paura, qualcosa che va di là di illusioni e della semplice comprensione. La vera Paura è puro istinto ed è qualcosa che ormai vi ha infettato, fin dal mio primo attacco!", ruggì soddisfatto, "La stessa Paura che con il prossimo colpo vi divorerà, attraverso le proprie Zanne!", urlò infine.

Fu allora che, mentre già i due globi di luce scarlatta correvano contro le altrettante prede, una sagoma sopraggiunse alle spalle di Medonte, oltrepassandolo con un balzo e sferrando il proprio di attacco, contro le Zanne della Paura, bloccandone il percorso.

***

Lo ricordava come se lo stesse vivendo in quello stesso momento, e forse era proprio così: le urla lo avevano chiamato nella sala centrale del Tempio, urla di battaglia e venti violenti come mai ne aveva sentito in quei luoghi!

Quando dall’Anticamera del Libeccio era arrivato dinanzi all’altare dell’Otre dei Venti, grande era stato lo stupore di Noto nel vedere il proprio padre, affiancato da Okypede, Coriolis e Favonio, mentre tutti assieme scatenavano i loro possenti attacchi contro Gairan e Luis, i Dominatori dello Scirocco e di Ponente.

Ricordava perfettamente di aver udito, su tutte le voci, quella di Favonio tuonare: "Spirate, Nebbie d’Oriente!", poi il caos.

Noto aveva il sentore che il padre ed il lontano parente fossero stati egualmente travolti dalla furia del vento combinato dei compagni traditori, mentre i guerrieri di Grecale e Maestrale erano riusciti a far breccia nell’assalto avverso, investendo Luis e Gairan, spingendoli indietro.

"Che sta succedendo?", aveva domandato sbalordito il giovane Dominatore del Libeccio, "Cosa pensavi che stesse succedendo, piccolo sciocco?", sbottò una voce, ma non apparteneva a nessuna delle figure che erano presenti nella sala: no, quel giorno, nessuno di loro s’era preoccupato delle sue parole.

Favonio era caduto al suolo, poco dopo soccorso da Oritia, arrivata per ultima nella sala; suo padre era caduto al suolo, una grave ferita, mortale, mentre lui gli correva incontro; Coriolis aveva caricato verso Gairan dello Scirocco, iniziando a combattere contro di lui, mentre Okypede aveva deciso di affrontare Luis.

"Dinanzi ai traditori della divinità che dovevi servire, dinanzi agli assassini di tuo padre che hai fatto, Noto? Dimmi!", sbottò ancora la voce del padre, echeggiando nella sua mente ed in quei ricordi, "La stessa cosa che hai fatto negli anni successivi ed in quelli precedenti: niente. Sei rimasto in disparte, lasciando che il mondo decidesse per te! Lo stesso che stai facendo anche adesso! Okypede dà gli ordini in questo luogo, non tu, che della dinastia dei più puri seguaci di Eolo sei erede! Okypede ha alla fine deciso di scendere in campo!", lo accusava la voce.

"No, ho spinto per non restare oltre fermi in quella sala!", lamentò mestamente la coscienza del Dominatore, "Lasciando indifeso l’oggetto che dovevate proteggere più di tutto, un oggetto che ora è minacciato da cosmi possenti, che anche tu senti!", sottolineò critico l’eco del defunto genitore.

"Dovevo muovermi! Ekman stava per morire!", urlò disperata la coscienza di Noto, "Ekman è morto, come il suo predecessore: tuo padre! Me!", ribatté, furiosa ed amara, la manifestazione più selvaggia della paura del giovane Dominatore, la Paura più insita nella sua coscienza, "Completo fallimento! Questo sei stato, per tutta la tua vita!", lo accusò ancora la voce nella sua mente.

Nemmeno un dolore acuto che mordeva le carni, arrivando ad insinuarsi nella battaglia in atto nella coscienza del guerriero di Eolo, riuscì a liberarlo da quella disperazione che stava lentamente, ma inesorabilmente, paralizzando tutto di lui, che ben presto lo avrebbe portato alla morte, bloccando anche quei muscoli che, normalmente, non era la volontà a far muovere.

***

"Flechas Ardientes!", aveva esclamato la voce femminile, mentre gli strali infuocati bloccavano i due globi luminosi dal raggiungere i loro bersagli; solo allora Dorida della Sagitta aveva toccato il suolo, oltrepassato il nemico dalle nere vestigia d’oro sporco ed affiancatasi alla propria parigrado ed ai due Dominatori di Venti.

"Immagino il mio aiuto sia necessario!", esordì con tono sornione la sacerdotessa di origini ispaniche verso la parigrado, la maschera tenuta assieme da un’improvvisata sciarpa e le vestigia, rinate, adesso segnate dalla precedente battaglia.

"Sacerdotessa della Sagitta, ben lieta di vederti!", ribatté secca l’allieva di Sion, "La Sagitta? Dunque come Mosca e Gru, anche Auriga e Corvo sono caduti, che delusioni che sono i guerrieri d’argento nero.", lamentò il massiccio nemico, "Tanto meglio per me, avrò ben maggiore gloria da queste battaglie! Gloria che accrescerà la leggenda di Medonte!", ruggì ancora, liberando una fitta rete di luce scarlatta.

Dorida nemmeno rispose, semplicemente tentò di caricare l’avversario, il pugno ricolmo di cosmo infuocato, per scoprire con sua profonda sorpresa quanto fitta e veloce fosse l’energia liberata dal nero avversario, un’energia tale da investirla e spingerla indietro, le vestigia adesso maggiormente incrinate ed il corpo segnato da sottili striature di sangue.

"Sembri impavida, ragazzina, come già un’altra sacerdotessa guerriero che conobbi anni addietro, ma non avrai altrettanto fortuna da sconfiggermi!", rise il Leone d’Oro Nero, "Cadrai, come tutti coloro che tenteranno di fermarmi!", ruggì, prima che un bisbiglio di Iulia lo interrompesse.

"L’avversario di Olimpia!", aveva sussurrato la sacerdotessa dell’Altare, prima di rendersi conto di aver catturato l’attenzione del nemico, "Che cosa?", ringhiò quello interrompendosi, "Tu, guerriero nero, sei stato l’allievo di Olimpia per le vestigia del Leone! Ora ricordo! Sapevo di averti già visto! Ero sugli spalti dell’arena durante il vostro scontro!", esclamò sicura Iulia.

"Fosti sconfitto, ma, furioso per l’esito della battaglia, cercasti di uccidere il Sommo Sacerdote! Fermato da Olimpia stessa, fosti condannato alla prigionia sull’Isola della Regina Nera, lo ricordo!", ripeté la sacerdotessa d’argento, mentre l’altro ghignava.

"Esatto, giovane guerriera di Atena, fu quella la sorte che mi toccò, poiché cercai di ottenere vestigia d’oro sacre alla Giustizia, ma ora so quel che allora non capivo: non alla Giustizia devo la mia fedeltà, bensì alla Paura, unico vero motore del mondo! Quella stessa paura che ora vi condannerà a morte certa! Quella Paura le cui Zanne nelle vostre carni si nutriranno!", imperò il nero nemico, liberando il proprio attacco che corse contro i quattro guerrieri.

"Insieme, sacerdotesse di Atena!", esclamò allora Aliseo, facendosi avanti per primo ed allargando le braccia dinanzi a se, "Destrieri del Vento!", invocò, "Flechas Ardientes!", aggiunse Dorida, supportando l’attacco di quel ferito alleato, di cui nemmeno conosceva il nome, ancora, "Bulbifera Solis!", fece eco Iulia, aggiungendosi prontamente agli altri due.

Fu così che le forze in campo si scontrarono, nel breve spazio che distanziava i combattenti presenti nella sala del Libeccio.

***

Un calore inatteso, qualcosa che andava oltre il dolore fisico, scosse la mente di Noto dalla mesta apatia che la paura stava risvegliando in lui.

"Come puoi cadere così? Lasciarti soffocare da queste voci di un passato che, forse, non è nemmeno mai esistito?", domandò un eco alla coscienza del Dominatore, "Ekman…", balbettò una parte di Noto, riconoscendo chi gli si rivolgeva.

"Morto, come chiunque altro ha avuto fiducia in te!", rimproverò al qual tempo l’altra voce nella mente del seguace di Eolo, "Morto, forse, ma non dimenticato, o disperso nel vento! Anzi, del vento ora sono una parte, o forse solo un memento per un compagno in difficoltà! Un amico, che un tempo scambiai quasi per un Genio delle leggende delle mie terre, ma che, in effetti, era un uomo come me, che più di me aveva sofferto, nella sua ricerca di libertà e che, sono certo, saprà come dominare tale anelito, dandogli forma e passione!", ribatté quello che sembrava l’ultimo Dominatore di Ostro.

"False speranze le tue, vuoto eco!", lo derise la voce del suo predecessore, "No, menzogne piuttosto le tue, malefico spettro che abbruttisci qualcuno che di certo era migliore di te!", lo redarguì Ekman.

"Non ho conosciuto il precedente Dominatore dell’Ostro, ma la sua forza ho sentito scorrere in me, tramite il vento che ci legava entrambi! Altresì, ho conosciuto Noto: oltre la sua maschera di disinteresse e giovialità fanciullesca, nel senso del dovere che tenta di nascondere, nel coraggio, che forse nemmeno sa di possedere, nella determinazione che in lui è come un tornado, capace d’inglobare e vincere ogni forza terrena! Ed a quel vento così virtuoso, amico mio, ti chiedo di fare appello! Se anche non puoi vincere la paura che ti tormenta, combattila almeno, non lasciarti sconfiggere senza dare battaglia! Non avverti i cosmi di chi difende in vece tua la sala del Libeccio? Non avverti le battaglie che ancora si combattono nelle altre tre Anticamere? Davvero desideri cadere così? Senza colpo ferire?", domandò l’eco dell’amico ormai caduto.

"Cosa può fare questo debole ragazzo, che mai ha avuto la volontà d’impegnarsi in qualcosa, nella sua vita, contro la verità dei fatti che ha sempre temuto di ammettere? Cosa?", rise sguaiata la voce deforme del defunto padre di Noto.

"Posso combattere e vendicare mio padre! Posso vincere il nemico che ha invaso le mie sale e poi andare alla ricerca di Luis, per ucciderlo! Posso sconfiggere gli invasori del sacro Tempio che la mia famiglia da secoli difende e compiere il mio dovere e destino di Dominatore dei Venti!", esclamò la voce del giovane guerriero del Libeccio, "Posso e lo farò!", ruggì, mentre le ombre ed i ricordi tornavano a disperdersi nella memoria e gli occhi del seguace di Eolo si aprivano alla vera battaglia.

***

"Fiammeggia, Garbin!", urlò Noto del Libeccio, gli occhi appena aperti, nel vedere due globi di luce scarlatta correre contro di lui, avvertendo solo dopo le frecce infuocate, i due cavalli di vento ed i fiori luminescenti che si univano al suo attacco, confrontandosi con quello nemico e bloccandolo.

La potenza dell’esplosione di quelle energie fu tale da spingere tutti e cinque i presenti indietro, schiantando tutti loro al suolo, alcuni più malamente di altri.

Il primo a rialzarsi fu, però, Medonte: le vestigia scalfite, ma non danneggiate in modo particolarmente vistoso, c’erano sì delle crepe, ma erano ancora la perfetta nera copia del Leone d’oro di Atene.

Il guerriero oscuro vide sollevarsi per prima la sacerdotessa dai capelli rossi, l’armatura, già danneggiata dalla passata battaglia, ora priva di una spalliera e con crepe ancora più gravi sul tronco e sui gambali; subito dopo, il Dominatore che aveva saputo fuggire dalle proprie paure, adesso con vestigia prive di buona parte del pettorale e della protezione per braccia e gambe.

Per ultimi, i due che avevano impedito a Medonte di uccidere il suo primo avversario, entrambi con armature ormai ridotte a qualche sparuto frammento sul corpo malmenato.

"Come state, guerriere di Atena? E tu, Aliseo? Sei ridotto piuttosto male!", esordì il difensore di quella sala, "Sono stato meglio, Noto, grazie, ma non mi tirerò indietro dalla battaglia, non ti preoccupare!", ribatté sicuro l’ustionato, espandendo il cosmo di vento.

Quando anche gli altri tre lasciarono esplodere i loro cosmi, fu allora che un ghigno di disappunto si dipinse sul volto di Medonte, "Non capite niente! Voi non avete possibilità alcuna! Avete assaggiato le Zanne, ma sembra che non vi bastino, quindi lasciate che siano gli Artigli della Paura a travolgervi!", imperò, sbattendo con violenza il pugno contro il suolo.

Profonde crepe si aprirono nel terreno, verso i quattro guerrieri, crepe in cui il cosmo luminoso del nero invasore s’espanse, correndo con furia, fino ad investirli tutti quanti, sollevandoli da terra, ad una velocità impossibile da seguirsi per loro, una velocità che aprì profonde nuove ferite sui loro corpi, sbattendoli a terra.

Il Leone d’oro nero, però, non diede tregua a nessuno dei nemici che aveva dinanzi: con un balzo Medonte fu davanti alla sacerdotessa dell’Altare, che, ormai priva di vestigia, aveva un nuovo profondo taglio allo sterno, creato dall’artiglio di luce rossa, un taglio attorno cui affondarono le dita del malvagio nemico, sollevandola da terra, per poi scagliarla indietro, a rovinare al suolo, dove rotolò, finché non incontrò un altro muro, su cui andò a fermarsi.

Fu poi sul Dominatore dal corpo ustionato, incapace di muoversi anch’egli, Medonte lo schiacciò con il piede, ricolmo d’energia, che lasciò sprofondare l’ormai indifeso protettore di quel tempio nel suolo, mentre il sordo rumore delle ossa che si fratturavano echeggiava nell’aria attorno a loro e la risata divertita del Leone d’oro nero vi si accostava soddisfatta.

"Con chi credi di avere a che fare?", urlò allora la voce dell’altro seguace di Eolo, Noto del Libeccio, il cui cosmo fiammeggiante alitava di furia, mentre si lanciava contro il nero nemico.

Medonte fu abile nell’evitare il colpo, abbassandosi e sollevando poi la mano, per scatenare gli strali di luce attorno a se, cercando di colpire l’altro, che, però, quasi danzando fra le fiammeggianti correnti d’aria da lui governate, spiccò una piroetta, passando fra gli attacchi nemici, per poi liberare il caldo potere sul bersaglio.

Il Leone d’oro sporco si dimostrò nuovamente abile, evitando con un altro balzo le fiammate avverse, ma rendendosi conto troppo tardi che anche la sacerdotessa dai capelli rossi s’era rialzata, caricando con prontezza contro di lui.

"Flecha Grande de Fuego!", invocò la guerriera di Atena, liberando un incandescente dardo, ma fu pronto Medonte nel bloccarlo con le mani, fino a schiacciarlo fra le dita possenti e ricolme d’energia cosmica; "Poca cosa il tuo potere, ragazza!", la derise, aprendo di colpo i palmi e liberando le Zanne della Paura, che corsero con decisione contro l’altra.

"Flechas Ardientes!", urlò la fanciulla mascherata, "Garbin, alimenta il fuoco!", fece eco prontamente l’italiano combattente dei Venti, mentre le fiamme dei due si univano in un immane incendio che circondò da ogni parte il nero leone d’oro; "Ancora una volta: Artigli della Paura, a me!", imperò il mancato cavaliere di Atena, liberando attorno a se l’affilato e luminoso cosmo, che disperse i fuochi avversi.

Approfittando di quel vantaggio, Medonte si fece ancora una volta avanti, bloccando con la mano sinistra la sacerdotessa di Atena, a lui più vicina, stringendo le dita attorno al collo e lasciando che affilate unghia di puro cosmo affondassero leggermente nella pelle, prima di sollevarla da terra e lanciarla addosso al Dominatore dei Venti, sbilanciandoli entrambi, così da renderli facili vittime per le Zanne della Paura, che li travolsero, gettandoli al suolo.

Fu solo allora, i nemici al suolo, il sangue che scivolava dai loro corpi, che Medonte sorrise, soddisfatto e sicuro della vittoria.

Assaporò il momento, il Leone d’oro nero, in fondo era solo quello che voleva: vittorie, gloria, onore! Che Ariete Nero e Pesci Neri si tenessero i loro piani segreti, e Gemini, Libra, Cancer, Virgo con loro! Che Toro e Scorpione si facessero guidare dall’ossessione per la vendetta! Che Capricorn ed Acquarius sognassero di guidare alla libertà le schiere nere! Che Luis seguisse gli ordini di quel suo padrone nascosto fra i Dominatori! Niente di tutto ciò interessava a Medonte, solo poter dimostrare che lui, anche con quelle vestigia inferiori, valeva più dei cavalieri di Atena e di quelli di Eolo!

Questa consapevolezza era la sua soddisfazione! Olimpia era stata abile, non poteva negarlo: anni fa lo aveva sconfitto ed ottenuto l’armatura, ma Medonte si era dimostrato un vero leone ed aveva saputo far buon viso alla cattiva sorte, rinascendo come uno dei comandanti dell’esercito nero e dimostrandosi il Re che in effetti era, decaduto, di certo, senza un regno, poiché non gli interessava, ma era il Re che dominava mediante la paura!

Questi pensieri s’interruppero, seppur lui era certo solo per un breve periodo, mentre sentiva il rumore dei nemici, intenti a rialzarsi.

"Costui è potente…", furono le parole di Noto, mentre scivolava via da sotto il corpo di Dorida, ferito e malridotto, "Ed agile anche!", ammise la sacerdotessa di Atene, rialzandosi a sua volta, "Non possiamo arrenderci, però!", suggerì il primo, il cosmo che ricominciava a divampare attorno a lui.

"No, non ci arrenderemo!", esclamò una terza voce, affaticata, la voce di Aliseo, che a stento si riuscì a puntellare sulle ginocchia, da una posizione antistante gli altri due, mentre già il gocciolare del sangue preannunciava l’affiancarsi di Iulia alla sacerdotessa sua parigrado.

"Cosa sperate di fare, patetici cadaveri!", rise divertito il nero nemico, osservandoli tutti, il cosmo che già brillava minaccioso, "Datemi un’apertura nelle sue difese ed io spezzerò le stesse quanto basta perché possiate finirlo.", fu la risposta che Dorida diede, rivolgendosi però ai compagni, più o meno inattesi, che aveva trovato per quella battaglia.

"Aliseo, vediamo se sei davvero così abile come Okypede è convinta che tu sia!", esclamò allora Noto, il cosmo che agitava il vento attorno a lui, così come faceva quello del Dominatore di Ponente.

"Fiammeggia Garbin!", invocò subito il guerriero del Libeccio, "Brezza di Zefiro!", fece eco il parigrado ustionato, prima che le due correnti di vento si lanciassero assieme sul comune nemico, circondandolo con un tornado di fiamme e melodie, un tornado che, per qualche istante, confuse il nero avversario, prima che questi facesse di nuovo esplodere il cosmo luminescente, disperdendo l’aria furiosa che lo aveva bloccato.

"Preso!", echeggiò una voce alle sue spalle, mentre due braccia, esili ma sicure nella presa, lo bloccavano da sotto le ascelle, la voce era quella di Dorida della Sagitta, così come il cosmo, lo stesso che esplose in una gigantesca fiammata.

"Flecha Llover!", invocò prontamente la sacerdotessa, spingendosi verso l’alto assieme al nemico, compiendo una parabola che sfiorò il soffitto dell’anticamera, prima di schiantarli insieme in un cratere incandescente, da cui per prima la giovane guerriera scattò fuori con un balzo, le vestigia danneggiate sempre di più ed il corpo leggermente ustionato.

Un ruggito, però, disperse ciò che restava del potere della Sagitta, rivelando l’armatura ormai a pezzi del Leone lungo tutto il tronco, "Pazzi, se pensate che questo basti, ecco per voi, di nuovo, gli Artigli della Paura!", urlò di rimando il nero avversario, liberando le affilate lame di luce rossa, che corsero contro i quattro.

"Flecha Llover!", invocò di nuovo la sacerdotessa, sorpassando tutti i compagni di battaglia e creando un muro di fiamme, con cui disperse l’assalto nemico, cadendo, però, subito dopo in ginocchio, ormai senza forze.

"Dorida!", la chiamò preoccupata Iulia, affiancandosi a lei, riunendo con le mani le parti della maschera frantumata, ora che il pezzo di tessuto che la teneva unita era divenuto cenere.

"Ha fatto la sua parte, lasciate che sia io a concludere la battaglia!", propose allora Noto, facendosi a sua volta avanti, il cosmo che fiammeggiava deciso.

"Concludere? Tu? Dominatore dei Venti, saresti dovuto cadere per primo e così sarà in effetti!", rise divertito Medonte, il cosmo che brillava sulle mani sanguinanti; "Sarei dovuto cadere, sì, ma mi è stato permesso di perdurare e di ritrovare le certezze necessarie per vincerti, Fiera malefica! Hai affrontato la forma più basilare del Libeccio finora, invasore, il Garbin, ma permettimi di mostrarti ora l’essenza stessa del vento fiammeggiante che domino! Permettimi di mostrarti cosa succede quando le calde arie di sud-ovest favonizzano! Lo Stau Incandescente!", imperò Noto, aprendo le mani dinanzi a se.

"Parli troppo! Zanne della Paura, divorate!", ruggì di rimando Medonte, aprendo anch’egli le mani dinanzi a se.

I due globi di luce corsero avanti, mentre le correnti fiammeggianti si univano in un unico grande globo infuocato, una sfera incandescente e sempre più grande, che vorticava in modo sempre diverso, correndo contro il proprio bersaglio, ingurgitando le zanne del leone malefico, mentre sembrava che niente potesse arrestarla, finché non raggiunse il proprio bersaglio, travolgendolo.

In silenzio tutti osservarono il corpo di Medonte travolto dalle fiamme, ciò che restava delle vestigia resse al fuoco, ma altrettanto non si poté dire per le carni indifese, che furono ancora più violentemente bruciate, danzando nelle correnti d’aria per innumerevoli secondi, subendo più e più attacchi, prima che il nemico cadesse al suolo, sofferente.

"Non sono ancora sconfitto…", sibilò il nero invasore, cercando di rialzarsi, fu allora che Iulia dell’Altare gli si avvicinò, non veloce, non silenziosa, ma lo stesso senza difficoltà, data la stanchezza che segnava anche il guerriero del Leone d’oro oscuro, "Martagonae Mortis!", sussurrò la sacerdotessa, prima che il giglio candido crescesse sul corpo ustionato del nemico.

Scivolò al suolo il guerriero d’oro nero, le forze che lentamente, ma inesorabilmente, lo abbandonavano, e così, in silenzio, pieno di disappunto per la propria sconfitta, Medonte cadde.

Aliseo fu il primo a muoversi, cercando di rialzarsi, per poi cadere malamente al suolo, fu solo la mano di Noto, che gli si affiancò, a permettergli di sollevarsi in piedi, "Ce la fai, Dominatore di Ponente?", chiese il figlio di Austro, "Sì, grazie, compagno d’arme.", sussurrò con un sorriso, reso orrido dal viso dilaniato d’ustioni, il primo.

Un mugolio di dolore rivelò che anche Dorida s’era ripresa, alzandosi poco dopo, mentre con una mano teneva assieme la maschera, prima di strappare un altro pezzo di stoffa ed usarlo per stringerne assieme le parti danneggiate.

Per ultima s’alzò Iulia, avvicinando le dita al giglio ormai ricolmo di tetre energie scarlatte, richiamandole a se e rendendole proprie, mentre si sollevava in piedi, avvicinandosi alla parigrado.

"Non ho ancora avuto modo di presentarmi come si conviene, sacerdotesse di Atena, il mio nome è Noto, Dominatore del Libeccio.", esordì allora il discendente dei primi guardiani, "Ed io sono Aliseo di Ponente.", aggiunse il secondo verso chi ancora non lo conosceva.

"Il mio nome è Dorida della Sagitta.", rispose cordialmente l’allieva di Bao Xe, "Ed io, guerriero del Libeccio, sono Iulia dell’Altare.", concluse l’altra seguace di Atena.

"Bene, ora che le presentazioni sono fatte, guerriere di Atene, direi che è tempo di raggiungere la sala centrale del Tempio di Eolo e di scacciare per sempre i nemici che l’hanno invasa. Sono certo che anche i nostri ed i vostri compagni ci raggiungeranno lì.", propose Noto.

Tutti quanti i presenti assentirono e con lui si mossero verso l’area centrale: la battaglia continuava.