Capitolo 6: Bianco, Nero ed Argento – 2° Parte

La frana che investì la galleria parve tale da sotterrare tutti cavalieri lì presenti, ma, se questo era stato il piano dei due guerrieri neri, dovettero ricredersi: nel momento stesso in cui la grande quantità di macigni iniziò a crollare, infatti, ognuno dei santi di Atena si difese come poté.

Amara, espandendo il proprio cosmo, creò una vasta cupola energetica, al cui interno fece riparare anche i parigrado a lui più vicini: Altare, Lira e Corona Boreale.

"Presto, tutti qui!", urlò proprio il giovane allievo del santo dell’Acquario, invitando i cinque compagni ad avvicinarsi a quella difesa argentea che sembrava respingere l’impatto delle rocce, lasciandole gentilmente scivolare sui suoi lati.

Vincent di Scutum non ebbe problemi a raggiungere gli altri santi di Atena, sfruttando l’arma difensiva che teneva sul braccio sinistro per deviare quei macigni che gli cadevano vicini, un’arma dalle enormi virtù dato come, per quanti massi vi cadessero sopra, nessuno sembrava capace di danneggiarla.

Altrettanto facile fu per Juno di Cerbero avvicinarsi, poiché leste roteavano le sfere chiodate, deviando ogni macigno che stava per colpirlo, ma, al contrario dell’allievo di Degos, il discepolo di Edward di Cefeo una volta varcata la cupola difensiva, si voltò indietro notando i tre parigrado ancora all’esterno della difesa innalzata dal santo del Triangolo.

Cassandra e la sorella Agesilea, infatti, non erano veloci quanto i compagni, o almeno non lo era la minore delle due, troppo abituata a muoversi con agili salti per sapersi districare in quella pioggia di macigni, al contrario della sacerdotessa di Canis Maior, i cui modi di avanzare erano caratterizzati dalla brutalità con cui abbatteva a pugni ogni grossa roccia la puntasse; il voler restare con la sorella, però, rallentava anche la maggiore delle due, che si ritrovò ben presto allontanata dai compagni dalla continua frana, che pareva non voler avere termine.

"Sacerdotesse, prendete!", urlò d’improvviso il cavaliere di Cerbero, scagliando in avanti le possenti catene d’argento, che s’avvolsero alle braccia delle due guerriere, spingendole con irruenza verso l’interno della cupola difensiva, mentre una fredda ondata d’energia congelava alcuni dei macigni diretti contro le due, fino a farli esplodere in una pioggia di cristalli bianchi, per mezzo del cosmo di Rudmil della Corona Boreale.

Una volta all’interno della barriera creata da Amara, le due sacerdotesse non poterono che ringraziare i cavalieri parigrado, prima che tutti si voltassero verso il santo del Centauro.

Ludwig era stato interrotto a metà dello scontro con Kohu, l’Areoi dell’Istioforo, ma non per questo aveva tolto la propria attenzione dall’abitante di quel tempio, come questi, diffidente, non l’aveva tolta dall’avversario; nessuno dei due era intenzionato a muoversi, per diffidenza, o preoccupazione reciproca, ma questo li teneva ad una certa distanza dai cavalieri d’argento, ora tutti al sicuro.

"Centauro, presto, entra nella barriera difensiva.", lo esortò Vincent di Scutum, ma, proprio quando l’allievo di Munklar stava per voltarsi, una pioggia di rocce parve cadere proprio verso il suo avversario: erano troppe perché, da solo, il giovane Areoi potesse evitarle, così, in uno scatto al massimo della propria velocità, sfruttando ancora una volta il Gallopp des Rigil, Ludwig si lanciò contro i macigni, distruggendoli tutti, uno dopo l’altro, sotto gli occhi sbalorditi dell’Areoi, che non era stato capace di seguire il movimento con lo sguardo.

Il polinesiano scrutò con stupore l’altro, mentre l’austriaco scopriva, con una leggera preoccupazione negli occhi, che quell’ultima frana lo aveva del tutto diviso dai compagni, ora celati da un intero costone della grotta crollata sopra di loro.

"State bene, cavalieri?", domandò Ludwig, avvicinandosi alla muraglia di roccia, "Come possono stare bene degli uomini sotterrati da pesanti macigni", commentò laconica l’emanazione cosmica di Amara.

"Gli invasori!", ringhiò in quel momento Kohu, notando le mastodontiche ombre nere che correvano via, probabilmente stupite dalla sopravvivenza di quei nemici; non ci fu tempo per il santo di Centauro per fermare l’altro, che subito si lanciò all’inseguimento dei due.

Per alcuni secondi, il compagno di addestramento di Wolfgang fu indeciso, poi, riflettendo proprio su cosa avrebbe fatto in una situazione del genere il cavaliere dei Cani venatici, riprese a parlare: "Sono sicuro che riuscirete ad uscire da quella trappola di mera roccia, io, intanto supporterò il nostro giovane padrone di casa contro i guerrieri che ci hanno colpito così meschinamente.", affermò deciso il santo d’argento, che desiderava non perdere le due prede apparse in lontananza.

Senza ascoltare eventuali repliche, Ludwig corse dietro a Kohu, sulle tracce delle medesime figure nere.

I due guerrieri dell’Esercito d’Africa avevano osservato con disappunto il risultato di quel loro attacco: Kalumba in particolare era rimasto contrariato dall’avventatezza di Mulungu; il suo compagno d’arme aveva fatto sfiorire un piano che gli avrebbe dato quella gloria che entrambi cercavano.

In cuor suo, il guerriero, proveniente dallo Zaire, si chiedeva perché quel suo compagno tanzaniano fosse tanto avventato nelle azioni di battaglia; più abituato a caricare i nemici a testa bassa che non a riflettere prima di colpire.

Kalumba non si credeva certo un combattente pari ad Abuk o Anansi, i due discepoli del loro comandante Ntoro, ma non era nemmeno uno stupido, titolo con cui era solito riferirsi a Mulungu quando non erano attorniati ad altri elementi del loro esercito.

Lui faceva coppia con quello stupido solo perché nessun altro, nell’intera armata nera, voleva avere a che fare con loro, se non, forse, Ayabba della Seconda Armata, e come non comprendere chi si vedeva davanti il mastodontico guerriero al servizio della Quinta Legione; solo il loro signore era più massiccio di loro e li aveva accettati perché, a detta di Ntoro, le anime sono tutte uguali, una volta abbandonati i corpi, non dipende la grandezza del corpo.

Con questi pensieri in mente e con il massiccio compagno al lato, aveva visto la roccia impattare inutilmente contro una barriera d’energia, sollevata da uno solo di quei misteriosi nemici, azione che lo aveva spinto a contribuire all’attacco, riuscendo solo a dividere i due che stavano combattendo fra loro dagli altri.

"Questa è l’occasione che aspettavamo, Mulungu. Portiamo quei due lontano dai loro compagni e prendiamo le loro vite, ne avremo la gloria che ci spetta.", apostrofò il parigrado con quelle parole, prima di indietreggiare lui stesso, subito seguito dall’altro.

La pietra che li bloccava non impedì ai cavalieri d’argento di sentire le parole di Ludwig, "Aspetta!", gli urlò deciso Vincent di Scutum, "Non può avanzare da solo, potrebbe finire in un’imboscata, anche da parte dei difensori di questo tempio.", osservò preoccupato Rudmil.

"Non sono loro che mi preoccupano al momento, quanto piuttosto i guerrieri dell’Esercito Nero: se veramente erano due di loro, il nostro effetto sorpresa si è ormai perso a seguito di tutto questo trambusto.", obbiettò con disappunto Iulia dell’Altare.

"Effetto sorpresa o meno, dovremmo liberarci il passo da questa muraglia: le battaglie ci attendono al di là di essa.", suggerì con voce eccitata Agesilea, espandendo il proprio cosmo, pronta a colpire il muro di roccia.

"Ferma stolta!", esclamò Gustave della Lira, portandosi dinanzi alla sacerdotessa ed intimandone di non agire con un gesto del braccio, "Perché dovrei, musico?", ribatté l’altra, contrariata, "Perché un solo colpo mal indirizzato potrebbe sotterrarci sotto ben più numerosi detriti.", sbottò lui, senza nemmeno guardare la maschera d’argento della guerriera.

"E cosa proponi dunque, cavaliere? Di attendere che le rocce scivolino sulla barriera di Amara?", domandò Cassandra, dando manforte alla sorella, "No, niente di tutto ciò, sacerdotesse.", s’intromise la parigrado dell’Altare, "Semplicemente, fatevi tutti da parte e lasciate a me questo compito, aprirò un varco per tutti noi in poco meno di qualche minuto.", sentenziò sicura l’allieva del Sommo Sacerdote, espandendo il proprio cosmo argenteo.

Ignari di ciò che avveniva alle loro spalle e di cosa aveva mosso i nemici dinanzi a loro, l’Areoi dell’Istioforo ed il santo del Centauro avevano ormai raggiunto le due nere figure, che, dopo una breve corsa, si erano dirette verso un’apertura nella dura roccia.

Il luogo in cui Ludwig si ritrovò, lo costrinse a fermarsi qualche attimo, per osservare la vastità di ciò che si apriva al suo sguardo: era su una specie di altopiano, una posizione rialzata, vasta quanto metà dell’arena dove Sion li aveva richiamato poco meno due ore prima, un’area che si apriva in diverse direzioni tutte dirette nei meandri di quella che era, a tutti gli effetti, una gigantesca città sotterranea.

Il cavaliere d’argento poté osservare cunicoli e costruzioni che si disperdevano fra i meandri delle grotte, simili quasi a strade e corridoi, intravide anche delle zone azzurre, probabilmente dei laghi interni, suppose costituiti d’acqua di mare, forse dei contatti con l’esterno del tempio, raggiungibili nuotando sott’acqua, per quanto, secondo il giovane santo di Atena, nessuno poteva avere una tale capacità di restare in apnea.

Alla fine di quel intrigato groviglio di palazzi e canali in pietra, un’immensa sala, sulla cui sommità era ritratto uno squalo così grande che, persino da quella distanza, Ludwig riusciva a distinguerlo alla perfezione.

"Ukupanipo, il Divino Squalo signore di ogni pesce, quella è la sala del suo primo guerriero.", esordì l’Areoi, che aveva seguito lo sguardo dell’inatteso compagno di battaglia: ancora non si fidava di quel ragazzo dai lineamenti così dissimili dai suoi, ma, rispetto alle due figure che ora gli sbarravano la strada, quello straniero aveva compiuto un atto di estrema generosità, salvandogli la vita e rimanendo diviso dai propri compagni nel farlo.

"La sala in cui il nostro Sovrano sta portando avanti il divino rito, di cui lui solo è conoscitore.", li apostrofò allora una voce, gutturale ed un po’ incerta, richiamando l’attenzione dei due guerrieri sui loro nemici.

Erano a dir poco mastodontici, le ombre intraviste davano un’idea persino ridotta della vera stazza di quei due africani, il cui corpo era a dir poco immenso.

Il primo, quello che aveva parlato, aveva una grossa armatura nera che ne ricopriva solo parzialmente il massiccio corpo: delle zampe di una tozza bestia nascondevano le gambe dal ginocchio fino alla caviglia, un gonnellino piuttosto rozzo ne celava la cinta, arrivando poco sotto l’inguine, mentre il tronco era completamente coperto da una ruvida corazza nera come la pece, priva di alcun tipo di elemento distintivo, se non per alcune rigature, probabilmente segni di passate battaglie, sul centro dello sterno. L’arto superiore destro era celato da due blocchi simili, per aspetto, a quelli che coprivano le gambe, di sicuro le zampe anteriori dell’animale, al contrario, sul sinistro si trovavano due corna, una più piccola vicino al gomito ed una più grande che saliva dal polso alla spalla, che sembravano atte alla battaglia.

L’elmo, infine, era poco più di una corona, che celava l’ampia fronte dell’individuo, dallo sguardo scuro e spento, quasi stupido, ed i capelli neri, lerci e spettinati, che scendevano confondendosi con l’incolta barba sulle guance, adornando lo sgorbio sorriso del mastodonte.

Accanto a lui, un ancor più massiccio individuo, dalle vestigia nere come la notte. I gambali erano piuttosto simili a quelli dell’alleato, ma arrivavano fino a scomparire sotto un ben più largo cinturone nero; la copertura per il tronco la massiccia pelle di un qualche immenso animale che Ludwig poté solo ricordare per quel che aveva visto nelle immagini di un libro, nella sua casa d’infanzia in Austria: un elefante.

E dell’Elefante quella corazza aveva il viso ritratto sul pettorale, mentre le mastodontiche orecchie dell’animale sembravano essere diventate le spalliere e parte delle coperture per le braccia, che si andavano poi a congiungere con i corni dell’animale, che ricoprivano il resto degli avambracci.

L’elmo, poi, era un tutt’uno con la protezione del corpo e delle spalle e, a ben vedere, rappresentava la massiccia proboscide dell’animale africano.

"Chi siete voi, invasori?", ruggì d’un tratto Kohu, impaziente di combattere, "Io sono Kalumba, l’Elefante d’Africa, e lui è Mulungu, il Rinoceronte.", esordì il secondo dei due, indicando infine il proprio compagno, "Ed ora tu, abitante di questo tempio di pietra, morirai, assieme al tuo strano amico.", si affrettò ad aggiungere il secondo, con un ghigno sicuro sul viso. "Lo vedremo …", fu l’unico commento di Ludwig, sorridente dinanzi a dei nemici che erano veramente tali, contro cui non avrebbe dovuto fermare i propri colpi.

Lo scontro si scatenò dopo pochi attimi: fu il guerriero di nome Mulungu a lanciarsi per primo in una carica frontale contro il santo di Atena, che, agile, evitò di essere investito dal tozzo corpo dell’avversario, scartando lateralmente.

La corsa dell’africano frenò subito dopo aver perso la preda e questi, con una velocità di reazione inaspettata, ruotò su se stesso, lanciandosi di nuovo alla carica, stavolta prendendo in contropiede il cavaliere d’argento, che fu preso, seppur solo di striscio, al fianco destro, finendo contro una parete di pietra.

L’Areoi non ebbe tempo per valutare chi fosse effettivamente suo avversario e chi no: già l’altro mastodontico guerriero dalle nere vestigia gli si era addosso, ancor prima che il Rinoceronte partisse alla carica.

Le braccia di Kalumba, al pari di gigantesche corna d’elefante, stavano per affondare contro lo sterno di Kohu che poté solo sollevare l’avambraccio sinistro, dispiegando la Vela bianca che lì vi era nascosta, vela con cui diminuì l’impatto del colpo diretto contro di lui.

La forza dell’attacco nemico fu comunque tale da schiantarlo indietro di qualche passo, frastornato.

Ludwig non si era appena rimesso in piedi quando vide l’altro arretrare sotto l’attacco del gigante nero; non ebbe però il tempo di aiutarlo, poiché una nuova carica stava per raggiungerlo da parte del Rinoceronte Nero, "Stavolta no.", fu l’unico commento del giovane austriaco, espandendo il cosmo fiammeggiante attraverso le gambe.

Il cavaliere del Centauro scattò in una rapida corsa, pronto, apparentemente, a confrontarsi frontalmente con il massiccio nemico, prima di compiere, all’ultimo, un agile salto, "Gallopp des Rigil!", urlò, scatenando il violento susseguirsi di calci infuocati.

Mulungu si trovò impreparato a quell’attacco, tanto da non fermare nemmeno la propria corsa, subendo la violenta serie di colpi fiammeggianti sulla parte dorsale dell’armatura, che si crepò in più punti.

La potenza dell’attacco del santo di Atena fece del tutto sbandare il nemico, scagliandolo contro una parete poco distante, un’azione che fu per Ludwig un ottimo incentivo per tentare un secondo assalto, così, facendo leva sulle gambe appena poggiate al suolo, il cavaliere si preparò ad attaccare di nuovo, ma fu colto di sorpresa dalla reazione del nero avversario.

Mulungu, infatti, rialzatosi, ferito ma pronto a continuare la lotta, poggiò con violenza i pugni al suolo, "Rombo del Suolo!", urlò il Nero Rinoceronte, scatenando un terremoto pari a quello che poco prima aveva sorpreso i cavalieri di Atena, un terremoto che, stavolta, s’espanse lungo il terreno fino ai piedi di Ludwig, sbilanciandolo ed impedendogli di eseguire un altro salto in avanti.

Troppo tardi, colto dalla sorpresa di quella reazione, il giovane cavaliere comprese il vero fine del suo mastodontico nemico: intrappolargli le gambe nella dura roccia, impedendogli ogni movimento; bloccato, il santo d’argento non poté fare molto quando il violento correre del Rinoceronte Nero lo investì in pieno, sollevandolo dalla trappola nel terreno e schiantandolo, sanguinante, a diversi metri di distanza.

Non era migliore la situazione di Kohu: la vela lo aveva salvato dal primo colpo dell’Elefante Nero, ma il nemico s’era dimostrato inaspettatamente veloce nell’arrivargli addosso, privandolo anche solo del tempo di riflettere, scatenando su di lui una pioggia di violenti pugni, che avevano aperto delle crepe nelle zone non protette dalla vela bianca.

"Sei debole, ragazzo, come tutti gli abitanti di questi piccoli templi. Rispetto a loro, però, hai una sfortuna: quella tua difesa allunga l’agonia che non può evitare.", commentò Kalumba, prendendo per qualche attimo il respiro dopo gli innumerevoli attacchi, "Ebbene, sarò misericordioso, stroncherò le tue sofferenze con un unico attacco!", concluse sprezzante.

Le possenti braccia del guerriero africano erano ora ricolme del suo nero cosmo, quando, portatele indietro di qualche centimetro, le lasciò scattare in avanti con ferocia, "Corna d’avorio nero!", urlò, scagliando un violento attacco contro il giovane Areoi.

L’assalto dell’Elefante nero corse con furia verso le bianche vestigia dell’Istioforo, trovando facile passaggio nella zona del fianco destro, ma subendo una frenata nell’area della bianca vela sulla sinistra; sangue cadde copioso dalle labbra del giovane guerriero polinesiano, malgrado la difesa mancina avesse retto al colpo, permettendogli di sopravvivere.

Il volto di Kalumba fu contrariato nel vedere la giovane vittima ancora viva, "Sei irritante nella tua determinazione, piccolo indigeno.", lo accusò, stringendo con violenza il collo del ragazzo, quindi volse la testa in cerca del compagno d’arme, "Mulungu, lascia stare quello straniero, finiamo intanto questo moccioso!", ruggì infuriato.

Il Nero Rinoceronte, che già stava per caricare di nuovo il malandato cavaliere del Centauro, si fermò, facendo un cenno d’assenso al parigrado, che, subito, gli gettò contro il corpo martoriato dell’Areoi, contro cui subito iniziò a correre il guerriero oscuro.

"Gallopp des Rigil!", fu l’urlo che interruppe la carica di Mulungu, investendolo solo lateralmente con la forza dei calci di fuoco, impedendo che l’Areoi fosse travolto dalle corna del rinoceronte e, allo stesso tempo, permettendo al cavaliere d’argento di prendere al volo Kohu e spostarsi con lui a qualche passo di distanza dai nemici.

"Tutto bene, Istioforo?", furono le prime parole del santo di Atena, a cui l’altro rispose con un cenno del viso affaticato, "Ottimo, perché direi che dovremmo scambiarci i nemici.", commentò a voce bassa l’austriaco.

"Cosa?", balbettò sorpreso l’Areoi, "Rifletti un attimo: l’Elefante pare non basarsi su molti movimenti, ma più che altro sulla forza dei colpi, come te è statico nel colpire, al contrario, il Rinoceronte non sembra conoscere la stasi nei suoi attacchi, anzi, ha sempre bisogno di una veloce ricorsa per trovare il bersaglio, quindi, al pari mio, non starà mai troppo tempo fermo nella medesima posizione.

Combattere contro qualcuno che usa la medesima tattica d’attacco e difesa è come far scontrare frontalmente due cervi identici: porterà solo a rompersi le corna vicendevolmente.", spiegò Ludwig, memore delle lezioni di Munklar del Sagittario.

"Abbi fiducia in me, Istioforo, penso di averti dimostrato di non esserti nemico, o, quanto meno, di non essere loro amico. Tu occupati del Rinoceronte Nero, io penserò all’Elefante Scuro.", concluse il cavaliere d’argento, rialzandosi in piedi.

Per alcuni attimi l’altro lo guardò in silenzio, poi, a sua volta, si rimise in piedi, "Sia, straniero, combatteremo come tu suggerisci. La salvezza dell’Avaiki di Ukupanipo viene prima di tutto.", affermò deciso il giovane Areoi, voltandosi verso Mulungu.

Fu proprio il Rinoceronte Nero il primo a partire di nuovo alla carica, colpendo con i possenti pugni il terreno, "Rombo del Suolo!", urlò, scatenando un altro sussulto tellurico, così da sbilanciare il giovane polinesiano, senza però farlo cadere al suolo, anzi, bloccandogli nel terreno le gambe.

Non appena il guerriero dalle bianche vestigia fu con i piedi nel terreno, l’altro gli corse addosso, pronto ad investirlo con tutta la furia di una carica frontale, ma impreparato a ciò che avvenne di lì a poco: Kohu, infatti, iniziò ad espandere il proprio cosmo, circondandovi il fioretto sull’avambraccio destro, quando il nemico fu a pochi passi, ormai troppo vicino per evitare l’assalto, l’Areoi colpì.

"Taglio delle Onde!", urlò il giovane combattente di Ukupanipo, rilasciando tutta la potenza dell’attacco in un unico affondo, un fendente preciso e veloce, che evitò volutamente la spalla con le corna di rinoceronte, per portarsi alla base del collo, dove trovò ben poca resistenza, distruggendo parte delle nere vestigia e costringendo l’altro a deviare l’attacco per l’acuto dolore.

L’assalto del Rinoceronte Nero si perse contro la vela bianca dell’Istioforo, mentre il guerriero africano cadeva a pochi passi da lui, rotolandosi al suolo in preda al dolore.

"Mulungu!", urlò Kalumba, alla vista di quel colpo tanto ben riuscito, pronto ad andare in soccorso del compagno, ma subito bloccato dall’apparizione, davanti a lui, del cavaliere d’argento.

Un misto di rabbia e disappunto si dipinse sul volto del mastodontico guerriero, "Cedi il passo, straniero, e non sperare che quella serie di calci infuocati abbia successo su di me, troppe volte ho visto quel tuo attacco.", lo ammonì sicuro, ricevendo un sorriso beffardo come risposta.

"In effetti temevo che il galoppo della Prima Stella, Rigil, il Piede del Centauro, fosse ormai inutile, ma anche prima, contro il tuo compagno, ho preferito non mostrare tutto ciò di cui disponevo, nel dubbio che con te la battaglia potesse essere più ardua da fronteggiare.", ammise sicuro Ludwig, "E più difficile, in effetti, sarà, se non cederai subito il passo.", lo avvisò deciso Kalumba, espandendo il cosmo nero attraverso le possenti braccia.

"Corna d’Avorio Nero!", urlò il guerriero oscuro, scatenando il proprio attacco contro il cavaliere d’argento, che, agile, spiccò un salto, evitando la furia dei due diretti energetici, portandosi così sopra la testa dell’avversario, "Kreis des Agena!", esclamò a sua volta Ludwig.

Il cosmo infuocato parve risalire lungo la gamba destra, fino a fermarsi al ginocchio, e proprio una ginocchiata fu quella diretta contro il mastodontico nemico, un colpo che si aprì in un cerchio di fuoco, cadendo dall’alto sul capo avversario, circondandolo in ampie fiammate.

Presto l’intero corpo del nemico fu circondato dalle alte fiamme del Centauro, ma questi non ebbe il tempo di gioirne, poiché già la voce di Kalumba si rifaceva avanti: "Dispersione Assoluta!"

Le fiamme parvero vorticare per qualche istante, prima che, in un’ondata d’energia, si disperdessero tutto intorno al mastodontico nemico, lasciandolo, quasi del tutto illeso, ad osservare il cavaliere di Atena: "Non lo sapevi, straniero? Le grandi orecchie degli Elefanti d’Africa servono per disperdere il calore, allo stesso modo, io, con il mio cosmo, riesco a disperdere qualsiasi forma di attacco cerchi di intrappolarmi al suo interno. Un colpo come il tuo, per quanto sorprendente, è futile contro di me.", commentò soddisfatto Kalumba.

"I miei complimenti, guerriero nero, non avevo mai pensato che qualcuno, intrappolato nel cerchio della Seconda Stella del Centauro, avesse modo di liberarsene tanto facilmente.", esordì il giovane austriaco, che, in effetti, aveva visto Wolfgang ed il maestro Munklar sfuggire all’attacco, ma mai aveva creduto che qualcuno potesse uscirne incolume.

"Non pensare, però, che questo ti darà facile vittoria, Elefante Nero, non sarei degno delle vestigia che porto se mi lasciassi sconfiggere così.", concluse con un sorriso di sfida il guerriero allenatosi nella Foresta Nera.

"Vestigia resistenti, ammetto, se sono sopravvissute all’impatto con Mulungu… ben diverse da quelle di questi indigeni, e dalle nostre. Chi siete voi, straniero? Chi vi manda ad interferire nella nostra missione?", domandò allora Kalumba, scrutando l’armatura dell’altro, ancora pressoché integra, malgrado i due scontri così ravvicinati.

"Io sono Ludwig del Centauro, Cavaliere di Atena, inviato in questi luoghi dal Sommo Sacerdote della dea per impedire che il vostro esercito rubi altre divinità alle loro terre d’origine.", rispose, ricco d’orgoglio, il santo d’argento.

"Atena? Una divinità europea, mi pare. Sei ben lontano dalle tue terre, Ludwig del Centauro, non sarà per te un peccato morire in un luogo estraneo, anziché nel conforto del paese natio?", domandò beffardo Kalumba.

"Non vale lo stesso anche per te, Elefante Nero?", domandò serio l’altro, "No, non per me. Non ho una dimora a cui tornare, né una terra che mi attende; fui scacciato dalla mia e ripudiato dalle genti che mi consideravano un mostro, per le mie dimensioni, ma accettato dal Leone Nero, mio unico sovrano, e dal Comandante Ntoro, quindi, non avrò problemi in qualunque luogo morirò, anche se, per oggi, non penso di dovermi preoccupare di ciò.", concluse con determinazione in volto, il guerriero africano, pronto a riprendere lo scontro.

Mulungu si era nel frattempo rialzato e portato a qualche metro di distanza dall’Areoi dell’Istioforo, che lo osservava di rimando, stanco ma determinato in volto.

I due combattenti si studiavano in silenzio, un silenzio che fu presto interrotto dalla rabbia che scaturì dalle labbra del Rinoceronte Nero, il quale lasciò esplodere il proprio cosmo, correndo come un folle contro il bersaglio, "Carica Nera!", ruggì, avanzando senza freno.

Kohu lo attese, immobile: sapeva di non poter reggere fisicamente ad un assalto del genere, la mente gli diceva che il corpo non ce l’avrebbe fatta, spezzando la sua sicurezza, ma lasciandolo pronto a reagire e, infatti, quando il massiccio guerriero africano gli fu quasi addosso, il polinesiano compì un rapido balzo laterale, portandosi quasi del tutto al di fuori del raggio d’azione di quella carica, investito solo dalla scia cosmica, che, simile ad una meteora, Mulungu manteneva dietro di se.

Fu sbalzato da quell’ondata di energia e rotolò per qualche metro, prima di rialzarsi in ginocchio; il soldato dell’Esercito Africano si voltò, scrutandolo con rabbia, pronto ad una nuova carica, ma, stavolta, l’Areoi fu più lesto ad espandere il proprio cosmo, "Brina Oceanica!", invocò e la nebbia riempì il campo di battaglia fra i due, impedendo loro di vedersi vicendevolmente.

Mulungu, spaesato, si fermò per qualche attimo, malgrado la rabbia montasse sempre di più in lui: "Credi che questo basti a salvarti?", ruggì furioso, "Anche se non li vedevo ho spezzato molti nemici prima di te con la mia marcia instancabile. Io sono il Rinoceronte Nero e nessuno bloccherà mai la mia avanzata, nessuno mi bloccherà mai! Spazzerò via anche te, come ho fatto con tutti quei minuscoli individui nel tempio di quella divinità polinesiana dove eravamo fino a poche ore fa! Non se ne è salvato nessuno, nemmeno tu lo farai!", lo minacciò pieno di baldanza.

Un’ombra, d’improvviso, si materializzò alla sinistra del gigantesco guerriero, prima che un singolo affondo aprisse una leggera ferita sul braccio destro, per poi allontanarsi. "Così combatti, moccioso? Nascondendoti come un codardo?", rise divertito Mulungu, toccandosi la ferita, "Non sei migliore di tutti quei tuoi compagni che ho ucciso finora. Tutte anime ormai parte dell’infinito guscio degli Spiriti! Anime senza pace!", lo sfidò ancora il Rinoceronte Nero.

"Che cosa?", domandò d’improvviso la voce di Kohu, sbalordito da quelle strane parole, ignaro che, quella banale domanda, aveva generato un sorriso sul volto del nemico, che subito si scatenò nella sua Carica Nera, dirigendosi con violenza contro la fonte del suono, travolgendola di nuovo con la scia del proprio oscuro cosmo.

"Nasconditi quanto vuoi nella Nebbia, ma questo non cambierà il vostro destino: voi codardi indigeni in bianco sarete distrutti! La potenza dell’esercito Nero è come la mia, indomabile ed in continua avanzata, per questo mi sono unito a loro!", esultò Mulungu, spazzando l’aria con le braccia, perché la sagoma non gli si avvicinasse troppo.

L’Areoi dell’Istioforo, in cuor suo, sapeva che la Brina Oceanica non gli sarebbe stata d’aiuto per vincere la battaglia, poiché gli impediva di usare l’unica vera tecnica d’attacco che possedeva, ma, il timore di uno scontro corpo a corpo, specie dopo aver visto gli amici morire, lo attanagliava silenzioso; al di là di questo, però, sentire il nemico annunciare la loro distruzione, dargli del codardo, enumerare il massacro dei servitori degli altri avaiki… tutto ciò lo torturava dentro, rendendolo meno concentrato.

Per qualche attimo, mentre si muoveva intorno alla fonte della voce nemica, Kohu si chiese cosa i suoi parigrado avrebbero fatto: il Comandante Toru, di certo, sarebbe andato all’attacco frontalmente, così come il Narvalo ed il Tarpon, la Tartaruga Marina e l’Anguilla, invece, avrebbero usato più strategia nell’attaccare, ma quelli erano i cinque più potenti guerrieri del loro esercito. Aitu e Kanae avevano combattuto, ognuno a modo proprio, assieme a lui, sacrificando le proprie vite, lasciandolo solo, era questo che voleva per se? Una vita solitaria, nascosto fra le nebbie? Gli altri cosa avrebbero deciso al posto suo? Kanae non aveva avuto paura di continuare a combattere con i propri salti acrobatici, proprio come, a pochi metri da lui, stava facendo quello straniero contro l’altro mastodontico guerriero nero. Allora lui perché si nascondeva nella Brina Oceanica? In quel momento, non trovò risposta a quella domanda il giovane Areoi, così, fece l’unica cosa che, forse, la ragione, gli diceva di non fare, sciolse la nebbia che lo proteggeva, pronto ad usare le due armi dell’Istioforo.

Mulungu, quando la vista del nemico gli tornò, sorrise sprezzante: "Hai trovato un po’ di coraggio, oppure vuoi una morte veloce? Vedrò di accontentarti in questo secondo caso, moccioso.", lo derise, prima di lanciarsi in una nuova Carica Nera.

Stavolta Kohu fu più preparato e non attese l’ultimo minuto per saltare, anzi, si mosse molto prima, iniziando a spostarsi poco dopo la partenza dell’avversario, che si schiantò contro la parete a pochi metri davanti a lui.

"Come sospettavo…", esordì a bassa voce l’Areoi, "una corsa che non può essere fermata una volta iniziata, per via del cosmo che circonda il tuo corpo, giusto?", domandò, sprezzante anche lui.

Il guerriero Nero si rialzò in piedi, le vestigia leggermente danneggiate, "Non pensare di avermi vinto per così poco, ragazzino, altre armi sono rimaste a questo Rinoceronte, le sue corna per prime!", minacciò, colpendo con il pugno sinistro il terreno.

"Bicorno di Roccia!", urlò Mulungu, prima che, dinanzi a Kohu, il terreno si aprisse, e due grossi spuntoni di roccia lo investissero frontalmente, ferendolo all’addome ed alla gamba sinistra.

A fatica l’Areoi arretrò, portando la struttura a forma di vela dinanzi a se, "Difesa inutile contro la potenza del Rinoceronte Nero.", avvisò l’avversario, colpendo di nuovo con il pugno il terreno, "Bicorno di Roccia!", urlò ancora una volta.

"Vela Bianca!", fu la risposta che gli rivolse, inaspettata, l’Areoi dell’Istioforo, prima che la struttura difensiva sul braccio sinistro si aprisse del tutto, diventando un gigantesco ventaglio, contro cui le due corna di roccia andarono a sbattere.

L’effetto fu qualcosa che Mulungu mai aveva visto: l’impatto, infatti, vibrò sulla superficie bianca, facendola tremare per alcuni secondi verso l’alto, poi, sorprendentemente, la vibrazione cambiò, dirigendosi verso il basso, distruggendo gli spuntoni di pietra e crepando il terreno fra i due guerrieri, fino a raggiungere il pugno sinistro dell’africano, frantumandovi l’armatura e spappolandone la pelle; solo la velocità di reazione di questi salvò il resto del braccio, ritraendolo all’istante.

Kohu osservò lieto l’effetto del colpo: aveva usato la sua migliore arma offensiva, che si basava su un qualche strano principio della natura, che la Tartaruga Marina gli aveva anche spiegato, senza ottenere molta attenzione dal giovane dell’Istioforo. Ciò che al ragazzo delle Isole di Cook era stato chiaro, era il risultato: se qualcuno lo colpiva, la vela avrebbe rimandato indietro l’impatto, aumentandone la potenza tanta maggiore era la distanza fra lui e questo avversario; per questo non lo aveva usato né contro il cavaliere d’argento, né contro i due africani finora, troppo vicini per produrre danni ai suoi nemici.

I pensieri dell’Areoi, però, furono distratti dal ruggito di rabbia del Rinoceronte Oscuro, "La mia mano!", urlò furioso, lanciandosi ancora una volta nella Carica Nera.

Kohu non si mosse: quello scontro doveva concludersi in quel momento, ora che aveva un po’ più sicurezza in se stesso, così, sollevò l’avambraccio destro, caricandovi quanta più energia ancora restava nel suo corpo spossato, mentre la vela si portava a difesa del busto.

"Taglio delle Onde!", "Carica Nera!", le due urla si sovrapposero per qualche istante, prima che l’effetto del duplice attacco fosse evidente.

Entrambi i guerrieri volarono indietro di diversi metri: Kohu si schiantò al suolo con la vela protettiva danneggiata ed il viso dolorante per delle ferite che, probabilmente, solo occhi attenti avrebbero potuto scorgere sotto le bianche vestigia; Mulungu, al contrario, cadde a terra, le vestigia quasi integre, ma il viso sfigurato da un foro che lo aveva passato da parte a parte, strappando via la vita, assieme alla pelle ed alle ossa.

"Mulungu!!!", urlò stupefatto Kalumba, fermatosi, al pari di Ludwig, nel vedere quel violento ultimo impatto fra gli altri due guerrieri.

L’Elefante Nero si volse rabbioso verso il santo d’argento, che, comunque, cercò di parlarvi: "Ragiona, guerriero africano, a cosa porterebbe cercare vendetta? Ti sei unito a questo esercito perché era l’unico che ti accettava, e so che questo basta per farti desiderare la vendetta, ma a cosa ti gioverà prendere una vita in nome di quella del compagno caduto? Rinuncia allo scontro.", propose l’austriaco.

Sul viso del mastodontico nemico, però, la rabbia mutò in divertimento: "Non è la vendetta per il Rinoceronte Nero che vi massacrerò, europeo, non per lui mi preoccupo, bensì per il mio onore, macchiato dalla sua sconfitta.

Mulungu si era unito a me, perché nella nostra armata ero l’unico corpulento quanto e più di lui, da solo non aveva virtù, era avventato e sciocco, come la sua morte ha dimostrato, proprio per questo dipendeva da me, che avevo più raziocinio e, soprattutto, che sono più potente.", esclamò di rimando l’altro, espandendo inaspettatamente il proprio oscuro cosmo.

"Barrito distruttore!", urlò d’un tratto, prima che una maestosa ondata d’energia, espandendosi al pari del tipico verso degli elefanti, si scagliasse a velocità sonica contro l’ignaro santo di Atena, che, impreparato, fu travolto da quella potenza e gettato su una parete, con le vestigia ora ricche di incrinature e crepe.

"Sarà l’Urlo dell’Elefante d’Africa ad ucciderti, uomo di Atena, ti schiaccerà al pari di come poi massacrerà il tuo bianco compagno e quelli che avete lasciato dietro di voi. Le vostre morti saranno un manto di gloria di cui mi coprirò, portando nuove anime all’infinito Guscio degli Spiriti. Lì vi incontrerete di nuovo e sarete per me fonte di onori maggiori da parte di Abuk ed Anansi prima, del mio Comandante Ntoro dopo e, chissà, magari da parte del Sovrano Nero in persona, se avrò fortuna.", esultò deciso Kalumba, aumentando la pressione del Barrito Distruttore sul corpo, ormai sanguinante del cavaliere d’argento.

"Non coltivare così alte speranze, guerriero nero, poiché oggi i tuoi nemici sono due!", avvisò d’improvviso una stanca voce, prima che una sagoma candida si portasse davanti a Ludwig.

"Vela Bianca!", invocò Kohu dell’Istioforo, portando la propria difesa a proteggerlo da quell’ondata a velocità sonica.

"Grazie, Areoi…", balbettò il cavaliere d’argento, ora in ginocchio, "Ripago il mio debito, straniero, ma permettimi di farti fretta: non per molto durerà la difesa dell’Istioforo contro questo nemico, poiché già incrinata dal Rinoceronte Nero.", avvisò con un sorriso tirato l’altro, volgendo appena gli occhi sull’inatteso alleato.

"Non ti preoccupare, mi farò bastare il tempo prezioso che mi regali.", lo rassicurò l’allievo di Munklar, espandendo il proprio cosmo, che come una gigantesca fiamma lo circondò subito.

Con un balzo, Ludwig sorpassò dall’alto l’Areoi, il fuoco intorno a lui che passava velocemente ad un colore tendente all’azzurro, per poi scomparire; era pronto per effettuare il suo colpo migliore, quello che richiedeva più energie, ma, in compenso, sarebbe stato imparabile per il nemico, intento ad attaccare Kohu per impedire che il proprio attacco gli tornasse indietro.

"Aufflakern des Marfikent!", invocò il santo del Centauro sferrando un calcio a mezz’aria a qualcosa di invisibile agli occhi dei due combattenti sotto di lui, un’ondata di calore che, rapidamente, volò contro l’Elefante Nero, le cui difese erano ora abbassate, rispetto a Ludwig, quindi incapaci di fermare quel proiettile di pura energia cosmica che lo investì in pieno, distruggendone buona parte delle vestigia, lungo tutta la zona sinistra del corpo e bruciandone rapidamente la pelle.

Questo era il potere del Bagliore della stella Eta del Centauro, un potere invisibile agli occhi umani, che solo il santo del Sagittario e quello dei Cani Venatici, finora, erano riusciti ad evitare, in qualche modo, durante gli addestramenti nella Foresta Nera, e Wolfgang per un puro caso, a detta di Ludwig.

L’attacco fu preciso ed efficace: Kalumba fu ferito in pieno e dovette interrompere la controffensiva su Kohu, la cui difesa tramutò il Barrito Distruttore in un attacco contro il suo stesso padrone, che ne fu completamente investito, subendone la potenza devastante e cadendo al suolo, ormai moribondo.

La vita, però, abbandonò il mastodontico guerriero africano mentre questi sorrideva: lo avevano sconfitto, ma lui era sicuro che, date le loro ferite, ed il numero di suoi compagni d’esercito in quel tempio subacqueo, ben presto avrebbe reincontrato quei due nemici nell’Infinito Guscio degli Spiriti, lì avrebbero sofferto assieme per l’eternità.

Cadde al suolo, nel frattempo, Ludwig, stremato per l’attacco utilizzato, e l’Areoi dell’Istioforo fece altrettanto, sotto la pressione dei molti colpi subiti in quello scontro.

Nessuno dei due aveva la forza di dire alcunché, ma gli ultimi pensieri del santo d’argento si spinsero all’infinità di nemici che ancora li aspettava nel vasto reticolo di pietra che vedeva all’orizzonte, prima di chiedersi dove fossero i parigrado.

La guerra era appena all’inizio, questo fu il suo ultimo pensiero prima di svenire.