Capitolo 33: Re della Savana
Quando la porta, da lui stesso aperta, si chiuse, lasciandolo nella sala con i sette cavalieri d’argento, il Re dell’Esercito Nero non si curò minimamente dei nemici che aveva dinanzi a se, piuttosto volse lo sguardo verso il corpo senza vita di Mawu del Mamba Nero, riverso, supino, a terra.
Con estrema calma e gentilezza, quasi non fosse circondato da degli avversari, il Re si chinò verso il suo Primo Artiglio, voltandone il volto verso il cielo e sistemandone con delicatezza i capelli scompigliati.
"Quindici anni, una promessa così lunga è dunque giunta al termine?", domandò l’uomo verso il corpo senza vita dinanzi a lui, prima di prendere le mani di lei, poggiando lui stesso il ginocchio sinistro al suolo e stringendo il suo pugno destro a quello di lei.
Per diversi secondi rimase così, immobile, poi poggiò le loro mani unite sulla fronte di Mawu e quindi lasciò che anche la sua fronte toccasse quei pugni chiusi assieme, in costante silenzio.
"Ho perso la ferocia, ho perso i miei vizi, l’orgoglio e la morale si sono distrutti fra loro, ciechi verso il bene più grande, ma più di tutto ho perso il cuore, in questo giorno infausto.
Sarai sempre nei miei pensieri, amica d’infanzia, concluderò ciò che abbiamo iniziato quindici anni fa, ma alla non ci sarà nessuna promessa più da mantenere, nessun focolare cui tornare, niente, oltre la solitudine del mio titolo di Re. E Re resterò, se questo è il destino che per me ho scritto, chiedendoti di diventare il mio Primo Generale.", concluse, lasciando la presa sulla mano di lei ed alzandosi in piedi, prima di sciogliere il legaccio che teneva chiuso il mantello, costituito dalla pelle di un leone albino, rivelando così ai sette santi di Atena le vestigia celate al di sotto dello stesso.
L’armatura era nera, come quelle di tutti gli altri membri del suo esercito, ma, rispetto alle altre, molto più minacciosa ed elegante, a dir poco, regale.
Il pettorale era costituito dalla testa del leone, la cui ampia criniera ricopriva la zona delle spalle, dei pettorali e l’intera schiena; il volto della fiera africana, poi, cingeva la zona dell’addome, gli occhi guardavano feroci al nemico, mentre le fauci costituivano la cintura e la protezione per l’inguine.
Il tronco del Leone, poi, costituiva il resto delle spalliere e parte della protezione per braccia e gambe, fino, rispettivamente, a gomiti e ginocchia.
Le zampe, poi, coprivano gli arti, con i tre artigli di ognuna d’esse che si congiungevano alle parti del corpo del Leone, coprendo per intero il Re d’Africa, le cui mani erano celate da guanti dalle affilatissime lame, create con i taglienti denti della fiera.
Sulla testa, infine, una corona, creata con la coda del Leone, s’accomodava fra i rossi capelli, ma, la cosa più strana, si trovava proprio sotto la sua testa, al collo: una criniera. Una criniera fatta con capelli di molteplici individui a coprire quella zona del corpo del Sovrano.
Fu solo dopo aver coperto Mawu con il candido mantello, che gli occhi neri come la notte del Sovrano d’Africa si volgessero, finalmente, ai cavalieri di Atena.
"E’ un uomo solo, noi siamo in sette, è vero, siamo quasi tutti feriti, ma potremo avere facilmente ragione di lui, se cooperiamo come abbiamo fatto poc’anzi.", suggerì, come scosso da quello sguardo penetrante e selvaggio, nella sua regalità, Rudmil della Corona Boreale.
"Come abbiamo fatto poc’anzi, cavaliere? In tre abbiamo faticato a sconfiggere Nyame, che era solo un soldato del suo esercito; in quattro, con un Areoi al nostro fianco, abbiamo vinto sul suo Quinto Generale grazie al sacrificio del cavaliere di Scutum; ed ora, anche se eravamo addirittura in nove, considerando anche i guerrieri sacri alle divinità polinesiane, se non fosse stato per l’intervento del santo del Triangolo, non avremmo avuto possibilità contro il Primo dei Generali dello stesso esercito di cui questo nostro nemico è il Re.
Non sottovalutiamolo, sarebbe un errore fatale, temo.", sottolineò Iulia dell’Altare.
"La sacerdotessa ha ragione. Costui è probabilmente il più forte fra i guerrieri che si trovano in questo tempio subacqueo che dovremo affrontare e, per quanto ora anche il cavaliere del Triangolo sia al nostro fianco, le nostre forze sono ridotte dalla stanchezza delle passate battaglie.", concordò Ludwig del Centauro, guardando ai compagni che, come lui, era per la maggior parte feriti.
"Non possiamo però indietreggiare, non ora, di certo. Un solo nemico ci resta da affrontare, non cedere lui il passo.", rimarcò, però, Juno di Cerbero, con l’unica sfera chiodata ancora fra le mani.
"Né credo che lui ci lascerebbe andare: nel suo sguardo è evidente, vuole la nostra morte per aver distrutto le sue schiere.", aggiunse Cassandra di Canis Maior, che rivedeva nel nemico la stessa sofferenza che la attanagliava dalla morte della sorella.
"Puoi dire ciò che vuoi, femmina, ma l’albino ha ragione: lui è uno, noi siamo sette. E non sia mai che un discepolo del grande Remais di Cancer si faccia abbattere da un singolo nemico, specie quando in vantaggio, nemmeno se questo è un Re!", borbottò con disappunto Gustave della Lyra, pronto a continuare la battaglia, mentre, ancora in silenzio, Amara del Triangolo ascoltava i parigrado ed osservava il comune nemico.
"Mi superate in numero?", domandò d’un tratto la voce del Re Nero, ripetendo il concetto esposto da due degli avversari, "Sono solo uno?", continuò, lasciando esplodere un vasto, vastissimo, cosmo oscuro.
"Sappiate che ho dato ordini ad un esercito di guerrieri, ho creato un esercito di guerrieri, quando ero poco più che un fanciullo, e per quindici lunghi anni ha guidato quello stesso esercito in una serie senza fine di battaglie, battaglie che si univano per diventare delle guerre da cui uscivo sempre vincitore.
Mi sono alleato con due uomini capaci di primeggiare con gli dei per virtù cosmica, e come loro anch’io ho sviluppato un sempre maggiore potere, divorando divinità su divinità, cancellando culti lungo il mio cammino, lasciando solo la realtà di un mondo dove gli uomini sarebbero stati gli unici sovrani. Ed io sono uno di quei Sovrani!", ruggì d’improvviso a pieni polmoni e la voce di Leone d’Africa parve riempire non solo la sala, ma anche le menti e gli spiriti dei cavalieri, facendoli tremare fin nel profondo.
"Sono Ogum, il Leone Nero, Sovrano d’Africa, Re dei Savanas. Se Ntoro, il mio quinto Generale, era la guida spirituale che cingeva nel Guscio Infinito gli spiriti dei guerrieri caduti, perché ritornassero, infine, alle loro case, io ero, anzi sono, il Re di quello stesso gruppo di spiriti, di anime, che mi hanno giurato la più completa fedeltà.", sentenziò ancora l’africano, l’aria ormai pregna del suo potere cosmica.
"Dite che vi combatto da solo? Ebbene, sciocchi servi di una divinità europea, osservate l’immenso potere dell’Esercito Nero. Osservate: Re della Savana!", ruggì infine Ogum e l’emanazione del suo cosmo brillò oscura, accecando nelle tenebre più complete i sette santi di Atena per diversi secondi, prima che tutto tornasse visibile.
Quando la luce, però, tornò negli occhi dei cavalieri d’argento, non vollero quasi credere a ciò che vedevano: il cosmo di Ogum aveva preso una forma, anzi, ne aveva preso cento diverse, una per ognuna delle bestie che venivano rappresentate dalle armature dell’Esercito Nero! I cavalieri di Atena erano adesso circondati!
Il discepolo di Vladmir dell’Acquario fece un incauto passo verso una sagoma dalla forma di facocero e questo bastò perché la stessa esplodesse, ma non fu l’onda d’urto a travolgere Rudmil, quanto piuttosto l’energia cosmica, manifestatasi sotto forma di un affilato artiglio, che lo colpì, danneggiandone le vestigia e schiantandolo a terra.
"Come i miei cinque generali erano diventati i miei Artigli, così, attraverso questa immane manifestazione del cosmo che negli anni ho sottratto alle diverse divinità, ognuna delle creature che costituivano i Savanas è diventata un mio Artiglio.
Cento Artigli, Novantanove ormai: ditemi, sciocchi seguaci di una divinità europea, potete ancora dirvi in vantaggio numerico?", domandò beffardo Ogum, osservando i suoi nemici confrontarsi con le diverse belve, più o meno grandi.
Ludwig del Centauro osservava con preoccupazione alle diverse creature che ora lo circondavano: erano quattro, felini e canidi da quel che vedeva, ma la cosa più grave era che erano solo una piccola parte del vasto numero di animali che circondava il gruppo di cavalieri.
L’austriaco era allievo di Munklar del Sagittario, come tale si considerava un ottimo cacciatore, ma in quella situazione le sue doti di cacciatore gli sembravano veramente poca cosa; tanto più che ormai il corpo era stanco, stremato dalle lunghe battaglie: prima lo scontro con Kohu, poi la battaglia insieme allo stesso Areoi contro l’Elefante Nero ed il Rinoceronte, quindi la fuga dal guerriero della Genetta ed in seguito la battaglia contro l’Anguilla traditrice, fino alle battaglie contro il Terzo ed il Primo Generale.
Era ferito, sanguinante, ma non poteva arrendersi: doveva trovare un modo per abbattere quelle emanazioni cosmi e, assieme ad i compagni, vincere quello che era il loro ultimo avversario! Non poteva arrendersi, Wolfgang, o il suo maestro, di certo non lo avrebbero fatto, lui non poteva essere da meno, doveva solo concentrarsi e riflettere sulla migliore strategia per la caccia; peccato che in quel momento lui fosse la preda, circondata da quattro predatori, e non il cacciatore.
"La Volpe, il Licaone e l’infido Leopardo, tutti della Terza Armata, tutti caduti nelle diverse campagne di battaglie precedenti al nostro arrivo qui, in Polinesia, al contrario dello Sciacallo Striato, che contro uno di voi, guerrieri europei, ha perso la vita.", esordì Ogum, osservando Ludwig circondato dalle quattro emanazioni del suo cosmo.
Un sorriso cupo si dipinse sul volto del cavaliere del Centauro: quelli che aveva davanti erano tutti spettri di nemici già caduti, nemici morti in battaglie precedenti, come ciò che, per quel che gli era stato detto nei pochi minuti in cui si erano consultati prima dell’attacco a Mawu, avevano dovuto affrontare i santi di Atena che avevano combattuto contro il Generale della Quinta Armata.
Fu a quei ricordi che un’idea balenò nella mente dell’austriaco, un’idea folle, ma, in qualche modo, potenzialmente utile, di certo più efficace di quanto avevano ottenuto contro il Primo Artiglio.
L’avvicinarsi di una di quelle sagome, però, fece scuotere dalle sue elucubrazioni mentali Ludwig, che espanse il caldo cosmo: non poteva lanciarsi direttamente contro quelle bestie, aveva visto contro Rudmil di cosa erano capaci, quindi avrebbe utilizzato un metodo più contenitivo per contrastarli.
"Kreis des Agena!", invocò il discepolo di Munklar, sferrando il globo di fuoco in cui le quattro creature energetiche furono inghiottite, esplodendo in artigliate, che fra le fiamme si persero, mentre il giovane cavaliere riatterrava al suolo, cercando con lo sguardo chi, dei propri compagni, avrebbe potuto aiutare in quella strategia, ma non avvedendosi di come altre tre di quelle creature gli saltassero alle spalle, investendolo con violenza e dilaniando schiena e vestigia, fino a gettarlo a terra.
"Genetta, Ghepardo e Gatto Africano, dalla Terza Armata è giunta per te la sconfitta, primo europeo a cadere!", esclamò divertito il Leone Nero nel vedere Ludwig al suolo.
Cassandra di Canis Maior, al pari dei compagni, era circondata quelle entità cosmiche, ma non poteva fare a meno, forse contrariamente a tutti gli altri, a sentire su di se il peso della frustrazione: aveva vinto sul Gorilla, aveva aiutato, per quel che le era stato possibile, la sorella a sconfiggere il Nibbio Reale, erano assieme sopravvissute all’attacco dell’Orice, grazie all’aiuto di un parigrado, ma poi l’aveva vista sacrificarsi per impedire che il Comandante della Seconda Armata le uccidesse entrambe; ed ancora era stata salvata dal Quarto Artiglio grazie all’intervento dell’Areoi del Narvalo, mentre ben poco aveva potuto fare contro il Primo Generale, se non supportare gli altri e vedere, Tara di Diodon, che le aveva procurato un po’ di riposo in quella lunga serie di battaglie, cadere contro il Mamba Nero.
Frustrazione, ecco ciò che sentiva: per Agesilea, per Tara, persino per i compagni che ora, come lei, erano circondati da quelle bestie d’energia cosmica! Voleva fare qualcosa, ma non sapeva cosa, voleva riuscire a colpire, ma non sapeva come, doveva assolutamente trovare la forza per attaccare ancora, ma non riusciva a capire dove trovarla e questo la demoralizzava oltremodo.
Quando ancora la mente della giovane greca vagava nei baratri della propria disperazione, la guerriera fu colpita alle spalle da qualcosa, che la investì, dilaniando la spalliera sinistra, o ciò che ancora ne restava, e facendola inginocchiare dal dolore; "Il Cefo, che fu un membro della Prima Armata, ha avuto facile preda da colpire, a quanto pare, ma ad altri spetterà finirti, europea con la maschera in volto!", la ammonì Ogum.
Cassandra, però, nello spasmo di dolore che la colpì, per quanto indebolito dall’effetto del veleno del Diodon, non ascoltò le parole del nemico, né vide i quattro roditori d’energia cosmica che ora la circondavano, no, la sua mente vagò verso un’altra meta, verso un tempo più lontano, seppur solo per qualche secondo.
"Ebbene? Sei ancora lì, immobile al suolo, sorella? Hai sentito la nostra maestra, no? Devi avere fiducia negli uomini e prima di tutto in te stessa! Io non potrò essere sempre con te, a darti vigore, forza, volontà di combattere! Devi trovare da sola la determinazione per continuare a difendere la Giustizia!", sussurrò una voce e Cassandra era certa che fosse quella della sorella, ma non sapeva se si trattava di un ricordo, o di qualcosa di diverso, eppure sentiva, come spesso accadeva in passato, la presenza della sorella minore, così raggiante, sicura di se, persino ribelle sotto certi aspetti, e sempre scapestrata.
"Agesilea!", la chiamò, "E chi altro potrebbe essere? Se non fossi io ad insistere, tu probabilmente non ascolteresti mai le parole della nostra maestra! Sono la più piccola, quella che sbaglia più spesso…", ammise quella voce con una certa timidezza, "ma di una cosa sono sempre stata sicura: di te, Cassandra, sono sicura delle tue capacità e darei la vita mille volte per fare in modo che tu possa ancora combattere e dare il meglio di te per la nostra dea, quindi, fallo, sorella! Brucia al massimo il tuo cosmo, oltre le sofferenze del corpo, oltre i dubbi della mente e dello spirito, dà fondo alla Fede che da sempre ti contraddistingue e colpisci, con quanta più forza hai in corpo!", esclamò ancora una volta la voce.
A quelle parole, la sacerdotessa di Canis Maior riprese contatto con la realtà e vide dinanzi a se le quattro creature a forma di roditori: "Anghellos Fotou!", invocò, scatenando la furia della stella Mirzam, dilaniando quelle concentrazioni d’energia e lasciando quindi esplodere il proprio cosmo, con una tale luminosità che, per qualche breve istante, nemmeno lei si riconobbe, se non fosse che il ricordo delle parole appena sentite scacciò quel piccolo dubbio, come la luce manda via l’ombra, permettendole quindi di evitare due più grossi animali, prima di colpirli con il medesimo attacco, disperdendone il potere.
Non s’avvide, però, la sacerdotessa guerriero, di un istrice ai suoi piedi, che si tramutò in un’artigliata ascensionale, schiantandola poi al suolo, sanguinante. "Hai saputo eliminare la Lepre ed il Pangolino Gigante della quinta armata; il Gerboa e la Talpa Dorata della Seconda; il Mannis Temnicki della Quarta; il Dendrohyrax della Prima, ma è basta l’Istrice, della stessa armata, per avere di te ragione.", la schernì il Re d’Africa, osservando anche il secondo dei nemici al suolo.
Gustave della Lyra era, a dir poco, disgustato! Lui era il discepolo del grande Remais di Cancer, eppure, al contrario dei compagni d’arme, o comunque di individui che come lui avevano ottenuto il grado di cavalieri d’argento, era circondato non da minacciosi felidi, o da temibili volatili, o da massicci mammiferi, no, da insetti!
Se non fosse stato per l’ordine diretto del proprio maestro, non si sarebbe gettato in quella serie di battaglie, non avrebbe rischiato la vita, che gli era tanto cara, nel duellare con individui così insulsi, com’era stata la sua prima nemica, una femmina dalle insegne dello Sciacallo Striato, e dopo di lei un traditore di quei guerrieri polinesiani, l’Areoi dell’Anguilla, e subito dopo il Terzo Comandante, un verso selvaggio a suo dire, e poi un’altra femmina, la Prima dei Comandanti, una mostruosità per quanto era innaturalmente forte rispetto a lui.
Ora, dopo tutte quelle battaglie, che ne avevano segnato le vestigia in modo offensivo, oltre ad averlo ferito nel corpo, si trovava circondato da tre insetti: una grossa formica, uno scarafaggio e qualcosa che gli assomigliava parecchio, tre creature orrende.
"Il Dorylus, la Formica Schiacciatrice della Quinta Armata, colui che dirigeva i Plotoni Formica; il Golia, lo scarabeo della Quarta ed il Coleottero, appartenente alla stessa. Che siano questi insetti ad eliminarti, seguace di divinità europee!", minacciò Ogum, che sul musico aveva portato la propria attenzione.
Gustave, però, più che ad una dea che mai aveva conosciuto, rivolgeva la più assoluta devozione al maestro che l’aveva cresciuto, lo stesso che gli aveva affidato per primo quella missione, le cui specifiche erano state solo in seguito espresse dal Sommo Sacerdote d’Atene, un vecchio a cui lui non doveva niente; e fra le cose che Remais gli aveva insegnato vi era anche una tecnica che era assieme difesa e, in qualche modo, attacco, una tecnica che ora avrebbe usato.
"Reticulum Vif!", cantò suonando le dolci note il cavaliere d’argento, liberando la melodia Vivace con cui impedì che quelle tre creature lo raggiungessero e lasciò che la potenza di tali artigli si perdesse sulla difesa musicale, che fu scossa, ma non crollò dinanzi a tale potenza offensiva.
"Questo è il meglio che sai fare, Africano? Ti definisci un Re, ma non sembri capace di così grandi azioni! Forse il tuo esercito, come te, era solo stato fortunato, finora!", lo schernì il francese, prima che, in un galoppo scalpitante, quattro figure spuntassero dal nulla, saltando contro la barriera musicale ed investendola con devastante potenza, tanto da superarla, seppur solo in parte, ferendo alle mani il cavaliere d’argento e lasciando che lo strumento musicale cadesse dalle stesse, prima che una quinta sagoma scavalcasse il punto dell’attacco, investendo in pieno sterno il santo d’Atena, dilaniandone le vestigia e gettandolo al suolo, a diversi metri di distanza, gravemente sanguinante.
"Dunque quelle erano le tue ultime parole, insulso ed egocentrico omuncolo? Il Tenrec della Quinta Armata, il Dik Dik, l’Antilope ed il Lichi della Quarta, forse sarebbero bastati a scacciare via lo sgarbato sorriso che mi volgevi, ma ho deciso che fosse l’Orice a finirti, della medesima legione!", ringhiò deciso il Sovrano d’Africa, allontanando lo sguardo dal musico sanguinante a terra.
Juno di Cerbero, al pari dei compagni, era circondato, ma, forse più di tutto loro, aveva ricordi lontani che tornavano alla mente nel vedere, fra le diverse entità d’energia cosmica, una dalla forma di salamandra.
Ricordava il misterioso nemico che, assieme a Nirra, Husheif e soprattutto al maestro Edward, aveva combattuto, di come il loro insegnante, il santo di Cefeo, alla fine avesse detto loro di allontanarsi, che si sarebbe occupato da solo di concludere quello scontro, e di come, poco tempo dopo si fosse ammalato.
E, più di tutto, gli tornò alla mente il ricordo del suo ultimo dialogo con il moribondo maestro: era giusto il giorno successivo alla discussione che Husheif ed il comune insegnante avevano avuto, non un litigio, semplicemente una chiacchierata di cui il santo di Reticulum non aveva voluto mettere a parte i suoi compagni d’addestramento; così, spinto quasi più dalla curiosità e dal dubbio, il giovane secondo discepolo di Cefeo, s’era mosso verso la stanza dove l’insegnante riposava e lì aveva atteso che quello si svegliasse, in assoluto silenzio, vegliandolo, come spesso faceva anche Nirra, ed aveva fatto persino l’egizio compagno.
"Cosa ti porta qui al fianco del tuo stanco maestro, Juno?", aveva chiesto, con la gola piena di sangue raggrumato, che ne inaspriva la voce, "Il dubbio, maestro. So che in un giorno come questo, in un momento in cui lei soffre e noi, suoi discepoli, dovremmo solo cercare di aiutarla a non soffrire più del necessario, so che i miei dubbi sono fuori luogo, ma cosa le ha chiesto Husheif? Perché da quando ha parlato con lei sembra ancora più… ecco, chiuso?", domandò allora il giovane allievo.
"Se il mio primo discepolo, per tempo passato con me, è la ragione, fra voi tre, tu sei di certo il cuore, che pulsa istintivo ed agisce, spesso senza nemmeno riflettere troppo.", lo ammonì con tono bonario, la voce piegata dal dolore che lo affliggeva, "In fondo, però, proprio per questo vostro dualismo nel modo di agire vi ho sempre infinitamente apprezzato, miei discepoli, Nirra è più chiusa rispetto a voi, meno capace di attingere al coraggio per seguire la mente, o il cuore, spero che in questo un giorno possiate aiutarla.", continuò Edward, tossendo dolente.
"Non posso dirti ciò di cui ho parlato con Husheif, Juno, se un giorno vorrà, sarà lui a parlartene, di sua iniziativa, ma non voglio che dalle mie azioni le tre vite a cui tengo maggiormente subiscano danno.", concluse.
"Quale danno, maestro? Cosa può succedere al cavaliere di Reticulum?", chiese il secondo degli allievi, "Il rischio più grande di tutti: che chiudiate il cuore alla Giustizia. Husheif spero che un giorno maturi, ma temo che, almeno per ora, si affiderà alla ragione, che lo rende si potente, ma altresì fin troppo spietato e privo di quello stesso amore per la Pace che ho cercato di trasmettervi, lo stesso che mi ha donato il mio insegnante.
Tu, al contrario, nella tua istintività, temo che tu possa confondere la Giustizia, che Atena reclama in ogni azione dei suoi cavalieri, con qualcosa di diverso, qualcosa che può corrompere… la vendetta.", spiegò sibillino Edward al discepolo, ma poi non continuò oltre, lasciando interdetto, allora, l’allievo, che solo ora vedeva la verità nelle parole del suo insegnante.
Juno, infatti, non era stato capace di uccidere la guerriera del Mamba Nero, ma non poteva negare a se stesso che, nel combattere già contro l’Orice, poi nel duellare assieme alle sacerdotesse contro il Secondo Generale, in tutti quei momenti il suo unico interesse, il suo vero nemico, fosse solo uno: Mawu, per quanto ancora non la conoscesse.
Non sapeva, il giovane santo di Atena, se le sue azioni erano state ottenebrate dal quel desiderio, ma di una cosa era certo: la mente lo era stata! Aveva tanto desiderato contro il Mamba Nero da non riflettere contro l’Aquila Urlante, dal gettarsi alla cieca contro Mawu e restare ferito, anziché riuscire a portare a termine dei veri attacchi; probabilmente, se non fosse stato per Tara di Diodon, prima, e per i compagni giunti in suo soccorso, dopo, anche lui sarebbe caduto contro quella potente avversaria.
Non poteva negare la sofferenza che aveva avuto nel cuore per così tanto tempo, tramutatasi in desiderio di quella che aveva definito giustizia, alla scoperta della verità, ma il maestro Edward, che tanto aveva venerato, non doveva guidare le azioni che lui avrebbe compiuto con la sua morte, ma con ciò che gli aveva trasmesso da vivo. Questa la conclusione a cui era giunto, mentre un largo numero di quelli che sembravano dei rettili, ormai, lo circondavano.
"Il Naje Haje, la Ceraste Cornuta, tutti della Prima Armata; insieme a loro, il Coccodrillo Nero, simbolo di un invasore, ma anche membro della Seconda delle mie schiere e con loro, dal Quarto Plotone l’Annandia, la vile Aspide e la Salamandra.
Ecco le schiere che ti scacceranno via, come già i tuoi compagni!", lo ammonì d’un tratto Ogum, prima che il giovane cavaliere d’argento lasciasse espandersi il vorticoso cosmo, liberando l’ultima sfera chiodata rimastagli.
"Stomas Catastrophas!", invocò allora il discepolo di Cefeo, liberando le correnti d’aria che circondavano le sfere chiodate ed investendo le creature d’energia cosmica, fino a disperderle attorno a se.
Fu però con grande sorpresa di Juno che qualcosa gli si attaccò alla schiena, frantumando parte delle vestigia e lanciandolo a terra, ferito: due profonde artigliate ne segnavano ora la pelle, sanguinando copiose.
"L’Agama ed il ben più caro, per me, Camaleonte, della Prima Armata anche loro, ecco chi di te ha avuto ragione, piccolo uomo!", lo derise il Leone Nero, volgendo ai nemici restanti la propria attenzione.
Iulia dell’Altare si guardò attorno: un Elefante, un Rinoceronte ed un Ippopotamo già la circondavano ed altre creature si stavano aggiungendo. La sacerdotessa d’argento aveva avuto modo di notare come tutte quelle creature, se tali si potevano definire, avessero un alto potenziale distruttivo, a contatto con i loro bersagli, e lei, come i suoi parigrado, era il bersaglio di quei nemici.
"Speciosae Scudis!", invocò allora l’allieva del Sommo Sacerdote, sollevando la barriera di rossi petali, anche se, ancora, non avvertiva il proprio cosmo potente com’era stato durante le passate battaglie: aveva dato tutta se stessa nel combattere l’Istrice, prima, il Ghepardo poi ed infine il Quinto Generale; altrettanto aveva fatto contro il Primo Artiglio.
Contro Mawu, però, era accaduto qualcosa di inatteso: quando aveva cercato di assorbire l’energia cosmica della nemica, ne era rimasta avvelenata, infettata, a dir poco, in un modo tale da stordirla ed indebolirla persino, qualcosa di diverso da quanto mai aveva provato fin dal suo primo uso del giglio bianco, su Raphael dei Pesci, che volontariamente le aveva donato ciò che restava del suo cosmo.
Ora, invece, doveva confrontarsi contro l’energia cosmica che il più potente dei nemici mai da lei affrontati, il Sovrano dei Savanas, aveva sottratto per quindici lunghi anni alle diverse divinità del mondo, lungo la serie di battaglie combattute, mentre loro, i santi di Atena, cercavano di scoprire da dove avesse origine il rituale, e la setta, di uomini che sottraevano le divinità al mondo, i cosiddetti Ladri di Divinità.
Fu solo riflettendo su questo fatto, però, che la sacerdotessa si rese conto di come, ironia della sorte, ciò che stava affrontando era un potere in qualche modo simile a quello da lei usato per tanti anni: come lei incanalava e custodiva all’interno delle vestigia dell’Altare il cosmo dei suoi nemici, dopo averlo loro sottratto tramite i bianchi gigli di cui era padrona, così il Re Leone aveva assorbito e custodito il potere cosmico di diverse divinità, solo in parte verosimilmente, ed ora lo stava liberando contro di loro, utilizzandolo per dare vita ad un esercito di belve di pura energia.
Questa riflessione portò la giovane italiana a due domande, ben più rilevanti.
La prima riguardava il modo in cui aveva assorbito quella divina energia: se il nemico africano ne aveva mantenuto per se solo una parte ed il cosmo delle divinità era di certo ben più vasto di quello umano, allora il più di quel potere così immenso a chi era andato? Per che fine era stato raccolto? Per rendere più potenti coloro che nell’ombra avevano guidato le azioni del Leone Nero, del suo alleato in Polinesia e dell’uomo che aveva assorbito la divinità del Sole nelle terre accadiche?
Il secondo dubbio, invece, era più immediato e, soprattutto, se Iulia avesse potuto avere conferma alla sua domanda, avrebbe forse ribaltato le sorti della battaglia: poteva lei assorbire il cosmo, tanto vasto, con cui Ogum aveva saturato l’intera zona? Quello stesso cosmo che si presentava sotto varie forme, ma, alla fine, era il potere che il Leone Nero aveva rubato alle divinità e fatto suo?
Questi due dilemmi, però, non ebbero facile risposta, poiché le tre creature cozzarono contro il manto rosso difensivo, segnandolo con profonde artigliate, ma perdendosi nel farlo, mentre, non vista, una più piccola creatura investì Iulia, attirata dall’impatto di un quarto animale d’energia sui rossi petali.
Quella singola piccola lama che la ferì, però, bastò per far barcollare la sacerdotessa, che cadde in avanti, preda di una zebra ed un dromedario, che le saltarono addosso, investendola con la violenza di due artigliate, schiantando anche lei al suolo, come già i suoi compagni.
"Ottime difese le tue, donna mascherata, hanno retto alla Giraffa, all’Elefante, al Rinoceronte della Quinta Armata e persino al Bufalo Nero della Quarta, ma è bastato il piccolo Fennec della Seconda, perché i suoi compagni, il Dromedario e la Zebra, avessero di te ragione!", la ammonì il Sovrano dei Savanas, vedendo anche quel nemico ormai a terra.
Rudmil della Corona Boreale era circondato da volatili: aveva già utilizzato il Kolito, gli anelli del Ghiaccio, subito dopo aver subito il primo attacco da un grosso facocero, ma non era certo di quanto la sua tecnica difensiva potesse essere efficace contro tali nemici, che, ora, gli ronzavano attorno da ogni direzione.
Il giovane cavaliere di origini russe era ferito; tutti i suoi scontri, da quello iniziale con il Pesce Balestra traditore degli Areoi, per poi continuare contro il Ghepardo, prima, ed il Quinto Generale, dopo, lo avevano indebolito nel fisico, fiaccato a dir poco e, più di questo, lui era certo di non essere riuscito poi in molto da solo, se non nello sconfiggere, con una certa fortuna, il primo dei nemici affrontati.
Nemmeno contro il Primo Artiglio aveva potuto poi tanto, se non bloccarne per breve tempo le azioni, concedendo ai compagni lo spazio per attaccare realmente la comune avversaria.
Ancora una volta, com’era successo quando era arrivato ad Atene e, in minor modo, durante quella missione, Rudmil si ritrovò a valutare se stesso in funzione dei propri difetti, anziché delle proprie vittorie, nel considerarsi non così freddo e calcolatore come il maestro voleva che egli fosse, ben lontano dai livelli di autocontrollo che Leif aveva raggiunto, ma, proprio quando lo sconforto lo stava assalendo, il giovane cavaliere d’argento si guardò attorno e vide cinque dei propri compagni in quella missione a terra, feriti, ricordò gli altri due che già erano caduti, Agesilea e Vincent.
E fu quel ricordo, quella coscienza di non essere responsabile solo della propria vita, la stessa coscienza che aveva portato i due compagni a sacrificarsi per un bene più grande, a dargli il fuoco della determinazione per non accettare la sorte che vedeva aleggiare attorno a se nella forma di quelle creature d’energia cosmica.
"Kolito!", esclamò il giovane cavaliere, lasciando che gli anelli di ghiaccio si sciogliessero dalla loro forma protettiva, chiudendosi su una sorta di farfalla che gli svolazzava vicino e su un orrido volatile che mai prima aveva visto in vita sua.
La protezione circolare si chiuse sulle due entità, lasciando che l’artiglio che essi celavano dirompesse, frantumando la sottile superficie di ghiaccio e colpendo, così, un terzo bersaglio energetico, la cui potenza si perse sul terreno.
"Complimenti, pallido europeo, con un solo attacco hai avuto ragione della Licenide, della Prima Armata, del Balaeniceps Rex della Quinta e del Pipistrello Gigante della Seconda, ma proprio da quella riceverai ora, ben più nemici!", lo minacciò il Leone Nero, che su di lui aveva spostato la propria attenzione.
Si mossero, quasi in risposta a quelle parole, altri volatili, che veloci si dirigevano contro Rudmil, ma il cavaliere d’argento lasciò esplodere il gelido cosmo di cui era padrone, reso deciso dalla consapevolezza di quante vite dipendevano anche dalle sue azioni, "Diamond Dust!", invocò, scatenando la Polvere di Diamanti e colpendo quelli che sembravano un corvo, un avvoltoio ed un gufo, prima che, veloce ed inatteso, lo stesso discepolo dell’Acquario fosse colto alle spalle da un’altra entità energetica, che lo gettò a terra.
"Hai avuto ragione del Bucorvus, del Gyps e della Civetta, della Seconda Armata, ma è bastato il prode Nibbio Reale, per schiacciarti, come i tuoi compagni, prima di te.", lo etichettò alla fine il Re Leone, a cui restava un solo nemico da vincere.
Amara del Triangolo era l’ultimo ancora in piedi dei cavalieri d’argento.
Il santo di origini indiane ben sapeva che i suoi compagni e parigrado erano stremati dopo le diverse battaglie, in fondo, fra tutti, lui era colui che meno aveva combattuto, affrontando solo la Giraffa e, infine, il Primo Artiglio, mentre ognuno dei parigrado che fin lì lo avevano accompagnato, aveva sul proprio corpo i segni di ben più che due avversari affrontati.
Questo, sommato al potere del nemico che avevano dinanzi a loro, un individuo che aveva assorbito in se parti di diversi cosmi divini, lo rendevano ben consapevole dell’azzardo compiuto nell’utilizzare il proprio colpo migliore contro la Prima dei Comandanti d’Africa, anziché lasciare quella medesima forza integra per il Sovrano delle stesse schiere.
Fra le cose che, però, il giovane Amara aveva appreso dal maestro Samadhi, vi era anche un’estrema abilità nel concentrarsi, nel liberare il proprio cosmo nel momento richiesto e, altrettanto abilmente, condensarlo di nuovo, in funzione di un nuovo attacco da dover portare.
La presenza di quattro grossi primati, però, che già circondavano il cavaliere del Triangolo, non rendevano altrettanto facile questo tipo di esercizio meditativo, però.
"Il Colobo Reale, lo Scimpanzé, la Bertuccia ed il Babbuino, tutti della Prima Armata, tutti caduti in questo stesso Avaiki; credi che basteranno per vincerti, ultimo dei seguaci della divinità europea? Oppure preferisci che il Gorilla, il Lemure ed il Mandrillo della Terza si uniscano a loro, così da essere spazzato via da una ben più vasta unità di attacchi?", domandò beffardo Ogum, mentre già il numero di primati arrivava a sette.
Il cavaliere di Atena, però, non parlò, semplicemente disegnò con le mani un simbolo geometrico e dal suo cosmo proruppero due sole parole: "Trigono Pneumatos!", creando quella stessa barriera difensiva che già aveva usato nei precedenti scontri, seppur con risultati diversi nei due casi.
Bastò che le prime due di quelle creature d’energia cozzassero contro il muro difensivo, perché lo stesso andasse in pezzi, procurando una prima ferita, seppur non particolarmente profonda, al santo del Triangolo, che si ritrovò ad indietreggiare sanguinante, pronto all’inevitabile ultimo scontro, ma, altresì, deciso a non arrendersi dinanzi al nemico.
Fu allora che due voci echeggiarono attorno a quelle bestie di pura energia cosmica, due voci femminili: "Bulbifera Solis!", invocò la prima, liberando dei gigli color arancio che esplosero, portando con loro due di quelle creature; "Kunegos Fotismou!", aggiunse la seconda, lasciando che un segugio di luce abbattesse altri due di quelli nemici d’energia.
Solo il Gorilla era rimasto, ma non ebbe nemmeno il tempo di attaccare il cavaliere del Triangolo, poiché rapida una catena con una sfera chiodata si chiuse attorno a lui, "Koklo Timorias!", esclamò una voce maschile, lasciando che anche quel primate si perdesse, con la propria potenza offensiva, mentre già Juno, Iulia e Cassandra si affiancavano al loro parigrado, seguiti da Ludwig, che sosteneva Gustave e Rudmil nell’avvicinarsi agli altri.
Ora i sette cavalieri d’argento erano l’uno appoggiato alla schiena dell’altro, circondati da circa la metà delle entità d’energia che, inizialmente, avevano invaso quello spiazzo, segnati nel corpo dalle molteplici ferite di quella guerra, ma pronti a vincerla.
"Io ho un piano, ma se qualcuno ha delle strategie più sicure della mia, che si faccia anche avanti.", propose d’un tratto Ludwig, senza che il suo sguardo si distaccasse dal pinguino che zampettava a breve distanza da lui.
"Probabilmente, prima di proporre qualcosa di diverso, cavaliere, dovremmo sentire il tuo, di piano.", lo ammonì l’emanazione cosmica di Amara, il cui sguardo era puntato su una mangusta che era ferma dinanzi a lui.
"Hai ragione, santo del Triangolo. Bando alle ciance, comunque, come qualsiasi cacciatore che si trova dinanzi ad un branco di prede troppo vasto perché se ne possa occupare da solo, ciò che dobbiamo fare è: distribuirci dei ruoli.
Le esche, i supporti ed il cacciatore realmente armato; questi saranno i ruoli che noi sette dovremo dividerci; spero che siate pronti per fare qualsiasi cosa vi proponga, dato che rischieremo di certo molto.", esordì il giovane santo del Centauro.
Per ancora qualche istante, i sette discussero fra loro su come agire, finché non arrivarono ad un’idea su cui tutti concordarono e fu allora che, per primo, proprio il discepolo del Sagittario lasciò esplodere il caldo cosmo di cui era padrone, spiccando un salto per poi gettarsi fra alcune delle bestie d’energia, "Aufflackern des Marfikent!", esclamò, liberando il più potente dei suoi attacchi, che travolse ben quattro di quelle creature, disperdendole in un’ondata di calore ed impedendo che il loro potenziale offensivo venisse usato.
Non ci vollero, però, che pochi istanti perché altre dieci di quelle entità d’energia, cinque per lato, si gettassero su Ludwig, pronte a colpirlo; "Broké Fotismou!", esclamò allora Cassandra scatenando sul fianco destro il reticolo di luce di cui era padrona, "Floios Trion Epikefales.", le fece eco Juno, abbattendo i nemici che giungevano dalla sinistra del comune compagno d’arme.
"Ora, andate, cavalieri!", urlarono i tre ai loro quattro parigrado, che rapidi li sorpassarono, correndo verso il Leone Nero.
Ogum si accorse, senza neppure tanta sorpresa, dei quattro avversari che, impavidi, correvano contro di lui, quasi dimentichi delle trenta e più bestie che ancora restavano a contrastarli e, difatti, quattro fra quelle si diressero verso i cavalieri, pronti a colpirli, ma furono preventivamente investite da una serie di veloci ed incandescenti calci infuocati: "Galopp des Rigil!", invocò Ludwig, "Anghellos Fotou!", continuò la sacerdotessa di Canis Maior, quando il globo di luce da lei generato si combinò con i fendenti del Centauro che, diretti non verso le belve d’energia, ma contro l’attacco della stella Mirzam, permisero allo stesso di generare un ancor maggiore effetto distruttivo.
Ora il Leone Nero aveva evidente dinanzi a se il piano dei nemici: i tre che ora stavano attaccando le varie entità d’energia cosmica, dovevano difendere i loro compagni intenti ad attaccarlo!
Ogum compianse la stoltezza di quei nemici, che, ai suoi occhi, si agitavano come formiche per cercare di abbattere una mandria di bufali, ma non per questo ridusse la propria attenzione dai quattro che verso di lui correvano, pronto a colpirli ed a porre fine a chi aveva distrutto il suo esercito ed ucciso anche il Primo dei suoi Generali.
Quando uno di quei guerrieri congiunse le mani dinanzi a se, disegnando con le dita la figura di un triangolo, già il Re Nero era pronto: "Trigono Anatoles!", invocò l’emanazione cosmica di Amara, scatenando il proprio attacco, ma trovò a sbarrarvi il passo una tartaruga d’energia, la cui potenza, simile ad un artiglio, cozzò contro il Triangolo d’Oriente, disperdendone la forza.
Il cavaliere d’argento d’origini indiane, però, sorrise a quelle immagini, poiché vide il nemico concentrarsi su di se e non accorgersi, almeno non subito, dell’arrivo, sui suoi fianchi, di Rudmil e Gustave, che già espandevano i propri cosmi.
Fu il musico francese il primo ad agire, "Serreé Modéré!", cantò, iniziando a suonare la melodia andante con la lira che teneva in mano, lasciando che già, veloci, i fili d’energia si stringessero attorno al nemico e fu solo allora che Ogum verso di lui si volse, ringhiando furioso, mentre una Locusta si gettava sui fili che bloccavano il Re Nero, liberandolo.
Non ebbe però il tempo di gioirne l’africano, poiché lesto agì anche Rudmil: "Aurora Circle Avalanche!", esclamò il santo della Corona Boreale, scatenando la gelida corrente che congelò braccia e gambe del Nero Sovrano, seppur solo per qualche attimo, poiché già il feroce Fosa si gettava a liberare il proprio creatore, mentre un’Aquila Urlante si lanciava in picchiata contro il cavaliere d’argento.
Nessuna delle due azioni, però, ebbe mai termine, poche parole le interruppero: "Martagonae Mortis!", declamò, infatti, Iulia dell’Altare, prima che ben sette bianchi gigli nascessero sulle vestigia e sul corpo del Nero nemico, il cui cosmo parve far fiorire veloci quei candidi petali, di una tonalità variegata.
"Cosa speri di fare, donna? Assorbire tutto il potere che ho preso dalle divinità sconfitte in quindici lunghi anni? Folle tu sei!", ruggì determinato Ogum, ma l’avversaria non aveva orecchie per le sue parole, semplicemente, la sacerdotessa guerriero stava cercando di controllare l’assorbimento di quei molteplici cosmi, che erano sopiti e piegati all’unica, e sempre presente, feroce energia del Leone Nero.
Fu proprio con un ruggito che questi, alla fine, stanco di quella situazione così costringente, lasciò esplodere tutta la forza di cui era padrone, distruggendo il ghiaccio che lo imprigionava, disperdendo i sette cavalieri d’argento attorno a se, dilaniando i bianchi petali dei gigli e facendo, al qual tempo, scomparire le creature rimaste, la cui potenza, però, parve non investire nessuno, quasi aleggiasse nell’aria attorno a tutti i presenti.
L’onda d’urto, comunque, riuscì a sbalzare indietro persino il Nero Sovrano.
I cavalieri di Atena, a poco a poco, si riebbero; il primo a rialzarsi fu Ludwig del Centauro, che si volse verso i compagni, notando come tutti, da Juno e Cassandra ai quattro che s’erano lanciati contro il nemico, stessero riprendendosi, ma, più di questo, il discepolo di Munklar avvertì qualcosa di diverso dentro di se e, con un sorriso, si rivolse all’allieva del Sommo Sacerdote.
"Sacerdotessa, ci sei riuscita dunque?", chiese semplicemente l’austriaco, "Sì, cavaliere, ho assorbito una discreta quantità di quel suo immenso cosmo nel momento stesso in cui lo ha lasciato esplodere, e fatto in modo che, in parte, disperdesse la furia delle bestie ancora rimaste e, in parte, rinfrancasse le nostre forze.", confermò Iulia.
"Siamo ancora feriti nel corpo, ma i cosmi sono ora più forti di prima.", esclamò lieto Rudmil, "Ed il Re Nero?", incalzò allora Juno, "Egli può ancora combattere, ma di certo non avrà più forze sufficienti per evocare questa devastante tecnica.", rispose la sacerdotessa dell’Altare.
"Dunque ora è solo un semplice guerriero? Al pari dei suoi Generali?", domandò beffardo Gustave della Lyra, "Non sottovalutarlo per questo, cavaliere, ricorda quante difficoltà ci ha dato sconfiggere anche una sola dei suoi Comandanti, se egli ha pari virtù la battaglia sarà comunque dura.", lo ammonì Cassandra, senza ricevere dall’altro alcuna attenzione.
"Hai ben detto, sacerdotessa di Canis Maior, la maggioranza numerica e l’egualità di forze a cui siamo ora giunti non deve darci troppe sicurezze.", confermò Amara, prima che un nuovo ruggito interrompesse l’emanazione del suo cosmo che parlava, un ruggito di pura furia, proveniente da Ogum.
"Le nostre forze sarebbero uguali?", domandò furioso l’africano, rimettendosi in piedi, "Non eravate prima, in vantaggio e non lo siete tanto meno ora!", li ammonì il Re Nero, per poi scomparire, muovendosi alla velocità della luce, da dinanzi ai loro sguardi.
Un urlo sordo fu ciò che portò tutti a voltarsi: Ogum aveva appena perforato con la mano sinistra la schiena di Rudmil dell’Aurora Boreale ed ora quella stessa mano compariva dalla zona del plesso solare.
"Io sono il Re d’Africa! Nessuno può considerarsi mio pari! Per il vostro errore, ora sarete tutti massacrati!", concluse deciso il Ladro di Divinità.
L’ultima battaglia nell’Avaiki, per i santi di Atena, stava per iniziare.