Capitolo 2: Tramontana
Il tempio di Eolo si trovava su una piccola isola nel mar Tirreno, un luogo che i marinai non avrebbero mai trovato, celato dal divino cosmo del dio dei Venti, una piccola isoletta oltre Vulcano, Lipari, Salina, al di là delle isole chiamate Eolie.
Era dai tempi del mito, quando un singolo navigatore, confondendo il tempio con una grotta, vi arrivò, che nessuno aveva più toccato quel luogo, eccetto i guerrieri consacrati allo stesso Eolo, così, quando un gran numero di oscuri cosmi iniziarono a circondare la costruzione, non fu difficile, per coloro che la abitavano, individuarli e prepararsi di conseguenze: quattro figure si mossero dall’interno del tempio verso gli altrettanti ingressi.
Sedici degli oscuri guerrieri si stavano dirigendo verso il tempio di Eolo, quando erano ormai prossimi alla loro meta, la voce di Luis del Sagittario Nero si espanse fra tutti loro: "Ariete, Leone, Pesci, prendete ognuno di voi dei guerrieri ed attaccate da uno dei quattro ingressi, li schiacceremo da ogni fianco!", ordinò e le scure striature che solcavano il cielo si diressero in quattro direzioni differenti.
Non ci volle molto perché il primo gruppo toccasse terra, dinanzi ad un ampio arco di pietra su cui era incisa una sola lettera "N"; lì, però, le quattro nere figure, perché tanti erano i cavalieri oscuri diretti all’ingresso settentrionale, si trovarono a fronteggiare un primo strano fenomeno: il vento che sferzava i loro volti proveniva dall’interno del tempio stesso, un’immane corrente d’aria gelida che pareva non volersi mai calmare e che, al loro arrivo, quasi s’intensificò in violenza.
"Che cos’è mai tutto ciò?", chiese una delle nere figure, indietreggiando leggermente sospinta dal vento, mentre un secondo alzava un tetro mantello per coprirsi il viso ed una terza si lamentava per la ferocia di quella fredda aria, finché un bagliore multicolore li circondò tutti.
"Sciocchi! Questo è il tempio della divinità dei Venti di Grecia è naturale che qui le correnti d’aria non entrino, ma, piuttosto, ne escano, dirigendosi verso il mondo tutto.", lamentò colui che con il proprio cosmo li aveva difesi, il cavaliere dell’Ariete Nero.
Gli altri si guardarono fra loro, rapidi sguardi, incerti sulle conoscenze e capacità del guerriero d’oro nero che li guidava: al pari della maggioranza dei loro parigrado, anche l’Ariete Nero era un mistero, spesso assente da un’Isola che doveva essere la loro prigione, da cui non avrebbero dovuto così facilmente poter entrare ed uscire.
Una voce, però, interruppe quella serie di sguardi pieni di diffidenza e curiosità, una voce proveniente dall’interno del tempio: "Ciò che dici è vero, invasore oscuro! Da qui provengono i Venti sacri al divino Eolo, ma di norma sono gentile carezza finché si trovano su questo consacrato suolo, oggi, però, la loro violenza si scatenerà contro di voi, guerrieri nemici, per volere dei Dominatori che li comando!", sentenziò la figura, ancora non pienamente visibile.
"Il volere dei dominatori? Siete patetici seguaci di una divinità minore e credi che ciò che è in tuo potere potrà mai essere un ostacolo per me? Stupida creatura!", ruggì il guerriero dell’Ariete Nero, avanzando per primo, mentre le correnti d’aria brillavano al contatto con l’immane barriera che l’oscuro nemico aveva posto a difesa sua e dei suoi compagni.
In pochi passi, i guerrieri neri furono all’interno della sala settentrionale e lì riuscirono infine a vedere chi li stava fronteggiando: aveva un’armatura azzurra e grigia, che copriva braccia e gambe con delle piastre striate, lasciando scoperti le braccia, fra spalla e gomito, e le zone delle cosce fino al ginocchio.
Due piccole spalliere, adornate da dei candidi veli ed un gonnellino metallico, però, aiutavano a proteggere le parti di corpo sugli arti ancora scoperte; il tronco, al contrario, era celato quasi totalmente da una lunga corazza dei medesimi colori, segnata da decorazioni simili a gocce di pioggia argentea su un cielo azzurro.
Il volto, così come il corpo, era quello di una teutonica guerriera, ricco nelle forme, adornato da lunghi e delicati capelli dorati, scossi dal vento, gli occhi simili a zaffiri ed il viso duro e spigoloso, solo leggermente coperto da una maschera azzurro ed argento, rappresentante un paio di labbra intente a soffiare, che ne nascondeva bocca, naso e mento.
"Una donna è alla difesa di questo luogo?", scherzò una delle figure dietro il cavaliere dell’Ariete Nero, "Non una donna qualsiasi, invasore, ma Oritia, Dominatrice della Tramontana, che vi scaccerà via da questo sacro tempio!", tuonò aprendo le mani dinanzi a se.
La corrente d’aria, prima semplicemente sostenuta, divenne improvvisamente più furente e carica di pioggia, una pioggia che volò parallela al suolo, investendo con violenza la barriera dai riflessi multicolore sollevata dall’Ariete Nero e bloccando loro il passo.
"Le abbiamo lasciato il tempo di divertirsi, ora direi che spetti a noi godere della sua compagnia.", esordì d’improvviso una voce fra i guerrieri neri, liberando un’ondata di tetra energia che, dopo un cenno dell’Ariete Nero, sorpassò la difesa a protezione degli invasori e cozzò con violenza contro la furente pioggia di Tramontana.
Quando le due correnti s’interruppero, dalla pioggia che si diradava, Oritia poté vedere uno dei guerrieri neri apparire: il volto appena coperto da una leggera barbetta nera, i capelli scompigliati e scuri anch’essi, il corpo basso e tozzo, gli occhi scuri e maligni che la squadravano con avidità e maligno desiderio, mentre un ghigno svelava dei denti mal curati.
"Femmina di Eolo, hai dinanzi a te Nesso, il Centauro Nero fra le Ombre! E ben presto sarà per te un piacere avermi conosciuto!", rise con sguaiato divertimento l’oscuro invasore, mentre il suo cosmo s’espandeva, divorando le mattonelle candide della sala.
Il silenzio calò nella sala, finché non fu proprio l’Ariete Nero ad interromperlo: "Bene, Nesso, lascerò a te questa battaglia, noi continueremo verso le sale interne del tempio.", ma il vento ricominciò a soffiare potente nella sala, "Voi continuerete? Credi forse che una degli Otto Dominatori dei Venti si lasci sorpassare così facilmente?", lamentò Oritia, determinata nel bloccare tutti i nemici con la furia dei venti, ma fu la risata di Nesso a risponderle per prima.
"Sei tu, tesorino, a credere, erroneamente, che il tuo venticello possa fermare tutti noi! Ci fossero dei piccoli cavalieri di bronzo nero? Loro sarebbero di certo facili prede dinanzi a te, ma io? Altare Nero, o addirittura Vela Oscuro, o, persino, il nostro buon Ariete Nero qui? No, noi abbiamo bisogno di ben più ostici nemici per essere posti in difficoltà!", rise ancora il malefico guerriero, "Ma sei stata fortunata nella sfortuna, mia bella bionda, poiché hai trovato il Centauro Nero sulla tua strada e non ho mai lasciato una donna senza prima averle dato la gioia della mia compagnia!", ruggì ebro di soddisfazione l’Ombra nera, lasciando esplodere il tetro cosmo.
"Come molte donne, però, dovrai prima di tutto capire quale posto ti compete, dovrai saggiare il sapore di fiele del mio cosmo, prima di saziarti un bel più candido e piacevole gusto, dunque ecco per te, tesorino, lo Zoccolo Oscuro di Nesso!", esclamò, mentre il nero potere che gli era proprio prendeva forma attorno a lui, scagliandosi in avanti come un immane zoccolo di cavallo, che cozzò violentemente addosso alla Dominatrice dei Venti, schiantandola a diversi metri di distanza.
Quel singolo attacco bastò ad assopire le fredde correnti dell’ingresso Settentrionale, "Bene, dunque noi andiamo avanti.", furono le uniche parole dell’Ariete Nero, "Io resto ancora qui, ho il mio premio da esigere!", rise soddisfatto il Centauro Oscuro, iniziando ad avanzare verso l’avversaria al suolo, che già sembrava sul punto di rialzarsi.
"Fossi in te, tesorino, resterei a terra, non sei un nemico che mi possa impensierire, sei solo un passatempo, ora che abbiamo avuto modo di fuggire dalla nostra prigione.", la avvisò Nesso, ma un’ondata di fredde correnti lo spinse indietro, permettendole di rialzarsi, quando già il resto dei nemici si allontanava.
Il Centauro Nero fu però agile nel compiere una capriola a mezz’aria, atterrando tranquillamente sui piedi, senza subire danno alcuno da quella violenta corrente, "Allunghi solo l’attesa prima dell’inevitabile così, tesorino, niente di più e maggiore sarà l’attesa, minore sarà la mia cortesia nei tuoi confronti!", minacciò ringhiando l’invasore.
Oritia lo scrutò, gli occhi di lui che sembravano colmi solo di rabbia e perversi desideri, e per un attimo, al ricordo della violenza di quel singolo attacco che l’aveva raggiunta, temette che, probabilmente, la sua sorte sarebbe stata quella che il nemico prospettava, ma fu solo un istante, più che sufficiente a ricordarle da quale realtà lei era sfuggita, una realtà poi non così differente da quella che quello straniero le preannunciava, una realtà che aveva rifiutato, seguendo venti più favorevoli, venti che dalla fredda Svezia l’avevano condotta fino in Italia, al servizio di Eolo e di chi comandava in quel tempio.
Fu a quel pensiero che la guerriera dei Venti sollevò ambo le mani, portandole all’altezza del proprio bacino, allargando le spalle, fin quasi dietro di se e lasciò che le correnti di gelida aria andassero a condensarsi fra le stesse, due piccole nuvole che si gonfiavano d’aria sempre più fredda e vorticosa, "Dici che io non sono un nemico al tuo livello? Forse è vero, invasore! Voi siete prigionieri evasi, criminali di tutto il mondo e di tutti i credi, io, invece, sono solo una semplice fanciulla che è stata scelta per servire una divinità, ma sappi che non m’arrenderò senza combattere, quindi preparati alla difesa, nero invasore, poiché questa è la forza di Oritia, questo è Aparctias!", urlò la Dominatrice della Tramontana, sbattendo le due nubi l’una contro l’altra.
L’impatto fra le nubi liberò una corrente di pioggia ed aria fredda che, all’inizio, non parve per nulla diversa dalle precedenti a Nesso, il quale, semplicemente, sollevò le braccia a propria difesa, ergendo un nuovo muro d’energia cosmica, ma ben presto si trovò colpito da una forza ben maggiore del previsto, o, più correttamente, ben presto, vide quella stessa pioggia che s’infrangeva inutile dinanzi alle sue difese, diventare una fitta grandinata, una grandinata così potente da superare la barriera nera e colpirlo in pieno, una, due, dieci e più volte!
Il guerriero oscuro arretrò ed arretrò, mentre sollevava le braccia a protezione del volto, finché il nero potere condensatosi sulle stesse s’aprì la strada assieme al suo gesto secco, disperdendo la grandine e correndo furioso contro la Dominatrice dei Venti, annullando la furia della Tramontana da lei richiamata, ma riuscendo solo a spingerla al suolo, seppur malamente.
"Adesso mi hai fatto arrabbiare! E per questo soffrirai! Soffrirai tanto da chiedermi di ucciderti, ma ciò non avverrà! Resterai viva, un monito deforme della mia ira! Tutti mi temeranno così come temono il mio maestro!", ringhiò il guerriero nero sollevando il braccio, pronto a colpire di nuovo con lo Zoccolo Oscuro, che si schiantò con violenza su Oritia, ancora china con le ginocchia al suolo, schiacciandola a terra con urla di acuto dolore, che presto si confusero alle risate divertite dell’invasore.
***
In una sala all’interno del tempio, di là dai quattro ingressi e degli altrettanti corridoi, si trovava un ampio altare, un altare su cui era riposta un’anfora di otto diversi colori adornata, un’anfora attorno alla quale si aprivano otto seggi, più bassi, su quattro riposavano altrettante anfore, più piccole, di diversi colori, mentre gli altri erano vuoti. E, per chiunque entrasse in quella sala, poteva risultare evidente come il vento che lì soffiava non proveniva dai corridoi, ma verso quelli si dirigeva, passando attraverso le più piccole anfore e generandosi da quella centrale.
Una figura osservava quello spettacolo, i capelli smossi dal vento, freddo e pungente che si dirigeva verso il corridoio settentrionale, lo sguardo preoccupato che vagava dall’altare alle altre persone che con lei erano in quella stanza.
Uno, seduto a terra, sembrava quasi appisolato, un secondo ben massiccio nel corpo, stava lucidando una qualche arma fra le sue mani, mentre l’ultimo camminava avanti ed indietro per la sala.
"Lothar, smettila di camminare in quel modo, finirai solo per innervosire anche noi.", ammonì l’uomo sdraiato, che di certo non dormiva, "Forse servirebbe che tu t’innervosissi", sbottò l’altro, fermandosi d’improvviso a quelle parole, "Dato quanto sei tranquillo, malgrado le battaglie che si stanno combattendo!", continuò, aprendo le braccia, quasi a voler abbracciare tutti gli ingressi.
"Non senti i cosmi dei nostri compagni Dominatori? Oritia è già intenta in una battaglia e ben presto lo saranno anche gli altri, avverto già Aliseo pronto al duello e lui, fra tutti noi, è forse il meno adatto!", sbottò l’uomo di nome Lothar.
"Non è vero.", li interruppe il Dominatore con l’arma fra le mani, "Ritieni che Aliseo sia un guerriero capace?", chiese quello sdraiato al suolo, "Mi sorprendi, Coriolis, ti credevo più duro nei giudizi.", aggiunse distrattamente.
"Non mi hai dato il tempo di concludere, Dominatore del Libeccio, non ritengo che Aliseo sia il meno adatto alla lotta, più semplicemente so che fra tutti ed otto, solo noi quattro abbiamo delle possibilità di vittoria contro i nemici che sono appena giunti e nemmeno contro tutti, alcuni di loro possiedono cosmi al di là delle vostre possibilità, o almeno di quelle di Lothar.", sentenziò impassibile il guerriero.
"Come ti permetti? Credi che sia il lignaggio, o il passato a definire un guerriero? Io sono capace quanto voi nella battaglia e di certo lo sono anche Aliseo, Oritia, Favonio e…", sbottò l’uomo in piedi, prima che una voce lo interrompesse: "Basta!", ordinò secca la donna che completava quel quartetto.
"Il nostro non è un ordine guerriero come gli altri: noi non siamo i Santi di Atena, difensori della Giustizia, né i Generali dei Mari di Nettuno, o gli Spettri di Hades, né tanto meno l’esercito di Ares, noi siamo i Dominatori dei Venti, consacrati alla custodia dell’Anfora di Eolo, noi spetta di nasconderla, non siamo stati scelti per la propensione a combattere. Questa è una triste verità in questo momento, ma è la verità.", sentenziò la donna, "Già si combatte nelle sale della Tramontana e di Ponente e ben presto così sarà anche in quelle di Levante e dell’Ostro e, già i primi nemici sono sfuggiti infiltrandosi verso il corridoio Nord, quindi prepariamoci, poiché ben presto spetterà anche a noi la lotta.", ordinò decisa la donna nella penombra della sala.
"Sì, comandante Okypede.", concordò l’uomo seduto, mentre già Lothar chinava il capo ed il Dominatore sdraiato a terra si alzava a sua volta, avvicinandosi ad un’anfora color fuoco ed ambra.
"Il corridoio è settentrionale, quindi non spetterà a te fermarli, Noto.", aggiunse ancora la donna al comando, mentre di nuovo i cosmi esplodevano combattivi a Nord.
***
Nesso del Centauro Oscuro avanzava tranquillo verso la sua vittima, quando una nuova fredda corrente lo investì senza, però, rallentarlo minimamente, "Sei patetica, tesorino, non capisci il baratro che ci divide! Io sono stato addestrato da un guerriero d’oro nero e tu da cosa? Un ventaglio? Una giara da cui spira il vento?", chiese divertito, provocando una sorpresa riduzione della corrente che lo fronteggiava, "Sì, esatto, sappiamo come i Dominatori dei Venti vengono addestrati, anche se, forse, di addestramento è un’esagerazione parlare, considerando quello che ci è stato raccontato dall’uomo che avete scacciato e fatto imprigionare. Uomo che ora è fra i Dodici che comandano i Neri guerrieri.", aggiunse, intuendo i pensieri dell’avversaria attraverso il ridursi delle correnti d’aria.
"Il precedente Dominatore del Ponente?", domandò stupita Oritia, rialzandosi, "Sì, esatto, anche se, a quel che ho visto, non all’ingresso di Ponente s’è diretto.", rise Nesso, "Quel ladro ed assassino!", sussurrò disgustata la guerriera consacrata ad Eolo, mentre l’altro alzava le spalle, "Ladro ed assassino è una definizione esagerata: che ha fatto? Ucciso un paio di voi nel tentativo di prendere per se l’anfora consacrata al dio dei Venti? Ammetto che quelle schifose ingrate delle amazzoni mi hanno accusato con altrettanta esagerazione, ma in fondo questa è la storia di tutti noi, prigionieri dell’Isola della Regina Nera.", affermò secco il guerriero del Centauro Oscuro.
"Le Amazzoni di Artemide?", domandò la Dominatrice della Tramontana, ora in piedi, con le vestigia danneggiate al tronco ed alle gambe, "Ne conosci altre, tesorino? Quelle simpatiche guerriere sacre alla divinità di Luna e Caccia tendevano a lamentarsi, come tutte le donne: prima m’istigano, poi, quando prendo ciò che loro così gentilmente offrono, urlano, si ribellano e m’accusano di chissà quale crimine.", rispose con noncuranza il nemico malefico, ghignando verso la guerriera, "Spero che tu farai altrettanto.", aggiunse, lasciando esplodere ancora il proprio cosmo.
Oritia fu però lesta nel condensare le due piccole nubi nei palmi delle mani, lasciandoli poi collidere nella potenza del suo Aparctias; altrettanto capace fu però Nesso nello spostarsi, evitando la furia di quella grandinata e liberando il proprio Zoccolo Oscuro contro la stessa, disperdendola, prima di far indietreggiare la guerriera stessa, che dovette scatenare tutta la furia del vento freddo per riuscire a restare in piedi, o almeno questa era la speranza della Dominatrice, prima che un secondo colpo del medesimo attacco, a rincarare la potenza del precedente, la schiantasse al suolo, violentemente.
La guerriera di svedesi origini fu spinta indietro, fin quasi all’ingresso del corridoio dov’erano scomparsi Ariete Nero e gli altri invasori che le erano sfuggiti, l’armatura in pezzi in diversi punti, ferite che non lasciavano sfuggire molto sangue, ma evidenti erano le contusioni e le fratture che la potenza di quella serie di impatti avevano prodotto su di lei.
A stento Oritia cercò di rialzarsi, per poi spalancare gli occhi e piegarsi verso il suolo nuovamente, vomitando con forti spasmi quel poco che aveva mangiato nelle ore passate, misto a sangue.
"Non te lo avevo detto, tesorino? Il mio cosmo è venefico! Più vi entri a contatto, maggiori saranno gli effetti sul tuo corpo: nausea, febbre e molto molto peggio, fino alla paralisi del corpo, che, devo dire, è l’effetto peggiore per gustarmi il giusto premio.", spiegò Nesso, ora su di lei, schiacciandole con forza la gamba sinistra sotto il peso del suo piede, fino a sentire il sordo rumore delle ossa che si fratturavano.
Fu poi il ginocchio del nero guerriero a spingere sullo stomaco della Dominatrice, mentre le mani di lui scivolavano fra le crepe dell’armatura e, con un secco morso, le strappava via ciò che restava della maschera, guardandola infine in volto, "Quanto ci divertiremo assieme!", esclamò estasiato il guerriero oscuro, notando il terrore ed il disprezzo negli occhi di lei.
Il terrore, però, fu presto sostituito dalla rabbia, una rabbia nera come la coltre di nubi che, d’improvviso, Nesso si rese conto che circondava lui ed Oritia stessa, nuvole che stavano vorticando, sempre più furiose intorno al suolo, scavandolo con famelica velocità, prima di esplodere in un ciclone la cui potenza sollevò da terra il guerriero oscuro, scagliandolo verso il soffitto della sala.
Nell’occhio di quel ciclone di vento e grandine, si trovava la Dominatrice, ancora al suolo, confusa e sofferente per il veleno che aveva in corpo, mentre un ricordo, nemmeno troppo lontano, si risvegliava nella sua mente.
Era appena un anno che si trovava in quel tempio, un anno da quando la, allora seconda comandante, Okypede l’aveva trovata, dodicenne, figlia di un carpentiere svedese, povera, priva di ogni possibilità di un futuro diverso da quello della sua famiglia, un futuro da cui la Dominatrice le aveva permesso di allontanarsi, dandole modo di scoprire il mondo e di scoprire il potere del cosmo, insito dentro di lei.
Quel particolare giorno, Oritia era in contemplazione dinanzi all’anfora dei Venti, cercava di controllare le fredde correnti del Nord e, ormai, era molto abile in tale compito, almeno secondo i suoi parametri, ma non riusciva ancora a scatenare a pieno quel potere.
"Okypede ti ha in grande considerazione, bambina, ma non hai mai voluto controllare il vero potere del vento che ti è dato da Dominare.", aveva esordito una voce, rubandola alla sua contemplazione: la figura, alta ed elegante di Luis, Dominatore di Ponente, le apparve davanti, vesti comode e ricche di decorazioni, quello era, di tutti ed otto loro, l’uomo di certo più affascinante, con i lunghi capelli curati e lo sguardo magnetico, o almeno lo era per una bambina tredicenne.
"Cos’è? Il vento ti ha portato via le parole?", scherzò ancora l’uomo, dinanzi alla fanciulla, "No, no… di che potere parlavi?", chiese lei di rimando, timidamente.
"Il potere più devastante del vento di Tramontana, la corrente più feroce, presente sul Mar Ligure, la Tramontana Scura.", disse, allungando la mano verso l’Anfora, "Ricorda, bambina, noi siamo i Dominatori dei Venti, non siamo qui semplicemente per custodirli, o per difenderli, al pari di altri culti consacrati a chissà quale divinità, il nostro compito ed obbiettivo e dominare i Venti, ergersi alla pari di Eolo stesso, a cui questo tempio è dedicato.", affermò, mentre una corrente, dal fianco orientale del mitologico oggetto s’agitava sulla sua mano stridendo come lame che cozzavano le une sulle altre.
"Non dovresti dire queste cose alla piccola Oritia, sai, Luis?", esclamò una voce alle loro spalle, mentre un altro uomo entrava nella sala, un elegante giacchetto rosso che risaltava sul viso, segnato da diversi anni di rughe, "Comandante Austro, stavo solo mostrando alla nostra più giovane recluta quale potere è nelle sue mani, così che sappia sempre dove dirigerle.", affermò con un sorriso beffardo in viso l’allora Dominatore di Ponente, rivolgendole una gentile carezza sulla fronte, "In fondo, non tutti sono stati allievi di veri guerrieri, come me, Okypede, o Coriolis, né discendono da una stirpe consacrata alla custodia di questo tempio, come te e la tua famiglia.
La piccola Oritia, qui, è stata scelta perché il soffio di un cosmo era presente in lei, ma senza la dovuta guida, resterebbe solo un alito di quel celeste potere che tutti condividiamo, niente di più.", concluse l’accattivante Dominatore di Ponente.
"Forse è come dici tu, Luis, forse è come dici tu.", aveva tagliato corto allora l’anziano Austro.
Nemmeno un anno dopo, quello stesso Dominatore aveva cercato di rubare l’Anfora, di prendere per se il potere di tutti i venti; Austro, e con lui anche il Dominatore del Libeccio, erano morti nel tentativo di fermarlo, tutti avevano combattuto, tranne lei, lei che non aveva avuto nessun potere con cui contrastare Luis, lei che, dopo quel giorno, aveva giurato a se stessa che mai più sarebbe stata così indifesa, così incapace di aiutare Okypede, la persona che l’aveva liberata dalla sua vita vuota.
"Tramontana Scura!", urlò la Dominatrice di Eolo, ritornando a concentrarsi sul presente e lasciando che la furia del ciclone di grandine si schiantasse feroce, fino ad assopirsi, lasciando che il guerriero del Centauro Oscuro cadesse al suolo, poco distante dall’ingresso che aveva in precedenza varcato con i suoi compagni.
Nesso era lì, al suolo, il corpo dilaniato da diverse ferite, le vestigia nere ridotte a pochi frammenti ancora su di se, ma era vivo, il sangue sgorgava da lui, mentre si rialzava, ma il venefico cosmo ancora s’espandeva, minaccioso.
"Pagherai, tesorino, pagherai per tutto ciò.", la ammonì rabbioso, sollevando il pugno, "Zoccolo Oscuro!", ruggì poi, scatenando l’attacco contro la Dominatrice, stremata, incapace di qualsiasi movimento per via del veleno che già la infettava e, certamente, l’avrebbe anche colpita, se una sagoma non si fosse posta in mezzo fra loro, disperdendo con un secco movimento la potenza di quel singolo colpo.
***
Poco lontano, all’interno di un corridoio che scivolava verso destra, l’Ariete Nero si fermò, ai cavalieri che gli erano al fianco, parve quasi che si guardasse intorno e l’Altare oscuro avrebbe anche potuto giurare di vedere un accenno di sorriso nel volto difficile da distinguere, "Sono arrivati, questo viaggio non è stato inutile.", bisbigliò fra se il guerriero, volgendosi poi verso coloro che lo seguivano.
"Victor, torna indietro. Il Centauro avrà di certo bisogno d’aiuto ora che un altro ospite è finalmente arrivato, e come lui anche gli altri che si troveranno a fronteggiare questi guerrieri ne avranno, spero che tutti lo capiscano. I cavalieri di Atena non sono nemici da poco.", ghignò l’Ariete Nero, riprendendo a correre, con solo un’ombra al proprio fianco, mentre l’altro tornava indietro.
***
Il nero colpo fu disperso dalla figura ricoperta d’argento; gli occhi di Oritia, ancora al suolo, scrutarono sorpresi quella strana nuova giunta, una guerriera, dalle forme che risaltavano attraverso l’armatura, malgrado una maschera, del medesimo materiale delle vestigia, ne celasse l’aspetto. Nesso, dal canto suo, sembrò leggermente smarrito all’inizio, le forme che aveva davanti non le riconosceva come una delle controparti delle loro tetre corazze, forse perché rinate attraverso l’abilità degli Annunaki ed il sangue dello Scorpione d’Oro, forse per le ferite che lo avevano segnato da poco, ma ci volle qualche istante prima che il Centauro Nero dicesse: "La sacerdotessa del Corvo consacrata ad Atena, suppongo? Quale ironia.", ridacchiò.
"Esatto, Ombra malefica, Gwen del Corvo è il mio nome e titolo, la dea della Giustizia colei che io servo.", si presentò la sacerdotessa guerriero, "Ed il mio arrivo segnerà la fine della tua oscena e malefica battaglia contro questa Dominatrice ferita.", aggiunse secca la scozzese seguace di Atena.
"Sempre brave voi femmine a difendervi l’una con l’altra, ma mi dispiace, il tesorino è mio e ben presto lo sarai anche tu!", esclamò furioso Nesso, lasciando esplodere ancora una volta il proprio cosmo, per poi scatenare lo Zoccolo Oscuro, ma bastò un secco movimento dell’altra per disperdere, ancora una volta, quel suo attacco, "Griffe de l’Esprit!", fu l’unica frase detta dalla sacerdotessa guerriero, nel difendere se stessa e la Dominatrice della Tramontana.
"Arrenditi, Ombra del Centauro, arrenditi e potrai tornare nelle prigioni dell’Isola della Regina Nera.", lo apostrofò ancora Gwen, il cosmo vasto e deciso che la circondava come un maestoso corvo d’argento.
"Arrendermi? Io? Nesso del Centauro Nero, allievo dello Scorpione Oscuro? Mai!", ruggì l’altro, "Allora cadrai, da quello schifo invasore che sei!", ribatté una voce, alle spalle della sacerdotessa d’argento, la voce della giovane Oritia, ora sulle proprie ginocchia, stremata e malata per il veleno che l’aveva infettata.
"Schifoso invasore? Tu, che mi rifiuti, così osi definirmi? Entrambe ora morirete per il potere di cui dispongo!", minacciò furioso, lasciando esplodere il proprio cosmo attorno a se.
Si proclamava allievo dello Scorpione Oscuro, ma quanto ciò era vero? Nemmeno un poco. Era però verissimo il suo disprezzo per tutte quelle donne che, da sempre, lo guardavano dall’alto in basso.
Lui era cresciuto in una piccola cittadina d’Albania, era stato disprezzato da molti, per la sua povertà, per le sue incapacità, per l’aspetto e questo aveva fatto germogliare in lui l’odio ed il disprezzo per il bello, o almeno questo aveva detto di lui persino la madre, quando lo aveva scacciato di casa.
Per anni aveva vissuto da solo, assieme a briganti di quando in quando, scoprendo che l’odio che lo alimentava gli permetteva di indebolire le persone e renderle succubi del suo volere, un odio che alimentava qualcosa chiamato microcosmo, come un uomo consacrato ad una divinità, di cui Nesso nemmeno si ricordava, gli aveva spiegato, proponendogli di addestrarlo a servire quella stessa divinità, ma lui aveva rifiutato, abbandonando quello stesso maestro per spadroneggiare nel mondo.
Aveva viaggiato e viaggiato, fino a raggiungere una foresta dove si trovavano delle donne guerriere, non ne era consapevole finché non le aveva scoperte, tutte vestite d’argento e con archi e frecce al loro fianco, tutte capaci di dominare la natura in modo diverso, si dicevano le Amazzoni di Artemide e lo punirono per le sue azioni contro di loro dilaniandogli il corpo, prima di inviarlo sull’Isola prigione.
In quel luogo, Nesso scoprì che c’erano uomini e donne potenti persino più di lui e che ce n’erano altri più deboli, alcuni dei quali indossavano vestigia di bronzo oscuro, e ben poca cosa potevano contro il veleno del suo cosmo. E fu approfittando di alcune di loro che lo incontrò: lo Scorpione Oscuro, che lo prese in simpatia, spiegandogli le basi di quel potere che anche lui sapeva usare e mostrandogli come concentrarlo in quel suo unico attacco.
Niente di più lo Scorpione della Regina Nera aveva fatto per lui, ma da solo, in seguito, l’Ombra del Centauro aveva ideato un secondo colpo segreto, qualcosa che molto di rado utilizzava, ma che ora avrebbe scatenato su quel nuovo duo di donne che lo sdegnava.
"Galoppo Imbizzarrito!", urlò Nesso, scagliando una pioggia di oscuri zoccoli contro le due guerriere.
Fu veloce la difesa sollevata dalla sacerdotessa del Corvo: l’Artiglio dello Spirito disperse una ricca parte dell’assalto, ma ben più veloce fu la reazione di Oritia, che fece addirittura barcollare la guerriera di Atena che la proteggeva, nel far esplodere il proprio cosmo: "Tramontana Scura!", urlò la Dominatrice, scatenando tutta la forza che le restava in corpo.
"No!", fu l’unica cosa che poté sibilare Gwen, sorpresa dalla reattività dell’altra, ma non riuscendo a fermare quel furioso ciclone che distrusse interamente l’ampia sala d’ingresso settentrionale, sollevando con ferocia Nesso e dilaniandone oltre ogni limite il corpo, prima di schiantarlo al di fuori dei confini del tempio di Eolo, gettandolo in mare aperto.
Quando la furia della Tramontana Scura fu sopita, la sacerdotessa del Corvo si voltò verso di lei: Oritia era di nuovo al suolo, febbricitante, stremata, il corpo a malapena difeso dalle vestigia azzurro ed argento, contusioni violacee ben visibili sulla pelle.
"Cosa hai fatto, Dominatrice? Perché? Avrei potuto vincere io quel guerriero.", le disse Gwen, inginocchiandosi al suo fianco, "Ho combattuto, come non avevo fatto prima, per il tempio e la mia comandante. Per mia scelta e libertà.", sussurrò indebolita la Dominatrice, mentre un rumore di passi, provenienti dal corridoio che si dipanava dalla sala, ormai distrutta, catturò l’attenzione della guerriera di Atena.
Homines 1: l’Aborigeno
"Darkness Destruction!", urlò il guerriero oscuro, ma l’unica cosa che colpì fu un’illusione; troppo tardi però se ne rese conto, già un singolo filo rosso strappava via la vita dal suo corpo, lasciandone il cadavere al suolo.
Tre figure erano in piedi ad osservare quelle scure vestigia e chi le indossava fino a poco prima, "Dunque è questa l’armatura che mi avevate promesso?", domandò l’uomo da cui il sottile e scarlatto filo s’era generato, "No, Aborigeno, questo è un piccolo antipasto di ciò che ben presto indosserai. Uno strumento che useremo, assieme ai guerrieri che seguono questi dodici cavalieri in battaglia per combattere la nostra guerra, se sarà necessario.", rispose una delle due figure al suo fianco.
"Manderemo questi guerrieri neri in battaglia per noi, quindi?", domandò ancora quello che veniva chiamato l’Aborigeno, "No.", rispose secca la voce della terza ed ultima persona lì presente, facendosi avanti.
"In battaglia già avanza in nostro nome l’Esercito Nero d’Africa, il Leone che li comanda fu il secondo ad unirsi alle nostre schiere, come tu, Aborigeno, sei il ventesimo. Le sue truppe sono elevate per numero, molto più di queste Ombre oscure, ma, al contrario di loro, serviranno come manifesto, come bersaglio per i nostri nemici, che vedranno i conquistatori d’Africa invadere le loro terre e distruggere i loro santuari, ignari che intanto saremo noi a prendere il potere delle divinità che venerano.", spiegò la figura, il volto nascosto dietro una maschera senza lineamenti o decorazioni.
"Questo sarà quindi l’esercito che marcerà sotto il nostro comando, quando ci riveleremo?", chiese ancora il primo.
"No.", ribatté secco l’altro, di nuovo, mentre il secondo che aveva parlato s’era ormai seduto poco distante. "Queste Nere Ombre resteranno per ora qui, nella loro prigione, di quando in quando ci confonderemo fra loro, alcuni dei nostri confratelli resteranno qui stabilmente, per controllarli, poi, se sarà necessario, li scaglieremo nel mondo, qualora l’Esercito d’Africa non potesse più esserci d’aiuto.", spiegò ancora l’uomo adesso seduto.
"Tutte risorse sacrificabili, quindi.", commentò perplesso l’Aborigeno.
"L’esercito d’Africa serve il proprio Re Leone, questi, invece, sono criminali, il cui odio per il mondo e le divinità ha costretto a questa prigione e, proprio per questo, saranno ottimi per creare caos, quando necessario, niente di più che vittime sacrificabili.", spiegò l’uomo seduto poco lontano e, in quel momento, anche l’Homo chiamato Aborigeno si chiese se, allo stesso modo, non erano visti persino lui ed altri dei suoi confratelli, come si facevano chiamare.
"Non preoccuparti di ciò, fratello, perché se anche dovremo guidare le oscure ombre in battaglia, basterà lasciare che siano loro a combattere per noi e non avremo di che rischiare.", rise ancora l’uomo seduto, "Ora, però, perché non provi quelle vestigia d’oro nero, anziché lasciare che il sangue del loro passato padrone le sporchi completamente?", lo incalzò, bardato nelle sue oscure e dorate vesti, al pari dell’Homo mascherato.
Fu così che l’Aborigeno richiamò su di se l’armatura dell’Ariete Nero, celandosi sotto quelle vesti.
Alcuni anni erano passati da quel giorno ed adesso, il misterioso Ariete Oscuro stava avanzando lungo uno dei corridoi del tempio di Eolo, al suo fianco aveva ancora la Vela Nera, ma di lui non gli importava: al pari di Nesso, il cui cosmo aveva sentito spegnersi da qualche istante, al pari di chi aveva mandato contro la sacerdotessa di Atena appena giunta, e come per tutti gli altri prigionieri di Deathqueen Island fin lì giunti, per lui non erano niente più che scudi umani, scudi che avrebbe usato per dimostrare a chi li comandava che non sarebbe morto solo per creare caos e concedere tempo agli Homines, no, al momento della vittoria finale lui sarebbe stato fra loro.
Lui, l’Aborigeno, Wuluwaid dell’Ariete Nero.