Capitolo 35: Il Sovrano d’Africa
Osservavano senza parole i sei cavalieri d’argento: Ludwig del Centauro, Juno di Cerbero, Cassandra di Canis Maior, Gustave della Lyra, Iulia dell’Altare ed Amara del Triangolo.
Nessuno di loro aveva la forza di dire alcunché, chi per la sorpresa, chi per il peso che stava nascendo nel suo cuore, chi per la stanchezza delle lunghe battaglie, per quanto ora leggermente rinfrancati nel cosmo; ma nessuno aveva avuto modo di difendere il loro compagno, Rudmil della Corona Boreale, le cui labbra, naturalmente pallide, erano ora persino più bianche, con un sottile rivolo di sangue che scivolava dalle stesse.
Ancora s’agitava la mano del loro nemico, il Leone Nero, che aveva trapassato senza timore e ritegno le vestigia e la pelle del giovane santo di origini russe all’altezza dello sterno, sporca ora di sangue, ricolma dell’energia cosmica di quel temibile avversario.
"Io sono il Re d’Africa e voi morirete, colpevoli di avermi sottovalutato e di aver distrutto l’esercito che mi seguiva!", furono le parole che, ancora una volta, Ogum del Leone, ultimo esponente dell’Esercito dei Savanas, esclamò, prima di muovere veloce la mano ancora libera.
I sei cavalieri non poterono opporsi a ciò che videro: una zampata, un violento manrovescio, questo bastò al Sovrano d’Africa per decapitare il discepolo dell’Acquario.
Così perse la vita Rudmil della Corona Boreale, cavaliere d’argento.
Un urlo di cieca rabbia scaturì dalle labbra di Juno, prima che il giovane discepolo di Cefeo si lanciasse alla carica contro il Leone Nero, subito seguito dalla sacerdotessa di Canis Maior: in entrambi, la vista della morte di un altro compagno, aveva acceso lo stesso senso d’impotenza che già avevano provato quando medesima sorte era toccata ad Agesilea dell’Aquila; ma avevano giurato a se stessi che non avrebbero accettato un tale destino di nuovo, in silenzio, avrebbero combattuto e fatto in modo che la vita persa, non fosse stata inutile.
Ogum ritrasse con calma il braccio dalle carni senza vita della sua vittima, lasciando che il corpo cadesse a terra: aveva usato fino a quel momento il cosmo acquisito in quindici anni di regno, ma non aveva ancora mostrato ai nemici, che gli si paravano davanti, quali fossero le sue vere capacità, non aveva ancora, realmente, affrontato nessuno di loro. Era tempo che capissero chi fosse il Re d’Africa!
I sensi del Leone Nero erano acuti: percepì il corpo senza vita della sua vittima cadere al suolo con l’udito e, assieme, con il tatto per le vibrazioni del suolo, per quanto minime; allo stesso tempo lo sferzarsi dell’aria attorno a lui lo avvertì, ancor prima degli occhi, della sfera chiodata che stava correndogli contro.
Non fu difficile per il guerriero africano compiere un balzo, oltrepassando l’arma avversa ed il cavaliere di Atena che l’aveva lanciata su di lui. Un balzo felino, durante il quale ritrasse le gambe fino a far toccare le ginocchiere con il pettorale, per poi atterrare, elegante come l’animale che le sue vestigia rappresentavano, fra i due avversari, colpendo con un calcio a spazzare la schiena di colui che gli aveva lanciato contro quella sfera chiodata, facendo schiantare la vittima contro uno dei muri dell’ampia sala.
Subito dopo, l’attenzione del Re Nero si volse verso colei che avvertiva arrivargli incontro, pronta a colpirlo: l’attacco della guerriera non ebbe mai inizio, fu piuttosto la mano destra di Ogum a coprirle il volto, prima che le lunghe ed affilatissime unghie affondassero nel cranio e nella fronte, costringendo la sua vittima ad urlare di dolore.
"Lasciala!", ordinò deciso Ludwig, lanciandosi nella battaglia, "Galopp des Rigil!", continuò, pronto a sferrare la violenta serie di calci contro il nemico, ma già il Re Leone s’era mosso, sollevando sopra di se, con la sola forza di un braccio, Cassandra, e scagliandola contro quel nuovo avversario che, con le sue parole, s’era reso ben evidente alle attenzioni del Sovrano Nero.
Quel semplice gesto bastò per interrompere l’attacco dell’allievo del Sagittario, prima ancora che iniziasse, costringendolo a preoccuparsi di recuperare la parigrado ferita, piuttosto che inseguire il nemico.
Ogum, però, s’avvide subito che anche gli altri tre nemici erano pronti a dar battaglia, poiché già una musica s’avvicinava al suo orecchio, prima ancora che dei fili d’energia facessero la loro apparizione, dirigendosi ad intrappolarlo.
Non disse niente il Sovrano d’Africa, semplicemente si mosse con grande velocità, passando fra i fili della lira, quasi un fantasma per come abilmente evitasse il contatto con tutti loro, fino ad arrivare alle spalle del musico che aveva aizzato quell’attacco, non visto.
"Cavaliere della Lyra, alle tue spalle!", ebbe appena il tempo di avvertirlo Ludwig, ma ciò non bastò, poi già le affilate dita del Leone d’Africa affondarono, tutte e dieci, nella schiena di Gustave, sollevandolo da terra, per poi gettarlo, lamentoso per il dolore, a pochi metri da Juno, dove cadde ferendosi ulteriormente.
I sensi di Ogum, comunque, non furono distratti dal sordo tonfo del corpo caduto al suolo: già il tatto avvertiva l’aria fremere d’energia, mentre le gambe parevano riscaldarsi per la presenza di decine di luminosi bulbi che le stavano circondavano.
"Bulbifera Solis!", invocò l’altra sacerdotessa guerriero, "Trigono Anatoles!", continuò l’emanazione cosmica del cavaliere del Triangolo, scatenando all’unisono la potenza dei loro attacchi.
Una potenza che, però, non risultò sufficiente: bastò che il Leone Nero lasciasse detonare il proprio scuro cosmo per disperdere l’esplosione dei bulbi arancioni, permettendogli, al qual tempo, un nuovo felino salto, con cui arrivò a portarsi proprio sopra le teste dei due nemici.
Amara ed Iulia videro l’agile nemico, le ginocchia all’altezza del petto, le braccia spalancate, i capelli, così come la criniera fatta di scalpi, che s’agitavano ad ogni movimento, ma non poterono in alcun modo evitare che quel così abile avversario compisse una veloce rotazione sul proprio asse verticale a mezz’aria, spazzando lo spazio che lo divideva da loro due con le mani e colpendoli entrambi con indicibile violenza alle spalle, segnando la carne e le vestigia indiscriminatamente, prima di gettarli, per la potenza di quel singolo movimento, a terra, vicino ai loro compagni.
Fu elegante persino l’atterraggio del Leone Nero, sulle gambe, che gli permise, con un rapido movimento, di volgersi di nuovo verso i sei nemici, ora al suolo uno vicino all’altro: "Non sprecherò tempo ad eliminarvi singolarmente! Che capiate quanto vasto è divario fra le nostre forze! Come quello che divide un insetto da un leone. E del Leone, ora, sentirete la voce.", minacciò deciso, lasciando che il cosmo attorno a lui iniziasse a vorticare fino alle mani.
"Ruggito del Sovrano!", imperò Ogum alzando le affilate dita verso gli avversari e scatenando un vortice di vorticanti lame che corsero a velocità inarrestabile contro i sei cavalieri, travolgendoli e sollevandoli dal terreno, provocando nuove ferite sui loro corpi e nuovi danni alle loro vestigia.
Il Sovrano d’Africa osservò in silenzio i nemici, vide i loro corpi agitarsi, udì i loro lamenti, per quanto poco fiato potessero ancora avere in gola, ma ciò non piegò la sua determinazione, piuttosto lo pose in uno stato di attesa: attendere di vedere chi, per primo, fra quei guerrieri si sarebbe rialzato.
"Ha una forza incredibile … anche privato del vasto cosmo che aveva rubato alle divinità, riesce a surclassarci senza problemi.", lamentò dolorante Juno di Cerbero; "Il suo attacco … assomigliava alla tecnica del Ghepardo, ma era più potente, molto più potente, e forse persino più veloce.", osservò allora Iulia dell’Altare, l’unica, fra i sei, ad aver affrontato Nyame.
"Sì, la stessa tecnica che possedevano Heitsi e Gu, la Spirale degli Artigli, ma molto più devastante.", convenne Ludwig, che assieme a Gustave, aveva avuto modo di saggiare, sulle proprie carni, quel potente attacco.
"Ovvio che sia così, europei!", li interruppe Ogum, che aveva udito perfettamente ogni loro sibilo, "Gu era il mio discepolo, un ottimo discepolo; da me ha appreso come modellare il cosmo e, similmente, anche come combattere, utilizzando il potere tutto felino che contraddistingueva entrambi.
La sua Spirale degli Artigli, la tecnica che ha poi trasmesso ai suoi due discepoli, non era altro che un omaggio al Ruggito del Sovrano, l’unica tecnica che ho permesso a lui di osservare, fra le mie, e che ha fatto propria a modo suo.
Come, però, avete voi stessi notato, la differenza fra il potere di Gu ed il mio è la stessa che ci deve essere fra un Generale ed il suo Sovrano.", concluse deciso il Re Nero.
"Perché, dunque, Leone Nero, se hai tutto questo potere, hai deciso di dichiarare guerra al mondo alleandoti con i Ladri di Divinità?", chiese allora Amara, attraverso la propria emanazione cosmica, rialzandosi a fatica.
"Non ho dichiarato guerra al mondo! Ho sollevato il mio esercito per cercare di portare la pace nella mia terra! Per distruggere quelle differenze che hanno condotto, nei secoli, decine di popoli ad invadere l’Africa, credendola una terra inferiore, credendo che avrebbero potuto ottenere schiavi, ricchezze, potere, controllando quelle terre.
E allo stesso tempo, ho cercato di interrompere la scia di sangue che le guerre intestine nel vasto continente africano lasciano dietro di loro! Guerre scatenate da differenti culture, da differenti tradizioni, tutte quante!", ruggì furioso Ogum.
"Voi siete qui oggi per lo stesso motivo!", li accusò, "E’ insito nella vostra natura di cavalieri di questa dea greca, Atena, combattere battaglie che non vi sono proprie, intromettervi nelle guerre del mondo per salvarlo secondo i vostri canoni di giustizia, anzi, secondo i canoni che la vostra dea vi ha dato!", continuò.
"Questo è ciò che voglio sradicare: i canoni, la natura insita nelle culture diverse! Che tutti gli uomini siano resi uguali, questo voglio! Un’uguaglianza possibile solo sottraendo ciò che li rende diversi: le divinità che essi seguono! Per questo motivo, quindici anni fa decisi di prepararmi alla battaglia, per questo motivo ho combattuto con il mio esercito, in tutto questo tempo, e per questo motivo, oggi, voi morirete!", minacciò infine il Re Nero, lanciandosi all’attacco.
"Folle piano il tuo, Re d’Africa. E noi non ti lasceremo portarlo a termine!", lo avvisò di rimando Amara del Triangolo, rialzandosi per primo, subito seguito dai propri compagni d’arme.
"Piegatevi dinanzi alla voce del Monarca! Inginocchio dinanzi ad Ogum!", ordinò il Leone Nero, espandendo il possente cosmo, "Ruggito del Sovrano!", imperò, scatenando ancora una volta il portentoso attacco, che, però, non trovò i bersagli nuovamente impreparati.
"Trigono Pneumatos!", invocò prontamente il discepolo di Samadhi, "Speciosae Scudis!", fece eco l’allieva del Sommo Sacerdote, sollevando all’unisono le loro due difese che cercarono di fermare la carica furiosa dell’attacco nemico, riuscendo, però, solamente a rallentarlo, poiché ben poco tempo servì al ruggente vorticare di artigli per distruggere i rossi petali e trapassare il triangolo spirituale.
"Stoma Catastrophes!", urlò a quel punto Juno di Cerbero, rilasciando i vortici d’energia che s’affiancarono all’unica sfera chiodata rimastagli, cercando di domare la furia del Leone Nero, "Ho visto il tuo sogno di pace: ho visto come avete devastato quel piccolo villaggio africano! Il mio maestro, Edward di Cefeo, egli voleva la pace per quelle terre molto più di te! Egli ha combattuto e fermato la Salamandra, dall’incandescente fiato, che lì avevi mandato in avanscoperta e vi ha affrontati da solo, subendo l’infausto destino che il tuo Primo Artiglio gli ha inferto. Tu non cercavi la pace allora e non la cerchi adesso! Tu vuoi solo dominare!", lo accusò il cavaliere d’argento.
"Non parlare di cose che non conosci, traditore della tua terra! Tutti debbono sacrificare qualcosa!", ribatté deciso Ogum, "E soprattutto, non osare più nominare il Primo Artiglio!", ruggì furioso, incrementando la potenza del proprio attacco, che disperse le correnti d’aria attorno all’ultima catena di Cerbero ed avrebbe distrutto anche quella, se non fosse intervenuta una melodia a salvarla.
"Ritrai il tuo guinzaglio, cavaliere. Se si spezzasse, non saresti più d’utilità alcuna per la battaglia e di certo non posso fare tutto io qui.", ammonì con disappunto Gustave della Lyra, portandosi dinanzi al proprio parigrado, "Reticulum Vif!", decantò subito dopo, sollevando la melodia difensiva, che ben poco, però, poté contro la furia del Leone, che arrivò a travolgere lui e gli altri suoi pari.
Ogum, però, non si distrasse nel vedere quattro dei suoi nemici volare di nuovo al suolo, poiché già aveva avvertito i rapidi spostamenti di altri due di loro, che sui fianchi si stavano dirigendo contro di lui: "Inutile tentare di sorprendermi.", li ammonì subito, senza nemmeno voltare lo sguardo verso uno di loro.
"Non è questo il mio piano di caccia, Leone Nero, non preoccuparti!", ribatté sicuro Ludwig del Centauro, rilasciando il caldo cosmo attorno ad una delle gambe, "Kreis des Agena!", invocò subito dopo, scatenando il globo di fuoco che s’aprì in un cerchio incandescente attorno al Re d’Africa, il quale, però, non si mosse d’un passo, ma, piuttosto, lasciò esplodere il proprio cosmo, disperdendo le fiamme.
Fu proprio in quel momento, mentre il fuoco generato dal Centauro veniva disperso dal Leone, che un bagliore di luce si fece strada in quello spazio rimasto vuoto, un bagliore che fu, pochi istanti dopo, seguito da una voce: "Anghellos Fotou!".
L’attacco di Cassandra di Canis Maior corse verso il suo bersaglio, rapido e lucente, ma bastò che Ogum alzasse il palmo sinistro per parare con lo stesso la potenza della stella beta della sacerdotessa guerriero, ribattendo alla stessa con un’ondata d’energia che ricacciò al suolo anche gli ultimi due cavalieri d’argento.
Il Re Nero, ancora una volta, non si mosse, rimase ad attendere i nemici che lentamente si rialzavano, ma, stavolta, non li apostrofò con parole di sfida, né con minacce, volse piuttosto il proprio sguardo verso il mantello con cui aveva coperto il corpo senza vita di Mawu.
"Smettete di rialzarvi, seguaci dell’Olimpo greco, non c’è speranza di vittoria per voi.", disse con un tono di voce ben meno furioso di prima, "Ve ne do atto, avete sconfitto il mio esercito, distrutto ciò che restava dell’armata che quindici anni fa partì dalle proprie terre. Siete riusciti in pochi, lì dove molti eserciti, prima di voi, avevano fallito, ma ammette i vostri limiti: sconfiggere le mie truppe ed i cinque Generali vi ha lasciato privi di forze. Essere sopravvissuti al Re della Savana è stato un misto di fortuna ed ingegno, ma questi due fattori assieme non vi faranno vincere l’ultima battaglia.
Rinunciate allo scontro e vi darò una fine veloce, senza sofferenze ulteriori.", sentenziò il Leone Nero, rivolgendo di nuovo lo sguardo ai sei avversari.
Ognuno di loro, dentro di se, sapeva bene che ciò che il nemico diceva era vero: avevano vinto un esercito che nessuno aveva saputo sconfiggere, e gli Areoi in questo li avevano aiutati, ma con il proseguire delle battaglie, le loro ferite erano aumentate, il cosmo s’era indebolito e la stanchezza s’era fatta avanti, sempre più presente.
Ormai la mente di Ludwig non riusciva più a pensare lucidamente a nuove strategie, ma sapeva di non potersi tirare indietro, poiché né il suo maestro, né Wolfgang lo avrebbero mai fatto; il corpo di Juno si muoveva solo spinto dalla propria determinazione, dettata dal ricordo di Edward di Cefeo; la forza di Cassandra era alimentata solo dal pensiero che rivolgeva al sacrificio della sorella; l’ego di Gustave era l’unica cosa che permetteva al cavaliere della Lyra di rialzarsi, rifiutando di essere inferiore ai cinque che con lui stavano combattendo quel nemico dalla pelle scura; la devozione di Iulia al suo maestro ed alla propria dea la spingevano a continuare la battaglia, malgrado ancora risentisse degli effetti del cosmo del Mamba Nero su di se; la speranza e la forza d’animo, infine, rinvigorivano la mente di Amara, per quanto non altrettanto potessero fare con il suo corpo, spingendolo a cercare un modo per vincere anche senza il supporto esterno, cosa che, in quel momento, sembrava oltremodo necessaria.
Queste le motivazioni che permisero ai sei cavalieri d’argento di rimettersi in piedi, feriti e sanguinanti, stanchi, ma non sconfitti, pronti a continuare la battaglia con il Re d’Africa.
"Credo che le vostre azioni siano la risposta più evidente.", esordì allora Ogum, aprendo le mani dinanzi a se, "Se è la battaglia che volete, dunque, non vi proporrò oltre di rinunciarvi, per quel rispetto che porto alla forza che fin qui vi ha fatto arrivare, ma che oltre non vi permetterà di giungere!", sentenziò deciso il Leone Nero, espandendo il cosmo, pronto a colpire di nuovo.
"Aspetta, Maestà, la prego!", esclamò d’improvviso una voce, planando dal cielo, assieme ad una figura, che malamente atterrò al suolo, una figura ferita e dalle nere vestigia danneggiate visibilmente in più e più punti, la figura di Moyna dell’Aquila Urlante.
Nel vederlo, la prima reazione di Juno di Cerbero e Cassandra di Canis Maior fu di muoversi per attaccarlo, ma ambedue i santi d’argento furono fermati da un singolo gesto del loro pari del Centauro.
"Cavaliere, sei forse impazzito a fermarci? Tu non sai chi è costui!", lo accusò subito il discepolo dell’Isola di Andromeda, "Lui è la causa della morte di mia sorella!", continuò l’allieva di Olimpia di Leo, "No, amici miei, costui è l’uomo che ha scelto di combattere al posto nostro contro il Terzo Generale dell’Armata d’Africa, l’unico fra i neri guerrieri ad aver finora compreso quale follia il loro sovrano stia portando avanti.", li corresse subito il discepolo di Munklar, attendendo di vedere cosa sarebbe successo di lì a poco.
Incurante delle parole che i santi di Atena stavano scambiando fra loro, il Leone Nero si rivolse al proprio generale: "Dunque, dopo aver attaccato ed ucciso un tuo pari, per quanto nella battaglia sei rimasto anche tu ferito, mio Secondo Artiglio, ti ripresenti da me chiedendomi di fermarmi? Vuoi forse terminare tu questo scontro al mio posto, per chiedere perdono delle tue azioni?", incalzò Ogum, attendendo dall’altro una risposta.
"No, maestà, sono fin qui giunto non per chiederle perdono, né per alzare oltre il mio pugno contro genti stranieri che nessun torto ci hanno fatto. Sono qui piuttosto per chiederle di rinsavire dalla follia che la acceca, di interrompere questi massacri. Cosa più potrà fare ormai? L’esercito, i cento e più uomini che la seguirono quando volle farli muovere dall’Africa verso terre lontane, sono morti, solo noi due siamo rimasti, la prego, ritorni ad essere il giovane desideroso di portare la pace nelle nostre terre natie: smetta di portare la guerra per il mondo!", supplicò Moyna, chinando il capo verso il suo sovrano.
"E’ tempo di tornare a casa e piangere i nostri morti, mio Re.", sussurrò ancora il Generale dell’Aquila Urlante.
"No.", fu la secca risposta di Ogum, "Non è ancora tempo di ritornare a casa, come vi avevo detto, questa sarebbe stata l’ultima missione e non perché qui l’esercito sarebbe dovuto cadere, ma perché qui avremmo concluso la ricerca di ciò di cui i miei alleati avevano per ottenere il potere necessario a sigillare tutte le divinità. Qui avremmo concluso le nostre fatiche e saremmo poi tornati alla terra natia, in un mondo vuoto di differenze e tradizioni che avrebbe reso tutti gli uomini uguali e li avrebbe svuotati dell’istinto di nuove guerre.", affermò sicuro il Sovrano, "Non posso fermarmi ora che la missione è sul punto di concludersi: non posso permettere che costoro sopravvivano e possano arrischiare d’ostacolare i miei alleati, devo fare fino in fondo la mia parte, ne va del mio onore!", concluse.
"Onore, pace? Sei solo un pazzo!", lo accusò di scatto Juno di Cerbero, "Quale pace si può trovare sradicando i culti del mondo? Puoi solo rendere le genti confuse, se gli togli ciò in cui credono! Credi che nella confusione si troverà la pace? Piuttosto, germoglierà il caos! E dal caos potranno nascere nuove guerre!", inveì il cavaliere allievo di Cefeo.
"Non nel caos i miei alleati vogliono lasciare il mondo, bensì vogliono fare in modo che siano uomini, capaci di piegare le divinità, a governarlo! Che gli uomini siano dei per gli uomini!", rispose Ogum, ripetendo le stesse parole che, seppur in una lingua diversa, Amara, Iulia e Juno stesso avevano trovato in una grotta nel sud dell’Africa.
"E voi credete che un cambiamento del genere sarà accettato così pacatamente? Le genti del mondo insorgeranno, reclameranno le loro radici, le loro culture, i loro credi! Hai condotto il tuo esercito alla rovina solo per vedersi scatenare nuove guerre contro un unico nemico? In questo modo speravi di portare la pace in Africa?", incalzò ancora Ludwig del Centauro.
"Le radici e le culture resteranno, ma l’incipit che sta alla base di ogni guerra, quella naturale percezione di differenza, che ha nelle diversità di fedi la sua origine più antica, verrà sradicato dagli uomini, così che nessun europeo si senta più in diritto di colonizzare le terre d’Africa, con la menzognera scusa di voler portare i propri credi e le proprie forme di governo in un paese più debole e povero.
L’esercito Nero si sarebbe dovuto ergere come unica forma d’esercito fedele ad uno di questi uomini, fedele a me, per mantenere l’ordine, un ordine che stavolta avrebbe dato la pace alle mie terre natie, anziché portarle ad essere sempre soggette dell’ordinamento che altri popoli, che si sentivano più forti, hanno voluto innestare in Africa.", spiegò deciso Ogum.
"Per questo sono stato scelto! Prima da queste vestigia e poi dai miei alleati, perché solo io e le mie schiere dovessi patire il sacrificio necessario perché la mia terra natia avesse la pace.", pose l’accento ancora una volta il Re Leone.
"Sei tanto ossessionato dalla tua idea di pace, da non capire quanto essa sia folle …", fu l’unico commento di Amara del Triangolo.
"Tu parli di sacrifici per la pace, ma quali sacrifici hai mai fatto, Leone Nero? Il tuo esercito ha immolato la vita, guerriero dopo guerriero, ma tu, cosa hai sacrificato?", domandò ancora Iulia dell’Altare al loro nemico.
"Voi non capite!", ruggì furioso Ogum, "Un esercito deve immolarsi perché il proprio popolo viva in pace, perché abbia un regnante che sia giusto e che possa guidarlo, ma il regnante deve a sua volta sacrificare il proprio io! Deve rinunciare agli affetti, alla morale, alla rabbia, ad ogni cosa che lo rende soggetto a scelte di parte, deve giudicare ed agire sempre in modo oggettivo perché la sua terra sia al sicuro.
Ho rinunciato a me stesso! Per quindici anni ho abbandonato gli affetti, l’orgoglio, la rabbia ed i desideri, oltre alla mia morale: ho fatto in modo che fossero i miei cinque Generali, i miei Artigli, a ricordarmi ognuna di queste cose, ma che mi evitassero anche di esercitarle, così che io potessi agire per il bene dell’Africa, prima di tutto.", spiegò ancora.
Scuro in volto, il sovrano osservò di nuovo i suoi nemici e poi l’ultimo generale che del suo esercito era rimasto, lo stesso che gli chiedeva d’interrompere quella scia di violenza, inutile, a suo dire, per il bene dell’Africa; scosse il capo Ogum, cercando di liberare la mente dalle parole che fino a quel momento aveva sentito, ricordando perché aveva così a lungo combattuto e cosa, fin dalla sua nascita aveva dovuto subire, tutte le perdite sofferte, in ultimo quella di Mawu.
"Ora, però, basta chiacchiere. È tempo che abbandoniate questa vita.", concluse deciso il Sovrano Nero, espandendo il proprio cosmo.
"Maestà, la prego, aspetti!", supplicò a quel punto il Secondo Artiglio, "No, basta attendere, basta perdersi in chiacchiere inutili! Costoro seguono il loro credo, io seguo le mie scelte e questo ci porta ad un contrasto che non con le parole sarà risolvibile. E tu, Generale, hai promesso di servirmi e mi hai giurato la tua devozione.", ribadì determinato Ogum, puntando quindi l’indice verso il suolo, "Mostrami, ancora una volta, la tua lealtà ed il tuo rispetto.", ordinò infine.
I santi di Atena erano immobili, osservavano quel dialogo senza capire quale fosse il fine di quel singolo gesto, seguito da un ordine, del loro nemico, ma, allo stesso tempo, anche i due guerrieri neri erano fermi: l’uno osservava l’altro, senza compiere la minima mossa.
Fu alla fine Moyna a muoversi, ma non si inginocchiò, bensì, indietreggiò di qualche passo, portandosi dinanzi ai sei guerrieri della Giustizia ed allargando le braccia, così da posizionarsi come scudo, dinanzi a loro.
"Mi perdoni, maestà, ma il modo migliore per dimostrarle la mia fedeltà e devozione è impedire che lei scenda ancora più in basso e si macchi di altri delitti, già troppi lordano le sue mani.", sentenziò rammaricato il Generale della Seconda Armata.
Ogum rimase immobile per alcuni secondi, poi il suo sguardo parve accendersi di un nuovo fuoco, "Questa è la tua scelta, Moyna? Il tradimento? Allearti con chi ha distrutto le truppe di cui eri Generale? Bene, se ciò hai scelto, allora ti spazzerò via per primo!", esclamò deciso il Leone Nero, "Ruggito del Sovrano!", imperò subito dopo, scatenando la violentissima e veloce spirale di artigli, che travolse in pieno il guerriero dell’Aquila Urlante, sollevandolo da terra e gettandolo al suolo, vicino ai cavalieri di Atena.
Fu Ludwig il primo ad avvicinarsi al generale ferito, "Tutto bene?", chiese semplicemente l’allievo di Munklar, "Sto bene come chiunque sia stato colpito dal proprio sovrano.", fu la laconica risposta dell’altro, triste nel suo parlare.
"Non puoi subire semplicemente, Generale, in questo modo non aiuterai di certo il tuo Re. Combatti al nostro fianco, così come da solo hai affrontato il tuo pari quando hai soccorso me, Gustave ed il comandante Areoi.", propose ancora il santo del Centauro, "Combattere contro Gu è stato ben diverso dall’eventualità di dover affrontare il mio Re. Non potrei in alcun modo attentare alla sua vita.", replicò Moyna, rialzandosi.
"Lui non sembra preoccuparsi altrettanto della tua incolumità.", volle sottolineare Gustave, indicando il Leone Nero, che, in quel momento, stava espandendo il proprio vasto e violento cosmo; "Non ti chiedo di uccidere il tuo sovrano, Generale. Io stesso ti ho giurato che lo avrei fatto rinsavire, no? Ebbene combatti assieme a noi perché egli possa comprendere i propri errori e decida di fermarsi!", lo scongiurò Ludwig, ben consapevole delle loro attuali possibilità senza l’aiuto del Secondo Artiglio.
"Ruggito del Sovrano!", imperò a quel punto Ogum, interrompendo il dialogo fra i due e costringendo entrambi a volgersi verso l’assalto nemico che puntava a tutti e sette i guerrieri.
"Speciosae Scudis!", invocò prontamente Iulia dell’Altare, "Trigono Pneumatos!", aggiunse subito il santo del Triangolo, cercando di sostenere assieme alla parigrado l’attacco nemico, ma ancora una volta sembrava che la loro forza non avrebbe retto alla potenza avversaria.
"Cavaliere della Lyra! Aiutaci!", urlò a quel punto l’allieva del Sommo Sacerdote, consapevole che, fra tutti i loro compagni, solo Gustave aveva, al pari loro, una tecnica difensiva; "Finalmente una femmina che sa quale sia il suo ruolo!", esclamò sornione, a quelle parole, l’allievo di Remais di Cancer, iniziando la propria melodia, "Reticulum Vif!", decantò.
La musica allegra, assieme ai rossi petali ed alla barriera triangolare generata da Amara, sembrava, almeno in parte, riuscire a contenere la furia del ruggito del Leone, ma non per molto, poiché già quelle difese stavano andando in frantumi.
Fu allora che, inattesa, una singola catena iniziò a roteare attorno a quella spirale di artigli che dilaniavano le difese altrui, "Koklo Timorias!", esclamò il cavaliere di Cerbero, rinchiudendo nel vortice di vento la potente energia nemica, che esplose in un’onda d’urto tale da sollevare tutti e quattro i santi di Atena da terra, senza però provocare loro ulteriori gravi danni.
"Ora, Generale, ti prego, combatti assieme a noi!", invocò Ludwig, quando già Ogum stava volgendo lo sguardo verso loro due e verso Cassandra, rimasta in disparte fino a quel momento, quasi desiderosa di non avvicinarsi oltre all’assassino di sua sorella.
Fu forse proprio nel vedere il Leone Nero sollevare la mano, puntando contro la fanciulla, che il Secondo Artiglio parve riscuotersi: "No, maestà, si fermi!", urlò, ma Ogum non lo ascoltò nemmeno, caricando la propria energia cosmica.
"Piume d’Ebano!", invocò, allora, il Generale d’Africa, scatenando la nera pioggia di vento oscuro, che, però, non raggiunse mai il Sovrano dei Savanas, poiché questi subito voltò il proprio sguardo verso il suo ultimo seguace, disperdendo con un secco movimento della mano sinistra quel potere scatenato contro di lui.
"Osi alzare contro di me la tua mano, Generale? È quindi completo il tuo tradimento.", lo accusò Ogum, "Mi perdoni, mio Re, ma devo fermarla. Non posso permettere che lei si sporchi oltre le mani di sangue, tanto più del sangue di quella guerra, di cui già sono sporche le mie di mani; poiché fu il sacrificio di sua sorella a farmi rinsavire, quindi le sono doppiamente debitore.", si scusò Moyna, espandendo il proprio cosmo.
"Molto bene, traditore, dunque preparati a combattermi.", lo minacciò il Re Nero, "Non avrei saputo dirlo meglio.", rise Ludwig, spostandosi di fianco al guerriero africano, "Generale, non appena lo dirò, te ne prego, attaccalo!", affermò semplicemente il cavaliere austriaco, scattando in avanti.
Con un balzo il discepolo di Munklar si alzò alto a mezz’aria, "Kreis des Agena!", esclamò, scagliando il globo di fuoco, che s’aprì in un cerchio di fiamme attorno al Re Nero, o almeno, quello sarebbe dovuto essere il suo fato, se Ogum stesso non avesse fatto esplodere il proprio cosmo, disperdendo l’attacco lanciatogli contro ed oltrepassandolo, "Non impari mai, piccolo guerriero?", domandò il Sovrano d’Africa, "Le tue fiamme non m’intimoriscono!", concluse.
"Non era quello il loro fine …", furono le uniche parole che l’austriaco disse, sollevando le braccia e subendo sulle stesse gli affondi degli artigli, che lo scagliarono a terra, mentre già si voltava verso la propria parigrado con lo sguardo.
"Kunegos Fotismou!", sentenziò, allo stesso tempo, Cassandra, liberando il segugio celeste contro la fiera d’Africa, ma nemmeno dinanzi a quella minaccia il Re Nero parve intimorirsi, o prepararsi alla difesa, piuttosto concentrò il cosmo fra le mani, pronto a liberarlo.
"Adesso, Generale!", urlò Ludwig, cadendo al suolo, in perfetta sincronia con il colpo lanciato dalla sacerdotessa di Canis Maior, e subito Moyna espanse il proprio cosmo, liberandolo dalle mani, "Venti del Cielo!", ordinò.
Le correnti d’aria liberate dall’Aquila Urlante raggiunsero il fiero segugio di luce, accelerando la sua già elevata velocità, permettendogli di superare i limiti concessi al cosmo di un cavaliere d’argento e riuscendo così a vincere sul tempo il contrattacco che già il Leone Nero stava preparando: per la seconda volta, Ogum fu colpito e sbalzato indietro.
I sei cavalieri, ora di nuovo tutti in piedi, l’uno accanto all’altro, si rivolsero reciprocamente degli sguardi; Ludwig, e come lui anche Gustave, Amara ed Iulia, guardarono verso Moyna, che scrutava volgeva lo sguardo verso la sacerdotessa di Canis Maior, intenta ad osservare il Re Leone, così come Juno.
"Guerriera di Grecia, so bene quale odio possa tu serbare nel cuore per me, lo stesso che provai appena saputo della morte di Shango ed Akongo; ti assicuro che pagherò il fio delle mie azioni, una volta conclusa questa follia.
Sappi, però, che il sacrificio di tua sorella è stato per me d’esempio, che le azioni di Agesilea mi hanno portato a capire l’errore da me commesso, in suo onore, anche, adesso combatto.", affermò semplicemente il Secondo Generale, verso una delle due persone che erano sopravvissute allo scontro contro di lui.
"Non ancora per molto, però, combatterai!", lo avvisò d’improvviso una voce, quella di Ogum, che già si stava rialzando.
I sei cavalieri di Atena e Moyna osservarono con attenzione il Re Nero: le vestigia non parevano essere particolarmente danneggiate ed il sovrano stesso sembrava non aver subito ferite da quel colpo subito, ma la criniera di scalpi che ne copriva il collo era stata divelta ed ora, persa quella, i sette poterono osservare come la pelle di Ogum, al di sotto della stessa, fosse segnata da profonde cicatrici, quasi gli artigli di qualche felino, cicatrici vecchie di anni.
"I segni della rivolta di Sagbata del Leopardo …", mormorò il Generale dell’Aquila Urlante, ricevendo uno sguardo interrogativo da parte di tutti, tranne che del Leone Nero stesso, il cui sguardo, invece, era carico di disprezzo, a sentir quel nome.
"Una storia di cui avevo sentito parlare solo da alcuni anziani parenti dei precedenti guerrieri dell’Esercito Nero, nei pressi della caverna dove riposavano le cento armature.", concluse sbalordito il Secondo Artiglio.
"Non del passato devi preoccuparti, traditore, bensì del presente che ora ti attende, poiché solo quello ti rimane. Per voi tutti, ormai, non c’è più futuro!", urlò Ogum, caricando ancora una volta il proprio cosmo, "Ruggito del Sovrano!", imperò, scatenando la potenza offensiva che sapeva generare.
Fu proprio il Generale Nero il primo a reagire: "Urlo dell’Africa!", invocò, emettendo il sonoro attacco dalla velocità incredibile, che resse alla potenza del colpo del Leone.
"Maestà, la prego, basta! È inutile continuare oltre.", ripeté per l’ennesima volta l’uomo del Madagascar, "Hai ragione, è inutile continuare oltre a parlare, saranno le azioni a decidere chi ha torto!", lo redarguì il Sovrano dei Savanas, liberando la propria energia lungo l’attacco.
"La virtù dell’Aquila non reggerà ancora molto contro la potenza del Leone, dobbiamo aiutarlo!", esclamò Ludwig, muovendosi per primo, subito seguito da Amara, Iulia e Gustave.
"Aufflackern des Marfikent!", esclamò il cavaliere del Centauro, liberando il proprio attacco migliore, "Trigono Anatoles!", gli fece eco l’emanazione cosmica del Triangolo, "Bulbifera Solis!", aggiunse la sacerdotessa dell’Altare, "Reticulum Vif!", decantò ancora il santo della Lyra.
I quattro poteri dei guerrieri di Grecia si unirono a quelli del Secondo Artiglio, riequilibrando lo scontro di forze con il Re Nero, ma senza riuscire a vincerlo, furono altre due energie, che alle loro si aggiunsero, a dare il vantaggio finale: "Stoma Catastrophes!", "Anghellos Fotou!", urlarono rispettivamente Juno e Cassandra, scatenando i loro attacchi e dando il supporto finale all’assalto contro il comune nemico.
Ogum vide la propria spirale di ruggenti artigli disfarsi, dispersa dalla potenza di sette cosmi riuniti in un unico attacco e da quella stessa potenza fu travolto, sollevato da terra e poi, contro la stessa, schiantato, diversi metri più indietro, sulla soglia di quelle porte di pietra che Mawu aveva così a lungo difeso.
Lo schianto fu violento, parti delle nere vestigia andarono in pezzi, sangue caldo sprizzò fuori da nuove ferite, ma il dolore del corpo fu ben presto sopraffatto dall’immagine del corpo del suo Primo Artiglio, ancora coperto dal mantello bianco, che vide al suo fianco, una volta caduto al suolo.
Il Re Nero non poteva arrendersi, non ancora, non così vicino, com’era in quel momento, al successo, non con ancora, fra le mani, la sua tecnica più potente.
A stento, si rialzò, nello stupore generale dei sei cavalieri di Atena e dinanzi allo sguardo commosso del suo stesso seguace traditore, "Maestà, basta combattere, a che serve ancora questa violenza? Vuole forse morire anche lei?", domandò d’un tratto proprio Moyna.
"Sono stato la causa di tante vite immolate, ho condotto cento e più uomini d’Africa alla morte per un singolo sogno, che uomo, che Re, sarei se non sacrificassi la mia vita per quella stessa possibilità di pace?", chiese di rimando Ogum, sollevando le mani sopra il capo ed incrociando le braccia all’altezza dei polsi in quella posizione.
"Non io, comunque, cadrò adesso. Addio, guerrieri, avete fornito prova di valore, finora.", sentenziò deciso il Sovrano d’Africa, circondando con un cosmo sempre più vorticante gli avambracci, un cosmo che salì come una coppia di tornado verso le mani.
"Criniera del Leone, distruggi!", ruggì il Leone Nero, liberando il potere del proprio attacco.
Alla vista di quel nuovo attacco, Ludwig fu il primo a parlare: "Come prima, cavalieri, insieme!", suggerì, ma Moyna si posizionò dinanzi a tutti loro, "Non stavolta, guerrieri di Grecia!", affermò secco, scattando in avanti.
"Urlo dell’Africa!", invocò il Secondo Artiglio, ma la potenza del vento urlante fu dispersa nell’incredibile vorticale di due spirali di artigli, che si unirono in un unico gigantesco tornado che, parallelo al terreno, volò fino a travolgere il guerriero dell’Aquila Urlante, il quale lasciò esplodere, all’interno di quel vortice tagliente, tutto ciò che restava del proprio cosmo, sacrificandosi perché tutta quella potenza non raggiungesse i cavalieri di Atena alle sue spalle, che ne furono solo leggermente sospinti indietro, subendo comunque dei tagli, in parte superficiali.
La potenza dell’attacco ridusse a puri frammenti le vestigia del Secondo Generale e lasciò ben poco di integro anche della sua pelle, sembrava quasi che un branco di leoni lo avesse assalito e banchettato con le sue carni, ma, senza dargli prima il colpo di grazia, poiché ancora, seppur debolmente, Moyna si muoveva. E verso il suo Re si mosse.
"Maestà …", sussurrò il moribondo con il poco di forza che ancora gli restava, "la prego … un tempo mi ha chiesto di giudicarla … di essere il suo cuore … la sua morale. Lei è nobile, ha interesse per le sue terre … il suo sogno … è stato sviato. Non con la distruzione si trova la pace … mi ascolti.", concluse Moyna, abbandonando per sempre la vita, dinanzi allo sguardo commosso del suo stesso Re.
Ogum s’inginocchiò, per avvicinarsi al corpo senza vita del suo Secondo Artiglio, "Riposa mio ultimo guerriero, il tempo della guerra per te è concluso. Ho compreso le tue parole, ma oltre alla mia morale, ho anche il mio orgoglio, e come te e Gu, anch’essi sono sempre in contrasto.", sussurrò al corpo senza vita, chiudendone gli occhi, "Darò ascolto anche a te, dopo aver concluso ciò che è rimasto da fare.", sentenziò infine il Sovrano, volgendo lo sguardo verso i sei cavalieri d’Atena, che lo guardavano con evidente disprezzo.
"Hai ucciso un tuo seguace, uno degli uomini d’Africa che avevi detto di voler proteggere e far vivere in pace! Credi ancora che le tue azioni siano votate per quel fine?", domandò con durezza Iulia, in piedi, al fianco dei suoi cinque compagni, dinanzi al comune nemico.
"Voi mi giudicate, valutate tutto ciò che ho fatto da quel poco che sapete, ma non avete mai vissuto ciò che vivono le mie genti, non avete mai vissuto le guerre che ho visto!", ribatté con disprezzo Ogum, "Ebbene, prima di sferrare il colpo finale, guerrieri europei, vi narrerò dei fatti che fin qui hanno portato, così che possiate morire consapevoli della verità completa.", spiegò.
"Come già ho accennato, furono le vestigia del Leone a scegliermi per questo ruolo, letteralmente: dovete sapere, infatti, che di tutte e centouno armature che costituiscono l’Esercito d’Africa, quella del Leone Nero è l’unica che, nei secoli, ha dimostrato di possedere la facoltà, quasi, di scegliere il proprio custode, colui che sarebbe stato destinato a fare il massimo per il proprio continente.", iniziò il Re d’Africa ed in quelle parole Iulia riscontrò un ricordo degli insegnamenti del Sommo Sacerdote, su come anche le armature consacrate alla dea della Giustizia hanno, a modo loro, una vita ed una volontà, che le rende persino capaci di rifiutare di servire chi non combatte per la dea Atena.
"Fui trovato in un piccolo villaggio della Nigeria e, data la povertà della mia famiglia di origine, quelli che sarebbero dovuti essere i miei genitori non ebbero problemi ad offrire il proprio figlio neonato ad uno sconosciuto.
Per mia fortuna, lo sconosciuto era Olokun del Camaleonte, Viceré, o Primo Consigliere, a dire di molti, del Sovrano d’Africa, ancora assente in quella generazione.
Fu Olokun a crescermi come un figlio ed ad istruirmi sulla necessità che la nostra terra trovasse la pace; egli odiava la violenza in ogni sua forma, per questo aveva cercato di non riorganizzare l’Esercito Nero, non negli anni in cui lo aveva governato, solo Buluk del Mamba Nero gli era sempre vicino, suo amico di lunga data, che con lui condivideva il sogno di un’Africa priva di schiavitù e violenza.", raccontò il Re Nero, con un sorriso triste sul volto, mentre s’abbandonava a quei felici ricordi lontani.
"Un sogno che s’infranse, quando arrivò l’Usurpatore, Tiamat era il suo nome, proveniva dalla Mesopotamia ed aveva bisogno di un esercito per vendicarsi di chi lo aveva esiliato dalle terre in cui era nato; egli uccise Olokun e mi prese come suo prigioniero, rendendomi un soldato d’infimo grado al suo seguito, costringendo così Buluk a servire nelle Armate d’Africa che lui riunì, usandomi come simbolo per la sua personale guerra.
L’Esercito d’Africa non era però l’Armata di cui avete affrontato gli ultimi resti oggi, era un gruppo di sbandati e senza terre, per lo più, allora, un’accozzaglia di gente che fu vinta dagli Ummanu di quelle terre. Tiamat stesso morì in quella guerra, così come Buluk, che lo fece per salvarmi, ma io potei riprendere il controllo del mio ruolo, e riportai, chi delle mie armate era sopravvissuto, fino a casa.
Fu quando tornammo in Africa che gli unici due generali d’Armata in vita, Sagbata e Damballah, tentarono di prendere il controllo di ciò che restava dell’esercito, oltre che del titolo di Re d’Africa, assieme alla mia stessa vita. In quelle circostanze io e Mawu, il mio più fidato Artiglio, combattemmo fianco a fianco per la prima volta, ottenendo la prima vittoria e le prime cicatrici.", concluse Ogum con tono quasi malinconico, toccandosi il collo lì dove era profondamente sfregiato.
"Quella notte, poi, quando mi risvegliai, dopo le cure, mi trovai da solo in una tenda, o almeno tale pensavo di essere, prima di incontrare loro due … i miei alleati.", continuò.
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Quando il giovane Leone d’Africa si svegliò, il collo ancora fasciato per le fresche ferite, sentì un fremito corrergli lungo la schiena, nella piccola tenda senza luci, "Chi è la?", domandò subito il ragazzo, guardandosi intorno, prima che una sagoma apparisse dal nulla ed accendesse, quasi come se il calore potesse generarlo con le mani, una candela, sul tavolo di fianco al piccolo letto del piccolo monarca.
"Salute a te, Re d’Africa.", disse un uomo dai lineamenti quanto mai strani per i canoni del ragazzo: la pelle era chiara, quasi giallognola, gli occhi, simili a quelli di un falco con il loro colore dorato, erano leggermente curvi, tipici di quelli che il suo mentore e padre, Olokun, avrebbe definito un asiatico dell’estremo Oriente.
"Chi sei?", domandò ancora una volta Ogum, "Ti portiamo i nostri saluti e ti offriamo un’alleanza, per il bene delle tue terre, prima, e del mondo tutto, in seguito.", continuò una seconda voce, ma quando il giovane si volse per osservarne l’origine, vide solo un volto coperto da una maschera, una maschera senza lineamenti alcuni, una superficie riflettente e metallica, completamente anonima.
"Chi siete voi? E che tipo di alleanza potreste mai offrirmi?", incalzò ancora il giovane Re, complice l’adrenalina per il dolore e la sorpresa, che gli scorreva in corpo, mentre cercava di rialzarsi, ma fu l’asiatico a poggiargli una mano sulla spalla, respingendolo nel lettino.
"Placati, cucciolo di Leone, noi siamo amici e siamo qui perché tu sembri l’uomo più adatto per unirti a noi, o almeno sembra che potrai diventarlo. Abbiamo grandi aspettative su di te.", iniziò l’asiatico.
"Tu ci chiedi che alleanza potremo offrirti? Ebbene, noi potremo offrirti l’alleanza che permetterà alla tua terra di non correre più il rischio di essere invasa da conquistatori, o di essere distrutta dalle guerre intestine. Vuoi forse che venga un altro Tiamat in questi luoghi? E che nuovi Sagbata e Damballah si facciano vivi? ", incalzò ancora la figura mascherata.
Ogum, che ancora aveva vividi in mente i ricordi dell’invasione del primo e del tradimento dei secondi portava persino i segni freschi sul corpo, pensò solo alla possibilità di evitare che disgrazie simili ancora toccassero le sue terre, non si preoccupò di capire come quei due uomini misteriosi conoscessero così tanto di lui e delle disavventure capitategli.
"Cosa potete offrirmi? Avete forse un esercito con cui pacificare queste terre?", domandò il giovane, ormai ben cosciente che, con le sole buone azioni, non sarebbe stato possibile portare la pace in Africa, "No, giovane Re, per ora ciò che potremo darti è il nostro favore …", tagliò corto l’uomo mascherato.
"Il vostro favore? E cosa siete? Divinità forse?", li schernì il fanciullo, a quelle parole, prima che un cosmo impressionante, pressoché infinito, scaturisse dall’asiatico, "Non divinità siamo, ma l’esatto contrario: uomini che vogliono liberare il mondo dagli dei!", esclamò secco questi.
"Ti offriamo di ottenere un potere vasto quanto questo, ma, per averlo dovrai prima compiere per noi delle missioni, alcune fondamentali, altre di minor valore, che, comunque, sarà necessario tu compia per noi. Ti daremo il potere e tu ci concederai il mezzo per ottenerne altro ancora.", propose l’uomo mascherato, porgendogli la mano.
Ogum fu un po’ incerto, ma poggiò la sua mano su quella del misterioso interlocutore, che lo aiutò ad alzarsi in piedi, lasciando quindi fluire un cosmo immane e fluido come la pioggia dal proprio corpo a quello dell’altro, recitando parole in una lingua che il Re d’Africa aveva sentito solo durante la guerra contro gli Ummanu.
Fu proprio nel sentire quella lingua che il giovane quasi cercò di sfilarsi dalla presa dell’altro, ma quello glielo impedì, intimandogli a gesti di calmarsi, mentre già il Sovrano si rendeva conto del nuovo potere che fluiva attraverso lui.
"Il potere che senti è il potere che apparteneva ad Ajok, divinità suprema del Sudan. Il rituale, invece, lo abbiamo appreso nelle terre che furono anche dell’uomo che cercò di usurparti il tuo ruolo per primo.
Molte divinità già si sono dovute piegare alla nostra presenza, abbandonando questa terra, altre, più potenti, attendono di ricevere un destino simile, ma per questo ci servirà anche il tuo aiuto, Re d’Africa.", spiegò l’uomo mascherato.
"Che cosa volete da me?", domandò visibilmente sbalordito Ogum, "Vogliamo che riformi il tuo esercito, che prepari te stesso e le tue armate e, quando sarai pronto, dovrai cercare qualcosa per noi, prima di intraprendere la guerra che porterà gli uomini a liberarsi dalla prima e più grande delle differenze che fanno scatenare gli odi e le invasioni: le divinità. Impediremo alle divinità di controllare ancora il destino degli uomini, così, prima di tutto, eviteremo che le genti tutte si dichiarino ancora guerra per le loro differenze di culto e cultura; poi tu solo, con il tuo esercito, manterrai l’ordine nel mondo, un mondo che il nostro piccolo gruppo di eletti guiderà verso la libertà.", propose l’asiatico con tono sicuro.
"Accetta di allearti con noi e non solo l’Africa, ma il mondo intero troverà la pace.", concluse poco dopo, "Dovrai combattere e soffrire ancora un po’, ma alla fine ci sarà la pace.", insistette l’altro, lasciando ad Ogum il tempo di pensare.
Il giovane africano, però, non aveva bisogno di rifletterci: aveva visto troppa povertà e disperazione nei suoi primi anni di vita, aveva assistito al tradimento verso i suoi ideali da parte di due africani ed all’arrivo di un dittatore di altre terre presso di loro e voleva evitare che tutto ciò succedesse di nuovo, anche se questo gli fosse costato se stesso. Sarebbe diventato il Re giusto che Olokun voleva, ma anche il grande uomo che avrebbe portato alla pace l’Africa, come Buluk gli aveva augurato un tempo.
"Accetto la vostra alleanza, come Ogum, il Re d’Africa.", affermò lui, ricambiando la stretta di mano dell’uomo mascherato, "Bene, Sovrano d’Africa, d’ora in poi ti potrai considerare alleato di Temujin e Giano, e con loro libererai il mondo dalle divinità!", concluse l’altro.
Un rumore di passi, pochi istanti dopo, fece voltare il giovane monarca che, d’improvviso, si ritrovò di nuovo solo nella sala, prima che quei passi si rivelassero come Mawu, la figlia di Buluk.
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"Dopo quel giorno, riformai il mio esercito, cercando le persone adatte a farne parte, poi iniziammo la nostra lunga campagna di guerre, pronti a combattere per ottenere la pace che tanto agognavamo.", terminò il Leone Nero, rivolgendosi ai suoi nemici.
"E pensi di aver trovato ciò che cercavi, Re d’Africa?", incalzò allora Juno, "Le genti delle tue terre sono ancora dilaniate da guerre intestine; potrai aver tolto loro le divinità, ma non per questo le differenze! La violenza può forse essere sedata con la violenza? No, ciò che ottieni è una pace falsa, che attenderà solo che una forza ancora più forte si faccia avanti, per mostrare il proprio vero aspetto.
Un popolo che combatte per difendersi dall’invasione di un nemico, probabilmente, desidera solo la pace, ma un popolo che invade per primo, anche se parla di azione difensiva, si nasconde dietro una menzogna e questo è ciò che tu hai fatto finora.", lo accusò infine il cavaliere di Cerbero.
"Belle parole le tue, che hai abbandonato le tue origini africane per seguire una divinità greca! Ma ora basta parlare, saranno le azioni a decidere chi ha torto e chi ragione!", sentenziò deciso il Leone Nero, sollevando di nuovo le braccia sopra il capo ed incrociando i polsi.
"Cavalieri, abbiamo una sola possibilità per sopravvivere a questo attacco. Uno spiraglio che potrebbe forse salvarci, ma dovremo collaborare tutti assieme.", esordì Ludwig del Centauro, volgendosi poi verso ognuno dei compagni, a dir lui cosa fare.
"Criniera del Sovrano!", ruggì Ogum, scatenando il proprio attacco più potente, "Adesso, cavalieri!", ordinò secca la voce di Amara.
"Rinsavisci dai tuoi sogni di fanciullo, Re d’Africa! Aufflackern des Marfikent!", urlò per primo il santo di origini austriache, "Floios Trion Epikefales! Per la vera pace!", gli fece eco il discepolo di Cefeo, "Broké Fotismou! In nome dei compagni caduti per la Giustizia", aggiunse la sacerdotessa di Canis Maior, "Trigono Ouranou! Chiuditi su costui!", terminò il cavaliere del Triangolo.
I poteri congiunti dei quattro seguaci di Atena riuscirono a rallentare la potenza offensiva del colpo nemico, ma non ad interromperne la corsa devastante.
"Adesso, Gustave, Iulia!", esclamò il discepolo di Munklar, ai due compagni che già s’erano spostati sui due fianchi.
"Lent Requiem! Perché i tuoi movimenti siano bloccati!", decantò con voce ferma il musico francese; "Martagonae Mortis! Affinché anche il tuo cosmo si quieti!", aggiunse la sacerdotessa allieva del Sommo Sacerdote.
I fili d’energia raggiunsero indisturbati i nervi del nemico, così come i bianchi gigli ebbero modo di crescere attorno a lui, complice l’impossibilità per il Sovrano di interrompere l’afflusso d’energia al suo stesso attacco, ma fu proprio quella la sua debolezza: lasciando liberi i due fianchi permise alla melodia della Lyra di indebolirne il corpo, mentre il cosmo che correva al tornado devastante fu rubato dai poteri dell’Altare, lasciandolo indifeso quando la potenza del suo stesso attacco venne meno, rendendolo facile preda per la combinazione delle forze degli altri nemici restanti.
Ogum non poté opporsi e fu investito pienamente da quel nuovo colpo, che distrusse quasi per intero le vestigia del Leone Nero, prima di gettarlo al suolo, nel suo stesso sangue.
"Abbiamo vinto? È dunque finita?", domandò, stanco per il lungo sforzo, Gustave, osservando i compagni con volto compiaciuto, "Ed ovviamente è solo grazie a me.", aggiunse, ricevendo uno sguardo costernato da parte di Ludwig e Juno.
Tutti e tre i cavalieri, però, dovettero subito ritornare a volgersi verso il loro comune nemico, quando questi si rialzò, seppur a fatica.
"Cerchi ancora la battaglia, Re d’Africa?", domandò deciso Amara, ma quello non gli rispose, piuttosto, a fatica, si spostò, raggiungendo il corpo senza vita di Mawu e rimase immobile ad osservarlo.
"Tutto ciò che volevo era la pace per la mia terra, ma non potrò ottenerla dunque.", sussurrò con rammarico Ogum, prima di volgersi verso i nemici, "Che sia la vostra Giustizia, o il nuovo ordine che i miei alleati voglio creare, spero che i vincitori diano alla mia terra la pace che non ho potuto donarle.", affermò secco, chinandosi a fatica e raccogliendo il corpo di Mawu fra le braccia.
"La battaglia qui in Polinesia è conclusa. Come già in Mesopotamia, voi avete vinto.", aggiunse, cosciente che anche lo scontro di Maui s’era ormai concluso; "Non sottovalutate, però, ciò che vi aspetta: Giano, Temujin ed i loro alleati sono nemici ben più potenti di quanto possiate mai pensare. Io ho conosciuto la sconfitta, oggi, ma anche voi la proverete nei giorni a seguire, siatene consapevoli.", vaticinò infine, lasciando esplodere il proprio cosmo.
"Non rinnego nessuna delle mie scelte!", ruggì Ogum, prima che l’energia che lo circondava toccasse il più alto picco possibile, esplodendo devastante e lasciando solo una voragine lì, dove fino a pochi istanti prima si trovavano i corpi del Re Nero e della sua più fedele seguace.
Così spirò il Sovrano d’Africa, ultimo Re dell’Esercito dei Savanas.
Così finì la guerra nei cinque Avaiki.