Capitolo 20: Battaglia alla Terza Casa

La corsa fino alle Stanze dei Gemelli fu arricchita dall’esplodere dei cosmi nelle prime due Case: la Leonessa d’oro aveva ormai avuto ragione di Kevan e dell’altro sciocco guerriero nero che aveva cercato di vincerla e già la battaglia fra il Sagittario e lo Scorpione Oscuro infuriava poco più in basso.

Il tempio, in un primo momento, parve vuoto a Cicno di Eracle Nero, mentre vi entrava, di fianco al guerriero di Cerbero Oscuro, seguendo la tetra sagoma armata di spada del Capricorno, che avanzava sicura fra i vasti corridoi, finché un cosmo dorato non richiamò l’attenzione dei tre.

"Benvenuti, invasori oscuri! Temevo che fin qui sareste riusciti a giungere, ma oltre non passerete, parola di Ascanus dello Scorpione!", esordì il cavaliere d’oro, apparendo dinanzi al trio di nemici.

Un sorriso si dipinse sul volto di Cicno: il fidato consigliere del Sommo Sacerdote era alla Terza Casa, anziché alla Seconda, il ché poteva avere decine e decine d’implicazioni, dal non voler rischiare la vita del braccio destro dell’Oracolo, fino a chissà quali altre opzioni.

Il cavaliere d’oro appariva leggermente pallido, forse persino un po’ sudato, eppure non faceva poi così caldo in quel momento ad Atene, secondo Cicno e furono le sibilline parole di Epona, o Brienne come si faceva chiamare un tempo, a dargli qualche suggerimento in più.

"Sei il seguace di Atena che ha portato alla caduta di Baal, il Sole di Accad!", esclamò soddisfatta la donna, "Un nemico degno d’essere ucciso!", aggiunse.

"Anche tu, guerriera nera, sei un membro dei Ladri di Divinità? Tre di voi, in effetti, avvertivo qui ad Atene e fra loro ci sei anche tu! Combatti dunque, non ti temo, così come non temevo il tuo compagno di blasfemia!", ribatté sicuro il santo dello Scorpione.

Il capo del Sestetto Nero non capiva molto di chi fosse questo Sole di Accad, ma i "Ladri di Divinità" era un nome che, di certo, destava curiosità, forse in altri timore, ma non in lui.

Di certo curiosità e desiderio di scoprire la verità, rispetto qualsiasi cosa i guerrieri d’oro nero volessero fare realmente, lo animavamo, mentre già echeggiava il rumore della spada del Capricorno Oscuro che, con un singolo fendente, incrinò il terreno della Terza Casa, spingendo Ascanus a spostarsi sulla sinistra.

Fu allora che, con somma letizia di Eracle Nero, Yuri agì, lanciandosi alla carica, sferrando le massicce sfere chiodate contro il cavaliere d’oro, costringendolo a sollevare gli avambracci per bloccare le armi e dandogli quel piccolo intervallo necessario perché lui potesse fare la sua mossa.

Con un balzo, Cicno superò in altezza Cerbero oscuro, compiendo una parabola verso il santo di Atena ed impugnando, in quello stesso momento, le armi che aveva ottenuto da Libra Nero, due clave, che sollevate all’unisono, lasciò cadere con violenza contro l’armatura dorata, investendolo con tale furia da sbilanciare Ascanus e schiantarlo qualche metro più indietro.

"Ben fatto, Cerbero Nero!", si complimentò Cicno, senza nemmeno voltarsi a guardarlo, "Capricorno Oscuro, va avanti, lascia a noi questa battaglia! Non falliremo come la Croce ed il Triangolo, bensì avremo di lui ragione e ti raggiungeremo, con la testa di un cavaliere d’oro come dono!", esclamò deciso, il cosmo tetro e possente che lo circondava, mentre la furiosa corrente d’aria dell’altro suo pari, o almeno tale Yuri si considerava, gli si affiancava.

Il rumore dei passi di Epona che si allontanava rilassò Cicno, ora sicuro che avrebbe potuto avere tutto ciò che desiderava da quello specifico incontro e scontro!

***

Tutto era avvenuto velocemente, ma la cosa preoccupante era che la velocità non era tale da rendere impossibile per un cavaliere del suo grado di seguire gli eventi!

L’attacco della donna con le vestigia dell’Oscuro Capricorno? Era stato potente, in fondo non poteva essere da meno, essendo lei uno dei Ladri di Divinità, veloce, ma intuibile come traiettoria. L’azione successiva di Cerbero Nero? Decisa, ma rabbiosa e poco complessa da intuire ed evitare, il che gli aveva dato tutto il tempo per difendersi; fu l’azione dell’ombra di Eracle a sorprenderlo, quel rinnegato aveva saputo reagire con prontezza e furbizia: individuando l’esatto momento in cui il cavaliere d’oro era intento a difendersi da ben due attacchi contemporaneamente, era riuscito a colpire con incredibile violenza nell’angolo cieco, senza produrre danni, ma questo solo grazie alle vestigia dello Scorpione dorato.

Tutto ciò, aveva causato la fuga della donna che li comandava, ora diretta verso la Stanza del Cancro, "Mi dispiace, Kalas…", sussurrò Ascanus rialzandosi, "ben presto verrò in tuo aiuto, te lo assicuro.", si ripromise, scrutando i due guerrieri neri che gli bloccavano la strada.

"Arrendetevi, fuggitivi della Regina Nera, e vi concederò una morte veloce, altrimenti solo una scelta vi spetta, fra la morte o la pazzia!", minacciò sicuro di se il santo di Atena, osservando con attenzione il guerriero di Eracle Oscuro, il cui viso gli era noto, ne era certo, ma non riusciva ad individuarne l’origine.

Fu proprio quel nemico a prendere la parola, verso il suo compagno: "Cosa ne dici, Yuri? Pazzia, o morte?", ridacchiò, oscillando fra le mani le due clave d’oro oscuro, "La morte! Del cavaliere di Atena!", ruggì Cerbero Nero, scagliando avanti le sfere chiodate, che corsero rapide contro il custode dell’Ottava casa, il quale, però, non ebbe difficoltà ad evitarle, spostandosi prima sulla destra, poi verso sinistra, scivolando fra quelle massicce armi.

"Non dimenticarti che siamo in due!", sbottò l’altro suo nemico, sollevando le clave e schiantandole con violenza sul terreno, provocando delle spaccature nello stesso, costringendo Ascanus a spiccare un agile salto per evitare di essere investito da tale attacco.

Fu allora che, di nuovo, le sfere chiodate di Cerbero Nero corsero contro di lui, costringendolo ad una rapida piroetta a mezz’aria, mentre già lo sguardo cercava l’altro avversario, trovandolo, inaspettatamente, immobile poco lontano.

Il dubbio corse attraverso lo sguardo dello Scorpione dorato, ma lo stesso, mentre completava il proprio salto parabolico, poggiò prontamente il piede sinistro al suolo, dandosi la spinta per un nuovo balzo, diretto proprio contro i due nemici, verso cui puntò l’indice.

"Cuspide Scarlatta, punisci questi invasori!", imperò il cavaliere, per poi scoprire, solo allora, che il misterioso Eracle Nero s’era spostato con uno scatto.

"Agriocsoiros!", invocò furioso il misterioso secondo avversario, generando dalle mazze nere un’ondata d’energia dalla forma di un gigantesco cinghiale color ruggine, fiammeggiante nei propri contorni, dalla velocità elevata.

Ascanus era in una difficile posizione: una semplice piroetta non sarebbe bastata stavolta, quindi dovette rinunciare all’uso della Cuspide Scarlatta, commutando le proprie energie per sollevare la Carapace d’Oro, che subì in pieno la potenza del massiccio cinghiale, contenendolo, per quanto l’assalto sbilanciò il santo di Atena, schiantandolo contro una colonna ed obbligandolo ad un mal riuscito atterraggio al suolo.

"Mi complimento con te, Ascanus di Scorpio!", esclamò sbalordito Eracle Oscuro, "La furia del Cinghiale di Erimanto non è cosa da poco da contenere! Potresti vantarti di essere pari ad Ercole stesso, se riuscissi a sopravvivere a questo scontro.", ridacchiò, volgendosi verso il suo compare: "Cerbero Nero, scatenati.", sentenziò ghignando.

L’altro, con un sorriso soddisfatto, sollevò le sfere chiodate, iniziando a rotearle con furia, il cosmo che vorticava ventoso attorno a lui, ululando con furia, "Gole dell’Ade, urlate!", ruggì deciso, liberando tre immani vortici di vento che iniziarono a scavare il terreno, distruggendo parte del terreno e danzando in una macabra furia di morte, mentre si dirigevano contro il santo d’oro.

I vorticanti attacchi erano, comunque, lenti: qualcosa che avrebbe di certo potuto superare senza problemi, se dovutamente osservati e non gli ci volle molto per riuscirvi, scattando fra i tornado, prima che, di nuovo, echeggiasse la voce dell’altro, nello scatenare il Cinghiale di fiammeggiante energia color ruggine.

Il cavaliere d’oro, però, fu pronto, questa volta: "Carapace d’Oro, difendimi!", imperò prontamente e la furia dell’assalto dei due guerrieri neri fu bloccata dalla difesa dorata, riuscendo persino ad impedire che Ascanus indietreggiasse.

Quando le fiamme color ruggine del Cinghiale di Erimanto e gli acuti ululati di vento di Cerbero si quietarono, il custode dell’Ottava Casa era in piedi, osservando i due nemici, il fiato corto per lo sforzo, ma una rinata risoluzione in volto: "Non posso restare in difesa tutto il tempo!", si disse il cavaliere, pronto a scattare all’attacco.

Cicno osservò con attenzione lo Scorpione d’Oro: respirava faticosamente, ma, malgrado ciò, le sue difese erano capaci, tali da reggere il duplice attacco che lui e Cerbero Nero gli avevano sferrato contro; forse, ipotizzò, utilizzando gli altri colpi segreti in suo possesso, avrebbero a breve avuto ragione di quel cavaliere, forse avrebbero ottenuto la vittoria sperata. E anche di più.

Fu un pensiero fugace, lungo quei pochi istanti che Ascanus gli concesse, prima di scomparire dalla loro visuale, mentre già Cerbero Nero faceva qualche passo avanti, ponendosi parzialmente fra loro, per poi trovarsi il santo d’oro ad un palmo dal naso, con l’indice destro sollevato: "Cuspide Scarlatta, colpisci!", imperò l’allievo di Sartaq ed un ago sottile e rosso perforò il petto di Yuri, raggiungendo la spalla di Cicno, proprio dietro di lui.

Il guerriero di Eracle Nero trattenne a stento un urlo di dolore, mentre lo spasmo lo portava ad avvicinare le clave al petto, al contrario, il suo parigrado, per la sofferenza piegò leggermente il tronco, dando modo al cavaliere d’oro di affiancarsi a lui e colpirlo con un veloce calcio a spazzare allo stomaco, sbilanciandolo e spingendolo proprio addosso a Cicno, che si ritrovò per terra con l’altro addosso.

"Levati!", sbottò dolorante Eracle Oscuro, rotolando leggermente sulla sinistra dell’altro ed iniziando a rialzarsi, al pari di quello, ma già il cosmo possente del santo di Atena brillava nell’aria, così come due nuovi strali scarlatti, che perforarono nuovamente le carni di Cerbero Nero, oltrepassandole fino a raggiungere Cicno stesso, che ricadde a terra dolorante.

Fu dopo quelle prime tre punture che capì cosa l’altro avesse voluto dire all’inizio: pazzia, o morte, poiché il dolore era indescrivibile, acuto e brucente, capace di soffocare buona parte dei pensieri di chi lo subiva e, probabilmente, avrebbe anche portato alla morte con altrettanta facilità.

Ascanus già stava scattando verso di loro, quando Cicno se ne avvide ed il guerriero nero fu deciso: non avrebbe lasciato che altre cuspidi lo raggiungessero impunite, no, avrebbe cercato di rendere ben difficile al nemico portare avanti la sua strategia, così, il cosmo fiammeggiante sulla clava destra, colpì il suolo.

"Agriocsoiros!", urlò il guerriero di Eracle Oscuro, travolgendo tutti i presenti con la furia di quel suo possente attacco, scatenando la selvaggia fiera di Erimanto, che esplose sul corpo del santo d’oro, raggiungendo anche i due uomini dell’Isola della Regina Nera, data la vicinanza.

Quando la furia del colpo fu sopita, Cicno si ritrovò qualche metro più indietro, schiacciato con le spalle contro il muro, le vestigia danneggiate in più punti, così come poté vedere per quelle di Yuri, mentre l’armatura aveva in parte difeso il cavaliere d’oro, per quanto sangue scivolava copioso dalle braccia, a quel che poteva notare.

In più, il guerriero di Eracle Nero si rese conto di aver perso l’elmo, sia per la scia di sangue che sentiva colargli dalla fronte, sia per lo sguardo stupito con cui Ascanus gli si rivolse: "Sei Cavalcante, l’allievo di Kalas!", esclamò sgomento per averlo riconosciuto.

***

Aspettava alla Quarta Casa da diverso tempo ormai, alcune ore, ed aveva avvertito il susseguirsi delle battaglie nelle case sottostanti: aveva sentito la vittoria di Olimpia su due avversari; aveva seguito lo scatenarsi dello scontro fra Munklar ed un nemico di certo superiori ai primi, uno scontro da poco conclusosi ed ora sentiva Ascanus combattere, nelle stanze dei Gemelli, e, cosa ben più sconvolgente, aveva riconosciuto uno dei cosmi a lui avversi.

Kalas di Capricorn lasciò che l’aria freschezza gli accarezzasse il viso, mentre rifletteva su come, probabilmente, anche Remais, così come, se non fossero ormai defunti, l’ultimo cavaliere di Andromeda e molti altri, avrebbero vissuto l’assalto dei guerrieri neri con timore, un timore dalla doppia faccia: da una parte, la speranza che gli allievi che sapevano essere stati condannati a quelle tetre rocce fossero ancora vivi, dall’altra, la paura di averli come nemici e di dover uccidere quelli stessi ragazzi che per un periodo, fosse stato anche breve, avevano cresciuto con la speranza di vederli diventare uomini e donne degni d’ogni stima.

Ora, nell’avvertire l’ardente, seppur molto più selvaggio, cosmo di Cavalcante, il discepolo che aveva iniziato ad addestrare un anno prima che anche Damocle diventasse suo allievo, che avrebbe dovuto affrontare Menisteo per l’armatura di Eracle, nel sentirlo, il cavaliere del Capricorno sapeva quale era la forma di quel timore.

Avrebbe voluto scendere di corsa le scale che conducevano alle stanze dei Gemelli e fermare la follia di quello scontro, riabbracciare l’allievo, convincerlo ad abbandonare la follia che lo guidava, ma non poteva: il suo dovere, come cavaliere, era quello di difendere le stanze del Cancro da chiunque stesse per raggiungerle, specie adesso che Amara aveva abbandonato la Sesta Casa per portare supporto ai guerrieri che combattevano nel resto di Atene, lui era l’ultimo baluardo del Sommo Sacerdote.

Questa consapevolezza fu ben presto affiancata da un’altra: che il destino avvolte sapeva essere ironico, una consapevolezza che lo fulminò non appena intravide, in lontananza la nera sagoma che stava correndo lungo le scale e ne riconobbe le forme dell’armatura, forme che conosceva fin troppo bene, poiché egli stesso le indossava.

Un sorriso sul volto convinse il santo d’oro della Decima Casa ad iniziare la discesa delle scalinate, in fondo, nessun dovere di cavaliere gli impediva di affrontare la sua stessa ombra sulle scale che portava alla Quarta Casa, anziché all’interno della stessa.

***

Quando Yuri del Cerbero Nero si riebbe, sollevandosi in piedi, dolorante per l’inatteso impatto con l’attacco di Cicno, riuscì a malapena a capire le parole che il cavaliere d’oro aveva rivolto all’uomo che guidava il Sestetto Nero, ma sentì chiaramente la replica dello stesso.

"Adesso mi faccio chiamare Cicno, cavaliere!", esordì quello, "Ho pensato che presentarsi come Cavalcante, il guerriero nero, non potesse che offrirmi all’ilarità ed alla derisione dei miei nemici, ma, in fondo, il mio buon padre non ha mai avuto, temo, gusto nel dare nomi ai propri figli: stiamo parlando di un uomo che ha chiamato il suo primogenito Baldo… non un atto lungimirante, credo.", ghignò Eracle Oscuro, alzandosi in piedi e sollevando le due clave in posizione di guardia.

"Siccome volevo comunque indossare le vestigia di Ercole, seppur nella loro distorta ombra, ma quello era ancora il mio obbiettivo, scelsi il nome di Cicno, uno sfortunato figlio di Ares che proprio da Ercole fu ucciso, ho pensato che avesse qualcosa di poetico prendere questo nome e queste oscure vestigia assieme. Non credi anche tu?", chiese con un sorriso beffardo sollevando le armi sopra il capo e caricandole d’energia cosmica, prima di schiantarle contro il terreno, dirigendo le fiamme color ruggine contro il santo d’oro, che fu lesto nell’evitarle, portandosi dinanzi al guerriero nero.

Del vero nome di Cicno, ben poco interessava a Yuri: lui ed i suoi compari quella stessa mattina lo avevano deriso, rifiutandogli un posto nel loro gruppo, adducendo stupide motivazioni e beffandosi di lui!

Se fosse rimasto alla prima casa, assieme a Kevan e quel guerriero della Croce Nera, probabilmente avrebbe potuto avere la gloria che cercava senza aver bisogno di quel pomposo idiota, ma adesso doveva aiutarlo, perché se non avesse ottenuto nessuna vittoria, nessun onore ne sarebbe andato al suo maestro, Luis del Sagittario Oscuro.

Con questa risolutezza, il russo si lanciò alla carica, roteando le sfere chiodate sopra il capo le lanciò contro il cavaliere d’oro che, scioccamente, gli dava le spalle, solo per vederlo, con suo immenso stupore, spiccare un agile salto, evitando l’arma ed atterrando, elegantemente proprio sulla catena: "Inutile tentativo il tuo, ombra malefica!", avvisò il santo di Atena, lanciandosi alla carica e raggiungendolo con un veloce calcio al volto, che fece cadere nuovamente a terra Cerbero Nero.

Fu allora che Cicno si mostrò di nuovo, spuntando dalla sinistra del nemico comune e sferrando un’altra violenta ondata d’energia dalla clava che impugnava con la mano sinistra, ondata che, però, fu facilmente evitata dagli agili movimenti del guerriero dello Scorpione dorato.

"Mi duole saperti fra questi assassini, Cavalcante!", esordì allora il custode dell’Ottava Casa, mentre Yuri si rialzava, pochi passi indietro rispetto al suo parigrado, "A lungo Kalas e Damocle hanno pianto la tua incarcerazione ed a lungo, adesso, piangeranno la tua dipartita per mano della Cuspide Scarlatta!", sentenziò deciso il santo d’oro, colpendo nuovamente entrambi con altre due punture, che trapassarono la gamba di Cicno, raggiungendo l’altro dietro di lui.

Era svelto Ascanus, non si poteva negare: rapido e deciso nel combattere, ben diverso da quel poco che, di lui, gli aveva raccontato il suo maestro.

Non era il coraggioso, ma pacifico, consigliere del Sommo Sacerdote di Atene, o, almeno, non era solo quello, ma molto di più, un guerriero abile e veloce, deciso nell’infierire dolore con quel suo maledetto colpo!

Sei strali rossi già avevano perforato le carni di Cicno dall’inizio dello scontro ed il dolore sembrava bruciare dentro, per ogni tentativo che faceva di costringere i muscoli sofferenti a muoversi, il guerriero nero riceveva fiotti di sangue scivolare via dal corpo ed ondate di dolore seguirli.

"Sei punture dello Scorpione vi hanno già raggiunto… in pochi riesco a sopravvivere oltre otto, ben metà del cammino di sofferenze che vi aspetta, se deciderete di continuare a resistere al destino e sopportare tutte e quindici le cuspidi, fino ad Antares!", avvisò sicuro il cavaliere d’oro, il cosmo che brillava ancora una volta sulla punta dell’indice, richiamando Cicno dai suoi pensieri.

"Attacchiamo insieme, Cerbero Nero!", urlò furioso il rinnegato discepolo del Capricorno, correndo avanti assieme all’altro, i cosmi che brillavano tetri nell’aria, combattendo contro quello dorato del cavaliere di Atena.

"Cuspide Scarlatta, colpisci!", invocò subito Ascanus, liberando tre strali luminosi, stavolta, ma nemmeno quel dolore fermò il guerriero nero che, congiunte le clave sopra la propria testa, le calò con violenza in avanti, "Purkagia Taurou!", urlò, scatenando la seconda delle tecniche che aveva sviluppato negli anni di prigionia.

Un gigantesco e furioso volto di toro liberò immani fiamme color ruggine, che invasero l’ambiente fino a raggiungere il santo di Atena, che, intento nel proprio assalto, non poté fare molto per difendersi, subendo in pieno la potente vampata d’energia che lo sospinse indietro, mentre anche Cicno barcollava, voltandosi a vedere Yuri al suolo, il corpo sconvolto dal dolore delle punture dello scorpione che ormai lo avevano perforato ben nove volte, al pari suo.

Fu quel pensiero a sorprenderlo, forse perché non lo aveva mai valutato prima durante quello scontro, ma, improvvisamente, vide un paradigma nel modo d’agire del loro avversario: colpirli, sfruttare le sue superiori capacità nel corpo a corpo per avvicinarli e, subito dopo, infierire su di loro con quella sua cuspide scarlatta!

Pensandoci bene, Cicno vedeva la logica di tale strategia: non vi era altro modo, dinanzi a due avversari, per sconfiggerli con un attacco di quel genere, se non puntare a sfruttare a pieno le capacità offensive dello stesso, che, però, essendo a corto raggio ed implicando una lunga tortura sui bersagli, richiedeva, in caso di scontro con due nemici, di averli abbastanza vicini da poter utilizzare al massimo tali fattori a proprio vantaggio, fattori che, altrimenti, sarebbero stati di certo uno svantaggio per il cavaliere d'oro!

Lo stesso svantaggio che, forse, avrebbe potuto portare alla loro vittoria!

"Alzati, Cerbero Nero!", ruggì allora Cicno, "Ho un piano!", aggiunse, espandendo il cosmo color ruggine e scattando avanti, "Purkagia Taurou! Brucia cavaliere, che il respiro del Toro di Creta t’avvolga!", imperò, scatenando le fiamme contro il santo d’oro, che fu, però, lesto nel sollevare la difesa, la Carapace d’Oro, attorno a se, impedendo stavolta al rugginoso fuoco di raggiungerlo, mentre già Cicno lo oltrepassava, portandosi alle sue spalle.

"Hai cercato di tenerci sullo stesso fianco, così che le tue cuspidi potessero di noi avere facile ragione, ma, anche se avvelenati, non siamo ancora impazziti… o forse è la pazzia che mi porta a pensare questa strategia, che, comunque, non farà male provare!", ruggì sicuro Eracle Nero, "Insieme Yuri!", ordinò subito dopo, scatenando Agriocsoiros contro il cavaliere d’oro, che già si era voltato per averli ambedue sui lati.

"Gole dell’Ade!", fece eco il guerriero di origini russe, liberando tutta la furia del proprio attacco.

"Non supererete le mie difese tanto facilmente!", imperò Ascanus, "Carapace d’Oro, proteggimi! In nome di Atena!", invocò, sollevando le proprie difese.

E fu allora che le tre potenze si fronteggiarono in un infuriare d’energia.

***

"Tutto bene, Sagittario?", furono queste le parole che risvegliarono Munklar, per quanto gli ci volle qualche altro secondo per ricordare dove si trovasse: la Seconda Casa, le sale del Toro d’Oro dove aveva combattuto contro il Profanatore di Delfi, riuscendo infine ad avere di lui ragione.

"Scorpio!", esclamò, alzando il capo, il maestro di Wolfgang e Ludwig, avvertendo il cosmo del loro parigrado bruciare nella casa successiva, "Sì, Ascanus sta combattendo, ormai da molto, contro due guerrieri neri. Di certo gli altri due che seguivano lo Scorpione ed il Capricorno Oscuri, gli stessi con indosso le controparti di Eracle e Cerbero.", confermò Olimpia del Leone, volgendo il volto mascherato verso l’uscita che dava alla Terza Casa.

"Dobbiamo andare in suo soccorso!", sbottò Munklar, iniziando a sollevarsi in piedi, mentre i suoi sensi avvertivano l’iniziare di un’altra battaglia, oltre le stanze dei Gemelli, "Anche Kalas sta combattendo.", sibilò preoccupato, poiché, di tutti i nemici che avevano invaso le Dodici Case, di certo quello della donna dalla massiccia spada era il più maestoso e temibile, in qualche modo, anche il più antico e vasto.

La mano di Olimpia si strinse al braccio di Munklar, aiutandolo ad alzarsi, "Dobbiamo correre, hai ragione, ma pensi di farcela? Il mio cosmo ti ha purificato, almeno in parte, dal veleno dello scorpione d’Egitto, ma dure battaglie ci aspettano, se vuoi riposare ancora, andrò io avanti.", suggerì la Leonessa d’Oro.

"No.", rispose prontamente il cavaliere del Sagittario, "Sento persino i miei allievi combattere ardue battaglie, oltre che gli amici che ho qui alle Dodici Case, come potrei restare indietro in una situazione del genere? No, sacerdotessa, avanzeremo insieme, ed insieme aiuteremo Ascanus prima e Kalas dopo.", suggerì con un sorriso gentile l’altro, ricevendo un cenno d’assenso dalla guerriera.

Assieme i due cavalieri d’oro varcarono l’uscita delle Sale del Toro, diretti verso la Terza Casa.

***

Il confronto di forze fu incredibile, tale da scuotere la Terza Casa fino alle sue fondamenta, distruggendo una parte delle colonne e del muro, che crollarono addosso al santo d’oro, salvato solo dalla possente difesa d’energia che aveva eretto attorno a se.

Quando i frammenti di muro scivolarono da sopra la carapace energetica, il cavaliere di Atena, però, si chinò su un ginocchio, stremato, apparentemente dalla fatica e, altrettanto, dovettero però fare ambedue i guerrieri neri, troppo deboli per lo scontro di forze e per le ferite subite fino a quel momento.

Fu di nuovo in piedi per primo Ascanus, il fiato corto per il lungo combattimento e le ferite, quelle inflitte da Baal e quelle procuratisi nel ridare vita alle armature dei sette cavalieri d’argento che avevano combattuto ad Accad, ora di nuovo aperte, che lasciavano fuggire via il poco sangue che ancora restava nel suo corpo.

Sapeva di non avere molto tempo il santo d’oro, ma, egualmente, sapeva di non potersi lanciare alla cieca alla carica contro i due, specie perché la strategia portata avanti dal rinnegato allievo di Kalas li aveva divisi, quindi, anche attaccando ed uccidendo uno di loro, si sarebbe lasciato un angolo scoperto perché il secondo lo colpisse e non era certo di avere abbastanza forze per reggere ad una situazione del genere.

"Ho una domanda per te, cavaliere d’oro!", esclamò d’un tratto la voce di quello che ora si faceva chiamare Cicno, stupendolo, in un primo momento, e portandolo poi ad ipotizzare che anche i nemici avessero bisogno di tempo per pensare ad una strategia, qualcosa che a lui di certo avrebbe pure fatto comodo.

"Chi è questo Sole di Accad? Cosa sono i Ladri di Divinità? Perché dici che anche Capricorno Oscuro è una di loro?", chiese con tono fermo il mancato cavaliere d’argento.

"Non hai sentito il cosmo di Damocle e di tutti gli altri santi di Atena accendersi in battaglie nei giorni passati? Non hai avvertito lo scomparire di parte dell’ordine che domina sul mondo in più luoghi nel mondo?", domandò di rimando il custode dorato.

"Sono passati più di sei anni da quando mi sono diviso da Damocle e dal nostro maestro: non aveva ancora un cosmo così ben conformato lui allora, come potrei riconoscerlo adesso?", incalzò ancora l’altro, "Ma abbiamo avvertito delle battaglie in questi ultimi giorni, seppur dall’Isola della Regina Nera sembra sempre che qualcuno, al mondo, sia intento ad uccidere il proprio vicino.", ridacchiò divertito, iniziando a rimettersi in posizione eretta.

"Le battaglie che avete sentito combattere in questi ultimi giorni sono state fra noi, guerrieri consacrati alla Giustizia e questi Ladri di Divinità, che usano l’inganno e la menzogna per costringere altri ad uccidere coloro che, semplicemente, vogliono difendere le loro case, mentre rubano l’essenza stessa, il cosmo delle divinità.", spiegò con chiarezza il cavaliere d’oro.

"Progetto ambizioso, non c’è che dire… ma sembra più una follia, che una minaccia realizzabile! Rubare l’essenza stessa delle divinità, per di più il Capricorno? Magari altri, ma non lei, è troppo selvaggia!", ridacchiò Cicno di rimando, "Inoltre era sull’Isola ancor prima del mio arrivo", ricordò.

"Spesso i Ladri di Divinità offrono parte del loro potere ad altri uomini, per convincerli a seguirli, perché schierino i loro eserciti per una causa che nessuno vorrebbe seguire, tanto è blasfema. La fame di potere, o magari i dissidi con il loro antico credo, chissà quali motivi possono guidare un uomo verso il desiderio di surclassare gli dei stessi, ma Baal, l’uomo che ho affrontato portando soccorso a Damocle ed i suoi compagni, e la donna del Capricorno, così come altri due dei vostri guerrieri d’oro nero, sono membri di questa blasfema schiera.", concluse Ascanus.

"Un gruppo ristretto di uomini che desiderano innalzarsi al di sopra delle divinità? Non mi darebbero alcun problema, se non che, a quanto dici, cavaliere, nel farlo stanno sfruttando noi, guerrieri neri, mandandoci al macello.", osservò con disappunto Cicno.

"Allora perché aiutarli?", gli chiese il santo d’oro, "Perché combattere per chi ti manderebbe al macello?", ripeté.

"Per quelle poche cose realmente importanti da quando sono stato imprigionato.", rispose pronto l’altro, "Non m’interessa la vendetta e delle divinità, ben che meno, non mi hanno impedito di finire su quello schifoso scoglio per aver difeso una sciocca ragazzina, né sono state loro a liberarmi. Atena, potrà anche essere la dea della Giustizia, ma, nella mia vita, è stata la dea degli Ignavi, niente di più!", sbottò il guerriero nero.

"Bestemmie! Atena ha salvato tutti voi, vi ha dato modo di sopravvivere, di non morire per quello che era uno spiacevole incidente che avrebbe potuto spezzare la pace di questi luoghi!", sbottò con disappunto il santo d’oro.

"Non Atena mi ha impedito di morire, ma il mio maestro, che ha supplicato il Sommo Sacerdote! Se debbo qualcosa a qualcuno, questi è Kalas! Il secondo motivo per cui mi sono fermato qui, alla Terza Casa, è proprio non incontrarlo, il primo è che, per quella tua battaglia con il cosiddetto ladro di Divinità, cavaliere, tu sei debole ed ora cadrai!", ruggì ancora Cicno, liberando il cosmo attraverso le clave: "Agriocsoiros, travolgi!", imperò furibondo, scatenando l’attacco contro il cavaliere d’oro che capì bene come, ormai, il tempo delle parole fra loro fosse concluso.

Tutto quel parlare non interessava a Yuri di Cerbero Nero: che esistessero uomini capaci di rubare l’essenza delle divinità, poco gli cambiava, anzi, era di certo una cosa giusta, poiché molto s’avvicinava ai propositi di ribellione che avevano animato la sua fanciullezza, per le strade di San Pietroburgo, lì dove aveva dovuto soccombere spesso alla boriosa supremazia degli zar e del loro esercito, così come molti altri, prima di iniziare a ribellarsi.

Non immaginava il potere insito nel cosmo, non immaginava niente di più che la ribellione all’impero che li opprimeva, e probabilmente in quella stessa ignoranza sarebbe morto, se non fosse stato trovato da Akab ed assieme non avessero raggiunto l’Isola della Regina Nera, dove fu addestrato dal nobile Luis, un uomo deturpato in viso, orgoglioso e burbero, forse, ma devoto ai propri allievi e degno d’ogni onore.

Kirin era riuscito ad entrare fra le Cinque Bestie, dove combatteva al fianco degli allievi di Pesci, Leone, Toro e Scorpione; Akab, però, aveva dato il più grande onore, diventando uno dei Quattro che comandavano su tutti i guerrieri d’argento neri, secondi solo al gruppo di cui il loro maestro faceva parte.

Per quello stesso motivo, alla fine, Yuri si era diretto verso il Sestetto, proponendogli di accettarlo fra loro: non avrebbe potuto unirsi ai due Negromanti, non era un titolo adatto a lui, né poteva entrare nella debole Sorellanza, o restare un isolato, così come Kevan, Ramsey o Frinn, individui patetici, che poco avevano da offrire alle schiere oscure, o che troppo vivevano all’ombra dei loro insegnanti, ma lui no, lui non sarebbe stato un simile disonore per se stesso, o per chi gli aveva concesso di sopravvivere alla forza bruta degli Zar: lui avrebbe avuto un ruolo nella storia. Il suo ruolo sarebbe stato uccidere un cavaliere d’oro almeno.

Con questa rinominata determinazione, il guerriero nero scatenò la furia delle Gole dell’Ade, non appena s’avvide della sagoma del Cinghiale d’Erimanto che si scatenava contro il santo di Atena.

Il cavaliere d’oro, però, era pronto: sollevò rapido le difese dorate di cui era padrone, impedendo che i due attacchi lo raggiungessero, riuscendo di nuovo a reggere quel confronto di forze, scatenando la frustrazione di Yuri.

Grande era la rabbia di Cerbero Nero, brucente come il dolore che sentiva vorticargli nel corpo a causa delle punture che aveva subito! Un dolore tale che quasi non riusciva a concentrare nei suoi pensieri, un dolore tale che con un ruggito di rabbia, l’oscuro guerriero si lanciò in avanti, scatenando le sfere chiodate.

Yuri notò appena il mezzo sorriso sul volto del cavaliere d’oro e nemmeno sicurò della voce di Cicno: "Idiota, no!", urlava il guerriero nero, mentre Ascanus si spostava abilmente, evitando la prima catena, poi la seconda, quindi prendendo rapido fra le mani entrambe e tirandole a se, prima che, con un ruggito per lo sforzo fisico, sollevasse da terra il russo nemico, scagliandolo addosso al suo parigrado.

Uno sciame di sottili aculei rossi partì subito dopo dalla mano del cavaliere d’oro, "Cuspide Scarlatta, in nome di Atena!", invocò il custode dell’Ottava Casa, lasciando che nuovi fori si aprissero sulla sua pelle, provocando nuovo dolore, un dolore tale che lasciò cadere il guerriero di Cerbero Nero in uno stato confusionale, mentre sentiva il suo stesso corpo rotolarsi per terra agonizzante.

Cicno dovette spingere indietro quello stupido dell’allievo di Luis con un calcio, mentre riprendeva le due clave che, nel subire le nuove cuspidi di Ascanus, gli erano scivolate di mano.

Se fosse stato abbastanza in forze, lo avrebbe ucciso con le sue mani, anzi, gli avrebbe spaccato quella brutta testa, vuota e tatuata, con una delle due armi d’oro nero, ma adesso non aveva il tempo, o le energie, per preoccuparsi anche di quello che, a suo dire, era un grosso e rumoroso peso morto.

"Rinuncia alla battaglia, Cavalcante, non hai più scampo! Il tuo compagno ha scelto la pazzia, permettimi di darti la morte! Solo Antares resta, il cuore dello Scorpione, l’ago della cuspide ti darà la fine, sarà dolorosa, purtroppo, ma ti assicuro che sarà veloce.", propose con tono gentile il santo d’oro.

"Sbagli doppiamente, Ascanus: ho ancora possibilità di vittoria e, soprattutto, questo reietto idiota non è un mio compagno!", ringhiò con rabbia Cicno, rialzandosi in piedi.

Altri erano i compagni di Eracle Nero, uomini e donne che lo avevano affiancato sull’Isola Prigione, non perché obbligati, ma di loro libera iniziativa, perché avevano riconosciuto le loro capacità, così come loro avevano riconosciuto le sue ed ora sentiva combatterli, di certo Duhkra e Sinai, al Grande Tempio come lui, ma sapeva che anche Yan Luo, Kurnak e Megara stavano combattendo, ma si erano ripromessi che si sarebbero reincontrati ed insieme avrebbero trovato un modo per slegarsi da tutti gli altri guerrieri neri, banali servi del loro odio e di una più che patetica voglia di potere.

Loro non sarebbero finiti come Gwyvinn, stolte bestie assetate di sangue, o come Umba, piegata dal suo stesso rammarico per cosa le era successo, o come Ashur, desideroso di tornare a ciò che aveva perso e cieco alle proprie colpe! No, loro sarebbero emersi da quel fango nero ed avrebbero ottenuto la libertà da soli, senza chiedere aiuto a nessuno, che fossero altri uomini, o dei!

Fu questa determinazione che accese furibondo il cosmo color ruggine di Cicno, permettendogli di rialzarsi, "Combatti pure per la giustizia, cavaliere d’oro, sferra il tuo ultimo attacco, ma sappi, nel colpirmi, che la Giustizia che tanto predichi, in me ha un esempio della sua fallacità!", ringhiò il guerriero nero, "Non della Giustizia mi curo, ma del mio futuro! Per esso combatto, per avere ciò che per un lungo periodo abbiamo desiderato sull’Isola della Regina Nera!", ringhiò ancora, mentre sentiva che anche Yuri stava riprendendosi.

"Vedi di renderti utile, dipinto parlante, ed attacca sia me che lui!", ordinò secco Eracle Nero, scattando avanti contro il cavaliere d’oro che, con un lampo di tristezza negli occhi, caricò a sua volta.

"Antares, colpisci!", imperò Ascanus, sollevando la mano verso il cuore del nemico, ma fu un vorticante rombare di vento, la furia stessa delle Gole dell’Ade, che investì entrambi, deviando l’attacco del cavaliere d’oro, che non trovò Cicno.

Il guerriero di Eracle Nero, però, fu pronto, dalla sua nuova posizione, a mezz’aria: "Dopo il Cinghiale ed il Toro, ecco una nuova belva per te, l’ultima che vedrai, anzi, è più corretto dire un intero esercito di belve, le Cavalle di Diomede!", imperò, calando verso il custode dorato le due armi.

"Aimatere Aghele!", urlò Cicno, scatenando decine e decine di cavalli di fuoco color ruggine che presero alla sprovvista Ascanus, attraversandone il corpo con ferocia; il cavaliere non prese fuoco, ma le fiamme, ogni volta che ne oltrepassavano le carni, mutavano leggermente colore, non più ruggine, ma rosso, come il sangue del custode dorato, lo stesso che stava adesso abbandonando il suo corpo, prima che entrambi i combattenti ricadessero al suolo.

Cicno riuscì a tenersi sulle ginocchia grazie alle clave, mentre osservava il corpo del cavaliere d’oro perdere sempre più sangue, assieme alla vita che ormai lo stava abbandonando; si voltò, poi, e vide Yuri adesso di nuovo a terra, in preda agli spasmi.

"Che razza di conclusione…", si lamentò con se stesso allora colui che era stato Cavalcante, cadendo con il viso sul duro pavimento, mentre già lo scontro tuonava fra la Terza e la Quarta Casa ed il rumore di passi echeggiava sempre più vicino, provenendo dalla Seconda.

Homines 11: Il Pellerossa

"Non possiamo concederti il potere che cerchi: la nostra gente non è assetata del male che infesta la terra, vuole semplicemente purificarla.", questo gli avevano detto anni fa quei dodici ipocriti, che seguivano ciecamente i dettami di antiche divinità che, nel vasto disegno dei destini del Mondo erano considerabili degli dei minori, niente a che vedere con i potenti signori dell’Olimpo, degli Asi, degli esseri citati nel Popol Vuh, o, ancora del Sovrano dell’Enneade e del suo seguito.

Proprio contro i servitori di Ra, Signore dell’Enneade, stava ora dinanzi, perché aveva abbandonato quella ristretta cerchia di pacifisti per unirsi ad una ben meno contemplativa setta, un gruppo di Homines, come si facevano chiamare, il cui unico intento era quello di liberare il mondo dalla piaga delle divinità.

Il suo, però, di principale intento, era leggermente diverso: lui desiderava liberare gli istinti degli uomini, quelli che le leggi, derivate da una negazione dell’esempio divino, costringevano a tenere sedate.

Perché agli dei era concesso tutto ed agli uomini ben poco? Perché le morali dovevano essere così diverse e, soprattutto, chi aveva il diritto di decidere della morale di un uomo, se non lui stesso? Queste le domande che lo guidavano, quelle le domande a cui voleva dare una sola risposta: la vera libertà risiede nella vera follia.

Con queste certezze, i suoi occhi color verde marcio si stagliavano su uno di quelli che l’Egiziana gli aveva presentato come i Faraoni dalle vestigia di Granito, Pharaons, servitori di Ra.

Era un guerriero dal fisico asciutto, segnato da alcune cicatrici sul volto, i lunghi capelli chiari tendevano quasi al bianco, mentre il cosmo che lo circondava era di un acceso color smeraldo, simile alle decine e decine di strani scarafaggi che svolazzavano attorno a lui, più delle pietre preziose che non degli orridi stercorari.

"Non so chi tu sia, straniero, né perché tu accompagni una traditrice del Sommo Ra fino a queste terre, o quali siano i vostri propositi, ma già quella donna e quel vile assassino che ha massacrato Anuqet hanno dimostrato le vostre finalità belliche, quindi attaccami, o cedi il passo! Io Shu di Khepri, comandante dei Pharaons, non posso certo restare qui a discutere con te, mentre i miei compagni vengono uccisi!", imperò deciso, prima che il cosmo smeraldino avvolgesse tutte le piccole creature che lo circondavano.

"Fra i miei compagni sono noto come il Pellerossa, poiché dalle terre oltre l’Oceano provengo, dalle stesse che ormai gli Stati Uniti ci hanno derubato, costringendoci a soccombere alle loro leggi! Io, però, anziché accettare le catene delle altrui ragioni, sono latore di una diversa forma di libertà: la Follia!", esclamò lui, presentandosi e lasciando scivolare indietro il cappuccio del mantello, così da rivelare il volto, la pelle di un colore vagamente rosato, i capelli lunghi e neri, ma, più di tutto, gli occhi, accesi e verdi, che brillavano verso il comandante dell’esercito egizio.

Shu, a quella vista, fece un passo indietro, scosso da un terrore quanto mai illogico e, forse, proprio per questo consapevole della mostruosità insita in quello sguardo.

"Mi guardi e non favelli, servo di divinità? Trovo tutto ciò molto divertente, come il terrore, che precede la vera follia, possa avere effetti diversi da uomo ad uomo! Alcuni scappano, altri restano immobili, paralizzati dalla paura, altri ancora urlano ed agiscono con falsa spavalderia!", raccontò il Pellerossa, avanzando di un passo.

Fu nell’iniziare ad indietreggiare che Shu si fermò, "No, non scapperò!", ringhiò il comandante dell’esercito di Ra, aprendo le mani dinanzi a se, "Divoratori di Carne! Attaccate questo folle!", imperò il guerriero egizio, scagliando in avanti la numerosa armata di scarafaggi che lo seguivano.

Il Pellerossa non si mosse, semplicemente sollevò lo sguardo verso quella moltitudine d’insetti, nel breve spazio che li divideva dal suo corpo e lasciò che il cosmo fluisse attraverso gli occhi, un cosmo brillante, ma, allo stesso tempo, venefico, quasi fosse un’onda di luce malata, che avvolse tutti i verdi scarafaggi, oltrepassandoli e raggiungendo Shu, il cui cosmo fu, d’improvviso, surclassato da quello nemico.

Il Faraone non riuscì a muoversi oltre, semplicemente, rimase paralizzato, mentre le sue stesse creature deviavano la loro corsa, lanciandosi contro il proprio padrone ed iniziando a divorarlo: le urla di dolore si confusero con risate illogiche e con vaghi suoni confusi che la bocca del guerriero egizio lasciò fuggire, finché la gola e le corde vocali non furono divorati.

Solo alla fine, quando più niente, se non nere vestigia di granito, capelli ed ossa restavano, gli scarafaggi iniziarono a divorarsi fra loro, in un’incontrollabile ed insensata fame, che li portò ad un tale illogico massacro.

Quando l’ultima di quelle piccole creature lasciò esplodere il cosmo che la circondava, distruggendosi, il Pellerossa osservò la ferocia che aveva liberato, ridando la possibilità di scelta a quelle piccole bestie… e decise che era cosa giusta.

Con un sorriso sul volto, l’Homo si rimise il cappuccio: aveva compiuto il suo dovere, aveva fatto ciò che era naturale per lui, per Ewah, il Pellerossa.