Capitolo 8: La luce della Fede
Ognuno dei cinque gruppi di cavalieri era pressoché ignaro di cosa stesse succedendo agli altri, né sapevano dove si potessero trovare i diversi Areoi, o i guerrieri dell’Esercito Nero, nelle vastità di quel tempio, dagli indigeni chiamato Avaiki e da questa situazione non erano escluse nemmeno le due sacerdotesse guerriero sorelle: Cassandra di Canis Maior e Agesilea dell’Aquila.
Avanzavano insieme, come sempre avevano fatto dalla più tenera età: per la maggiore, occuparsi di sua sorella Agesilea era un dovere, un obbligo che non le pesava, ma aveva scelto di rispettare in memoria dei genitori morti, anni a dietro, per una grave malattia; per la minore, invece, Cassandra era sempre stata il modello da seguire, la figura autoritaria e, allo stesso tempo, più ragionevole, quella che maggiormente aveva appreso i segreti del cosmo dalla loro maestra, Olimpia del Leone, anche perché, per più tempo ne era stata l’allieva.
Correva sicura la sacerdotessa dell’Aquila, non aveva mai avuto alcun timore quando si trovava vicino alla sorella, né, era certa, mai ne avrebbe avuti in futuro, né ne ebbe in quel preciso momento, quando la corsa delle due fu fermata da un muro di fuoco che si sollevò dinanzi a loro, bloccandone la strada.
"Stai pronta, sorella.", esordì Cassandra, "Pare che infine abbiamo trovato un nemico…", osservò decisa l’altra, scrutando una massiccia sagoma, che s’intravedeva, al di là delle fiamme, una sagoma dalle vestigia nere.
***
Il silenzio regnava ancora fra i cinque comandanti d’armata, legato in parte al volere di Mawu del Mamba Nero, ma, soprattutto, alla febbrile curiosità di tutti loro per le sorti di quelle battaglie che, inaspettate, stavano riaccendendosi lungo i cunicoli di quel tempio straniero.
Ancora una volta, fu Ntoro ad interrompere quello stato di quiete, riapparendo in parte dalla penombra, mentre il suo cosmo quietava ogni espansione, "Una guerriera ha varcato il Guscio Infinito, la mia discepola, Abuk dello Sciacallo Striato.", esordì il Comandante d’Armata.
"Una perdita da poco, finché è qualcuno della tua armata.", rise divertito Acoran della Quarta Legione d’Africa, "Ben più grave se fosse stato uno dei miei guerrieri.", aggiunse beffardo Gu della Terza.
"Chi altri è vicino a questi nemici? Chi potrebbe ancora cadere in battaglia?", chiese, invece, Moyna dell’Aquila Urlante, rivolgendosi direttamente al mastodontico parigrado, "Anansi, il mio ultimo discepolo, è in prossimità di due di questi nemici, che, pare, si siano divisi in coppie, poiché da una coppia di guerrieri è stata uccisa Abuk. Oltre all’Ingannatore, poi, vi sono un guerriero della Quarta Armata, che ha avvertito il rumore dello scontro fra la mia discepola ed i suoi nemici, una delle seguaci della Prima che ha intravisto delle sagome e le sta inseguendo e, infine, un membro della Terza Legione ha appena iniziato una battaglia.", riassunse Ntoro.
"Chi, uno dei miei due discepoli?", domandò Gu, "No, l’ultimo membro, rimasto delle tue schiere di guerrieri, il colosso della Terza Legione.", rispose il comandante della Quinta Armata.
"Non posso allora dire per certo se vincerà o meno, almeno sui miei allievi posso avere piena fiducia, al contrario dei vostri, compagni comandanti, i miei sono abili predatori.", affermò sorridendo ai presenti e ricevendo da tutti, fuorché Moyna, degli sguardi carichi di astio.
"Scommettiamo allora!", esclamò d’un tratto Acoran, sorridendo malefico ai propri parigrado, "Scommettere?", domandò con disappunto il guerriero dell’Aquila Urlante, "Sì, scommettere.", confermò l’altro, "In fondo ci è vietato spostarci da questo ingresso, il nostro unico compito, al momento, è impedire che qualcuno invada la sala dove sta avvenendo il Rito, quindi non abbiamo modo di scendere in battaglia, ma, grazie al nostro corposo Comandante della Quinta Armata, potremo giudicare gli uni le capacità dei soldati degli altri.", rise Acoran.
"Sembra un’idea interessante…", concordò Gu, "quanti guerrieri del Nero Esercito ci sono ancora, Ntoro?", domandò poi all’altro. "Due guerriere della Prima Armata, Tre dalla Seconda, altrettanti dalla Terza, Due dalla Quarta e solo Anansi è rimasto della mia.", rispose il comandante della Quinta Legione d’Africa.
"Solo undici soldati restano del più grande esercito mai creato? Quale folle idea è stata la nostra di allontanarci dalle terre che ci erano natie ed avventurarci in questa campagna di guerre senza sosta.", mormorò dispiaciuto Moyna, che, al contrario di Acoran e Gu, ne era certo, ricordava, uno per uno, i volti ed i nomi dei guerrieri caduti nella sua legione, alcuni dei quali erano anche suoi allievi, come l’ultimo rimastogli ancora in vita, quello che assieme a lui era entrato in quel Avaiki planando dal cielo.
"Di questi undici, poi, una è l’ultima allieva di Mawu, la nostra Prima Comandante, uno è il discepolo rimasto all’Aquila Urlante, due sono i provetti predatori di Gu, altrettanti i miei possenti apprendisti ed infine solo Anansi ti resta come seguace, mio caro Ntoro.", si affrettò a puntualizzare Acoran, trovando il mastodontico pari concorde.
"Ci sarà perciò da vedere chi di questi nostri discepoli otterrà per primo la vita di un nemico?", domandò il comandante della Terza Armata, "Esatto, chi per primo avrà un discepolo capace di ciò, contro questi misteriosi e nuovi nemici, allora avrà vinto.", spiegò il parigrado della Quarta.
"Che cosa vincerà?", chiese il gigante della Quinta Legione, "Sarà scelto al momento della vittoria.", tagliò corto, intromettendosi, Mawu, zittendo subito sia Acoran, sia Ntoro.
"Temi forse per le capacità della tua ultima discepola, Prima Comandante?", chiese pungente Gu, "No, allievo del Nero Leone, ma temo la stupidità delle proposte che potreste già fare ora, proposte che vi porterebbero ad una morte immediata, per mia mano.", lo ammonì l’altra, fulminandolo con il suo unico occhio e riportando il silenzio fra i cinque.
***
Le due sacerdotesse guerriero erano pronte alla battaglia che sembrava sul punto di interessarle, entrambe s’aspettavano, da un momento all’altro, che la massiccia figura al di là delle fiamme, si gettasse contro di loro, cercando lo scontro diretto, ma questo non avvenne.
Furono le mani del misterioso nemico a muoversi, invece, indirizzando il muro di fuoco contro le due sorelle, che si ritrovarono, in pochi istanti, circondati da un vortice di fuoco che parve aggrapparsi ad ogni parete e zona del corridoio in cui le sacerdotesse si trovavano.
Le fiamme riempirono immediatamente quelle mura su cui erano rappresentate diverse razze di creature ittiche, abitanti dei mari, tutti consacrati alla divinità di quell’Avaiki.
"Sorella, ho quasi il terrore che finiremo cucinate come dei pesci…", borbottò la guerriera dell’Aquila, guardandosi attorno, mentre il vortice di fuoco si chiudeva sempre più velocemente su di loro.
"Non dire sciocchezze, Agesilea, e pensa a come si può fermare un incendio.", le suggerì di rimando Cassandra, che già espandeva il proprio cosmo luminoso.
"Con l’acqua, ma qui non ve n’é…", rifletté ad alta voce l’altra, che, imitando la sorella, aveva iniziato ad espandere il cosmo, ricolmo di scariche elettriche, "Più semplicemente, togliendo alle fiamme ciò che le alimenta: l’ossigeno.", la corresse la sacerdotessa di Canis Maior, scagliando un violento pugno d’energia cosmica contro il terreno.
La violenza del colpo produsse una vera e propria onda di terra che si alzò dal terreno, portandosi sempre più in alto, fin quasi a toccare il soffitto circondato dalle fiamme vorticanti, ma riuscendo comunque a travolgerle e soffocarle sotto una grossa quantità di roccia.
Al pari di Cassandra, anche la sorella minore sferrò un violento pugno contro il terreno, scatenando un’ondata di roccia altrettanto portentosa, nella direzione opposta, così da liberarle del tutto dal fuoco che le circondava, riuscendo così ad osservare più accuratamente la sagoma del loro avversario.
"I miei complimenti.", esordì questo, iniziando ad avvicinarsi, "Siete riuscite a non farvi prendere dal panico del fuoco che v’intrappolava. Molti dei guerrieri di questi templi di pietra non sono stati capaci di una simile concentrazione, né molti dei miei passati avversari.", ricordò con un sorriso beffardo quello che risultava, dalla voce, essere un uomo.
Un uomo, in effetti, si rivelò essere quando apparve completamente ai loro occhi: massiccio nella sua statura, che superava quella delle due guerriere di quasi un metro, robusto per i mostruosi muscoli che s’intravedevano al di sotto delle nere vestigia, ma, più di questo, prorompente nella grandezza dell’armatura scura, che ricalcava chiaramente un primate.
Robusto il tronco delle vestigia, che disegnavano addominali scolpiti d’acciaio, ridisegnandoli su un corpo altrettanto muscoloso, sottili, al contrario, i gambali, che s’alzavano appena fino alle ginocchia, ridisegnando anche i grossi piedi dell’animale che quell’armatura rappresentava, lasciando la coscia scoperta, per quanto la pelle nera del guerriero quasi la mimetizzasse, confondendola con la corazza.
Al contrario delle gambe, le braccia erano più che coperte, da un nero strato di metallo levigato, quasi a rappresentare una folta pelliccia, di due massicci arti superiori, quasi spropositati rispetto al corpo dell’animale, che ricoprivano dalle spalle fino ai palmi stessi delle mani; le spalliere, poi, erano decorate con doppie coperture, due strati di piastre metalliche, di cui uno sembrava più che altro una continuazione di quelle immense braccia pelose, che si andavano ad unire ai robusti pettorali ricalcati su quelli del primate.
L’elmo, infine, era integrale e celava il volto del guerriero, lasciandone intravedere gli occhi color nocciola, con un volto impassibile di un massiccio animale dai lineamenti tipici delle scimmie, la mandibola immobile in un’inflessibile serietà, la peluria che celava buona parte di quel volto animale, rendendolo grave ed ancora più inquietante: un’immensa ombra che avanzava verso le due guerriere.
"Chi sei tu, soldato dell’esercito d’Africa?", domandò Cassandra, osservando l’immensa figura che le sovrastava, "Garang del Gorilla, membro della Terza Armata d’Africa, l’armata dei Predatori!", esclamò con voce sicura il colosso, continuando a camminare deciso.
Una risata fu però la risposta di Agesilea: "Credi di essere un predatore, tu, un gorilla? Forse, gigante, non ti hanno informato che i predatori sono gli animali che si nutrono di carne? Come l’aquila che io rappresento!", esordì decisa la sacerdotessa, scattando contro il nemico per prima, senza ascoltare le parole della sorella maggiore.
Rapidi furono i movimenti della sacerdotessa che, con una capriola, si portò sulle mani, spiccando quindi un agile salto fin quasi al tetto di quel cunicolo, puntando le mani verso il nemico, "Preparati a ricevere la pioggia di Piume dell’Aquila, come fulmini dal cielo ti travolgeranno!", avvisò Agesilea, "Bronté Fteron!", urlò poi, scatenando una pioggia di pugni di pure scariche elettriche, ondate d’energia azzurra, che si diressero alla velocità del suono verso il mastodontico guerriero in nero.
Impassibile, l’avversario non commentò le parole della guerriera, più semplicemente compì un salto, di inaudita agilità, con due veloci capriole a mezz’aria si spostò dai fulminanti assalti della sacerdotessa, lasciando che si perdessero sul terreno dinanzi a lui, permettendogli, alla fine, di poggiare tutti e quattro gli arti al suolo, con tranquillità.
Solo allora, quando anche la sacerdotessa fu di nuovo con i piedi al suolo, l’altro parlò: "Hai ragione nel dire che il Gorilla non è un predatore, ma il fuoco, che il mio cosmo lascia esplodere come fitto incendio, è forse l’essenza stessa del predare! Non sarò guidato da un animale selvaggio ed esperto nella caccia, come gli altri compagni d’armata ancora in vita, o il nostro stesso comandante Gu, né come la tua aquila, ma di certo la fiamma che scaturisce dal mio pugno è abile nella caccia ed instancabile nell’inseguire ed estinguere qualsiasi cosa le dia come preda.", esclamò deciso il massiccio guerriero nero.
Possenti fiamme circondarono allora le vestigia di Garang, vorticando fino a portarsi intorno agli arti superiori, "Braccia del Gorilla! Trovate e schiacciate la preda che di voi s’è fatta erroneamente beffa!", invocò il soldato d’Africa, scatenando il portentoso attacco.
Con un singolo movimento dell’arto sinistro, infatti, una colonna di fuoco, quasi simile, nel vorticare delle fiamme, al braccio del primate africano, si diresse frontalmente verso Agesilea, spazzando l’area circostante con un violento moto orizzontale verso la propria destra, così da costringere la sacerdotessa d’argento ad un agile salto contro il muro al proprio fianco, per prendere quello slancio necessario a dirigersi contro il soffitto.
Quella difesa, però, fu l’errore della giovane guerriera, che, puntando con i piedi al soffitto per ottenere un punto d’appoggio, non s’accorse di una seconda colonna di fuoco, generata dal braccio destro di Garang, che con un moto ascensionale stava seguendo il suo salto, pronto a schiacciarla contro la nera superficie di pietra.
In una posizione di evidente svantaggio, incapace a spostarsi con sufficiente velocità a mezz’aria per evitare l’impatto con il soffitto, o con la colonna di fuoco che la seguiva dal basso, la guerriera dell’Aquila si trovava impossibilitata a qualsiasi tipo di difesa, per giunta confusa dalla reattività del nemico; "Agesilea, colpisci quel braccio di fuoco!", urlò, proprio quando tutto sembrava spacciato, Cassandra, dalla propria posizione.
"Bronté Fteron!", urlò a quel punto la sacerdotessa dell’Aquila, scatenando di nuovo la pioggia fulminante di piume contro quel colpo del nemico nero, allo stesso tempo, dalla base della colonna di fuoco, si sentì ancora una volta echeggiare la voce dell’altra guerriera di Atena: "Anghellos Fotou!", invocò questa.
I due attacchi schiacciarono fra loro la maestosa colonna di fiamme, che, fra un unico grande fascio di luce che proveniva dal basso e la pioggia di lampi che scendeva dall’alto, si perse in lingue di fuoco, permettendo alla più giovane delle due sorelle di poggiare i piedi al soffitto ed usarlo per riatterrare al suolo, a pochi passi dalla maggiore.
"Grazie, Cassandra.", disse semplicemente Agesilea, rimettendosi in piedi, ma l’altra si portò fra lei ed il suo nemico, "Da qui in poi, me ne occuperò io, tu indietreggia sorella.", avvisò secca la guerriera di Canis Maior, espandendo un cosmo incredibilmente luminoso, "Ma…", iniziò appena a ribattere la secondogenita, subito zittita da un gesto della maggiore; gesto che, assieme alla consapevolezza della propria avventatezza ed al rispetto per Cassandra, bastò a fermare e far indietreggiare la guerriera dell’Aquila.
"Poco mi cambia su chi delle due per prima affronterò.", esordì Garang, vedendo una nemica indietreggiare e l’altra avvicinarsi, "Entrambe dovrete cadere in questo luogo, perché il mio dovere di guerriero della Terza Armata sia compiuto a pieno.", spiegò il guerriero nero, espandendo il proprio cosmo infiammato.
"Credi davvero di riuscire a vincere me e confrontarti di nuovo con mia sorella?", domandò di rimando Cassandra, "Tu credi di avere un’arma capace di vincere le fiamme che governo?", incalzò di rimando il Gorilla Nero, "Non lo credo, ne sono certa.", rispose la sacerdotessa d’argento.
"Quale arma così portentosa possiedi dunque?", chiese, incuriosito il colosso, "Questa.", rispose secca la guerriera, sollevando il pugno destro verso l’avversario.
"Un misero pugno? Credi forse che il tuo povero cosmo potrà vincermi?", la schernì divertito il gigante, "Non è un semplice pugno, il mio cosmo lo alimenta e, più di quello un’altra fonte di virtù e capacità, una fonte incomparabile.", avvisò di rimando Cassandra, "La mia Fede.", concluse.
"La tua fede, guerriera? Un concetto che potrebbe affascinare i membri della Seconda Armata, ma che, di certo, non avrà alcun effetto su di me, come non l’avrebbe su nessun altro delle restanti Legioni.", la derise deciso il massiccio guerriero nero.
"Un’arma che, di certo, non ti salverà dalle possenti Braccia del Gorilla!", tuonò, infine, incanalando il cosmo sugli arti superiori e scatenando di nuovo due colonne di fuoco.
Il braccio sinistro del primate spazzò verso il fianco destro della guerriera d’argento, mentre il sinistro si dirigeva frontalmente contro di lei, con un possente vorticare di fiamme, che puntavano a schiacciare l’avversaria fra le proprie spire di fuoco.
Agile si rivelò però Cassandra nello spostarsi sulla propria sinistra, evitando le due colonne infuocate, che andarono fondendosi fra loro in un unico gigantesco arto incandescente, pronto a schiacciare contro la parete laterale la guerriera che, però, scattando con una velocità inaspettata, divorò i pochi metri che la dividevano dal colosso africano, arrivando a poco meno di due passi da lui, quando ormai le fiamme stavano per toccarla, fermandosi, però, proprio in quel punto, dove erano più ridotte, "Non puoi usare due volte il medesimo attacco contro un cavaliere di Atena, né contro le sue sacerdotesse, non avrà più effetti!", avvisò decisa la giovane, concentrando nel pugno destro il proprio cosmo.
"Anghellos Fotou!", invocò poco dopo Cassandra, mentre l’energia cosmica di pura luce si scatenava in una singola sfera, che si lanciò con precisione contro l’elmo di Garang, schiantandosi sullo stesso e sbalzando indietro di qualche metro il colosso, che cadde al suolo, leggermente stordito.
"Mirzam, il messaggero di Luce, la stella Beta della Costellazione che mi appartiene, questa la fonte del colpo che hai appena subito, guerriero d’Africa, questa l’arma che la mia Fede ha usato per ferirti. Ora hai avuto dimostrazione di ciò che ti dicevo, sei pronto a cedere il passo?", domandò la sacerdotessa d’argento al nemico, che stava rimettendosi in piedi.
"Non credi di sottovalutarmi, donna? Ammetto di aver fatto lo stesso errore, poc’anzi, ma non credere che le armi del Gorilla di Fuoco si limitino a ciò che finora hai visto, non fare questo errore.", avvisò Garang, ora privo dell’elmo, andato in pezzi con quel primo colpo.
Il volto dell’enorme guerriero era molto simile, comunque, alla maschera che indossava: i piccoli occhi castani erano l’unica cosa che contrastava con la tonalità nera della pelle e la scura e fitta barba che celava guance e labbra dell’uomo, mescolandosi con la folta capigliatura nera, che, quasi, ricordava una pelliccia.
"Piuttosto, guerriera, dimmi il tuo nome, non credo d’averlo ancora sentito.", accennò con un sorriso divertito il combattente del Primate d’Africa, "Cassandra di Canis Maior, sacerdotessa d’argento della dea Atena.", si presentò l’altra, pronta a continuare la lotta con il mastodontico nemico.
"Bene, sacerdotessa d’argento, vediamo dunque se è più potente la tua Fede, o la forza del mio cosmo. Avanti, ti attendo!", la esortò allora Garang, espandendo le vaste fiamme attorno a se.
Non ebbe però il tempo di scatenare le colonne di fuoco il guerriero nero, già Cassandra gli era addosso, cercando di colpirlo con un violento diretto allo stomaco, un colpo potente puntando proprio al punto a lei, in linea d’aria, più vicino, un colpo che fu deviato con un veloce movimento a spazzare dell’arto sinistro del colosso, che allontanò il pugno avverso, per poi cercare di sferrare una violenta manata con la destra, che fu prontamente bloccata dall’avambraccio sinistro della sacerdotessa.
L’impatto con la mano del combattente africano, però, fu tale da far indietreggiare di diversi passi la guerriera greca, la quale, solo dopo alcuni attimi, si rese conto di come la sensibilità del braccio usato per farsi scudo, fosse leggermente diminuita a causa dell’inaudita potenza di quel banale attacco.
"Credevi che solo nella distanza si rivelasse il mio valore in battaglia?", domandò divertito il colosso della Terza Armata, prima che l’altra si lanciasse di nuovo alla carica, sferrando una rapida serie di pugni, raggiungendo la velocità del suono, nell’assalire il gigante che, in tutta risposta, con indicibile abilità compiva movimenti laterali, spostandosi sempre quel tanto che bastava per evitare ogni colpo.
"Infierisci sull’aria che ci circonda con i tuoi pugni, donna?", domandò d’un tratto Garang, "Io non sarò altrettanto inclemente con l’ambiente tutto!", concluse, sferrando un violento gancio sinistro che spezzò il respiro della sacerdotessa, piegandola leggermente sulle ginocchia.
"Sorella!", urlò a quella vista Agesilea, ma nessuno dei due combattenti parve interessato ai commenti della loro spettatrice, poiché già i pugni del Gorilla nero, ricolmi di fiamme incandescenti, erano pronti a scendere sul capo della sacerdotessa inginocchiata al suolo, quando questa, con indicibile rapidità, si risollevò in piedi, sferrando un violento montante ricolmo d’energia cosmica, "Anghellos Fotou!", urlò nell’effettuare l’attacco.
Con una reattività altrettanto incredibile, però, Garang piegò all’indietro il proprio corpo, compiendo una capriola ed atterrando a qualche metro dalla nemica, mentre il globo d’energia luminosa si perdeva sul soffitto, creandovi un foro che scomparve dalla vista dei tre combattenti.
"Malgrado la mole, agile è costui…", osservò stupita Cassandra, "Agile in effetti sono, come hai potuto notare, ma ancor di più sono… potente!", tuonò di rimando il guerriero nero, muovendosi ad indicibile velocità e portandosi sotto la sacerdotessa d’argento, bloccandole le braccia in una possente stretta.
"Tu puoi anche aver dato i nomi delle stelle del cielo ai tuoi attacchi, aver ricevuto in dono una fede in chissà quale divinità del tuo mondo, ma io provengo da luoghi in cui solo la forza del pugno ed il coraggio d’usarlo permettono di sopravvivere; faccio parte di un esercito in cui la debolezza è la causa di morte maggiore per mano dei propri compagni, ancor prima che dei nemici e ho ben compreso che l’unico esempio da seguire sono le fiamme che tutto distruggono! Di niente altro ho interesse, se non di mantenere queste armi che m’aiutano a sopravvivere!", spiegò, mentre la stretta si faceva sempre più incandescente, circondata dal cosmo di Garang, "Fiamme che ora sanciranno la tua fine, guerriera.", concluse deciso.
"Balzo del Primate, disegna il tuo cerchio di fuoco in questo mondo di pietra!", invocò, dopo alcuni istanti, il combattente africano, ora circondato, al pari dell’avversaria, nelle fiamme, prima di compiere un salto e dipingere un semicerchio nell’aria, schiantandosi, pochi metri indietro, fra le pareti laterali di una sala, che s’aprì dinanzi alla violenza di quel focoso impatto.
Agesilea non attese un secondo: corse subito per cercare di soccorrere la sorella, incurante della polvere che le celava alla vista l’esito di quel devastante attacco nemico, ma non poté non curarsi delle colonne di fuoco che, in pochi istanti, si portarono dinanzi a lei, costringendola a deviare la propria corsa, spostandosi su una parete laterale, e restandovi immobile, mentre il fuoco, apparentemente inestinguibile, la intrappolava.
"Ci sarà anche il momento, per te, che ti presumi una predatrice, ma ora la battaglia è fra me e la sacerdotessa d’argento.", avvisò Garang, di nuovo visibile, fra le fiamme, alla giovane guerriera dell’Aquila, che con lo sguardo cercava la sorella, ma non avrebbe potuto trovarla.
Cassandra era in una piccola voragine creatasi nel terreno, sanguinante, a malapena riusciva a sostenere il peso del braccio sinistro, che sentiva quasi inutilizzabile, mentre il massiccio nemico sembrava ora ancora più imponente dalla posizione sopraelevata in cui si trovava.
"Ancora credi che il tuo pugno intriso di Fede potrà vincermi?", domandò sorridente il guerriero nero, "Certamente, poiché, come te, anch’io sono sopravvissuta finora con una certezza: la mia Fede è la fonte della mia forza!", rispose, con il fiato spezzato, Cassandra.
"Fu quella stessa Fede nel futuro che ci era stato proposto da un’estranea a salvare me e mia sorella da una pestilenza che estinse il nostro piccolo villaggio, la Fede che riponevamo l’una nell’altra ci permise di sopportare quella terribile perdita del passato che come nebbia dinanzi al sole, scompariva alla nostra vista, la Fede in me stessa e nella nobile Olimpia di Leo, poi, mi ha permesso di apprendere come usare il cosmo e come controllare delle zanne e degli artigli che, per quanto non siano quelli di una leonessa dorato, sono quelli di un segugio d’argento!", esclamò decisa la sacerdotessa guerriero, colpendo con il pugno destro il terreno ai suoi piedi.
"Kunegos Fotismou!", invocò Cassandra, prima che delle ondate d’energia scuotessero il terreno sotto lei ed il colosso nero, il quale cercò con alcuni rapidi salti di allontanarsi dal punto in cui l’attacco era stato sferrato, ma non riuscì, nemmeno in quel modo, ad impedirne l’effetto: portentose lame d’energia luminosa, simili alle zanne di un mastino, comparirono dal suolo sotto i piedi di Garang, travolgendolo e danneggiandone gravemente le vestigia.
La sacerdotessa di Atena ebbe così il tempo di uscire dalla piccola voragine, muovendosi con attenzione in direzione dell’ultima posizione dell’avversario, il quale, dimostrando una buona resistenza, già si rimetteva in piedi, malgrado le evidenti ferite alle gambe ed alla cinta.
"Un ottimo colpo, donna guerriero, che raggiunge dal basso, ferendo gli arti inferiori, ma ancora insufficiente per mettermi completamente alle strette.", osservò deciso il colosso, espandendo di nuovo il cosmo incandescente.
Con uno scatto, Garang fu pronto a lanciarsi contro la sacerdotessa, per intrappolarla nuovamente nella presa di fuoco che già tanti danni le aveva causato, ma Cassandra fu ben più veloce dell’avversario, scatenando contro il terreno il proprio pugno ricolmo d’energia cosmica, "Kunegos Fotismou!", invocò la sacerdotessa.
Il guerriero del Gorilla compì, a quel punto, una capriola, spostandosi dalla propria posizione iniziale, per dirigersi da destra contro l’avversaria, "Credi davvero di potermi colpire due volte con il medesimo trucco? Come per te, nemmeno contro di me funzionerà!", avvisò sicuro di se il gigante di colore, compiendo quindi un nuovo salto acrobatico, spostandosi stavolta di alcuni metri sulla sinistra.
Poggiate poi le mani al suolo, Garang compì un’acrobatica capriola a mezz’aria, superando addirittura la posizione in cui si trovava la sacerdotessa d’argento, fino a portarsi alle sue spalle e, appena messi i piedi a terra, sfruttando l’elevata agilità, il colosso si tuffò contro la guerriera di Atena, sicuro di poterla colpire senza alcun ostacolo.
Grande fu lo stupore, ancor prima del dolore, quando realizzò che il terreno intorno alla guerriera di Canis Maior si stava frantumando, lasciando che il colpo d’energia luminosa lo travolgesse in pieno, sollevandolo da terra e schiantandolo a diversi metri di distanza con il tronco della corazza ormai in pezzi.
Entrambi i nemici, ora, erano visibilmente feriti, ma, senza alcuno sforzo, si riportarono di nuovo l’uno dinanzi all’altra, pronti a continuare quella battaglia, ognuno guidato dai propri motivi, dai propri credi.
Cassandra, da una parte, non si sarebbe arresa, per se stessa, ma soprattutto per il bene della sorella e per il proprio dovere verso Atena e verso chi l’aveva addestrato e, anche in quel momento, di certo contava su di lei.
Garang, d’altro canto, non aveva nessuno che contasse su di lui, nemmeno era certo di quanta fiducia gli rivolgessero il comandante Gu ed i suoi compagni ancora vivi, giacché era stato inviato nelle aree più esterne di quella grotta sottomarina, mentre Heitsi e Nyame, questi i nomi dei restanti membri della Terza Armata, si trovavano più all’interno nei meandri dell’Avaiki; non aveva certezza sulla fiducia che gli altri potevano riporre in lui, ma non gli interessava: aveva sempre dimostrato di essere tanto forte da sopravvivere ad ogni battaglia ed anche contro quella guerriera lo avrebbe fatto, sarebbe sopravvissuto, uccidendo l’una e l’altra nemica.
Il colosso d’Africa richiuse i pugni, colmi d’energia cosmica e scatenò le due colonne di fuoco vorticanti, "Braccia del Gorilla!", urlò, scagliando l’attacco contro l’avversaria, che, in tutta risposta, sferrò un nuovo pugno contro il suolo, "Kunegos Fotismou!", invocò Cassandra, sferrando per l’ennesima volta il proprio attacco.
"Follia la tua, ragazza, se credi che il tuo misero colpo mi raggiunga, prima che i vortici di fuoco che mi sono arti, ti abbiano ridotto in cenere!", minacciò sicuro il soldato della Terza Armata, prima che, però, dal suolo sotto di lui, le fauci di luce apparissero, investendolo un’altra volta e lanciandolo in aria, per poi ricadere malamente al suolo, ancora più ferito.
La sacerdotessa guerriero, però, non si fermò ad attendere l’esito dei vortici di fuoco, ormai prossimi a sfiorarla, bensì, con un abile scatto si rilanciò all’interno della piccola voragine dov’era stata catapultata dal precedente attacco nemico e, da lì, compì una capriola, allontanandosi dal raggio d’azione delle Braccia infuocate, che si persero nell’aria e sulla dura roccia.
"Davvero credevi così facile vincere Lelalpo il cacciatore?", domandò, una volta al sicuro, Cassandra, "Lelalpo?", chiese perplesso Garang, rialzandosi con nuovi danni alle vestigia.
"Sì, forse, tu cresciuto fra i culti dell’Africa, non conosci le leggende di Grecia, ma, la costellazione di Canis Maior, quella da cui le mie vestigia prendono il nome, ha diverse origini…", iniziò a spiegare la guerriera, "alcuni dicono che, essendo vicina alla costellazione di Orione, assieme al Canis Minor rappresenta due dei segugi del mitologico eroe, altri, invece, fanno risalire le tre costellazioni a tre miti distinti.
Uno per Orione, il cacciatore del Mito; uno per Canis Minor, che rappresenta Maera, il cane di Icaro, l’uomo che per primo apprese dal divino Dioniso come fare il Vino.
Ed un mito per le stelle che mi guidano, quelle di Canis Maior, quelle di Lelalpo, un cane tanto veloce che nessuna preda poteva sfuggirgli, la cui prima padrona fu Artemide, dea della Caccia, e che, in seguito, passò ad altri fra cui Minosse, re di Creta, e, tramite lui, a Procri, figlia di Eretteo di Atene e sposa di Cefalo.", raccontò la sacerdotessa guerriero, espandendo ancora una volta il cosmo luminoso.
"E proprio come il mitologico segugio, nemmeno il mio colpo perde mai la preda!", concluse decisa, scatenando ancora una volta il Kunegos Fotismou, contro l’avversario.
Garang, però, a quel nuovo attacco sorrise, "Troppo hai osato, ragazza, anche se le virtù della tua tecnica sono quelle che dici, troppo in là il tuo orgoglio ti ha spinto! Quattro volte lo stesso attacco? Credi forse che io sia uno stolto? Ebbene, ecco come il miglior cacciatore può essere fermato!", urlò sicuro di se il guerriero nero, sollevando il pugno destro, ora ricolmo d’energia cosmica.
"Palmo di Fuoco!", invocò il membro della Terza Armata, sferrando il colpo infuocato contro il terreno con una violenza tale da far indietreggiare persino la sacerdotessa guerriero, mentre la potenza dell’impatto piegava il terreno stesso, creando sul suolo, ora in fiamme, la sagoma della mano aperta di un gorilla.
Lo stupore della sacerdotessa fu però un’arma a doppio taglio, poiché proprio della distrazione della ragazza Garang fece uso per avvicinarsi il più possibile, con il braccio ricolmo d’energia cosmica.
"Palmo di Fuoco!", urlò il guerriero nero, scatenando ancora una volta l’attacco; Cassandra non poté fare molto di più che sollevare l’avambraccio sinistro a protezione del corpo, una mossa che, comunque, risultò inutile dinanzi alla potenza dell’attacco nemico.
Agesilea, rinchiusa nel muro di fiamme sollevato dal guerriero nero, non riusciva ad attendere immobile l’esito della battaglia fra la sorella ed il soldato d’Africa, ma, come ben sapeva, non poteva nemmeno gettarsi alla cieca fra quelle fiamme d’energia cosmica, così, memore delle parole con cui la sorella, all’inizio di quello scontro, gli aveva indicato il modo di liberarsi del primo muro di fuoco evocato da Garang, la sacerdotessa guerriero scaricò un pugno ricolmo d’energia elettrica contro la parete di pietra alle sue spalle, provocandone la frana.
Non rimase però immobile, la giovane guerriera greca, ad attendere che le pietre coprissero lei e le fiamme che la circondavano, bensì, sfruttando la piccola cascata di macigni, balzò fra le fiamme, uscendone, seppur leggermente ustionata nelle zone non difese dalle vestigia dell’Aquila.
Ebbe pochi istanti per riprendersi Agesilea, poiché ben presto sentì un urlo provenire dal luogo in cui si stava svolgendo lo scontro, l’urlo di Garang, che infieriva il proprio attacco più potente contro la sacerdotessa di Canis Maior.
Stupore si sarebbe potuto leggere sul volto della guerriera dell’Aquila, se non avesse portato la maschera d’argento della propria casta, quando vide una gigantesca zampa infuocata, simile a quella di un primate, palesarsi sulla parete di pietra alle spalle di Cassandra e la sorella schiantarsi contro la stessa parete con parte delle vestigia ormai in pezzi, completamente frantumate per la violenza dell’attacco subito.
"Sorella!", urlò Agesilea, alla vista della sorella al suolo, priva apparentemente di vita, circondata dal proprio sangue, che scivolava via dalle molteplici ferite apertesi sul tronco.
Il Gorilla d’Africa, però, non replicò a quelle parole, semplicemente si lanciò contro la seconda avversaria, deciso a vincere anche quella battaglia.
Non sentiva niente di tutto ciò Cassandra, non aveva coscienza di cosa stesse succedendo intorno a se, l’urlo della sorella ed il possente attacco appena subito l’avevano rimandata indietro con la memoria, a molti anni prima, durante l’addestramento, un giorno in particolare, in cui per la prima volta aveva compreso quale fosse la vera Fede.
"Maestra, non credo di potervi riuscire…", quelle parole aveva detto, allora, ad Olimpia del Leone, la sacerdotessa d’oro che si occupava di addestrare lei ed Agesilea, dinanzi a ciò che quella stessa nobile guerriera le aveva mostrato e detto di fare.
"Perché sei così sicura di fallire, Cassandra? In fondo ancora non hai nemmeno provato.", le fece osservare la Custode della Quinta Casa dello Zodiaco, "Agesilea, tu credi che tua sorella potrebbe riuscirvi?", aveva poi domandato all’altra discepola, "Certo, maestra Olimpia, ho piena fiducia in Cassandra.", aveva onestamente risposto la minore delle due allieve, ricevendo una carezza sul capo dalla propria insegnante.
"Come vedi, mia giovane discepola, io ho fiducia nelle tue possibilità ed ancora di più ne ha Agesilea, dunque in chi tu non hai fiducia? In te stessa? O forse in noi che in te crediamo?", aveva domandato la sacerdotessa d’oro.
"Non è questo il problema, maestra, anche avendo la vostra fiducia, come posso lontanamente avvicinarmi a ciò che voi siete capace di fare? Io aspiro a diventare una sacerdotessa d’argento, mentre voi siete fra i dodici sacri cavalieri d’oro, siete stata scelta dalla dea Atena e dalle stelle.", rispose timidamente la giovane allieva.
"Tu credi in Atena e nelle stelle che le nostre vestigia rappresentano, vero?", chiese ancora Olimpia, ricevendo un segno d’assenso dall’allieva, "Ebbene, anch’io ho fede in loro, per quanto non abbia mai visto la mia dea, né abbia mai toccato le stelle che brillano alte in cielo.
Credo nella forza che dalle stelle proviene perché la sento dentro di me ogni volta che il mio cosmo arde di vigore, ogni volta avverto il leone ruggire, nel cielo d’Atene, così come nel mio cuore di guerriera.
Allo stesso modo, per quanto non l’abbia mai incontrata, e di certo non la incontrerò, poiché non vivrò così a lungo da partecipare alla prossima guerra sacra, credo in Atena, dea della Giustizia e della Pace, poiché so che entrambe queste cose esistono, sono certa che anche la divinità che le rappresenta esista e difendendo le prime due, difendo anche lei.
Così come credo in ciò che non vedo e non tocco lontano da me, in egual maniera credo nella forza di voi due, mie allieve, ed in quella dei vari cavalieri che ho incontrato in questi anni, poiché so che tutti noi, santi di Atena, abbiamo insito un cosmo capace di brillare come le stelle del cielo.
Quindi, mia piccola discepola, ricorda sempre: è facile credere negli dei, ma è molto più importante avere fiducia negli uomini, che siano quelli che ti stanno intorno, o te stessa.", spiegò con gentilezza la sacerdotessa d’oro, scompigliando con la mano i capelli della giovane allieva.
"Ora, Cassandra, come hai già saputo padroneggiare la potenza di Mirzam, seconda stella di Canis Maior, e la velocità di Lelalpo, il segugio invincibile, adesso mostrami che sei capace di controllare anche la stella più brillante di cui sei padrona!", la esortò alla fine, indicandole un bersaglio lontano, che avrebbe dovuto colpire.
Agesilea era già pronta a riprendere lo scontro con Garang quando si fermò, notando la sorella rialzarsi a stento; fu l’immobilità dell’avversaria a far girare anche il colosso che sorrise nel notare la prima nemica di nuovo in piedi.
"Non abbiamo ancora concluso il nostro scontro, guerriero d’Africa…", balbettò con voce seria Cassandra, espandendo il cosmo luminoso, malgrado le molte ferite.
"Cosa speri ancora di poter fare così ridotta? Ti ho dimostrato come dinanzi alla potenza della Manata infuocata del Gorilla, tutto ciò che tu possiedi è ben poca cosa.", l’ammonì divertito Garang, "Non hai ancora visto tutto ciò che possiedo per la battaglia, l’arma più splendente di Canis Maior ti è ancora ignota, un’arma simile a quella della mia grande maestra e proprio per questo brilla come la stella più luminosa a me legata: Sirio!", affermò decisa l’altra.
"Broké Fotismou!", urlò la sacerdotessa guerriero e dal pugno destro si generarono decine e decine di fasci luminosi, abbaglianti nella loro unità che creava una gigantesca rete, simile a decine di raggi di luce, che stavano ora stringendosi sul comune bersaglio: il guerriero del Gorilla.
Il combattente della Terza Armata d’Africa compì un balzo, cercando d’oltrepassare la fitta rete, che risultava anche abbastanza lenta ai suoi occhi, ma, malgrado l’incredibile agilità, non riuscì a sfuggire del tutto ai fasci di luce, perdendo l’equilibrio e barcollando sul terreno dove rimise i piedi, impreparato a ciò che, di lì a poco, lo stava per raggiungere: Cassandra, infatti, aveva approfittato della fitta rete di luce, per portarsi di fianco al nemico ed ora anche il piede sinistro riluceva d’energia cosmica, "Anghellos Fotou!", urlò a quel punto, colpendo all’addome il nemico e schiantandolo a diversi metri di distanza, sanguinante.
Si rialzò con rabbia il gigante scuro, "Complimenti, guerriera greca, abile strategia, ma non funzionerà di nuovo, non mi distrarrai ancora con la tua fitta e lenta rete di luce, la supererò e ti vincerò, poiché non c’è posto per la sconfitta nella Terza Armata.", minacciò deciso.
"Tanta è la volontà di vittoria che lega voi guerrieri di questa Armata?", domandò Cassandra, "Niente mi lega ai miei compagni d’armi, né a quelli che già sono caduti da quando abbiamo lasciato l’Africa, anni fa…", replicò l’altro, "ma il Comandante Gu mai accetterebbe un perdente! Per questo mi volle nella sua armata, quando divenni un guerriero del Grande Esercito: perché in me vedeva un vincitore, un uomo che metteva la propria sopravvivenza prima di tutto e, come tale, capace di portare gloria e vittoria alla sua Armata.
Per me, al di la vittoria, esiste solo la caduta, non vi sono mezze misure, come non vi sono nella nostra legione.", concluse deciso, espandendo il cosmo di fuoco.
"Agesilea, allontanati.", fu l’unica osservazione della sacerdotessa di Canis Maior, mentre, a sua volta, sprigionava la luminosità delle stelle che le appartenevano.
Quando la minore delle due allieve di Olimpia del Leone fu abbastanza lontana, i due avversari lasciarono scatenarsi i loro attacchi migliori.
"Palmo di Fuoco!", urlò Garang, "Broké Fotismou!", invocò Cassandra, lasciando che la gigantesca mano fiammeggiante volasse contro la fitta rete di luce; l’impatto lasciò volare alte contro il soffitto della stanza le fiammate del Gorilla, che si dispersero, frantumando il tetto del luogo dello scontro e lasciando che la luce ed il fuoco si vedessero nell’intero Avaiki.
La furia del Primate, però, non riuscì a fermare gli strali luminosi, che, ora più fitti che mai, correvano contro il bersaglio, senza sosta; stupefatto, ma deciso a non arrendersi, il guerriero nero scatenò anche le "Braccia del Gorilla", contro la rete di luce, ma quando una nuova ondata d’energia infittì ancora di più la Pioggia Illuminante, i vortici di fuoco si persero, anch’essi verso l’alto e lungo i lati, lasciando un facile bersaglio all’attacco della sacerdotessa guerriero, che inesorabilmente travolse Garang, schiantandolo, moribondo, contro la parete da cui si era rialzato da pochi istanti.
"Dunque… potevi incrementare il numero di strali di luce… al primo attacco non avevi mostrato questa virtù, sei stata furba, guerriera greca.
Ti auguro di non incontrare il mio maestro, o uno dei suoi pari, anzi, forse nemmeno contro altri membri dell’esercito d’Africa ormai avresti più scampo, troppo stremata da questa battaglia…", balbettò il colosso scuro, prima che la vita abbandonasse il suo corpo.
Cassandra non rispose a quelle ultime parole, in silenzio osservò il nemico spirare, prima di barcollare lei stessa sulle proprie gambe e cadere in ginocchio, o almeno, quella sarebbe stata la sua sorte se la sorella non l’avesse prontamente sorretta.
"Non ti avevo detto di allontanarti?", chiese, stanca, la sacerdotessa di Canis Maior, "Sì, ma io sapevo che non mi avrebbe colpito nessun suo attacco. Lo sai, sorella, ho sempre avuto fiducia in te e questo mai cambierà.", le rispose dolcemente Agesilea, certa che, sotto la maschera d’argento, anche l’altra, come lei, stesse in quel momento sorridendo.
***
L’esplosione di luce e fiamme generata dallo scontro la sacerdotessa di Atena ed il guerriero Nero fu vista nell’intero Avaiki, tanto che, persino due guerrieri ben lontani da quel corridoio si fermarono dinanzi a quella manifestazione di una battaglia in corso.
"A chi credi che appartengano questi cosmi?", domandò la voce di Tara di Diodon, "Non lo so, nessuno che io conosca utilizza la luce, o tanto meno il fuoco, in quel modo.", osservò titubante Maru del Narvalo, stringendo con forza la bianca lancia.
"Eppure non poteva essere che uno scontro fra due guerrieri a generare una simile potenza… che vorrà dire? Che qualcuno dagli altri avaiki sia giunto in nostro soccorso?", domandò la guerriera in bianco, "Potrebbe essere, ma non so quanto sia verosimile, a sentire questi soldati in nero, tutti gli altri Areoi nostri pari sono stati sterminati.", analizzò irritato l’altro.
"Lo credi veramente possibile?", incalzò lei, poggiandogli una mano sulla spalla, "Mi auguro di no, ma è innegabile che, in questa lunga giornata, niente sembra impossibile.", rispose il guerriero armato di lancia, accarezzandole la mano appoggiata.
"In ogni caso, restare qui a riflettere non ci sarà d’alcuno aiuto, dobbiamo muoverci e compiere la nostra missione, come Areoi di Ukupanipo.", propose infine Maru, ricevendo un sorriso di rimando dalla donna amata, "Come sempre preferisci agire che pensare.", lo schernì gentile lei, accarezzandone il viso e correndo assieme a lui, ignara che un’ombra li seguiva già da qualche minuto.
Capitolo 9:
"Chi credi che abbia prodotto quella straordinaria esplosione?", domandò la prima delle due figure, immobili, circondate dai cadaveri bianchi dei loro nemici, "Non saprei, di certo non vi sono guerrieri nella nostra armata capaci di ciò; se dovessi azzardare un nome, credo che Garang, della Terza Armata, o Chikara della prima, potrebbero essere stati i fautori di uno di quei due potenti attacchi.", osservò l’altro, poggiandosi alla parete alle sue spalle, mentre le vestigia scure creavano un vasto mantello dietro di lui, chiudendosi sul busto.
"Ciò che mi preoccupa, Shango, è che Ayabba dovrebbe trovarsi in quella zona di questo tempio sotterraneo e non credo che nessuno di questi indigeni potrebbe provocare, scontrandosi con uno di noi guerrieri d’Africa, un effetto tanto devastante, troppo deboli sono costoro rispetto a noi…", osservò preoccupato il primo, le cui vestigia permettevano il risalto dell’agile corpo, mentre i lunghi capelli, simili ad una criniera, scivolavano sulla schiena.
"Non sottovalutare questi Areoi, come il nostro comandante diceva, potrebbero essere pronti a tutto per difendere le loro terre natie, rivelando una forza inimmaginabile.
Malgrado ciò, ammetto che anch’io temo che sia uno di quei guerrieri stranieri di cui Ntoro della Quinta Armata ci ha avvisato, l’avversario di chiunque dei nostri abbia combattuto quella battaglia. È quindi probabile che Ayabba rischi d’incontrare uno di questi stranieri, dovremmo raggiungerlo.", suggerì l’uomo di nome Shango.
"Il comandante Moyna, però, aveva ordinato di proteggere quest’area…", osservò l’altro, "No, Akongo, il mio maestro ha detto che dovevamo salvaguardarci fino alla fine del rituale che il nostro Sovrano sta eseguendo, impedendo, al qual tempo, che alcun nemico si avvicini loro, quindi, come vedi, andando verso i luoghi degli scontri, faremo ciò che ci ha chiesto e lo renderemo fiero di noi.", replicò sornione il secondo, rimettendosi in piedi ed aprendo le vaste ali della nera armatura.
"Raggiungiamo Ayabba ed eliminiamo qualsiasi guerriero che non faccia parte del nostro esercito lungo il cammino!", esclamò poco dopo Shango, "Sì, che nessuno degli indigeni e degli stranieri possa anche solo vedere l’aspetto del nostro Comandante!", concordò Akongo.
Poi, i due guerrieri africani si mossero, dividendosi, l’allievo del Comandante s’alzò in volo, mentre l’altro membro della Seconda Armata scattava veloce nella direzione di quello scontro che s’era appena concluso.
***
Non furono solo quei due membri della Seconda Armata d’Africa ad osservare l’esplosione dei cosmi di Cassandra di Canis Maior e Garang, il Gorilla Nero, anche gli altri membri dell’esercito oscuro poterono studiare quello scontro di potenze e come loro anche i diversi Areoi a difesa dell’Avaiki di Ukupanipo ed i cavalieri d’argento che fin lì erano giunti per impedire il compiersi del rituale.
Di tutti i santi di Atena, però, tre non poterono osservare il compiersi di quel rito: due di loro, Juno di Cerbero e Rumlir della Corona Boreale, infatti, erano stati intrappolati già da tempo nelle illusioni di uno dei combattenti d’Africa, malgrado loro stessi non se ne fossero ancora resi conto, contemporaneamente, però, anche un altro cavaliere era intrappolato in degli inganni psichici, Vincent di Scutum.
Rivedeva di continuo la stessa scena il giovane santo d’argento: il proprio maestro, Degos di Orione, che piangeva disperato la scomparsa dei suoi discepoli, Menisteo e Vincent, con la consapevolezza che il primo dei due era da sempre stato il migliore, il più abile, il più capace, l’unico che gli sarebbe realmente mancato.
La consapevolezza del proprio fallimento affogava lo spirito del cavaliere di Scutum, il cui corpo immobile al suolo stava lentamente perdendo anche l’ultimo alito di vita, schiacciato, soffocato da quella disperazione che Abuk aveva scatenato in lui.
Al pari del corpo, anche la mente stava sprofondando dinanzi a quelle immagini fasulle, sprofondava in un abisso di tenebra e solitudine, dove niente, se non un gelido vuoto, sembrava toccare le membra del santo d’argento, anche se, in effetti, non con il tatto avvertiva quel gelo, bensì con la propria coscienza.
"Questa è dunque la sorte che hai scelto per te e per il nostro maestro?", domandò d’un tratto una voce, intromettendosi in quel freddo vuoto, che stava avvolgendo la mente di Vincent, una voce portatrice di una leggera scintilla di luce, una luce calda, ma distante, appena visibile al giovane cavaliere che, ormai, non distingueva più il sogno dalla realtà.
"Credi che per questo abbia scelto di perdermi con il mio nemico? Per lasciare che tutti gli sforzi del maestro Degos andassero persi anch’essi, in lacrime e rimpianti?", continuò la voce distante.
"Menisteo?", domandò sbalordito il giovane santo dello Scudo, "Sì, amico mio, Menisteo di Ercole.", confermò l’altro.
"Ti sto dunque raggiungendo nel paradiso dei cavalieri?", balbettò perplesso il secondo discepolo di Degos, "Se è questo che desideri, se vuoi abbandonare la vita, perché troppo difficile ti sarebbe continuare, unico allievo del santo di Orione ancora vivo, a combattere per ciò che ci hanno addestrato, allora abbandonati alla speranza di raggiungermi per fuggire dalla disperazione che quest’illusione ti causa.", rispose l’altro con tono serio, "Sappi, però, che non ai codardi, a chi teme la battaglia e rifiuta per questo di servire la propria dea, è concesso di raggiungere il paradiso dei cavalieri!", lo ammonì alla fine.
"Codardi? Questo sono, secondo te, Menisteo?", domandò di rimando il giovane cavaliere, "Sì, questo sei se ti lasci sconfiggere da questa mera illusione! Sai bene che il maestro non piangerebbe solo la mia morte, come altrettanto bene sai di avere la forza per rialzarti, ti serve solo la volontà di sollevare il capo ed aprire gli occhi, ma preferisci questa fine, semplice, accettando l’inganno che un nemico, ormai sconfitto, ti offre! Cos’altro sei se non un codardo?", domandò ancora la voce del santo di Eracle.
"Se quella che vedo è l’illusione della guerriera africana, come posso sapere che non lo sei anche tu, che appari alle mie orecchie come la voce del mio compagno d’armi?", ribatté Vincent, "Come posso sapere che il mio amico d’infanzia ed esempio di vita, non sia ancora vivo, seppur ferito, nel luogo dov’è stato mandato in missione?", incalzò il giovane guerriero.
"In cuor tuo, sai se questa è un’altra illusione o meno, ma, al di là di questo, sai quale è stata la sorte dei nove guerrieri mandati ad Accad, ne sono certo, così come sai che abbandonarsi a questa falsa disperazione è solo un modo per evitare le vere battaglie.
Non ti chiedo di credere alla voce che ora stai sentendo, Vincent, ma in ciò che hai appreso negli anni, nelle parole e negli insegnamenti di Degos di Orione; chiediti se veramente l’altro suo allievo è caduto, se la sua morte è arrivata così facilmente, come potrebbe ora giungere la tua, se ha rifiutato la battaglia, o se, invece, si sia sacrificato fino all’ultimo per il bene dei compagni e della missione affidatagli.
Chiediti tutto ciò e trova in te una risposta, legata ai ricordi che ai degli anni d’addestramento in Grecia, poi, amico mio, apri gli occhi e continua la battaglia iniziata in quel tempio lontano, in nome di Atena, del tuo maestro e del compagno che dall’alto del Paradiso dei Cavalieri, ti osserverà combattere.", furono queste le ultime parole della voce, che, assieme a quella calda fiamma, scomparve, lasciando Vincent non in un abisso di tenebre e disperazione, ma in un mare di ricordi, immagini e voci del passato, ricordi che gli dessero le risposte che, ora più che mai, stava trovando per se stesso.
Furono quelle immagini, quei ricordi, che permisero, alla fine, al giovane cavaliere di riaprire gli occhi: era di nuovo nell’Avaiki, pronto a fare la sua parte in quella guerra.
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La sua tattica era semplice, l’aveva già usata nel precedente tempio in cui aveva combattuto, così come in tutti i luoghi in cui la nera armata aveva portato distruzione e sgomento, quindi non l’avrebbe cambiata.
Quando la voce di Ntoro lo aveva avvisato della presenza di guerrieri europei, stranieri giunti fin lì per supportare, apparentemente senza una motivazione, gli indigeni dell’Avaiki, lui, che da Ntoro fu addestrato, non ebbe alcun dubbio sul da farsi: avrebbe atteso di trovare un piccolo gruppo di quei nemici e poi li avrebbe intrappolati in una delle sue illusioni; questa era la tattica di Anansi, il grande Ingannatore.
Ed in effetti le sue vittime le aveva trovate: due giovani stranieri, l’uno con delle grosse catene connesse all’armatura, l’altro con vestigia inaspettatamente chiare, quasi fatte di cristalli di ghiaccio per l’aspetto che avevano; non aveva nemmeno dovuto presentarsi loro, era bastato espandere il proprio cosmo per intrappolare i due ignari bersagli in un labirinto di pietra che, in realtà, non esisteva.
Agli occhi dei cavalieri stranieri, infatti, la loro corsa durava da ore, una corsa senza fine in un labirinto privo di nemici, una corsa che li avrebbe portati, una volta stremati, nelle mani di qualche altro guerriero del nero esercito, perché questi li finisse.
Anansi, di certo, non si sarebbe sporcato le mani strappando loro la vita, troppo poco valore dava alle esistenze mortali, tutte destinate a concludersi e perdersi nell’Infinito Guscio, come gli aveva spiegato, fin dal primo giorno, il suo maestro.
Non provava compassione nemmeno per Abuk, o per gli altri due membri della Quinta Armata che sapeva ormai sconfitti, al pari di tutti gli Areoi, o i guerrieri di altre divinità caduti in precedenza, o degli stessi membri dell’esercito nero sconfitti nelle passate battaglie, non erano altro che esseri che avevano compiuto il loro percorso in questo mondo per poi spegnersi e finire nel ricettacolo di anime che ben aveva imparato a conoscere.
Non si curò nemmeno dell’esplosione di energia che vide destarsi a poca distanza dalla sua posizione, per quanto, di certo, fosse indice di una qualche battaglia fra due guerrieri di eguali potenze; però, quel confronto fra fiamme e luce, gli permise di avvertire due voci nelle vicinanze dei cavalieri suoi prigionieri.
Con attenzione, Anansi guardò verso le fonti di quelle poche frasi, trovandosi ad osservare due guerrieri dalle bianche vestigia, due degli indigeni di quell’Avaiki, un uomo armato di una lancia a due lame ed una donna; gli sfortunati, però, non ebbero il tempo di accorgersi di lui, che già l’illusione, generata dal cosmo dell’oscuro combattente, si espanse verso di loro, intrappolandoli, come già i santi di Atena, in un corridoio di pietre senza fine, finché non fossero giunti dei guerrieri che potessero concludere le loro vite al suo posto.
Ad altri la fatica della battaglia: il mondo materiale della carne e del sangue non gli interessava, così come non si preoccupava delle vite dei nemici e dei compagni, tant’è che spesso, anche quando portava con successo a termine la propria strategia, altri membri della Quinta armata fallivano nell’eliminare gli avversari, portando all’infruttuosità anche le sue tattiche, ma quello non era un suo problema.
Queste le certezze dell’ultimo allievo di Ntoro, mentre osservava i suoi quattro prigionieri correre nelle celle che aveva costruito lungo le loro menti, ignari di essere gli uni così vicini agli altri, tutti così vicini a lui e tutti così prossimi alla morte.
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La corsa di Vincent lungo il corridoio di pietra era ricominciata da pochi minuti: aveva trovato i segni del passaggio del cavaliere della Lira, ma non sapeva quanto, precisamente, questi fosse andato avanti rispetto a lui. Correva in silenzio il santo di Atena, un silenzio che fu, d’improvviso, spezzato da un sibilo sempre più potente, tanto da diventare, gradualmente, un fischio assordante sulla sinistra del cavaliere.
Non ebbe molto tempo per riflettere sulla fonte di quel fastidioso suono, l’allievo di Degos, poiché vide una nera sagoma, grande quasi quanto il suo torso, vorticargli addosso; solo con un agile balzo riuscì ad evitare il violento impatto, ma ciò non fu sufficiente, poiché un secondo fischio assordante arrivò contro di lui dalle spalle, costringendolo, una volta rimessi i piedi a terra, a spiccare un salto verso l’alto.
L’agile movimento del cavaliere, però, fu interrotto dall’impetuoso colpo doppio che raggiunse la parete sul fianco destro, che gli crollò addosso, sotterrandolo e riportando il silenzio nel corridoio.
Solo il fischio di quelle sagome nere si udì per qualche istante, mentre veloci concludevano il loro movimento circolare, tornando indietro, poi più niente, se non un respiro ed una sottile risata, ben distante dal luogo del crollo.