Capitolo 29: Il Primo Generale
Un fascio di luce si alzava verso il tetto dell’Avaiki da una delle tre vie che conducevano a lei, segno che la battaglia di Ntoro era ormai conclusa, primo fra tutti a cadere, ma in fondo ben lo sapeva che quel santone, quella sorta d’ingannatore per genti comuni, non avrebbe potuto fare molto non appena le difese della Testuggine Raggiata fossero venute meno. Il Quinto Generale era solo avidità, niente di più, era la debolezza del Sovrano d’Africa.
L’esplodere d’energia sul versante opposto, invece, le indicò che Acoran stava ancora lottando, di certo dava il massimo di se per il puro piacere di uccidere ed uccidere ancora; quello che era la ferocia del Leone Nero, l’istinto più infimo di un guerriero, sarebbe potuto essere un ottimo mezzo per guadagnare tempo e, magari, vincere qualche nemico fra i restanti.
Quello che però la sorpresa, fu la vista di una sagoma nera che scendeva in picchiata verso l’ultimo corridoio, lo stesso in cui si trovava Gu del Fosa; il dubbio che, dopo tanto tempo, moralità ed orgoglio si affrontassero, che i due modi diversi di onorare il Re Nero si scontrassero per scegliere se ammettere i propri errori, o andare avanti, decisi, nel proprio cammino, la assalì per qualche secondo, portandola a domandarsi quanti, e quali, avversari si sarebbe trovata davanti, ma quello stesso dubbio scomparve al risuonare dei primi passi.
Lei era il Primo Comandante, Mawu del Mamba Nero e per niente al mondo avrebbe deluso le aspettative del Sovrano che serviva da quindici anni, per niente al mondo il Primo Artiglio sarebbe caduto, lei aveva visto l’inizio del loro esercito, quindici anni prima.
Ancora lo ricordava: aveva solo quattordici anni, era una ragazzina, ma ciò che visse quel lontano giorno non lo aveva mai dimenticato.
Ricordava vagamente il Viceré, come si faceva chiamare, Olokun del Camaleonte, così come appena ricordava l’Usurpatore, Tiamat del Coccodrillo Nero. Era giunto da loro privo d’armatura, da territori che non facevano parte dell’Africa, reclamando però il diritto di guidare quelle truppe nel suo sogno di rivalsa e conquista, uccidendo il Viceré e padre putativo di Ogum e prendendo il controllo delle schiere che rispondevano solo a due persone: il Camaleonte ed il Mamba Nero, suo padre Buluk.
Mawu aveva vissuto nelle tende dell’accampamento africano la lunga guerra, di cui aveva solo ricordi confusi, troppo giovane per delineare le sagome di quei guerrieri d’Africa che persero la vita perché un usurpatore potesse prendere la propria vendetta su chi lo aveva scacciato, gli Ummanu, o qualcosa di simile.
C’erano, però, due cose che non avrebbe dimenticato mai del suo primo viaggio nelle terre dell’antica Mesopotamia: l’arrivo, in una calda mattinata afosa, e la fuga, confusionaria, piena di uomini feriti che a stento riuscivano ad avanzare per quelle terre che gli si erano rivelate nemiche, una fuga durante la quale intravide il corpo del proprio padre ed il giovane Ogum, con un mantello lacero a coprirne le vestigia, mentre con i due più fidati generali di Tiamat scortava il cadavere di Buluk.
I due generali erano Damballah dell’Aspide e Sagbata del Leopardo e furono proprio loro ad organizzare i pochi soldati rimasti per aizzarli contro chi, per diritto di nascita, poteva reclamare il titolo di Re dell’Esercito: Ogum.
Lei c’era, come tutta la gente di quel popolo, vide i due che, di comune accordo, presero di peso un ragazzino di quindici anni, privo persino delle proprie vestigia, e lo portarono al centro di un cerchio con tutti i pochi sopravvissuti a fare da spettatori e, assieme, da giudici.
"Quel codardo di Olokun, che lo ha cresciuto, non ha saputo salvarci dalle folli idee di Tiamat, per causa della debolezza dei nostri capi siamo stati sconfitti e costretti a fuggire verso le nostre terre natie!", li aveva istigati il Savanas dell’Aspide, "Non possiamo permettere che succeda di nuovo, non possiamo essere comandanti da un marmocchio e di certo io non mi prenderò l’impegno di crescerlo finché possa guidarci: già è stato danneggiato dalla logica malata di Olokun, Buluk e chissà, forse anche dal Coccodrillo Nero! Qualcuno di voi vuole rischiare con lui?", domandò di rimando il secondo e nelle sue parole c’era insita una minaccia di morte per chiunque avesse anche solo provato a difendere quel piccolo sanguinante ragazzino che ora sprofondava nella polvere e nelle sabbie del Sahara.
"Voi avete aiutato Tiamat, voi comandavate le sue truppe e date a me la colpa? Chi ci ha portato al fallimento non sono stato io!", sbottò il piccolo leone, alzandosi, per poi essere subito gettato al suolo da un calcio di Sagbata, che si accanì su di lui con violente pedate, piegandolo sulle ginocchia.
"Moccioso impertinente, non pensare che ti concederemo di fare ancora danno! Le vestigia del Leone Nero ti hanno scelto? Poco male! Le grandi divinità dell’Africa probabilmente volevano che ti dessi in pasto a quelle vestigia ed al nostro nuovo Sovrano, anzi, ai due che d’ora in avanti guideranno le nostre schiere.", continuò il guerriero del Leopardo, rivolgendo un ghigno complice a quello dell’Aspide.
Tutti erano concentrati su quella scena, solo la moglie di Buluk s’accorse della figlia che sfuggiva dalla sua presa, correndo al centro di quel cerchio di gente, lei che aveva giocato con il piccolo Ogum ogni giorno, da quando aveva appreso a camminare, lei che ascoltava rapita i sogni dell’Africa che un singolo Re avrebbe potuto creare, secondo le parole di suo padre.
Lei stava gettandosi verso una fossa in cui il piccolo leone rischiava di essere ucciso.
Quei ricordi furono interrotti nella mente di Mawu del Mamba Nero dalle sagome di tre nemici che si palesavano dinanzi a lei: era tempo di combattere.
Stava correndo da diversi minuti, non si era mai voltata: sapeva che i due cavalieri di Atena erano dietro di lei, resi più resistenti alle ferite subite grazie al suo veleno, ma gli unici passi che veramente voleva sentire, quelli non li udiva, i passi dell’amato, che li raggiungeva, la voce di lui che la rassicurava, niente di tutto ciò s’udiva, solo il rumore cadenzato del loro incedere, finché anche quello non s’interruppe, dinanzi alle maestose porte chiuse del salone del Comandante, lì una figura li attendeva, la figura di una donna dalle nere vestigia simili ad un serpente.
La guerriera aveva capelli color paglia che incorniciavano lo scuro volto con un solo occhio azzurro ed una vistosa cicatrice lì dove si sarebbe dovuto trovare il sinistro.
"Due fanciullini ed un’indigena, questi i primi nemici che mi sono toccati in sorte?", domandò, interrompendo il silenzio, l’africana, "Di certo, la sorte ama scherzare.", aggiunse, mantenendosi immobile nella propria posizione.
"Nessuno scherzo, Primo Comandante, noi siamo fin qui giunti per vincere su di te e sul tuo Sovrano!", ribatté il ragazzo fra i tre, facendosi avanti assieme alla parigrado con la maschera sul volto.
"Dunque sai chi sono eppure sei qui, straniero? Pronto ad incontrare la morte in soli sette passi?", chiese l’avversaria, avanzando di due passi, "Sì, sappiamo chi sei, Mawu del Mamba Nero.", continuò il cavaliere, espandendo il proprio cosmo, assieme alla parigrado, "Molto bene, dunque, allora voi chi siete?", incalzò ancora il Primo Generale, compiendo altri due passi avanti.
"Il mio nome è Cassandra di Canis Maior, sacerdotessa di Atena e sorella di Agesilea dell’Aquila, in questo Avaiki morta per permettermi di combattere ancora in nome della Giustizia.", esordì la guerriera ateniese; "Io sono Juno di Cerbero, cavaliere d’argento in nome di Atena ed allievo di Edward di Cefeo, per il tuo veleno morto, dopo aver salvato i suoi tre allievi dall’incontrarti, perché potessero ancora vivere e combattere in nome della loro dea.", continuò l’altro con tono deciso.
A quelle parole una leggera nota di sorpresa si dipinse sul volto dell’avversaria, mentre compiva altri due passi in avanti, "Dunque tu saresti stato graziato dall’incontrarmi, prima d’ora, grazie al sacrificio del tuo maestro ed ora getti alle ortiche tale dono? Sei un discepolo per nulla riconoscente devo dire.", lo criticò beffarda la donna.
"Che ne puoi sapere tu della riconoscenza che un discepolo ha verso il maestro a cui deve la vita?", ruggì infuriato Juno, fremendo dalla voglia di affrontare la causa della morte di Edward, ma non ricevendo alcuna risposta dall’avversaria che, intanto, stava espandendo il proprio cosmo e rilasciandolo lungo il piede sinistro, creando un leggero solco nel terreno dinanzi a lei, solco che poi, superò di un singolo passo.
"Ora sono a sette passi dalle porte che devo difendere, un limite che nessuno di voi, anzi, che nemmeno io, sorpasserò, prima che in questa sala non siano morti tutti i nemici. Ma non temete, molto prima che possiate raggiungere questa distanza, la morte vi avrà già raggiunto a sua volta, attraverso me!", minacciò decisa Mawu, sollevando lo sguardo azzurro e dirigendolo verso i due cavalieri d’argento, che si lanciarono all’attacco, senza attendere l’Areoi che fin lì li aveva accompagnati.
Un sorriso si accennò sul volto della guerriera nera, scattando in avanti: vide la sfera chiodata lanciarsi contro di lei, ma non ebbe problemi ad abbassarsi e colpire con un violento diretto sinistro l’addome di Juno, sportosi in avanti per attaccare, sbilanciandolo verso il suolo; poi fu la mano sinistra di Mawu a muoversi, aggrappandosi alla lunga catena di Cerbero e sollevando di peso il giovane cavaliere, fino a schiantarlo contro la sacerdotessa guerriero, gettandoli entrambi indietro, alla posizione da cui erano partiti.
I due santi di Atena, però, furono veloci nel rialzarsi, ora che il dolore del corpo era intorpidito, sbalordendo persino l’ultimo Generale, che attese, a quel punto, di vedere cosa sapessero fare, quando, lasciando esplodere i loro cosmi, comunque fiaccati dalla fatica, si prepararono ad attaccare assieme.
"Stomas Catastrophes!", invocò il giovane cavaliere dell’Isola di Andromeda, "Anghellos Fotou!", gli fece eco la sacerdotessa guerriero di Atene, sferrando all’unisono i vortici d’aria ed energia connessi all’ultima sfera chiodata e l’ammasso di luce della stella Beta di Canis Maior.
Mawu del Mamba Nero si lanciò addosso ai due attacchi diretti contro di lei: con innegabile sinuosità riuscì a passare attraverso le correnti d’aria delle tre Fauci del Guardiano demoniaco, sfuggendo del tutto all’assalto senza apparenti difficoltà, fu poi incredibilmente veloce nell’evitare l’ondata d’energia luminosa della Stella Beta del Cane Maggiore, portandosi così a pochi metri dai due nemici, che ora aveva con facilità raggiunto e colpendo con un veloce calcio destro in pieno stomaco la sacerdotessa guerriera, prima di voltarsi, poggiare il piede al suolo e su quello fare perno per compiere una piroetta e sferrare un secondo calcio, diretto al volto del santo d’argento che volò a diversi metri di distanza, sanguinante.
"Guerrieri europei!", esclamò a quel punto Tara di Diodon, facendosi avanti, ma fu il rialzarsi di Cassandra, per prima, a fermarla, subito seguito dalle parole di Juno: "Lascia ancora combattere noi, Areoi, te ne prego. Se dopo l’aiuto che ci hai dato, facendoci recuperare le forze, non potessimo almeno concederti del tempo per riprendere anche tu vigore e riversare un colpo finale a costei, non saremmo degni del nostro titolo di cavalieri.", esordì il discepolo di Edward di Cefeo.
"Ebbene, dopo tutte le belle parole su chi è morto per darvi modo di combattere, è questo il vostro piano? Semplicemente prendere tempo perché quella singola indigena colga i segreti dei miei attacchi e poi li usi contro di me? Vi faccio notare che in due aspetti la vostra strategia ha già fallito.", sottolineò impassibile Mawu, lanciandosi di nuovo all’attacco.
Juno fu il primo ad essere preso di mira, mentre sferrava un colpo con la sfera chiodata, colpo che andò a vuoto, permettendo alla velocissima e sinuosa guerriera di scivolare lì dove le spire della catena non arrivavano per colpirlo a braccio aperto sul collo; "Il primo problema della vostra tattica è che non avete ripreso le forze, semplicemente, da ciò che posso vedere, non avvertire stanchezza e fatica, ma questo non significa che esse non ci siano!", esclamò la Prima Comandante, osservando un nemico cadere al suolo ed avvertendo un rumore che la raggiungeva dall’angolo cieco.
Con destrezza, Mawu sferrò un calcio lì dove non poteva vedere, riuscendo a colpire alla nuca la sacerdotessa d’argento, che cadde frontalmente contro il terreno, prima che l’avversaria infierisse con un secondo calcio, a martello, al centro della schiena; "In più, anche se sentite le menti leggere, non siete di certo avvezzi a concentrarvi a sufficienza da potenza il vostro cosmo, o forse ne avete usato fin troppo negli scontri precedenti per avere ancora forze a sufficienza da usare contro di me!", concluse il Primo Generale, avvertendo il rumore delle mani dei due guerrieri nemici che raschiavano il terreno, annaspando per rialzarsi.
L’ultima rimasta del Nero esercito si distanziò con un balzo, così da averli entrambi nel suo ristretto campo visivo, osservando i loro cosmi che s’accendevano di nuovo, pronti a tentare qualche altra tattica: "Kunegos Fotismou!", invocò la sorella di Agesilea, "Koklò Timorias!", aggiunse l’allievo di Edward di Cefeo, sferrando all’unisono i due attacchi, accesi da nuova determinazione.
Rapida come già s’era dimostrata, Mawu si spostò per evitare le fauci d’energia di Lelalpo, il segugio divino, passando da una parte all’altra dell’ampia sala, sempre mantenendo la propria attenzione divisa fra l’attacco della guerriera nemica e la catena del suo compare, che ancora s’agitava nelle sue vicinanze, desiderosa di intrappolarla.
"Sapete, poi, qual è stato finora il vostro secondo errore, giovani seguaci della dea Atena?", incalzò d’un tratto il Primo Generale, fermandosi ed attendendo che la catena con la sfera chiodata si chiudesse attorno a lei, intrappolandola lì dove le fauci dell’altra avversaria avrebbero preso il luogo dell’arma andata distrutta, "Il vostro errore è stato credere che la vostra alleata indigena potesse apprendere qualcosa sui miei colpi segreti, poiché finora non ho usato uno di essi per combattere.", li ammonì, espandendo un cosmo color viola oscuro, che s’andava innalzando dalle sue braccia, "Finora.", ripeté un’ultima volta.
L’energia che circondava le braccia s’allargò, divorando le fauci del segugio e disperdendone il potere, quasi sciogliendolo nel nulla, "Lasciate che vi mostri da dove nasce il nome del serpente di cui indosso le vestigia: dall’interno della sua bocca.", continuò decisa Mawu, sollevando le braccia sopra il capo, incurante della corrente energetica, "Palato Nero!", esclamò con determinazione, calando le braccia lungo i lati e liberando due ondate di oscura e venefica energia che cozzò contro la corrente d’aria, disintegrandola e danneggiando vistosamente la catena, che subito Juno ritrasse, onde evitare di perdere anche la sua seconda arma, lasciando così, involontariamente, sia se stesso, sia Cassandra, alla mercé di quel singolo attacco, troppo veloce perché qualcuno dei due potesse bloccarlo.
In quel momento Mawu iniziò a fischiettare.
***
Durante la marcia che li aveva riportati dalle terre Mesopotamiche fino ai deserti egizi, la giovane Mawu aveva sentito quel fischiettare quasi allegro per tutto il viaggio, da parte di coloro che si davano il cambio nel trasportare i cadaveri dei feriti; anche in quel momento, mentre si lanciava a soccorrere l’amico, il sovrano, il ragazzino che suo padre aveva difeso a costo della vita, nella testa della quattordicenne, vi era quel motivetto orecchiabile ma lugubre.
Damballah e Sagbata osservarono stupiti quella sagoma esile gettarsi in mezzo fra loro ed Ogum e portarsi a difesa del giovane sovrano, subendo lei stessa alcuni calci, prima che il guerriero dell’Aspide fermasse il suo alleato, portandosi davanti alla ragazzina: "Figlia di Buluk, togliti di mezzo!", fu l’ordine secco che diede alla giovane Mawu, ma lei non si mosse, alzando le braccia e coprendo con la propria sagoma quella dell’amico alla vista dei due, "Vuoi rischiare la tua vita per lui? È colpa sua se tuo padre è morto!", la ammonì Sagbata, indicando furioso chi c’era dietro la ragazza africana.
"No, mio padre è stato ucciso dai nostri nemici, nemici che abbiamo attaccato perché guidati da un usurpatore, che ci ha costretto a seguirlo. La colpa è del Coccodrillo Nero, non di Ogum, se mio padre è morto. I soldati d’Africa sono andati per lo più incontro alla morte, perché quelli rimasti non si riuniscono? Perché vi attaccate a vicenda, anziché supportare chi potrà ridarci quel futuro e quella pace che tutti vogliamo? Troppe morti ci sono …", ma non riuscì a finire il suo discorso la ragazzina, poiché uno schiaffo violento da parte di Sagbata la colpì alla guancia sinistra, gettandola a terra, di fianco al giovane leone.
"Non vogliamo ancora molte morti, ragazzina, una sola: quella del cosiddetto Re prescelto per le nostre terre! Troppi stupidi ci hanno comandato negli anni.
Olokun, Tiamat, Buluk, basta con questi sciocchi che seguono sogni e folli idee!", lamentò il guerriero del Leopardo, sferrando un nuovo calcio verso Ogum, che indietreggiò, scivolando di nuovo sulle ginocchia, prima di rialzarsi, infine, sanguinante dalle labbra per i colpi subiti, dolorante all’addome ed alla schiena, ma capace ancora di tenere alta la testa, dinanzi ai due che, ormai gli era chiaro, volevano ucciderlo.
"Vuoi uccidermi? Bene, Sagbata, provaci pure! Ma non coprirti dietro menzogne! Il mio maestro e padre Olokun mi ha cresciuto, tramandandomi la grandezza e la saggezza di cui era padrone, trasmettendomi il suo sogno di un’Africa unita ed in pace: forse sbagliava nei modi, forse nel suo non prepararsi come guerriero, ma solo come stratega era stato troppo ottimista, come l’arrivo dell’usurpatore ha dimostrato, ma lui agiva per il bene del nostro continente.", esclamò il giovane Leone, prima che il guerriero del Leopardo sferrasse un pugno allo stomaco del ragazzo, per zittirlo, ma quello, dopo qualche passo indietro, riprese a parlare.
"Il nobile Buluk mi è stato accanto, mi ha supportato, mi ha addestrato al pari di mio padre! Lui ha fatto in modo che Tiamat non mi uccidesse, poiché ero troppo debole per impedire da solo che il Coccodrillo Nero avesse ragione di me, così è stato il guerriero del Mamba a salvarmi, costringendo se stesso a seguirlo …", stavolta fu Damballah ad interrompere il giovane Ogum: "Costringendo tutti noi a seguirlo per colpa tua!", obbiettò il combattente dell’Aspide.
"Non è vero!", ribatté subito il giovane leone, "Non vi siete sentiti costretti: ho visto voi due confabulare con l’Usurpatore, eravate suoi alleati!", ringhiò, mentre la figlia di Buluk si rialzava affiancandosi a lui, memore di uno dei discorsi fra i suoi genitori in quel territorio di guerra dove erano stati fino a pochi mesi prima: "Sì, ricordo anch’io i dubbi di mio padre su alcuni dei Generali dell’Esercito che s’erano alleati con l’Usurpatore per il proprio tornaconto. Voi siete quei traditori, vero?", domandò decisa la ragazza, prima che Sagbata gli mollasse un secondo ceffone, gettandola quasi addosso ad Ogum, che le impedì di cadere al suolo, sorreggendola.
"Esercito d’Africa, o ciò che ne rimane, a chi volete credere? A due ragazzini, troppo deboli per capire come veramente va il mondo, troppo sciocchi, cresciuti in fantasie e speranze che nemmeno erano loro, oppure a due veri Generali delle vostre armate? A chi ha la forza per far prevalere le proprie parole?", domandò con tono minaccioso Damballah, lasciando spirar attorno a se il proprio venefico cosmo, che vibrò nell’aria, allontanando tutti i presenti.
Ed in fondo, chi si sarebbe posto a difesa dei due ragazzini? Un gruppo di reduci di una guerra mai voluta, combattenti che erano stati messi assieme da Buluk ed Olokun, che assieme formavano il cuore e la mente dell’Africa, ma che erano stati entrambi sradicati dalla feroce volontà di vendetta e conquista dell’Usurpatore, Tiamat.
Di tutto questo, Ogum e Mawu si rendevano conto e forse fu proprio quella consapevolezza a far nascere una nuova determinazione nel giovane leone, che subito controbatté a quelle minacce verso l’esercito.
"Dunque deve essere la forza a sancire chi davvero comanda e chi no? Deve essere il potere ad indicare chi deve essere il vero Sovrano? Sia, il Leone è il Re della Foresta non per la natura regale, ma per la grande virtù che possiede come cacciatore e per la sua potenza; anch’io mostrerò di possederli!", esclamò deciso il giovane africano.
"Queste le tue ultime parole? Bene, marmocchio! Se reclami potere, il potere ti schiaccerà, il mio!", ringhiò Sagbata, lanciandosi all’assalto con gli affilati artigli, che arrivarono rapidissimi addosso ad Ogum, abbattendolo al suolo.
"No!", urlò sgomenta Mawu, lanciandosi verso il guerriero del Leopardo, ma venendo intercettata da Damballah, che la colpì con un veloce fendente di mano al volto di lei, gettandola a terra, sanguinante vicino all’altrettanto ferito giovane leone.
"Avrei preferito tenerti con me, figlia di Buluk, non ti avrei addestrata, come forse tuo padre voleva, ma ti avrei tenuto con me, ora, invece, morirai come il re a cui il Mamba Nero aveva dato fiducia.", concluse secco il guerriero dell’Aspide, sollevando di nuovo la mano, pronto a prendere la vita della ragazzina.
"Mio padre, il nobile Buluk, l’intero esercito … dite che è colpa della mia debolezza se sono morti?", mormorò con voce roca Ogum, cercando di rialzarsi, "Ebbene, accetto le mie colpe, se devo essere un Sovrano, devo saper assumere le responsabilità delle mie azioni e delle mie debolezze. Forse, se avessi avuto più forza, avrei potuto vincere il Coccodrillo Nero, ma ora non capiterà di nuovo, non permetterò che l’egoismo di uno distrugga le forze residue d’Africa!", ruggì, sollevando il capo e lasciando scivolare verso il suolo delle ampie macchie di sangue che provenivano da dei tagli alla gola abbastanza profondi.
"Tu sei l’egoista che deve morire, ragazzino!", ringhiò Sagbata, lanciandosi su di lui, ma l’attacco non arrivò mai a segno, poiché, in un’esplosione d’energia, il cosmo del Leone Nero si sprigionò e delle mani del Leopardo non rimase che della carne maciullata, sparsa sul terreno attorno a lui.
Con un secco movimento della mano destra, il Sovrano d’Africa sferrò un’artigliata che amputò la gamba destra dell’altro, costringendolo ad inginocchiarsi malamente sulla sola sinistra, grondante sangue, prossimo allo svenimento ed urlante per il dolore delle ferite subite.
A quella vista, Damballah rimase inizialmente impietrito, poi iniziò a correre, intimorito, dirigendosi verso la folla, pronto ad oltrepassarla, ma con la sorpresa generale, una sagoma oltrepassò il guerriero dell’Aspide, circondandolo in un cosmo nero e vischioso, che costrinse il secondo dei due alleati ad inginocchiarsi a sua volta, annaspando in cerca d’aria.
La sagoma che l’aveva superato, si rivelò essere quella di Mawu, con il volto sfregiato dal taglio subito, ora guardava all’altro, al suolo: "Mio padre aveva iniziato ad addestrarmi e che seguace sarei io per il Re in cui lui credeva se morissi senza nemmeno provare a difenderlo, o a difendere l’onore di mio padre stesso?", domandò la fanciulla, mentre, nello stupore generale, proprio Damballah moriva avvelenato.
In quel momento, il ritmo fischiettante risuonava nella mente, piena di orgoglio e sofferenza assieme, della giovane Mawu.
***
"Sfera di Aculei!", queste parole interruppero la melodia che la guerriera del Mamba Nero fischiettava ed i ricordi che aveva portato alla sua mente, costringendola ad osservare una sorta di globo energetico fatto di aculei che s’espandeva attorno all’indigena, spostatasi a difendere i due giovani cavalieri d’argento, bloccando così il Palato Nero, che andò a conficcarsi su quella protezione acuminata ed altrettanto velenosa.
La potenza del veleno che stava cozzando contro quello del Diodon aveva dell’impressionante, per ciò che stava avvertendo Tara, l’Areoi corsa in difesa di Juno e Cassandra: già contro Akuj della Licenide, la barriera venefica aveva dimostrato delle debolezze che mai la sua padrona avrebbe immaginato, permettendo ad una piccola parte del veleno nemico d’insinuarsi nel corpo di lei, che solo grazie alla particolarità della propria natura aveva saputo contrastare quel colpo inatteso, ma stavolta la Sfera di Aculei stava letteralmente sciogliendosi!
Certo, reggeva all’attacco, impedendo che sia la polinesiana, sia i due seguaci di Atena fossero colpiti da quelle ampie fauci nere, ma ad ogni nuovo contatto fra le due forze, era quella dell’Areoi che ne usciva danneggiata, riducendosi di proporzioni a poco a poco: quello era il potere di chi aveva addestrato Akuj, colei che veramente possedeva un cosmo venefico, il Primo Generale d’Africa.
Alla fine, però, il confronto fra le due forze si concluse con una situazione di stallo, da cui ambedue le guerriere uscirono illese, rivolgendo l’una lo sguardo verso l’altra.
"Prendi dunque tu il posto di quei giovani? Il cosmo che possiedi è più affine al mio, il che ti permetterà di reggere maggiormente lo scontro, forse.", analizzò impassibile Mawu, osservando l’avversaria e le sue buffe vestigia, ricordando com’erano altrettanto sgraziate quelle dell’ultima Areoi che aveva ucciso.
"Voi guerrieri di questo tempio subacqueo avete uno strano modo di unire l’utile delle vostre armature alle forme delle creature del mondo acquatico.", commentò beffarda, "Già una tua simile che è caduta sotto i miei colpi aveva un’armatura altrettanto orrida, Parò della Conchiglia, mi pare, si chiamasse.", affermò la Prima Comandante, osservando lo sguardo infuriato dell’altra.
"Assassina, come tutti i tuoi simili!", ruggì di rimando Tara, puntandole contro l’indice accusatore e rilasciando una nube venefica attraverso le vestigia, nube che s’andò condensando attorno a lei nell’ammasso velenoso che usava per attaccare: "Aculei Venefici! Colpite!", ordinò secca.
Mawu sorrise, rimanendo immobile, a braccia conserte, in attesa che l’attacco nemico la avvolgesse, intrappolandola al suo interno.
"Areoi, ce l’hai fatta!", esclamò stupito Juno, rialzandosi ed aiutando la parigrado a fare altrettanto, "Non ne siate tanto sicuri!", esclamò di rimando una voce proveniente dalla muraglia di aculei in cui era rimasta chiusa l’ultima dell’Esercito Nero, prima che, in due fendenti di scura energia, quella stessa trappola fosse distrutta, rivelando la figura illesa della guerriera del Mamba Nero.
Il Primo Generale non diede ai tre il tempo di riflettere su quanto era appena accaduto, fu subito addosso a loro.
Con un balzo, l’africana della stirpe Fon evitò Tara, portandosi verso i due giovani consacrati ad Atena, "Per ora non ho voglia di giocare con voi, la vostra alleata mi stuzzica di più!", li ammonì sferrando un veloce calcio rotante verso lo sterno di Cassandra, danneggiando ancora di più le vestigia e gettandola a terra, a diversi metri di distanza, prima di riserva un colpo di tacco al mento di Juno, sollevandolo da terra e facendo, con quel singolo calcio, compiere al suo corpo una traiettoria parabolica, che lo fece atterrare lontano da dove, ora, solo le due combattenti che usavano il veleno erano rimaste.
Fu però un rumore di passi ad impedire che lo scontro ricominciasse: infatti, non appena Mawu avvertì che qualcun altro si stava avvicinando, si spostò, dimostrando ancora una volta la sua altissima velocità, per riportarsi sul fianco opposto di Tara, così da avere alle spalle le ampie porte che doveva difendere e dinanzi a se il percorso da cui stavano arrivando nuovi nemici, giusto in tempo per vedere tre nuove sagome apparire, due stranieri ed un altro degli indigeni.
"Diodon!", esclamò una voce maschile, non appena le tre figure raggiunsero l’ampio spiazzo dove si stava combattendo la battaglia, "Cerbero, Canis Maior!", aggiunse una seconda, femminile, osservando i due santi di Atena al suolo.
Tara non dovette nemmeno voltarsi, poiché già aveva riconosciuto chi l’aveva chiamata e, nel profondo, era rattristata dall’identità di costui, poiché non era l’uomo da lei amato.
"Tawhiri, non ti avvicinare, e nemmeno voi, guerrieri di Grecia, piuttosto recuperate i vostri compagni e portateli lontano dal campo di battaglia, temo che dovrò dare fondo a tutte le mie forze, poiché costei è capace di reggere al contatto con il mio veleno più semplice e se come temo è persino più abile della sua allieva, allora dovrò usare la tecnica che fu di Hina, mia insegnante.", spiegò secca la guerriera polinesiana.
"Dov’è il Narvalo?", domandò, però, l’Areoi della Torpedine, non vedendolo sul campo di battaglia, "Maru è rimasto indietro ad affrontare il Generale che aveva bloccato il nostro percorso, permettendoci di arrivare qui per primi, ma ben presto, ne sono certa, ci raggiungerà.", rispose secca Tara, rendendosi conto, solo in quel momento, che non avvertiva più il portentoso duello fra l’amato ed il generale della Locusta, anzi, solo uno scontro sembrava ancora imperversare nei corridoi, per quanto violento esso fosse.
"Così tu avresti affrontato Akuj? Sarà dunque un duplice piacere avere ragione di te, piccola indigena: potrò compiere il mio dovere di Primo Comandante e, allo stesso tempo, vendicare l’ultima della Prima Armata, così come dopo vendicherò ogni membro dell’esercito cui ho dedicato me stessa.", la ammonì minacciosa Mawu, richiamando su di se l’attenzione della guerriera del Diodon, mentre già Iulia e Rudmil stavano andando ad aiutare i loro parigrado a rialzarsi.
"Ci ritroviamo, cavaliere di Cerbero.", lo salutò il santo della Corona Boreale, le cui vestigia erano tanto danneggiate quanto quelle del compagno d’arme, e le ferite leggermente schiarite da una sottile brina, prodotta dal cosmo del russo, al fine di ridurre le emorragie.
"Ho saputo di tua sorella, sacerdotessa guerriero, me ne dispiace.", esordì, invece, l’allieva di Sion verso la giovane greca, aiutandola a rialzarsi ed accompagnandola fin dove già Tawhiri li attendeva, immobile.
"Agesilea è caduta per darci la possibilità di combattere e noi arretriamo dinanzi al nemico?", domandò dolorante Cassandra, "Ci sono battaglie che possono essere vinte, altre che si deve attendere di vedere come vanno prima di gettarsi alla cieca nello scontro, tanto più che né tu, né il cavaliere di Cerbero versate in ottime condizioni. Non pensare che non soffra per il sacrificio della sacerdotessa dell’Aquila, lei, come Vincent di Scutum, ha sacrificato la vita per la Giustizia e non sarà un sacrificio inutile.", spiegò secca la guerriera dell’Altare, ancora rammaricata per la perdita del giovane allievo di Degos di Orione.
Tara di Diodon si preoccupò solo che tutti i guerrieri si fossero spostati, non di ciò che si stavano dicendo, poiché già stava sganciando le due spalliere delle bianche vestigia, lasciando che il violaceo cosmo aleggiasse attorno a lei, condensandosi in ampie nubi, sempre più dense.
"Che cosa sta facendo?", domandò Rudmil, osservando la scena assieme agli altri e solo l’Areoi fra loro seppe rispondere a quella curiosità: "Quella che state per vedere è la più potente tecnica venefica permessa a chi è consacrato ad Ukupanipo, signore dei Mari; ne avevo sentito parlare, i pesci tutti la temono, come temono il Lactoria ed il Diodon, ma mai avrei pensato di vederla con i miei occhi.
Un solo consiglio, guerrieri di Grecia, fate un passo indietro e non avvicinatevi al campo di battaglia finché quella nube purpurea non sarà dissipata del tutto, così come la sua vittima.", concluse Tawhiri, indietreggiando a sua volta, per allontanarsi dal luogo dello scontro.
"Flutti Purpurei!", esclamò nel frattempo Tara di Diodon, scatenando l’attacco che sbalordì persino la Prima dei Comandanti dell’Esercito Nero, il cui unico occhio azzurro si spalancò dinanzi a quelle ondate di energia venefica condensata che correvano addosso a lei.
Mawu del Mamba Nero tentò persino di evitarle con un balzo laterale, ma la carica del cosmo nemico sembrava saper restare al passo con i suoi velocissimi movimenti: ora che era libero di fluire dal corpo della propria padrona, il potere di Tara stava dando il massimo possibile, inseguendo il bersaglio finché, chiusa la guerriera nemica in un angolo, non le si gettò addosso, chiudendosi su di lei ed iniziando a sciogliere con indicibile rapidità la roccia contro cui l’aveva schiacciata.
In quel momento, nuovi passi si fecero strada lungo il corridoio che a quello spiazzo portava e tre nuove figure entrarono nella sala: "Comandante.", esclamò sorpreso l’Areoi della Torpedine, trovandosi dinanzi Toru dello Squalo Bianco, che s’accompagnava a Ludwig del Centauro ed a Gustave della Lyra.
L’allievo di Afa dello Squalo Tigre, però, non rispose subito alle parole dell’altro, osservando l’ammasso di energia purpurea che circondava una delle colonne di pietra e riuscendo a dedurre che, probabilmente, l’amata di Maru stesse combattendo contro qualche nemico e, considerando quanto aveva sentito dire dai due Generali incontrati, non fu difficile dedurre di quale nemico si trattasse.
Fu, però, l’allievo di Munklar del Sagittario a parlare: "Solo voi siete sopravvissuti, cavalieri?", domandò ai propri compagni notando gli sguardi cupi, a quelle parole, di Rudmil e Juno, "Abbiamo saputo di Agesilea, ma il giovane santo dello Scudo? Ed Amara del Triangolo?", incalzò ancora.
"Caduto, il primo, nella battaglia contro il Quinto dei Generali d’Africa, Ntoro della Testuggine, mentre il secondo è rimasto indietro per affrontare un altro dei soldati del Nero Esercito, di certo ben presto ci raggiungerà, spero.", rispose Iulia, con fare serio.
"Concentratevi su cosa avete davanti, non su chi avete lasciato alle spalle! Ora ci restano solo due nemici: il Sovrano di questi invasori e colui che per primo ha tradito la Polinesia.", ringhiò deciso Toru, facendo un passo avanti e ricevendo un cenno di conferma da Tawhiri, prima che una voce interrompesse le loro supposizioni.
"Due soli nemici? Pensate forse di avermi già sconfitto?", esclamò la voce che proveniva dall’addensamento dei Flutti Purpurei, prima che un’ondata nera li aprisse, dirigendosi feroce contro Tara, che fu lesta nel portare la violacea energia di cui disponeva a propria difesa, distanziandosi così da Mawu del Mamba Nero, che già riappariva dinanzi a tutti i nemici, ora aumentati di numero.
"Che siate tre, o trecento, questo non cambia la realtà dei fatti: nessuno varcherà la soglia che il mio Sovrano mi ha ordinato di difendere! Preparatevi a cadere tutti, uno dopo l’altro!", minacciò decisa la Prima Comandante, ma le sue parole furono interrotte dall’esplodere della purpurea energia che circondava Tara.
"La realtà dei fatti è ben diversa da ciò che credi, invasore! Non è difficile capire come tu sia sopravvissuta al mio attacco: hai usato quel tuo colpo venefico ad area per proteggerti dal mio, ti sei circondata dello stesso, un metodo efficace, mai avrei creduto che esistesse un’essenza velenosa portentosa tanto da dissolvere quella del Diodon a contatto con essa, ma questo non ti darà la vittoria, poiché basterà intensificare la quantità di veleno perché le tue difese cedano!", la ammonì sicura la guerriera polinesiana, mentre l’emanazione del cosmo faceva sì che gambali e protezioni per le braccia si sganciassero, lasciando la nuda pelle di quelle zone esposta e, assieme alla stessa, delle fitte nubi purpuree che s’andarono addensando con le altre, creando un ambiente così saturo di veleno che persino il terreno iniziava a sciogliersi sotto lo stesso.
"Non penserai di intimorirmi con così poco?", domandò decisa Mawu, lasciando esplodere il proprio velenoso cosmo nero, che creò un vortice oscuro attorno a lei, aprendole una via in quel modo nella nube venefica avversa.
"Non ti voglio intimorire, ma semplicemente sconfiggere, poiché ho qualcuno da cui tornare e tu, guerriera, prima ancora del tuo Sovrano, sei un ostacolo perché io possa riunirmi a lui! Flutti Purpurei, colpite!", invocò Tara di Diodon, scatenando la violacea e velenosa energia addosso all’avversaria.
"Non sei l’unica ad avere qualcuno a cui tornare, sono anni che ho abbandonato ciò che m’era più caro e sono ormai prossima al riaverlo e tu, invero, sei per me un ostacolo, così come i tuoi compagni! Da anni combatto per riavere ciò cui rinunciai come Primo Artiglio e non cadrò adesso! Palato Nero, divora!", ordinò decisa Mawu del Mamba Nero, scagliando l’oscura bocca del serpente addosso alla nemica.
Intanto la sua mente tornava indietro, a quindici anni prima.
***
Quando si risvegliò, quella notte, la giovane figlia di Buluk aprì gli occhi, o almeno vi provò, scoprendo, con terrore, che solo uno dei due rispondeva alle sue richieste, l’altro era chiuso e, nel tentare di toccarsi il volto, la ragazza capì che parte del viso era coperta da dei bendaggi, lì dove Damballah l’aveva attaccata.
Ci volle qualche secondo perché ricordasse a pieno cos’era successo: Sagbata ed il guerriero dell’Aspide che cercavano di uccidere Ogum, lei che andava in suo soccorso, i due che subivano, prima di rialzarsi ed attaccare, usando la forza dei loro cosmi, la stessa su cui suo padre l’aveva addestrata per lungo tempo, prima di morire sul campo di battaglia.
Quei ricordi furono però interrotti da dei suoni: voci, fra cui riconobbe quella del giovane leone, mentre le altre due, poiché di altre due si trattava, le risultavano ignote; si alzò quindi la giovane Mawu, uscendo dalla tenda dov’era stata curata e raggiungendo quella adiacente, dove si trovava il ragazzo che lei aveva deciso di aiutare quel giorno e dove, con suo stupore, lo trovò solo, anch’egli con delle bende a coprire le ferite subite.
"Ti sei svegliata!", esordì con voce sollevata Ogum, avvicinandosi alla ragazza, "Come va?", chiese con tono più preoccupato, ricevendo, come risposta, un cenno del capo, qualcosa che Mawu fece per cercare di tranquillizzare l’altro, anche se si chiese come sarebbe potuta sembrare una risposta distaccata, più che un gesto gentile.
"Tutto bene, grazie. Tu? Le ferite che avevi subito sembravano gravi …", balbettò incerta la ragazza, avvicinando la mano alle fasciature che coprivano il collo del giovane, la cui voce era, in effetti, un po’ più raschiante di quanto lei ricordasse, "Tutto bene.", confermò lui, accennando una carezza verso la zona con i bendaggi sul volto dell’altra, prima di ritrarre la mano e lasciar sfuggire uno sguardo preoccupato, quasi cupo.
"Che c’è?", chiese la figlia di Buluk, "Qualcosa ti preoccupa? Forse Sagbata e Damballah sono fuggiti? Temi che si rifaranno vivi?", domandò ancora, ricevendo un sorriso gentile da parte dell’altro, "No, nessuno di loro è sopravvissuto: il tuo potere è pari a quello di tuo padre, è bastato un colpo perché tu uccidessi l’Aspide. Ed il Leopardo, dopo che gli avevo reciso tre arti su quattro, l’ho lasciato appeso ad un albero, perché fossero le bestie sue pari, sciacalli ed insetti, a banchettare con il suo corpo moribondo.", spiegò serio Ogum.
"Stavo riflettendo su qualcosa di diverso, Mawu, stavo riflettendo sul futuro dell’Africa. Questa è la mia preoccupazione.", continuò poco dopo, "Mio padre, Olokun, l’uomo che mi ha cresciuto, seguiva un sogno di pace, di diplomazie, pensava che l’Esercito Nero fosse l’ultimo mezzo da dover usare per raggiungere quell’unità e libertà che le nostre genti chiedono da tanto.
Tuo padre, egli non voleva per se il ruolo di Re, o di Comandante delle nostre armate, voleva solo servire sotto un giusto monarca, qualcuno che facesse ciò che c’era da fare, mentre lui si preoccupava di tornare vivo dalle persone amate.
L’Usurpatore, lui ci ha usati per i suoi fini, la bramosia di vendetta contro coloro che lo avevano scacciato, sfruttando un potere non suo, questa l’unica cosa che gli premeva e proprio per questo è stato cieco nel non decidere di creare un nuovo esercito, ma usarne uno che da troppo tempo viveva nel tedio dell’attesa, l’attesa di un sovrano. Me stava attendendo ed io ho mancato verso chi mi era fedele, piegandomi a Tiamat come tutti.
Sagbata e Damballah, poi, loro erano guidati solo dalla ferocia, dalla volontà di distruggermi per prendere ciò che loro non spettava, per questo hanno agito in modo tanto plateale e sbagliato, per questo il destino non gli è stato alleato e ho trovato la forza, abbiamo trovato tutti e due la forza, per vincerli.", raccontò il giovane Ogum, descrivendo i diversi uomini che, fino a quel momento, aveva visto come modelli di re, o aspiranti a tale ruolo.
"Ho capito che non devo essere come nessuno di loro se voglio fare ciò per cui le vestigia del Leone Nero mi hanno scelto: diventare il Re che unificherà l’Africa e la libererà.
Non posso attendere ed usare la diplomazia, non posso fare affidamento su schiere che non conosco, che non hanno fiducia in me per quello che ho fatto quando Tiamat s’è presentato.", concluse il giovane leone.
"Che cosa intendi dire, cosa vuoi fare?", domandò ancora Mawu, quasi intimorita, come se un dubbio atroce le nascesse nel cuore, a sentire quelle parole, il dubbio non per una nuova guerra, ma per il rischio di perdere l’unica altra persona, oltre ai suoi famigliari, di cui veramente le importava.
"Intendo dire che domattina, per prima cosa, libererò tutti i soldati rimasti del nostro esercito dal loro legame con me, lasceranno le vestigia e saranno liberi di tornare alle loro case; io stesso accompagnerò te e tua madre a seppellire il nobile Buluk e poi, se vorrai, insieme rifonderemo i Savanas.
Creerò un esercito più forte, legato a me e che si fidi di me, un esercito che sarà pronto per passare all’attacco e non per attendere, che dimostrerà la propria potenza e con quella schiaccerà tutto ciò che possa impedire all’Africa di esistere libera da minacce esterne.", spiegò Ogum, stringendo poi le mani della ragazza fra le proprie.
"Vuoi essere il primo dei miei artigli, il più importante?", domandò stavolta il giovane leone, "Artigli?", ripeté, senza ben capire cosa l’altro intendesse dire, Mawu.
"Sì, cinque artigli, cinque generali che guideranno il mio esercito ed a cui, allo stesso tempo, darò un pesante fardello da portare: me stesso, la mia natura di uomo, di essere vivente, poiché io, come Ogum, dovrò diventare il Sovrano d’Africa, non potrò più piegarmi ai dubbi, alle debolezze di nessun genere, non potrò più essere un semplice uomo.
Non dovrò essere legato da affetti, come era tuo padre; non dovrò avere dei freni imposti dalla mia morale, come accadeva ad Olokun; non dovrò farmi guidare dall’orgoglio, come Tiamat; né dalla ferocia, come i due traditori di stamattina; e dovrò abbandonare ogni vizio dell’anima. Mi serviranno cinque guerrieri per questo, cinque persone che rappresentino, ognuno a modo loro, queste parti di me, e che le custodiscano in mia vece, finché non potrò smettere d’essere il Sovrano d’Africa e tornare ad essere semplicemente Ogum.
Ti chiedo di tenere per me i miei affetti, Mawu, come mio Primo Artiglio, di essere l’amore, la bontà, il calore che un giorno potrà tornare a riscaldarmi lo spirito, poiché dovrò essere freddo e spietato contro qualsiasi nemico troverò lungo la mia strada.", concluse, sollevando le mani di entrambi e stringendole fra i loro due volti.
La ragazza appoggiò il viso sulle mani dell’altro e sul proprio pugno destro, "Accetto questo ruolo, Ogum, mio Re, accetto di custodire, fino al giorno in cui non sarà possibile mostrar di nuovo loro la luce, i suoi sentimenti, così come i miei, per il giorno in cui potremo gioirne assieme.", confermò lei, lasciando la presa sulle mani del Sovrano, ma mantenendo il pugno poggiato alla fronte, per poi inginocchiarsi sulla gamba sinistra, così come, quel mattino, aveva visto fare al moribondo Sagbata, un memento della sottomissione del primo vero nemico che il Leone Nero aveva sconfitto.
"Ti sarò fedele in qualsiasi evenienza dovremo affrontare ed oggi ti mostro il mio rispetto e la mia devozione.", continuò Mawu, ricordando le parole che il padre aveva detto la prima volta che aveva visto quel ragazzino, "Lode a Re Ogum!", esclamò infine.
Lei era stata il Primo Artiglio, ma dopo erano arrivati gli altri: Moyna, dalla nobiltà di cuore tale che il loro Sovrano lo volle per essere la sua moralità; Gu, che fu addestrato per diventare un predatore, un cacciatore come Ogum non poteva essere perché era Re, un giovane addestrato per essere l’orgoglio del suo Maestro; Acoran, un essere selvaggio, privo di moralità ed empatia verso le proprie vittime, feroce come una bestia, lui sarebbe stato la violenza che il monarca non doveva mostrare di possedere; Ntoro, infine, avido di anime, desideroso di tenerle con se, sarebbe servito per custodire gli spiriti dei caduti e per ricordare i vizi peggiori dell’animo umano a chi comandava sui Cinque artigli.
Quello l’esercito che avevano iniziato assieme ed ora, quello il luogo in cui erano cresciuti, lei senza mai avere interesse per alcun altro uomo ed Ogum senza mai guardare ad una sola ragazza; quello l’esercito in cui entrambi si erano estraniati dai loro sentimenti per esserne alla guida.
Un’alienazione che, dopo quindici anni era ormai prossima a finire.
***
Quella era la consapevolezza che guidava i pugni di Mawu del Mamba Nero, che animava il suo cosmo oscuro e venefico nel perforare l’ammasso purpureo che l’assaliva, che faceva vorticare l’energia dell’africana, così da creare un tornado di veleno in cui i Flutti Purpurei furono assorbiti per poi essere dispersi tutti attorno alle due guerriere, lasciando un ampio varco fra loro, uno spazio breve ma decisivo.
"Non sperare che basti questo a vincermi!", esclamò allora Tara del Diodon, scatenando di nuovo i Flutti Purpurei, ma non furono sufficienti: il Primo Artiglio fu più veloce, oltrepassando in un battito di ciglia la breve distanza che le divideva e colpendola nelle zone prive d’armatura, per poi spostarsi dietro di lei ed allontanarsi di sei passi.
"Il Settimo Passo, portatore di morte.", furono le poche parole che pronunciò Mawu, quando già l’energia cosmica dell’altra si disperdeva, poiché Tara non riusciva più a controllarla, rendendo l’aria di nuovo innocua, "Una quantità di veleno gargantuesca, troppa persino per chi come te possiede un potere venefico, un attacco letale che in sette passi ti uccide. Addio, guerriera polinesiana, mi dispiace che tu non possa tornare da chi desideravi.", furono le ultime parole che il Primo Artiglio rivolse alla nemica, il cui sordo rumore del corpo che cadeva a terra fu l’unica risposta che ricevette.
Impassibile nei gesti, l’ultimo membro dell’Esercito Nero si volse quindi verso i restanti otto nemici: "Attaccatemi anche tutti assieme se volete, non vi lascerò passare. Ho donato la vita al mio Sovrano molto tempo fa e non permetterò che egli sia sconfitto da voi, né oggi, né mai.", sentenziò decisa, pronta a continuare la battaglia.