Capitolo 26: Il Quarto Generale
Dopo il sacrificio di Agesilea non aveva più parlato, semplicemente aveva seguito il cavaliere di Cerbero ed i due Areoi in silenzio, stringendo a se ciò che restava della maschera della sorella.
Cosa avrebbe dovuto dire dopo tutto? Si sarebbe dovuta giustificare della propria debolezza con uno degli stranieri, o con il santo d’argento che da poco conosceva? A che sarebbe servito, di certo non a restituirle la sorella, o le avrebbe tolto quel peso che si sentiva addosso, il peso del proprio fallimento, poiché lei era sopravvissuta ed Agesilea era morta, sacrificandosi per salvarla.
Eppure era stata Cassandra di Canis Maior, ancor prima di diventare una sacerdotessa di Atena, a ripromettersi che avrebbe curato la sua sorellina, quando erano rimaste solo loro due, sempre lei si era preoccupata di contenere gli scatti d’ira, o le follie, che l’altra faceva quando la loro comune insegnante non poteva supervisionarle o seguirle nell’addestramento, s’era sempre intromessa negli scontri verbali fra Dorida ed Agesilea, impedendo che finissero per il peggio il più delle volte.
Tutto questo, però, alla fine si riduceva a vuote promesse e false aspirazioni, poiché nel momento di massimo bisogno di sua sorella lei non c’era stata, non aveva avuto la forza di rialzarsi in tempo per salvarla, malgrado avesse visto che già contro Shango aveva provato la medesima strategia folle e suicida, tutto questo perché sua sorella e gli altri guerrieri che stavano per affrontare il Comandante della Seconda Armata potessero andare avanti e continuare a combattere per il comune fine ultimo: vincere l’Esercito Nero.
Agesilea si era sacrificata per un fine più grande e lei, che era la sorella maggiore, non avrebbe fatto da meno nei prossimi scontri che li avrebbero coinvolti, seppur, in quel momento, era ben cosciente di quanto le sue forze fossero misere e debilitate dalle molteplici ferite.
Fu dopo diversi minuti di marcia forza che la ragazza polinesiana si fermò, osservando i due cavalieri di Atena, subito dopo seguita dallo sguardo interrogativo dell’altro Areoi, "Che succede?", chiese lui, "Penso che dovremmo riposarci, se non per noi stessi, per loro. Ormai siamo al bivio sinistro, ben presto arriveremo alle stanze del Comandante e non sappiamo cosa ci aspetta lì, di certo arrivarci stanchi non sarà d’aiuto a nessuno se non ai nostri nemici.", suggerì l’altra.
"Non serve che vi preoccupiate tanto per noi, guerrieri polinesiani.", suggerì allora Juno, mentre Cassandra osservava apaticamente lo scambio di parole, "In questo, forse, ha ragione, Tara: se ci preoccupassimo per loro e se, soprattutto, lasciassimo ai nostri nemici il tempo di rifiatare, potremmo perdere quel poco di vantaggio che, forse, attaccando da più fronti, avremmo.
Dobbiamo sbrigarci ad arrivare alla sala del Comandante.", replicò il possente Areoi del Narvalo.
"Lo so, Maru, ma come speri che possiamo tutti noi combattere feriti? Dovremmo tutti riprendere le forze!", obbiettò la guerriera del Diodon.
"Non ne avrete affatto il tempo!", ruggì a quel punto una voce, sorprendendoli, alla fine del lungo corridoio ad angolo che collegava al bivio sinistro con l’ampia sala centrale.
Pochi istanti in cui i quattro si misero in guardia, poi si sentì solo una parola, che fece sbiancare leggermente il discepolo di Edward di Cefeo: "Kilimanjaro!".
"Spostatevi!", urlò di rimando Juno, riconoscendo l’attacco che già aveva affrontato contro Deng dell’Orice, un potente fendente che calava come una gigantesca montagna, un fendente che, nella velocità con cui spazzava l’area per raggiungerli, sembrava ben più feroce e rapido di quello da cui s’era difeso.
"Sfera di Aculei!", invocò Tara di Diodon, portandosi dinanzi ai due cavalieri d’argento, evidentemente più lenti di loro nel difendersi date le ferite subite; "Corno Perforante!", aggiunse deciso Maru del Narvalo, eseguendo un veloce affondo con l’arma ricolma d’energia cosmica, contrastando così, e disperdendo, buona parte dell’attacco a sorpresa, il cui restante potenziale si disperse sulle difese della sua compagnia, lasciando illesi i quattro.
"Ottimo!", esclamò la voce che li aveva minacciati poc’anzi, accompagnata adesso da un chiaro rumore di passi, "Temevo che l’attacco di Moyna mi avesse lasciato solo qualche pezzo di carne masticata per deliziarmi ed invece ci sono persino dei nemici capaci di fermare la forza della Montagna d’Africa.", rise divertita quella sagoma che si stava avvicinando loro, risultando infine visibile.
Era alto e snello, indossava vestigia nere che richiamavano un insetto: la corazza era costituita da un unico blocco che copriva dalla gola fino all’inguine, un blocco decorato dalla presenza di diverse increspature che richiamavano l’esoscheletro della creatura rappresentata, sulle spalle un lungo mantello rigido costituito dalle larghe ali piatte dell’animale, che coprivano in parte anche le spalle e gli avambracci, lasciando la zona delle braccia difesa da quelli che erano due degli arti dell’insetto; i gambali, poi, erano composti dalle parti connesse di altre quattro zampe.
La cosa che però più colpiva era come le due zampe più grosse, le posteriori, di quello specifico animale non erano parte integrale dell’armatura, ma due segmenti staccati, segmenti che costituivano le due grosse falci a lama unica che il guerriero africano stringeva nelle mani, guerriero il cui volto era, momentaneamente, celato da una maschera con antenne e grossi occhi che richiamavano le forme della testa dell’animale.
"Bene bene, sembra che debba combattere contro due degli indigeni di questo tempio, ma in fondo ne ho già eliminato alcuni alle Hawaii, perché non farlo anche qui? Poi c’è anche il premio dei fantomatici stranieri europei, non vedo l’ora di massacrarvi tutti.", rise divertito l’africano, sollevando la falce sinistra e puntandola verso di loro.
"Parla proprio come Deng dell’Orice ed usa un attacco simile al suo …", osservò titubante Juno, "Deng? Di quel poco abile spadaccino sono stato il maestro, in effetti", affermò subito il nemico ascoltandolo parlare e gettando via la maschera che gli copriva il volto, rivelando occhi verdi e sottili e lunghi capelli scuri, "Sono Acoran della Locusta, Comandante della Quarta Armata, e voi, guerrieri, sarete il mio pasto!", esclamò infine, ebro di gioia, sollevando le falci e scattando all’attacco.
Maru del Narvalo gli si parò davanti, sollevando il bianco giavellotto che cozzò con l’arma sinistra del nemico, costringendolo ad indietreggiare di un passo per la violenza del colpo, un passo che, però, gli diede l’apertura necessaria per prevenire il proprio fendente, poiché già la lama destra stava per calare verso il collo dell’Areoi, che lesto si affrettò da abbassare il baricentro, evitando di essere decapitato.
Non solo si difese in quel modo il guerriero polinesiano, ma, approfittando del completo sbilanciamento in avanti del nero nemico, portò avanti la gamba destra, che non aveva indietreggiato, torcendo quindi il busto per colpire con l’estremità affilata del Corno il tronco del Quarto Generale che, avvedutosi del contrattacco, compì un rapido salto all’indietro, scoppiando in una risata folle nel frattempo, e lasciò andare la propria arma sinistra.
Solo in quel momento, quando la presa del nemico sulla falce mancina si sciolse Maru notò una caratteristica di quelle vestigia che non aveva visto poc’anzi: le due armi nere erano connesse alle ali rigide dell’armatura attraverso delle catene, difatti, quando il Generale si allontanò, l’arma lo seguì, colpendo di striscio la spalliera destra dell’Areoi, che fu abbastanza lesto dallo spostarsi, così da non subire alcun danno.
Acoran riprese poi la falce nella propria mano, continuando a ridere, "Ottimo, indigeno, ottimo davvero! Temevo che fossi un’altra delusione, come il vecchio dell’altro tempio, ma mi potrai concedere una sfida entusiasmante fino al momento in cui ti sventrerò! E mi auguro che anche gli altri mi concedano eguale gioia.", esultò il Generale nero, prima di accorgersi di una condensazione d’energia che stava per raggiungerlo lateralmente.
"Aculei Venefici!", urlò la voce di Tara di Diodon, quando ormai l’attacco della guerriera polinesiana correva deciso verso la propria vittima, che, però, non rimase immobile, ma sollevò sopra di se ambo le falci, "Kilimanjaro!", replicò secco Acoran, scatenando il duplice fendente d’energia che sradicò parte del terreno, oltre ad annullare, nella pioggia di rocce ed energia, la muraglia velenosa che gli correva addosso.
"Avete altro da provare?", domandò a quel punto divertito il Generale Nero, volgendo lo sguardo sui due nemici in bianco.
"Hai ucciso il vecchio Ono, il saggio dell’Avaiki di Pili!", esclamò furibonda Tara, il cui cosmo stava ora gonfiando oltremodo le vestigia del Diodon, "Come hai potuto non avere pietà nemmeno per un uomo ormai anziano?", domandò disgustata, "Pietà? In guerra? Ragazza, non so chi ti abbia addestrato, ma di certo ti hanno dato un’idea sbagliata di ciò che qui sta succedendo! Non siamo riuniti in queste terre per disquisire su quale punto di vista sia quello esatto, anzi, non so nemmeno perché il nostro Re ci abbia portato fin qui, ma non è questo l’importante, non serve una ragione, basta una scusa per scatenare una guerra, per iniziare un massacro senza pari ed è proprio per questo che mi sono unito all’Esercito Nero! Quindi basta ciance, fatevi massacrare!", esultò in un lampo di lucida follia Acoran, spiccando un veloce salto e lanciando la falce sinistra contro la guerriera polinesiana.
Tara, però, espanse il proprio cosmo, che fluì come una nube dalle vestigia, in minime quantità, ancora controllabili, gettandosi verso l’arma del Nero generale, che lesto ritrasse la falce a se, iniziando a mulinare sempre più velocemente, così da creare una corrente di vento che disperse quella nuvola venefica.
Non fu però quella l’unica azione del guerriero della Locusta, poiché già la falce destra fu lanciata verso la parete sul fianco opposto, conficcandosi con forza e spingendo indietro il seguace dei Savanas, che andò a poggiare contro la parete di roccia i piedi, dandosi quindi la spinta per cambiare traiettoria: "Non pensiate che mi sia dimenticato di voi due!", esclamò Acoran, quando ormai era chiara la direzione da lui presa, quella che lo avrebbe condotto dai due santi di Atena.
Una delle due falci corse a quel punto contro il cavaliere di Cerbero, che però fu veloce nel sollevare l’unica sfera chiodata rimastagli, facendo cozzare l’arma nemica contro la sua, per quanto il contraccolpo lo gettò indietro, a cozzare con il muro, incapace di reggere ad una simile differenza di potenzialità.
Stava già per mettere un piede a terra, allora, il Generale Nero, pronto a colpire con indicibile violenza il nemico ferito, che un bagliore di luce s’accese alle sue spalle, un bagliore che proveniva dall’altra avversaria, poiché Acoran stava atterrando fra i due seguaci della dea Atena: Cassandra.
Troppo a lungo aveva sofferto in silenzio, correndo ed osservando lo scontro che stava proseguendo, s’era ripromessa che avrebbe trovato la forza per fare quanto necessario, per onorare il sacrificio di Agesilea, e di certo lasciando morire il cavaliere di Cerbero non lo avrebbe fatto: doveva combattere! Con questa certezza nel cuore, la sacerdotessa guerriero bruciò tutte le forze che sentiva di avere ancora in corpo, diede fondo a tutta se stessa, condensandole nel pugno destro, "Anghellos Fotou!", urlò la guerriera di Canis Maior, rilasciando la sfera di luce che rapida corse contro il Generale della Locusta.
Questi si voltò verso il nuovo attacco a lui diretto e sollevò il piatto delle due falci congiungendolo dinanzi a se, contenendo con le stesse la potenza del colpo avverso, "Non sottovalutatemi!", ruggì di rimando, lasciando esplodere il proprio ampio cosmo oscuro e riversandolo nelle due lame, con cui disperse l’energia nemica.
"No, noi non ti sottovalutiamo.", replicò Juno, rialzandosi, "Così come non abbiamo sottovalutato il tuo allievo Deng, o il tuo parigrado Moyna, anzi, daremo tutti noi stessi in questa battaglia, proprio come una compagnia d’arme ci ha mostrato.", continuò deciso, intensificando la corrente d’aria che lo circondava, "Sì, per mia sorella che ha sacrificato la vita in battaglia, ora combatto! Per la fede nella Giustizia che ci accomunava sotto gli insegnamenti della Dorata Leonessa di Atene, combatto! Perché voi, che avanzate con il solo desiderio di distruggere siate fermati, io combatto!", urlò di rimando Cassandra, la cui energia luminosa brillava sempre più intensa attorno a loro.
"Belle parole le vostre, mocciosi, ma io non sono Deng e non sono Moyna, quindi non pensiate che quel poco di forze che vi sono rimaste vi saranno di aiuto alcuno contro di me!", ribatté deciso Acoran, spiccando un salto e sollevando al qual tempo le falci sopra il proprio capo, pronto a sferrare l’attacco che già prima aveva usato: "Kilimanjaro!"
"Insieme, sacerdotessa, in nome di Atena! Floios Trion Epikefales!", invocò il discepolo di Edward di Cefeo, "Per la Giustizia! Broké Fotismou!", aggiunse l’allieva di Olimpia di Leo, scatenando così i loro due attacchi che sostennero la violenza del duplice fendente nemico, spingendo gli uni nella direzione opposta all’altro.
Il generale nero fu decisamente sbalordito dalla potenza che i due cavalieri stavano riuscendo a generare, ma non per questo ne fu intimorito: assieme erano appena capaci di raggiungere i suoi livelli, ma lui poteva dar fondo a molte altre forze, tutte quelle che ancora non aveva usato fino a quel momento; forse non era il più potente fra i Cinque Comandanti d’Armata, ma era abile nell’usare il minimo delle proprie forze per ottenere il massimo massacro, quindi quei due giovani sciocchi avrebbe avuto una spiacevole sorpresa.
L’esplosione d’energia con cui Acoran incrementò la potenza del massiccio africano che crollava sui nemici fu tale da spingere tutti e tre i combattenti ben distanti da dove si trovavano: i corpi e le vestigia dei due santi d’Atena furono segnati da nuovi danni, ancor prima che si schiantassero con inusuale violenza contro la parete alle loro spalle, frantumandola e ritrovandosi al suolo; il Generale della Quarta Armata, dal canto suo, finì malamente a terra, ferito e con un pezzo dell’ala sinistra distrutto, ma niente di più, se non un leggero stordimento.
I due Areoi erano rimasti ad osservare quel confronto di forze in silenzio, poi, quando i cavalieri d’Atena si erano schiantati violentemente a diversi metri di distanza, fu Maru il primo a muoversi: "Tara, tu occupati dei due europei. Fai in modo che possano ancora combattere. Usalo.", propose sibilino il guerriero del Narvalo, "Vuoi davvero che metta a rischio le loro vite per concedergli la possibilità di combattere ancora?", domandò di rimando la parigrado del Diodon, "Non credo che, altrimenti avrebbero possibilità alcuna di continuare, né, comunque, si ritirerebbero.
Li hai sentiti anche tu d’altronde, vogliono combattere fino all’ultimo per ciò in cui credono, quindi il minimo che possiamo fare per loro è aiutarli in questo! Tu dà loro modo di continuare a combattere e poi avanzate, a questo Generale ci penserò io.", concluse l’uomo, dirigendosi verso il comune nemico.
"Non voglio perderti di vista di nuovo!", esclamò allora Tara, "Non lo farai, sarò subito dietro di voi, il tempo di vincere costui e ti raggiungerò.", la rassicurò Maru, "Non mi basta! Se uniamo le forze avremo facile vittoria su costui!", controbatté l’altra, "Non è detto che però poi ci basteranno contro gli altri Generali di questo nero esercito! Se già due sono scesi in campo è facile che anche gli altri stiano preparandosi a combattere.", osservò di rimando l’uomo.
"Veramente lo hanno già fatto!", l’interruppe a quel punto Acoran, rialzandosi in piedi, falci nelle mani, "Il Quinto ed il Terzo Generale sono, così come me, distribuiti lungo gli altri bivi che conducono alla sala dove si trova il nostro Sovrano, mentre il Primo Generale attende comodamente che noi si faccia il più del lavoro, lasciandole gli ultimi avanzi da combattere.", spiegò il Comandante d’Armata, sollevando le armi dinanzi a se.
"Hai sentito, mia amata? Meglio accelerare il passo se questa è la verità: non possiamo rischiare di arrivare tutti stremati dal loro Primo Generale, non sarebbe saggio. Fai ciò che devi per i due cavalieri di Grecia e poi andate avanti, a costui penserò io.", suggerì ancora una volta l’Areoi, ricevendo un cenno d’assenso da parte della donna amata, che gli voltò le spalle, dirigendosi verso i due santi di Atena.
"Non si voltano le spalle ai nemici!", esclamò a quel punto Acoran, lanciandosi alla carica, per essere subito intercettato da Maru, la cui arma cozzò in uno scintillare di luce con le due nere falci dell’altro, "Sono io il tuo nemico, Generale!", sottolineò il guerriero polinesiano.
Con rapidità l’Areoi calò la parte affilata del giavellotto verso il Savanas, che parò l’attacco incrociando sopra il capo le due lame, per poi sferrare un violento calcio contro il fianco scoperto del nemico, che lesto, incassando il colpo, roteò fra le mani la propria arma, puntando ad affondare l’estremità acuminata contro il petto dell’avversario.
Stava già, però, per approfittare di quel piccolo intervallo Acoran, pronto a sferrare di nuovo Kilimanjaro, ma Maru fu veloce nel commutare il proprio attacco: "Corno Perforante!", urlò lasciando andare l’energia penetrante proprio contro le due falci connesse che stava per scatenare la violenza della catena montuosa.
L’impatto fra i due colpi spinse indietro con violenza il Generale, preso di sorpresa, mentre l’Areoi, che già si aspettava quella reazione, affondò leggermente la lama affilata del giavellotto nel terreno, dandosi la spinta in avanti, per tentare un secondo affondo, "Usare sempre lo stesso attacco lo rende prevedibile!", ammonì nello stesso tempo, puntando a colpire con la punta il corpo nemico.
Il Comandante della Quarta armata fu però veloce nell’abbassare la falce sinistra, deviando il colpo avverso contro il terreno, dove la lama andò ad impattare, prima che Maru potesse in alcun modo portarsi in una posizione difensiva, così da subire un fendente destro che gli procurò una ferita al petto, ferita che, però, non fermò l’Areoi, che deciso risollevò dal terreno l’arma, spingendo indietro l’estremità acuminata così da produrre a sua volta, con la parte tagliente, un danno alla spalla sinistra del nemico.
I due combattenti si allontanarono reciprocamente di qualche passo, dandosi ambedue un po’ di spazio, poi Acoran sorrise, sollevando la falce sinistra più in alto della destra e portandole l’una sopra l’altra, perpendicolarmente, "Dicevi bene poco fa, guerriero polinesiano: usare troppe volte lo stesso attacco lo rende prevedibile, ma è raro che qualcuno sopravviva alla potenza della mia tecnica base.", confermò il Generale, iniziando a lasciar brillare l’energia oscura che lo circondava.
Maru, in tutta risposta, sollevò il giavellotto, portando la lama affilata in parallelo con il corpo e circondando quella specifica estremità con il proprio cosmo, che brillava candido e determinato: "Vuoi dunque provare qualcosa di nuovo? Bene, Generale Nero, ti rivolgerò anch’io qualcosa di diverso contro, il Corno del Narvalo non sa solo perforare!", ribatté deciso l’Areoi.
"La vetta più alta d’Africa ti colpirà, indigeno, cadrai per primo sotto il peso del monte Kibo!", urlò divertito il guerriero della Locusta, sferrando il duplice fendente, che si unì in un unico gigantesco ammasso di energia tagliente.
"Non per primo cadrò, bensì da questo scontro uscirò vincitore, ho un’amata compagnia a cui riunirmi ed altri da raggiungere per l’ultima battaglia! Coda Tagliente!", ruggì di rimando il combattente del Narvalo, sferrando a sua volta il fendente d’energia bianca che andò a contrastare la violenza di quello nemico.
Il confronto fra le due taglienti forze in campo durò alcuni secondi, finché, in un’esplosione di luce bianca e nera, i due combattenti furono spinti indietro, mentre diversi tagli infierivano sulle loro vestigia e sul terreno tutto che li circondava, aprendo profondi solchi sul suolo e sui muri attorno.
Tara di Diodon, prima che lo scontro fra l’uomo da lei amato ed il nero generale raggiungesse tale apice, già s’era avvicinata ai due cavalieri di Atena al suolo, controllando se fossero ancora vivi e non potendo trattenere un misto di gioia e preoccupazione nel vederli riprendere i sensi e rialzarsi.
Erano entrambi feriti, la ragazza in modo particolare, sanguinavano da più parti del corpo e le loro vestigia erano un vago ricordo di ciò che li aveva difesi in battaglia all’inizio di quella guerra, per quanto l’Areoi non li avesse conosciuti che pochi minuti prima, era impensabile che quelle forme piene di crepe e prive di alcuni segmenti fossero le strutture originarie ed illese delle loro armature.
"Il nostro attacco combinato non ha avuto successo.", sibilò d’improvviso Juno, che, guardando al di là della guerriera bianca, osservava il confronto fra giavellotto e falci, "No, non ha avuto pieno successo, ma siete riusciti a ferirlo leggermente.", confermò con rammarico la polinesiana, che non aveva il coraggio di voltarsi, poiché troppo grande sarebbe stato il desiderio di dare supporto a Maru in battaglia.
"Troppo gravi le vostre ferite perché possiate sperare di ottenere molto di più in battaglia.", ammise ancora l’Areoi, "Ma non per questo possiamo abbandonare il campo e ritirarci, fosse anche in pezzi il mio corpo, non potrei, non dopo il sacrificio di mia sorella.", fu la secca risposta di Cassandra, che cercava di rimettersi in piedi, "Non questo volevo proporvi, ma qualcosa di ben più rischioso, che potrebbe però aiutarvi nei futuri scontri che ci attendono.", azzardò a quel punto Tara.
"Cosa?", domandò subito la sacerdotessa guerriero, mentre l’altro ancora restava ad osservare in silenzio la proposta, specie quando l’Areoi sollevò i palmi delle mani, rivelando due sfere purpuree di energia cosmica condensate sugli stessi.
"Posso interrompere la percezione del dolore nei vostri corpi per qualche ora, interrompere il dissanguamento rallentando il vostro battito cardiaco e lo scorrere stesso del sangue in voi, ma tutto questo è pericoloso, oltremodo.", spiegò senza rivolgere loro lo sguardo la guerriera del Diodon, "Dovrei immettere in voi una quantità leggera di veleno che, comunque, potrebbe intorpidire anche i vostri sensi, oltre che la percezione del dolore e la circolazione del sangue; non posso donarvi nuova forza, sappiate questo, inoltre l’illusione di riposo che provereste vi farebbe del male, più che del bene, se non prontamente curata, ma se veramente volete combattere ancora, questa è l’unica cosa che posso offrirvi.", concluse l’affascinante polinesiana.
"Mia sorella ha sacrificato la sua vita per la fede nella Giustizia, come potrei io non rischiare la mia?", chiese decisa Cassandra, aprendo la mano destra e rivolgendola verso l’interlocutrice, "Il mio maestro fece, anni fa, lo stesso, perché io ed i miei compagni potessimo un giorno combattere per Atena e rischiare la vita per un bene maggiore, quindi non rinuncerò allo scontro, né eviterò un pericolo se mi permette di combattere ancora, specie contro chi ha ucciso Edward di Cefeo.", concordò Juno, imitando il gesto della sacerdotessa d’argento.
"Siete coraggiosi, guerrieri di Atena, ad accettare il veleno del Diodon in voi. Vi auguro di sopravvivere a questo potere, è raro che lo usi in questo modo e finora solo il mio amato ha saputo sfruttarne questo uso.", sussurrò con un triste sorriso in volto Tara, volgendo le proprie mani verso quelle dei due santi di Atene e chiudendole sulle stesse, così da trasmettervi il venefico potere.
Per alcuni istanti il volto di Juno si contrasse nel dolore, prima che ambedue i cavalieri cadessero di nuovo sulle ginocchia, in cerca d’aria, stremati dalla sofferenza che stava provando in quei secondi, prima che Tara si voltasse per il violento cozzare d’energie che avvertiva alle sue spalle.
"Maru!", urlò l’Areoi del Diodon, restando però immobile nel sentire i rantoli di dolore dei due cavalieri alle sue spalle.
Interminabili furono per la giovane innamorata i secondi prima di vedere una sagoma rialzarsi, e terribile fu il dolore nel notare che la sagoma era di nero bardata ed armata di due falci: Acoran della Locusta, ancora in piedi, seppur con delle ferite evidenti alla spalla sinistra ed all’addome, oltre che con diversi pezzi dell’armatura ormai distrutti.
"Da quanto non gustavo uno scontro così appetitoso! Ben degno questo nemico, avrei dovuto chiedergli il nome, prima di distruggerne le carni!", esclamò soddisfatto il Generale nero, volgendo lo sguardo eccitato verso i tre avversari rimasti, ma un suono lo fermò, un suono che riaccese di calore il cuore di Tara, "Non sono ancora sconfitto, invasore oscuro, non avrai facile vittoria su di me, nemmeno usando attacchi di siffatta potenza!", avvisò Maru del Narvalo, ora in piedi.
In quei pochi secondi, anche i cavalieri di Atena, seppur incerti, si rialzarono, "Vi rivedo in piedi, guerrieri della Giustizia!", esclamò proprio l’Areoi armato di Giavellotto, "Ora potete continuare la vostra corsa, un ben più pericoloso ostacolo attende tutti voi, siate di aiuto alla donna da me amata, per il breve tempo in cui vi resterò dietro, a combattere costui.", chiese semplicemente il polinesiano.
"Avanzare? Non vuoi il nostro aiuto?", domandò sbalordito Juno di Cerbero, "No, seguace di Atena, non per aiutarmi ho chiesto a Tara di condividere con voi ciò che già divideva con me, ma per aiutare lei nella prossima battaglia, che combatterete da soli, almeno all’inizio, la battaglia contro il Primo dei Generali neri, poiché ben presto, immagino, tutti contro quel singolo guerriero ci riuniremo.", spiegò semplicemente Maru, risollevando l’arma verso Acoran, "Ora, andate!", ordinò secco, senza guardare in volto l’amata che, semplicemente, chinò il capo, volgendo anche lei le spalle all’uomo che le era caro.
"Ti attenderò alle porte che conducono nella sala del nostro comandante.", furono le poche parole della guerriera del Diodon, "Affronteremo assieme la Lucertola Malefica.", confermò quello del Narvalo, prima di udire i passi dei tre allontanarsi, ognuno con i propri pensieri e desideri in mente, ognuno pronto a dare il meglio di se contro il Primo Generale, in attesa che anche l’Areoi con il giavellotto li raggiungesse.
"Scenetta molto toccante, ma non penso che li incontrerai di nuovo, se non nel Guscio Infinito.", minacciò divertito Acoran, lanciandosi all’assalto contro Maru, che fu lesto nel sollevare la propria arma contro quelle del nemico.
Una prima falce saettò verso il guerriero bianco, che subito la deviò con un colpo del giavellotto, per poi tentare un affondo con l’altra estremità, affondo che il nero avversario evitò con un balzo, sorpassando in altezza la posizione dell’Areoi, prima di tirare la falce già distanziata a se, attraverso la catena che la connetteva all’armatura, e provare, in quel modo, a sfondare le difese del nemico con l’arma.
Maru, avvedutosi del nuovo attacco, iniziò a vorticare il Corno del Narvalo sopra di se, deviando in quel modo l’arma che stava correndo contro di lui; allo stesso tempo, però, Acoran fu svelto nell’atterrare alle spalle dell’altro, impugnando di nuovo ambo le falci, per cercare di affondare le due lame a semiluna sullo sterno dell’Areoi colpendolo da dietro.
Il guerriero del Narvalo non si fece comunque trovare impreparato, sollevando il giavellotto ed interponendolo al percorso preso dalle armi nemiche, "Pensavi di vincermi con tali slealtà?", domandò sicuro di se il polinesiano, sferrando poi una violenta testata verso il mento dell’africano, che indietreggiò, sputando sangue e qualche dente per il violento impatto appena subito.
"Non sono l’unico ad usare attacchi sleali …", ridacchiò allora il Generale Nero, "ma penso che per concludere lo scontro dovrò ricorrere alle abitudini più recenti.", rise ancora, sputando qualche altro dente e sollevando le falci nella medesima posizione presa poc’anzi, quella del suo secondo attacco.
Anche l’Areoi la riconobbe subito, portandosi in guardia con il giavellotto già pronto per usare l’estremità affilata ed il colpo ad esso connesso, quando lo sguardo di Acoran si piegò un istante: "Non mi hai ancora detto il tuo nome, indigeno.", osservò con disappunto, "Maru del Narvalo, al servizio di Ukupanipo, signore dei Mari, questo io sono.", ribatté secco il polinesiano, ricevendo una risata soffocata in risposta.
"Maru? Un nome davvero ridicolo e, per di più, simile in qualche modo a quello del nostro Primo Generale … l’unica donna che mi abbia mai sconfitto, anzi, l’unica persona che mi abbia mai sconfitto.", rise ancora Acoran, ammettendo quel pensiero, mentre l’oscura energia circondava le due falci sovrapposte.
"Non preoccuparti, Generale invasore, vedrò di farti gustare di nuovo del suo amaro sapore.", minacciò di rimando l’Areoi, circondando il giavellotto con il proprio candido cosmo.
"Attento a chi ti rivolgi, indigeno! Io sono Acoran della Locusta, il Quarto Artiglio! Ed ora abbattiti su di lui, Kibo!", urlò furioso l’africano, "Coda Tagliente, in nome di Ukupanipo!", replicò l’altro, sferrando a sua volta il proprio attacco.
Fu mentre i due attacchi si confrontavano l’un con l’altro, annullandosi vicendevolmente, che alla mente del Comandante della Quarta Armata tornarono i ricordi della prima volta in cui era stato definito un "Artiglio", il giorno in cui Mawu del Mamba Nero lo aveva sconfitto.
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Era nato sull’isola Lanzarote, una delle Isole Canarie, colonie spagnole in territorio africano e, come quelle terre, lui era figlio di un nobiluomo spagnolo che aveva approfittato di una indigena per poi ripudiarla e non riconoscerne la progenie.
Era stato scacciato dal padre ed anche dalla madre e dalla famiglia di lei, che non avevano proprio voglia di crescere un mezzosangue com’era Acoran, per questo aveva vissuto l’infanzia e la fanciullezza da solo, pensando solo a se stesso ed a come sopravvivere in un mondo che non aveva certo pietà dei bambini.
Era stata la necessità a renderlo spietato, avrebbe potuto dire qualcuno, ma lui era convinto che, in fondo, tutti gli uomini erano spietati e malvagi fino al midollo, solo che cercavano di fingersi diversi, per questo Acoran si definiva, quanto meno, onesto con se stesso.
Se non la necessità lo aveva reso spietato, comunque, era stata quella a fargli trovare la forza per andare avanti, a permettergli di apprendere le basi di come si controllava il cosmo e quando ormai era diventato uno degli uomini più ricercati dal governo spagnolo e dai vari piccoli capi villaggio nelle Isole Canarie, per i suoi indiscriminati, e spesso illogici agli occhi di tutti, massacri, l’adolescente Acoran aveva abbandonato le terre natie, infestando la costa settentrionale dell’Africa, dal Marocco all’Egitto, passò anni uccidendo e massacrando per il puro gusto di farlo, finché non arrivò, per l’appunto, nella terra degli antichi faraoni, lì li incontrò.
Dieci anni erano passati da quel giorno, ma ancora si ricordava quando, dopo aver ucciso un gruppo di beduini in un’oasi, con l’unica colpa di essersi trovati lì mentre lui vi passava, incontrò sul proprio cammino quattro individui: tre uomini ed una ragazza con il volto sfregiato dall’assenza di un occhio.
Il più giovane di quei tre gli si rivolse: "Sei tu colui che chiamano l’Ottava Piaga d’Egitto?", domandò ad Acoran, che non sapeva di questo, così pittoresco, epiteto che gli era stato rivolto e che andava ad aggiungersi a tanti altri, ma che, di certo, li superava tutti in epicità.
"Probabilmente sì, se cercate chi ha ucciso tante di quelle persone in queste terre sabbiose da non avere più un conto delle proprie vittime.", ammise sorridendo beffardo.
"Dunque sei tu il criminale che dovrà essere da noi giudicato.", replicò il ragazzino, "Giudicato da un moccioso ed il suo seguito? Chi credete di essere per fare ciò?", domandò divertito Acoran, "Io sono il Sovrano d’Africa e questi sono i miei generali.", tagliò corto l’altro.
Il mezzosangue guardò con esaltato stupore a quel moccioso, che di certo era più giovane di lui, che si definiva Sovrano d’Africa, un regno che, da quel che lui sapeva, nemmeno esisteva, un regno che mai, in effetti, sarebbe esistito, poiché troppe le differenze e gli odi fra gli uomini, secondo il punto di vista di Acoran, che sollevò le sciabole con cui combatteva di quei tempi e le fece brillare della propria energia cosmica, il che sorprese Gu, Moyna, il giovane Sovrano e la fanciulla con un occhio solo: di certo non si aspettavano di avere davanti un nemico con tali qualità.
"Muori, Re di un regno che non esiste!", lo minacciò l’uomo, lanciandosi all’attacco, ma mai arrivò a raggiungere il giovane monarca, poiché più veloce fu la ragazza sfregiata, che fermò con la sola mano sinistra la lama assassina, "Sai come usare l’energia del cosmo, ma in modo brutale, quasi bestiale, poiché, alla fine, questo sei: una bestia, incapace di fare alcunché di più che attaccare e massacrare, o mi sbaglio?", domandò l’avversaria, "Se fossi più di un animale e sapessi ben usare il potere che in te è quasi risvegliato, potresti impedirmi di fermarti, ma non ne sei capace.", concluse, prima che un’ondata di luce violacea scaturisse da lei, stringendosi sulle dita che bloccavano la lama e sciogliendola fra le stesse.
Acoran rimase sbalordito da quello che vide, ma non per questo si fermò dal tentare un attacco con la sciabola restante, un tentativo di decapitare quella femmina, che, però, risultò tanto veloce da evitare il colpo semplicemente abbassando il capo, sferrando poi, a sua volta, un violento gancio destro al petto dell’avversario, che abbandonò la presa sulle proprie armi, volando al suolo a diversi metri di distanza, scivolando nella sabbia, dove, pochi istanti dopo, si ritrovò a vomitare sangue.
"Ti ho colpito cinque volte con il mignolo, iniettando una quantità irrisoria di veleno nel corpo e guarda com’è già ridotto il tuo corpo. Hai vissuto da bestia e da bestia stai per morire, anzi, per essere abbattuto.", lo minacciò decisa la ragazza, avanzando ed agli occhi annebbiati di Acoran parve quasi che quella nera aura che la circondava prendesse le forme di un maestoso serpente.
"Basta, Mawu! Dimostrami il tuo rispetto.", ordinò la voce del giovane Sovrano, a cui la ragazza rispose inchinandosi prontamente sul ginocchio sinistro e portando il pugno destro dinanzi al volto, subito imitata dai due uomini che erano con loro.
Il Re, intanto, si avvicinò ad Acoran, ancora prostrato al suolo, "Dimmi, con quella forza, perché uccidi genti per tutto l’Egitto? Hai forse intenzione di ribellarti al divino Ra ed ai suoi guardiani? Sei stato da loro iniziato ai segreti del cosmo?", lo interrogò, ma l’uomo, seppur a fatica, gli rispose in modo inatteso: "Segreti del cosmo? Non so di cosa tu stia parlando, né so niente di questo Ra, o di alcun guardiani, di certo se li avessi trovati sul mio cammino li avrei uccisi, come farò con voi, non appena riuscirò a rimettermi in piedi.", minacciò.
"E periresti contro di loro come perirai contro di me se alzerai il tuo pugno.", lo ammonì il Sovrano, "Dimmi, com’è possibile che un uomo dell’Egitto non conosca le proprie divinità antiche? Sei veramente una bestia come suppone la mia fida seguace?", domandò ancora.
"Non sono egiziano! Non da queste terre sabbiose provengo, ma dall’Isola Lanzarote, nelle Canarie, lì ho compiuto i miei primi massacri e poi ho lasciato una scia di sangue e morte fino a questo luogo di sabbia e dimenticanza! E non osate più definirmi una bestia, poiché sono più umano di tutti voi, che vi nascondete dietro delle scuse per uccidermi!", urlò furioso, stringendo i pugni nel terreno, impotente.
"E se invece della morte, ti offrissi una scusa per uccidere ancora ed ancora ed ancora?", domandò di rimando il Sovrano, lasciando l’altro sbalordito, "Ti offriremo di apprendere come perfezionare il potere che già sai usare, ti daremo delle vestigia per combattere al nostro fianco e diverrai uno dei miei Artigli, i generali del mio esercito.
Unico tuo dovere: non uccidere mai più un africano, ma solo i nemici delle nostre genti.", gli propose ancora.
"Uccidere tutte le genti del mondo tranne gli africani? Mi va più che bene come proposta, Sovrano d’Africa. Dammi una guerra in cui combattere ed avrai la mia spietata onestà dalla tua parte.", convenne Acoran.
"Bene, Quarto Artiglio, allora adesso dimostra la tua lealtà ed il tuo rispetto ad Ogum del Leone nero, il Sovrano d’Africa!", ordinò infine il ragazzo, facendogli cenno di prostrarsi e, a fatica, l’altro, imitò la posizione presa dai tre al seguito di quel Re, il suo Re adesso.
"Lode a Re Ogum!", urlarono all’unisono i quattro che circondavano il Nero Sovrano.
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L’esplosione di energia che scaturì dal confronto dei due poteri spinse ambedue i combattenti indietro, storditi e feriti, con le vestigia pressoché in pezzi in più punti, ma ancora desiderosi di combattere, mentre la mente di Acoran tornava al presente ed anche lui si accorgeva di ciò che aveva appena catturato lo sguardo di Maru: una colonna di luci che si alzavano distanti nel tempio, luci che non sembravano provenire da un singolo cosmo, quanto da diverse entità piuttosto deboli, per la maggior parte.
Ci volle un po’ perché il Quarto Artiglio capisse, ma poi lo realizzò, realizzò di aver visto qualcosa di simile, anni prima, nel Ghana, quando avevano incontrato Ntoro e se le anime lo stavano abbandonando, allora la Testuggine Raggiata era stata sconfitta.
"Qualcuno di voi è riuscito a fare l’impensabile: avete sconfitto un altro dei Cinque Generali Neri, peccato che tu non avrai quella stessa fortuna.", rise fra se il guerriero della Locusta, prima di notare la strana posizione presa dal suo avversario, la cui energia cosmica ora scorreva su ambedue le estremità del giavellotto.
"Prima di cantar vittoria, guerriero nero, dimmi: hai forse un attacco migliore di quello finora mostratomi? Perché altrimenti ben poche speranze avrai di sopravvivere al colpo trasmessomi dal mio maestro!", lo avvisò Maru, ricevendo uno sguardo carico di eccitata sfida in risposta, mentre Acoran sollevava le braccia, aprendole a croce, e rivolgendo le due lame delle falci verso il suolo, "Oh sì, certo che ho qualcosa di meglio: l’arma più potente, per la quale mi è stato dato un altro epiteto, migliore persino di Ottava Piaga d’Egitto, l’arma più potente della Locusta è tutta per te!", ruggì deciso il Quarto Artiglio.
"Mietitore Vorace! Massacra!", ordinò poderoso il guerriero della Locusta, sollevando ad unisono le due lame e conducendo i fendenti d’energia oscura a concentrarsi in una forma che ricordò quelle del volto dell’insetto a cui l’armatura del Savanas era ispirata, una Locusta il cui sguardo sembrava, però, ricolmo di una fama di distruzione senza pari.
"Lama degli Oceani! Apriti un varco verso il nemico!", invocò il possente Areoi del Narvalo, scatenando l’affondo ed il fendente la cui energia, combinata, superava persino quella del Maremoto Divino del suo maestro, correndo con indicibile determinazione incontro alla famelica creatura avversaria, in attesa dello scontro fra le loro forze.
E quello scontro, alla fine, avvenne: un impatto devastante, tanto da distruggere l’intero tetto dell’Avaiki nella zona sovrastante i due combattenti e far cadere su di loro una pioggia di rocce, che si unirono allo scoppio di energia, tanto da salvarli, ironicamente, dal restare schiacciati e dall’essere investiti da una forza d’urto tale da eliminarli entrambi.
Acoran e Maru furono schiantati comunque al suolo, doloranti e sanguinanti, incapaci di rialzarsi per diversi secondi, finché quel turbinare d’energia da loro scatenato non si fu fermato, permettendo ad ambedue di rimettersi in piedi.
Si scambiarono uno sguardo, un misto di sorpresa per vedere l’altro ancora vivo, rispetto per la potenza del colpo che quello gli aveva mandato contro, ed eccitazione per l’inatteso ed emozionante combattimento a cui stavano facendo fronte.
"Dimmi, Maru del Narvalo, sei il più forte di voi indigeni?", domandò divertito il Generale Nero, "No, il mio comandante mi supera notevolmente in potenza, ne sono certo.", ribatté serio l’Areoi, sollevando il giavellotto, "Probabilmente sarà stato questo tuo comandante ad uccidere Ntoro, poco male, in fondo quel predicatore che amava vivere nel passato delle proprie vittime non mi è mai stato particolarmente simpatico. Dovrò comunque sbrigarmi se voglio trovare questo potente indigeno prima di Gu, o di Mawu.", ridacchiò Acoran, risollevando le due falci, per scoprire che le ali cui erano connesse, ormai, non erano altro che un vago ricordo.
"Pensi di poter arrivare ad incontrare il mio comandante? Vana speranza la tua, qui ti fermerò, impedendoti di fare alcun male alle persone a me care!", replicò deciso l’Areoi, "Persone care, speravo che un guerriero come te sapesse andare oltre queste vaghe illusioni di umanità!", lo schernì il Savanas, "Cosa intendi dire?", incalzò allora il polinesiano.
"Ti confiderò qualcosa che ho capito negli anni passati in questo Nero Esercito. Io sono una bestia.
Quando per la prima volta mi fu data questa etichetta, non la gradii, era un’offesa, o almeno come tale suonava, ma poi ho compreso: gli uomini uccidono per il piacere di farlo, anche se si nascondono dietro false ragioni e moralità, ed allo stesso tempo restano uniti fra loro per timore che un più potente individuo li uccida, oppure, per placare istinti che hanno sempre a che fare con le fame primordiali, la fame di sangue, o la lussuria, non sono altro che due modi diversi di vedere la medesima natura umana, una natura bestiale che molti negano cercando parole come giustizia, affetto, amicizia, amore, ma sono solo parole, etichette con cui cercano di nascondere a se stessi che non sono poi così diversi da leoni, cani, gatti, pesci, insetti, rettili.
Io sono andato oltre queste menzogne ed ora agisco in modo onesto, cercando sempre di soddisfare la mia fame di sangue e massacri; provaci anche tu, ti divertirai, per i minuti che ti restano da vivere.", lo ammonì infine il Quarto Artiglio, riprendendo la posizione del Mietitore Vorace.
"Non sono per niente concorde con la tua visione del mondo, Generale Nero: tu non credi nei legami, negli affetti, ma solo negli istinti? Ebbene gli istinti mi avrebbero dovuto portare ad allontanarmi dalla donna a cui mi sono legato, a cercare un luogo più sicuro, a fuggire dal veleno che, giorno dopo giorno, rischia di farmi morire, ma che vita sarebbe per me una vita simile? Hai mai provato, Acoran della Locusta, la sensazione che dà l’essere felice perché un’altra persona è felice, provare gioia nel vedere il suo sorriso, nel sentire le sue parole, soffrire soltanto perché lei soffre, per qualcosa che nemmeno sapevi, o che non ti riguardava, vivere la tua vita attraverso quella di un’altra persona e sapere che lei vive la sua attraverso te? Ebbene, questo va oltre gli istinti che tanto ti sono cari, non è una mera etichetta, come tu poc’anzi hai definito gli affetti, è un legame vero ed assoluto, qualcosa che, sono certo, mi terrà vicino alla donna che amo anche oltre la morte, qualcosa che tu non potresti capire, ma che riuscirà a vincerti.", avvisò il polinesiano, assumendo la posizione della Lama degli Oceani.
Fu, però, solo il primo dei due colpi massimi ad essere lanciato contro il proprio bersaglio, poiché l’Areoi attese immobile per alcuni istanti, osservando le fauci della Locusta correre insaziabili contro di lui, quindi, con un agile balzo, spiccò un salto usando uno dei frammenti del tetto caduto come trampolo per raggiungere una posizione elevata, superiore a quella in cui si trovava il nemico e solo in quel momento Maru di Narvalo scatenò il suo attacco.
La Lama degli Oceani calò dall’alto sul Mietitore Vorace, investendolo solo in parte, ma, cosa più importante, raggiungendo in pieno Acoran, che non poté in alcun modo fermarsi, né fermare l’attacco nemico.
L’impatto fu devastante: il guerriero polinesiano, che comunque subì parzialmente il colpo nemico, si ritrovò di nuovo in aria, a compiere una traiettoria parabolica opposta a quella da cui era partito, cadendo malamente al suolo, ma ben peggiore fu la situazione per il Generale Nero che, incapace di difendersi, prese in pieno il fendente bianco, che ne distrusse le vestigia, massacrandone il corpo e gettandolo a terra, morto.
Alla fine, quando la furia dei due si quietò, Maru del Narvalo si alzò a stento, appoggiandosi al Corno del Narvalo, "Tara, ti raggiungerò …", sibilò, iniziando ad avanzare zoppicando, stremato e ferito, ma ancora vivo e pronto per nuove battaglie.