Capitolo 25: Il Quinto Generale
La vittoria di poco prima aveva rincuorato i loro spiriti, ma non altrettanto per i corpi stanchi e feriti, ma non per questo i tre cavalieri d’argento avevano interrotto la loro corsa: Iulia dell’Altare, Vincent di Scutum e Rudmil della Corona Boreale stavano avanzando fianco a fianco ormai da tempo lungo il corridoio che gli faceva da strada.
Il discepolo dell’Acquario aveva raccontato, dopo aver anche lui sentito la storia di Vincent, Gustave e di Abuk dello Sciacallo Striato, ai due parigrado ritrovati come lui e Juno di Cerbero erano finiti in una sorta di trappola illusoria, vagando in un meandro di terra senza fine, finché, risvegliatosi, s’era trovato solo ed aveva deciso d’immergersi in uno specchio d’acqua, per poi uscirne ed affrontare un Areoi che aveva deciso di tradire i propri compagni.
"Incredibile, dunque fra questi guerrieri polinesiani vi sono dei traditori? Difficile da credersi!", commentò sorpreso il discepolo di Degos d’Orione, "Difficile, ma purtroppo vero. Non possiamo nemmeno sapere se, qualora d’ora in poi incontrassimo altri Areoi, essi ci saranno avversi perché diffidano di noi, o perché semplicemente sono traditori delle loro divinità.", replicò con sottile disappunto l’albino, prima di volgersi verso la sacerdotessa d’argento.
"Piuttosto, ho un altro dubbio: dove si trova il cavaliere del Triangolo? Vi siete forse divisi, o un nemico lo ha costretto a restare indietro?", domandò l’allievo di Vladmir.
"In effetti è stato per un qualche nemico che ci siamo divisi: durante il mio scontro con una guerriera africana di nome Chikara dell’Istrice, infatti, Amara percepì un cosmo, qualcosa di estraneo e vasto che confondeva gli altri, a suo dire, probabilmente il colpevole dell’illusione in cui tu ed il cavaliere di Cerbero eravate caduti. Dopo la mia vittoria sulla Savanas, ha suggerito di dividerci ed io sono semplicemente andata avanti.", spiegò la sacerdotessa guerriero.
"Quindi si può solo sperare che ci raggiunga? Se non da questo percorso, almeno da un altro?", incalzò ancora il cavaliere proveniente dal Nord, "Io l’ho visto.", li interruppe a quel punto Vincent, spingendoli entrambi a voltarsi verso di lui.
"Poco dopo essermi ripreso, dopo lo scontro con Buadza del Bufalo Nero, ho intravisto il cavaliere del Triangolo, correva nella direzione opposta alla mia, correva verso l’ingresso del tempio subacqueo. Ho anche tentato di chiamarlo, ma non mi ha risposto, era come se fosse un sonnambulo …", sussurrò perplesso alla fine il santo dello Scudo.
"Che sia caduto anche lui vittima dello stesso guerriero illusionista che aveva intrappolato me e Juno?", si domandò allora Rudmil, fermandosi, "Forse dovremmo tornare indietro, cercarlo magari?", chiese ancora, preoccupato.
"Non sottovalutare l’uomo di cui stai parlando, cavaliere della Corona, egli è senza dubbio il più potente fra tutti noi santi d’argento e, cosa più rilevante, il suo maestro era uno degli uomini più fidati del Sommo Sacerdote nella precedente generazione di guerrieri sacri ad Atena, il saggio Samadhi d …", ma le parole di Iulia furono interrotte da un suono, una voce che non colsero a pieno, forse due voci parve ad almeno Vincent fra loro, ma prima ancora di potersi mettere in guardia, i tre furono avvolti in una fitta nebbia.
"Che succede?", sibilò preoccupato Rudmil, "Sembra la tecnica di quell’Areoi, quello che è partito assieme a Ludwig del Centauro!", osservò Iulia, "Che non ci abbia riconosciuto?", incalzò allora Vincent, "O forse è un traditore anche lui!", esclamò allora il cavaliere russo, "Non direi, per come si è presentato a noi …", tagliò corto la sacerdotessa guerriero, prima che un’altra voce si presentasse nell’aria, celata dalla nebbia.
"Respiro del Bufalo!", urlò la voce, "Che cosa?", fu la lenta reazione di Vincent, nel riconoscere quel tono e, soprattutto, l’attacco, che sollevò dal suolo i tre cavalieri d’argento, scagliandoli gli uni contro gli altri e gettandoli di nuovo al suolo.
"Buadza? Non può essere, è morto …", sussurrò l’allievo di Degos, ma già una nuova voce s’alzava su di loro: "Aculeo Luminoso!".
"Non è possibile!", urlò sconvolta Iulia, "Spostatevi!", ordinò poi, rotolando lei stessa nel terreno, fino a quella che risultò, al contatto, una pozza d’acqua, prima di udire le urla di dolore del cavaliere dello Scudo ed un leggero lamento di quello della Corona.
"Pioggia di Frecce!", esclamò a quel punto un’altra voce sconosciuta, "Come può essere?", esclamò a sua volta Rudmil, "Sollevate le difese, cavalieri!", ma la richiesta fu solo minimamente sufficiente ai tre per reggere ai molteplici dardi senza ferirsi ancor di più.
Quando anche quel nuovo attacco fu concluso, i tre si ritrovarono spalla contro spalla, "Il primo attacco, era dell’uomo che ho affrontato e sconfitto … non può essere ancora vivo!", balbettò stupefatto Vincent, "Non te ne stupire: anche il secondo attacco era di Chikara e lei, te lo posso assicurare, è morta.", continuò Iulia, "Così come il mio avversario, fautore del terzo colpo.", concluse l’allievo dell’Acquario, prima che una quarta voce s’introducesse.
"Tempesta di Artigli!", urlò quello che sembrava essere Nyame del Ghepardo. Grande lo stupore dei tre, ma il cavaliere dello Scudo si portò in avanti sollevando il braccio, "Schild van de Koning!", invocò, sollevando la barriera con cui sostenne l’attacco noto per se ed i compagni, prima che, alla fine, la nebbia iniziasse a diradarsi.
Non ebbero nemmeno il tempo di chiedersi cosa stesse succedendo i tre cavalieri d’argento, poiché, su una superficie che sembrava un’immensa parete scura, iniziarono a balenare delle sagome sfocate, che li lasciarono ammutoliti, mentre prendevano forma.
"Questa la mia fine? Questo l’esito della sconfitta? Quale la mia colpa? Forse non aver sviluppato fino all’ultimo gli insegnamenti del mio maestro? Sciocco io, che sono stato sconfitto da un esile fanciullino armato di scudo!", si lamentò un volto che prese la forma di quello di Buadza del Bufalo Nero, prima di diventare sfumato, mentre un secondo si affacciava su quella superficie oscura, il volto di Chikara dell’Istrice.
"Ho perso, portando disonore alla Prima Armata ed alla potente Mawu! Merito questa eterna punizione, merito questa sofferenza senza fine, tutto questo a causa soltanto della mia debolezza.", affermò quel volto vacuo, prima di dissiparsi e lasciare spazio ad uno noto a Rudmil, quello di Aremata Popoa del Balistes: "Il mio piano era perfetto, avremmo dovuto vincere e conquistare il potere io e mio fratello ed invece, cosa? Siamo finiti in questo spazio oscuro e vuoto a lamentarci con altri sfortunati, ah quale malevola cosa la sorte!", si disperò quella faccia, scomparendo poco dopo.
"Sorte sfortunata per me che tanto anelavo alla caccia, eccomi ora, bestia in gabbia per l’eternità in una prigione senza sbarre se non quelle che mi specchiano verso l’esterno, un’eternità fra le tenebre dell’Abisso e la superficie del mondo.", esordì di seguito il volto che si rivelò essere quello di Nyame del Ghepardo.
"Quale maleficio è mai questo?", domandò, disgustato Vincent, osservando quei quattro volti e poi molti e molti altri che s’andarono aggiungendo su quella superficie nera, ricoprendola per intero e dandole una sempre più evidente forma.
"Comandante Toru! Che il mio sacrificio sia servito a qualcosa, almeno questo mi auguro, renderà la mia sofferenza, la mia mancanza di un’eterna pace, meno dolorosa.", pregò Kohu dell’Istioforo, apparendo fra quella cacofonia di ignote teste immateriali.
"Anime dannate sono forse queste?", domandò intimorito Rudmil, indietreggiando leggermente.
"Non anime dannate, ma ospiti e compagni che mi raddolciscono le notti con le loro tenere nenie!", esclamò una voce che era al di fuori di quella cacofonia di sofferenze, una voce che si trovava al di sopra di tutte, una voce che apparteneva ad una vera e propria testa, ricoperta da un elmo nero.
Fu solo in quel momento, che i tre cavalieri d’argento poterono mettere a fuoco la persona dinanzi a loro: gigantesco, alto più di chiunque avessero fin lì incontrato, ed oltremodo massiccio, l’uomo, se così si poteva definire, che bloccava loro il passo indossava delle nere vestigia, come scura era la sua carnagione, vestigia che ricordavano una grossa tartaruga.
La schiena era, infatti, ciò che fino a quel momento avevano osservato, una gigantesca carapace fra le cui scaglie navigavano i volti dei morti, continuamente intenti a lamentarti; le coperture per braccia e gambe erano costituite da grossi blocchi che richiamavano la forma degli arti del rettile, fino a coprirne anche le mani ed i piedi con le zampe artigliate; l’elmo, infine, che celava in parte gli occhi sottili e completamente il capo, richiamava una tartaruga dal becco ad uncino.
"Siete pronti ad unirvi alle anime che eternamente si lamentano nel Guscio Infinito, Iulia, Vincent e Rudmil?", domandò divertito il gigantesco uomo che avevano dinanzi.
"Come puoi conoscere i nostri nomi?", balbettò sorpreso l’allievo di Degos, "Molto so di voi, cavalieri, frutto dei ricordi degli spiriti che custodisco, molto so dei vostri attacchi e delle tecniche segrete che conoscete. Avete avuto la sfortuna d’incontrare me dopo l’allievo di Gu, avete incontrato Ntoro della Testuggine Raggiata, Generale a comando della Quinta Armata.", esclamò presentandosi e voltandosi.
I cavalieri poterono osservare come anche la parte anteriore che copriva il busto, di quella corazza, non fosse altro che un integrale carapace che lo celava dal collo fino alle cosce, senza decorazione alcuna che non fossero le scaglie di cui era composta la corazza della Testuggine, scaglie in cui vagavano altrettanti volti disperati.
"Quale mostruosità!", osservò disgustata Iulia, "Osservate bene questa mostruosità, guerrieri di Atena, poiché ben presto anche voi ne farete parte, come tutti i vostri compagni!", minacciò, indispettito, Ntoro, espandendo il proprio tetro cosmo.
"Vuoi dire che già altri fra noi sono stati uccisi?", domandò preoccupato Vincent di Scutum, ricevendo un sorriso beffardo come prima risposta, subito seguita da delle parole: "No, nessuno di voi è ancora qui dentro caduto, ma qualcuno ha lasciato il mondo dei vivi per perdersi fra le stelle assieme a dei membri della Seconda Armata, per quanto non sappia chi con precisione.
Avete saputo vincere l’intero Esercito d’Africa e giungere fin da noi che ne siamo i cinque Comandanti, ma non temete, cavalieri, anche per voi giungerà la fredda morte e vi condurrà tutti nell’Abisso Infinito di cui sono custode. Nessuno ha mai sconfitto i Generali Neri finora e mai questo succederà!", vaticinò sicuro il nemico.
"Dunque tu intrappoli gli spiriti privi di corpo all’interno delle tue vestigia? È forse quello il pozzo di Go-Garib?", chiese la sacerdotessa ancora, ricevendo uno sguardo curioso dall’interlocutore, "Sembri saperne quanto colui che ha vinto il mio discepolo Anansi, ma no, non è questo il pozzo del Rituale che gli alleati del mio Sovrano hanno saputo creare, non qui affondano le divinità, solo le anime mortali, di chi ha perso la vita, o non ha la forza di stringerla a se, so intrappolare.
Un piccolo dono del Re Nero, che mi concesse per unirmi alle sue schiere, un dono che ho di cuore accettato.", spiegò di rimando Ntoro.
"Grazie a questo potere, mantengo un eterno controllo sulle anime dei morti che domino, un potere che mi permette di richiamarle, non solo per allietarmi con i loro lamenti, ma anche per usarle in battaglia, perché diventino la mia forza!", esclamò il Generale della Testuggine Raggiata, prima che il cosmo oscuro attorno a lui si precipitasse all’interno delle vestigia nere, lasciando brillare all’unisono le decine e decine di volti che vi erano imprigionate.
"Trasmigrazione delle Anime!", urlò, accecato dalla gioia, il gigante, aprendo poi le mani dinanzi a se, "Per voi, che non avete affrontato che pochi soldati dell’esercito nero, eccovi dinanzi la potenza di altri guerrieri morti per mano dei vostri compagni!", aggiunse pochi istanti dopo.
"Bicorno di Roccia!", invocò una voce che non apparteneva al generale, ma che i tre avevano già sentito, la voce di Mulungu del Rinoceronte, prima che una possente coppia di spuntoni ossei fuoriuscissero dal terreno, diretti verso il trio di santi di Atena.
Sapevano, però, cosa aspettarsi i cavalieri, poiché avevano osservato lo scontro fra i due mastodonti della Quinta Armata con Ludwig e Kohu, e veloce Iulia espanse il proprio cosmo, dalle rosse sfumature, "Speciosae Scudis!", ordinò, sollevando gli scarlatti petali difensivi, che ben ressero a quel primo impatto, primo ma non unico, poiché, pochi istanti dopo, la voce del nemico mutò di nuovo, "Barrito Distruttore!", esclamò infatti quello che sembrava Kalumba dell’Elefante Nero, provocando un’ondata d’energia tanto forte da superare le già danneggiate difese floreali.
Solo la veloce reazione di Vincent, che si portò dinanzi ai compagni, innalzando ancora una volta lo Scudo del Sovrano, impedì che quel secondo attacco li colpisse in controtempo.
L’attacco di Ntoro, però, non era ancora finito: "Ringhio della Rabbia!", ruggì quella che, alle orecchie del cavaliere olandese, pareva la voce di Abuk dello Sciacallo Striato, subito seguita dal proprio compagno d’addestramenti, Anansi della Giraffa, che scatenò le Macchie della Mente.
Il primo dei due attacchi andò pienamente a segno, facendo piegare dal dolore i tre cavalieri e solo il reattivo sollevarsi del Kolito impedì che anche la seconda parte di quel nuovo assalto provocasse danni fin troppo gravi al trio di santi di Atena, che furono spinti indietro e sbattuti al suolo, o, più correttamente, cadendo in un acquitrino.
Il luogo dove, infatti, stavano combattendo con il Generale, era uno spiazzo pieno di specchi d’acqua, alcuni più profondi, altri meno, come lo stesso dove i tre erano caduti, un terreno chiazzato dall’acqua, cosa che, però, non sembrava poter dare aiuto a nessuno di loro in quel momento.
"Riesce ad usare più attacchi contemporaneamente, ed ognuno di un tipo diverso … anzi, di una persona diversa!", esclamò sbalordito Vincent di Scutum, rialzandosi in piedi.
"Dici bene, cavaliere di Atena, quelli che avete appena subito erano i colpi migliori dei miei ultimi quattro seguaci, in queste stesse grotte caduti, uno dopo l’altro, per mano dei vostri compagni, per la maggior parte.", confermò Ntoro, osservandoli al suolo.
"E dopo la Quinta Armata, eccovi la Quarta, nella fattispecie, i discepoli del Generale Acoran!", continuò, sollevando le braccia, mentre già, alla mente del discepolo di Degos, tornava lo scontro con Buadza.
"Shira!", evocò proprio la voce del Bufalo Nero, "Mawenzi!", gli fece eco quella di Deng dell’Orice, prima che due fendenti, uno di puro vento e l’altro di energia, si gettassero contro i cavalieri d’argento.
"Spostatevi, questi sono attacchi che non possono essere semplicemente parati!", urlò Vincent, ma, prima che potesse muoversi, già Rudmil s’era fatto avanti, sfruttando gli schizzi d’acqua del loro movimento per creare un improvvisato muro di ghiaccio che contenne in parte la violenza dei due colpi, andando comunque in frantumi, ma permettendo al Kolito di reggere ai colpi combinati.
"Ottima mossa, cavaliere.", si complimentò Iulia, alzandosi ed avvicinandosi, subito imitata dal parigrado dello Scudo, a cui il russo si rivolse: "Dimmi, tu che hai affrontato una delle due anime sfortunate che ci hanno appena attaccati, la potenza del suo colpo era tale da poter essere così facilmente ridotta?".
Per alcuni istanti, rifiatando nel frattempo, Vincent rimase a pensare a quella domanda, poi un dubbio s’insinuò nella sua mente: "No, non lo era. Ha saputo duellare alla pari con la potenza della mia massima difesa e quel muro di ghiaccio non era nemmeno una vera tecnica per te, cavaliere della Corona, in più adesso era congiunto con un altro fendente che sembrava pari, se non superiore, per potenza.", osservò sempre più convinto l’allievo di Degos.
"Era quello che sospettavo fin da quando siamo stati attaccati dai due colpi di chi avevo affrontato: non so in che modo costui controlli gli spiriti che tiene prigionieri, ma nell’usarne la potenza in battaglia questa risulta decisamente ridotta.", spiegò allora Rudmil, trovando un cenno d’assenso da parte di Iulia.
"Esattamente, giovani cavalieri: posso usare in attacco più spiriti alla volta, ma la loro forza si riduce della metà quando li richiamo a me, d’altronde, sono anime senza più un corpo, cosa poteva aspettarvi mai da loro in questo senso?", confermò beffardo Ntoro, "Ma non pensiate che questo sia per voi un vantaggio, o una via per trovare la vittoria, poiché non solo l’uso delle anime nell’attaccare è fra le armi del Quinto Artiglio.", concluse deciso.
"Nemmeno tu avrai facile vittoria su di noi!", esclamò di rimando Iulia, "Insieme, cavalieri!", ordinò espandendo il proprio cosmo, ora di un intenso arancione, "Bulbifera Solis!", invocò poco dopo, circondando l’area attorno al nemico dei gigli dal brillante bulbo; "Diamond Dust!", le fece eco Rudmil, scatenando la Polvere di diamanti contro il nemico, mentre già Vincent spiccava un salto, iniziando a roteare su se stesso, "Lawine van het Schild!", urlò, sferrando la propria pioggia d’energia.
Sorrise beffardo a quei loro attacchi Ntoro della Testuggine Raggiata, sibilando poche parole: "Carapace degli Spiriti!"; ciò che accade poco dopo lasciò sorpresi i cavalieri, che videro lo scuro cosmo del nemico addensarsi sulle vestigia, che brillavano ancora una volta per le anime dannate al loro interno, anime che sembrarono disporsi a coprire per intero quelle loro prigioni, rendendo la tartaruga nera ancora più brillante e grande, quasi innaturalmente, prima che i tre attacchi la investissero contemporaneamente.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, in cui l’esplosione dei gigli di Iulia, unitasi ai bagliori di luce dell’attacco di Vincent ed alla fredda corrente generata da Rudmil ricoprirono per intero i sensi dei tre cavalieri, che solo dopo riuscirono a vedere l’esito dei propri colpi, un esito che li lasciò sbalorditi: Ntoro era ancora in piedi, completamente illeso.
"Le anime non mi sono utili solo per attaccare, ma sono anche la mia più perfetta arma di difesa, la barriera ultima del Guscio Infinito sono i suoi stessi ospiti!", esultò soddisfatto il Quinto Generale, prima di richiamare all’interno delle vestigia il cosmo oscuro, "Trasmigrazione delle Anime!", sibilò, prima di sollevare le mani verso i tre cavalieri, che avevano ancora le difese abbassate, "Braccia del Gorilla!", urlò a quel punto la voce di Garang, l’uomo sconfitto da Cassandra di Canis Maior, prima che la violenza di quel singolo attacco investisse i tre cavalieri, senza riuscire a ferirli gravemente, ma spingendoli comunque dentro un altro specchio d’acqua, pronti per essere vittime del prossimo attacco.
"Lancia del Cacciatore!", fu ciò che sentirono dire da Heitsi della Genetta, per quanto nessuno di loro lo avesse mai conosciuto, prima che quel veloce attacco li puntasse, pronto ad infierire ancora sulle di loro carni, "Speciosae Scudis!", ebbe appena il tempo di dire la sacerdotessa dell’Altare, sollevando le proprie difese a difesa di tutti, difese che ressero all’attacco per fortuna.
Una risata, però, nacque in quel momento dalle labbra di Ntoro, sulle cui vestigia si manifestarono altri tre volti, ai cavalieri ignoti, "Eccovi alcuni dei membri della scomparsa seconda Armata, uno è morto ancor prima di giungere in queste terre, ma penso che siano comunque tutti più che adatti per rivolgervi contro le loro tecniche!", rise divertito il Generale.
La prima cosa che i cavalieri videro fu qualcosa di simile ad una gigantesca pelle che s’andava formando intorno a loro, un’area di luce accecante, solo dopo sentirono quella che era stata la voce di Akongo: "Mimetismo della Zebra!", invocò scatenando il proprio invisibile attacco ed investendo inaspettato tutti e tre i cavalieri, che furono sollevati da terra e non ebbero il tempo di rimettervi piede che già altri due attacchi li puntarono.
"Lame Rosse!", invocò infatti la voce di Ayabba dell’Ippopotamo, "Sabbie del Deserto!", aggiunse un’altra e subito delle affilate condensazioni d’energia cremisi ed una fitta pioggia di pietre oscure si gettarono dai due fianchi sul terzetto di santi di Atena, investendoli in quel fuoco incrociato, incapaci di difendersi in alcun modo e lasciandoli cadere al suolo, feriti e sanguinanti.
Di nuovo il cosmo si quietò sulla nera carapace, quando Ntoro si avvicinò loro, "Per vostra pura conoscenza, l’ultimo attacco era di Agassou del dromedario, morto durante la campagna nelle Filippine. Che questo vi serva da dimostrazione: combattere contro Ntoro della Testuggine Raggiata implica affrontare non un uomo, ma un esercito! L’esercito che nel Guscio Infinito ha la propria prigione, un esercito a cui ben presto vi unirete, dopo il mio ultimo attacco, l’unico che usa davvero il mio cosmo, quello con cui strappo le anime a chi è morto ed a chi ancora è vivo.", sibilò divertito il Generale, aprendo le mani dinanzi ai tre feriti al suolo, "Preparatevi!", urlò.
Un rumore, però, interruppe l’attacco del Comandante della Quinta Armata, il veloce avvicinarsi di una sagoma che balzò fuori da uno specchio d’acqua vicino urlando: "Scariche della Torpedine!", qualcosa che stava per prendere alla sprovvista Ntoro, il quale fu, però, abbastanza veloce da sollevare la Carapace degli Spiriti attorno a se, impedendo che l’attacco lo colpisse, prima di osservare il nuovo giunto.
"Tawhiri della Torpedine, quale inatteso nuovo ospite!", esclamò gioioso il guerriero della Testuggine Raggiata, ricevendo uno sguardo di sfida dall’altro: "Mi conosci, invasore?", domandò di rimando l’Areoi, "Conosco alcuni che per mano tua hanno perso la vita ed altri che con te l’hanno condivisa. Chissà che tu non li ricordi!", esclamò divertito Ntoro, richiamando la Trasmigrazione delle Anime.
"Danza dell’Abbondanza!", invocò a quel punto la voce di Laka, lasciando l’altro sbalordito nel risentirla, inattesa e proveniente da quella scura armatura che ricopriva il nuovo avversario.
"Elettrogenesi!", esclamò, dopo l’iniziale smarrimento, Tawhiri, sollevando le proprie difese a coprirne il corpo, così che gli attacchi delle piume energetiche non lo investissero, "Complimenti davvero, guerriero polinesiano, ma mi chiedo se, anziché incontrare quella giovane traditrice ed il fedele seguace di Moyna tu avessi incontrato uno dei membri della Prima Armata, quale sarebbe stata la tua fine.", continuò beffardo Ntoro, rivelando altri volti che si distinguevano su quelle nere vestigia.
"Sguardo di Morte!", invocò una voce, "Rigurgito Venefico!", gli fece eco una seconda, prima che Akuj della Licenide prendesse la parola: "Pioggia di Larve!".
Ci vollero pochi secondi perché l’Areoi della Torpedine rimanesse come paralizzato, difeso solo dalla corrente elettrica che lo circondava, mentre già un getto violaceo ed una cupa nube lo investivano, cozzando, almeno in parte, contro quelle difese, ma, allo stesso tempo, indebolendolo sensibilmente, tanto che, alla fine dell’attacco, Tawhiri arretrò, fino a cadere al suolo, stordito dal veleno che gli era appena entrato in circolo con il primo attacco.
"Kwoth e Chuku non hanno mai calpestato le terre polinesiane, al contrario di Akuj, ma anche i loro colpi sono altresì efficaci, forse più di altri considerando di chi questi tre guerrieri erano discepoli.", fu il primo commento del Generale, che osservava i nemici al suolo intorno a lui, tre sanguinanti e dalle vestigia danneggiate, il quarto apparentemente illeso, ma con nel corpo una dose di veleno che ne avrebbe sicuramente debilitato le prestazioni in battaglia.
"Tutti al suolo, tutti già sconfitti. Probabilmente, se fossi stato Gu, o Acoran, o chissà, persino Moyna o Mawu, avrebbe trovato deplorevole che dei così deboli individui erano riusciti a giungere fin dinnanzi alle porte che conducono dal nostro Sovrano, ma per me voi non siete altro che anime che attendono di raggiungere il luogo che gli si addice: il Guscio Infinito.", affermò impassibile Ntoro, prima di sollevare la mano sinistra, aperta verso il cielo, prima che un lamento acuto e straziante arrivasse alle orecchie dei quattro che erano al suolo.
"Abisso del Guscio Infinito, ghermisci questi spiriti!", ordinò deciso il nero generale.
L’armatura parve brillare per pochi istanti, prima che il cosmo del nemico scaturisse dalla stessa, simile alle zampe di una tartaruga che fuoriescono dalla carapace, puntando ad aggrapparsi al terreno nel risalire dall’acqua, ma non il terreno cercavano questi artigli spirituali, bensì le anime dei quattro guerrieri.
Atroce fu, in quei pochi istanti, il dolore che avvertirono Iulia e gli altri, come se una lama stesse oltrepassando le loro carni e le vestigia, quasi fossero burro, ed affondasse nel loro vero essere, in qualcosa che non descrivibile a parole, ma che, inconsciamente, li rendeva le persone che erano e quella lama malefica stava cercando di strapparlo loro!
Ci volle tutta la determinazione dell’allieva di Sion perché questa potesse espandere a sufficienza il proprio cosmo e far crescere decine di gigli arancioni attorno a tutti loro, facendoli esplodere attraverso la Bulbifera Solis e spezzando in quel modo il legame che Ntoro aveva generato per strappare loro l’anima.
Ancora una volta, però, il Generale della Testuggine Raggiata uscì illeso dal colpo nemico, con le vestigia perfettamente integre, osservava divertito gli avversari, specialmente i tre guerrieri di Atene che, ai suoi occhi, si agitavano inutilmente in cerca di una vittoria che mai avrebbero potuto raggiungere, incapaci di accettare la brevità delle loro vite, che stavano per giungere al loro termine ultimo.
"Cavalieri di Atena, giusto?", esordì in quel momento Tawhiri, rialzandosi e tastandosi il petto ancora dolorante per l’ultimo attacco di Ntoro, "Sì, esatto, Areoi, di Atena siamo cavalieri, Iulia dell’Altare, Vincent di Scutum e Rudmil della Corona, questi i nostri nomi. E tu chi sei? Come fai a conoscerci?", domandò di rimando la sacerdotessa guerriero al polinesiano.
"Tawhiri della Torpedine è il mio nome, guerriero sacro ad Ukupanipo, e ho avuto modo di conoscere tre vostri compagni poc’anzi: due fanciulle come te coperte da una maschera ed un ragazzo armato di sfere chiodate.", spiegò l’altro di rimando, osservando anche i due maschi rialzarsi.
"Juno e le due sorelle sacerdotesse!", esultò Rudmil, "Stanno bene, Areoi? Dove si trovano?", domandò subito dopo, "Una delle due guerriere è caduta in battaglia, portando con se uno dei generali nemici, l’altra, assieme al vostro compagno di nome Juno, starà ormai viaggiando assieme a due miei parigrado lungo un diverso cammino per la comune meta.", spiegò con tono impassibile il seguace del dio dei Pesci.
"Una di noi è dunque caduta in battaglia? Doveva succedere, lo immaginavo.", ammise rattristata Iulia, "Spero solo che non ve siano altri …", sussurrò a quel punto Vincent, memore del dolore che aveva sofferto allo scoprire della morte di Menisteo.
"No, non preoccuparti, è stata la prima, ma non di certo l’ultima di voi a cadere!", lo derise divertito Ntoro, a cui il cavaliere di Scutum rivolse un aperto sguardo di sfida: "Non hai interesso alcuno per la vita, né dei nemici, né dei tuoi compagni?", lo accusò disgustato il discepolo di Degos.
"E perché dovrei? Per me le vite degli uomini sono tutte così simili, nel loro agitarsi per i fini più complessi. No, vedo nella vita solo la finzione delle diversità del genere umano, la morte, solo quella, che rende tutti uguali, m’interessa, poiché mi permette d’accompagnarmi a molteplici anime, i cui lamenti mi sono cari nelle notti fredde.", spiegò soddisfatto il Generale d’Armata, "E questo mi riporta alla vostra dipartita, che fra poco dovrà avvenire!", esclamò pochi istanti dopo, richiamando la Trasmigrazione delle Anime.
"Maledetto tu che usi le sofferenze altrui e le loro forze in battaglia.", lo minacciò il cavaliere della Corona, rialzandosi in piedi e preparandosi a contrattaccare, "Aspetta, cavaliere!", urlò a quel punto Iulia, sorprendendo il parigrado, "Non attaccarlo ora, fidati di una strategia che ho appena elaborato ed anche tu, Scutum, e tu, Areoi, se vuoi affidarti alla nostra precedente esperienza contro costui.", aggiunse ancora l’allieva di Sion, ricevendo un cenno d’assenso da Vincent ed uno, più titubante, da Tawhiri.
"Tutto è inutile, cavalieri, non salverete né voi stessi, né questo Avaiki. Anzi, datemi modo di mostrarvi la forza di coloro che lo custodivano!", esclamò di rimando Ntoro, prima che alcuni volti prendessero forma sulle sue scure vestigia, volti che l’Areoi della Torpedine non tardò a riconoscere, con suo stesso stupore, "Soffio della Balenottera!", "Volo del Pesce Angelo!", "Sfere dell’Ippocampo!", "Canto della Conchiglia!", "Taglio delle Onde!", "Anfora delle Correnti!", questo urlarono, quasi all’unisono, le voci di Waku della Balenottera Azzurra, Kanae del Volans, Kaede di Hippocampus, Parò della Conchiglia, Kohu dell’Istioforo e Peré del Grongo.
"Ora, colpite con quanto avete di più forte, lasciate a Scutum la difesa!", urlò in risposta la sacerdotessa dell’Altare, scatenando la Bulbifera Solis, subito seguita dalla Polvere di Diamanti di Rudmil, mentre già il discepolo di Degos sollevava la Schild van de Koning; solo Tawhiri fu leggermente in ritardo sulle loro azioni, un ritardo comunque surclassato dalla velocità dell’Areoi che, sollevate le braccia sopra di se, scatenò la Torpedine Selvaggia addosso al nemico.
La potenza della corrente gelida della Corona, unita alle esplosioni dei gigli arancioni dell’Altare resse contro la violenza dei molteplici attacchi nemici, annullandoli quasi tutti, solo la corrente del Grongo andò a cozzare sullo Scudo del Sovrano, che fu capace di contenerne la potenza, ma, su tutti quei colpi, la possente tecnica dell’Areoi ebbe la meglio, continuando la sua feroce corsa contro il Generale nero e colpendolo direttamente sulle vestigia, fino a scagliarlo dentro un acquitrino, in cui scomparve.
Per alcuni secondi i cavalieri rimasero in silenzio, in attesa, poi fu l’allievo dell’Acquario ad azzardare una speranza: "Ce l’abbiamo fatta? È sconfitto?", domandò perplesso, "No, è solo fuggito. Probabilmente ferito, ma temo che non sia stato sufficiente, sarebbe ritornato in superficie se morto, immagino, ma quello è uno dei laghi interni dell’Avaiki è connesso agli altri qui intorno, quindi attenti, europei.", rispose preoccupato Tawhiri, guardandosi le spalle, prima che una voce si udisse ad alcuni metri da loro, anzi, più d’una, un trio di voci: "Quadrilatero delle Zanne!", "Maremoto Divino!", "Anguilla Sovrana!", urlarono, mentre l’Areoi impallidiva nel sentire pronunciare proprio quei tre attacchi.
"Scappate!", l’unico consiglio che provò a dare loro, un consiglio inutile, poiché quei tre colpi investirono tutti e quattro i guerrieri con una violenza tale da danneggiare tutte le loro vestigia, dilaniarne le carni e gettarli in acqua, in altrettanti acquitrini, che di rosso si macchiarono, il rosso del loro sangue.
"Pensavate di battermi così facilmente? Poveri folli! È vero, nessun guerriero può sferrare più di un attacco alla volta, hai ben pensato, Iulia dell’Altare, nel considerare che mentre usavo la Trasmigrazione delle Anime non avrei potuto alzare le mie difese, né quelle di uno dei miei ospiti sarebbero state sufficienti, poiché dimezzate in potenza quanto gli attacchi che sfrutto; ma hai sbagliato nel credere che, senza la Carapace degli Spiriti sarei stato indifeso: serve più di un attacco, specie se affievolito in potenza dal veleno dei discepoli del Mamba Nero, per distruggere questa scura corazza, la più potente di tutte quelle che fanno parte dell’Esercito d’Africa.
In fondo, doveva essere un dono d’alto valore per convincermi ad unirmi alle schiere nere quello che mi ha fatto il Re Leone ed in effetti così è stato, cos’altro avrei potuto chiedere se non queste vestigia?", rise di gusto Ntoro, apparendo ancora una volta illeso dinanzi ai nemici al suolo.
"Un dono?", ripeté sibilando Vincent, "Sì, esatto, queste vestigia della Testuggine Raggiata furono il prezzo della mia fedeltà che il Sovrano Nero volle pagarmi, un prezzo più che adatto, poiché mi avrebbe dato la sicurezza di non essere mai ferito e, allo stesso tempo, la certezza di tenere per sempre con me tutte le anime di chi mi stava attorno.", spiegò il Generale, guardando agli uomini sconfitti che aveva davanti.
"Vi racconterò di quel giorno, prima di togliervi la vita.", sussurrò, mentre la mente iniziava a vagare a sei anni prima.
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Era uno stregone, o almeno così lo chiamavano, rinomato in tutto il Ghana, questa la sua occupazione, se così la si poteva definire: aveva da solo sviluppato il controllo del cosmo Ntoro e grazie a quello aveva saputo impadronirsi di anime di uomini morenti, ma, agli occhi degli ignoranti, le sue azioni erano state descritte come quelle di un potente sciamano capace di controllare gli spiriti e rendere più leggere le agonie degli uomini. Quanto erano stupidi gli uomini, pensava allora, il mastodonte.
Alcuni gli portavano dei doni, altri chiedevano di diventare suoi seguaci, chi per avere il bene per se e la propria famiglia, chi per augurare il male ai nemici, tutti si agitavano per le loro vite mortali, incapaci di capire che Ntoro quelle stesse vite gliele rubava, non le curava.
Quella era la sua vita: una costruzione in un villaggio del Ghana a lui donata, un luogo distinto dal resto delle costruzioni, ma non troppo distante, così che potesse sempre portare loro bene, a quel che si auguravano gli abitanti, ma più semplicemente perché ogni anima corresse subito da lui, questo desiderava lo stregone, che lì viveva con i tanti seguaci, fra cui anche Anansi ed Abuk.
Lì lo trovò il Re Nero, lì i seguaci che si mettevano sulla sua strada senza arrendersi, gli abitanti che cercavano di scacciare degli stranieri che non riconoscevano come propri sovrani, furono uccisi indistintamente da Gu ed Acoran: tante morti che Ntoro avvertì, attirando a se quelle anime, prima che le due sagome dalle nere vestigia di Mawu e Moyna entrassero per prime nella costruzione, aprendo la strada al loro signore ed inginocchiandosi al suo passaggio.
"Chi sei straniero?", chiese Ntoro all’uomo che si parava dinanzi a lui, coperto da un lungo mantello di ottimo tessuto rosso su cui era incisa la figura di un Nero Leone, "Sono il Sovrano d’Africa.", fu la secca risposta dell’altro, che fece nascere un sorriso sul volto del gigantesco interlocutore.
"Buffo, non mi risultava che l’Africa fosse unita sotto un unico Re.", replicò l’altro, "Difatti, ancora non lo è, ma le mie schiere vi riusciranno, daranno alle genti del nostro continente quella stessa unità che da sempre meritano.", disse deciso il Sovrano Nero, "Quindi cosa cerchi da me? Una benedizione per la guerra che inizierai in queste terre? Così che tu possa vincere? Sarò ben lieto di farlo.", continuò Ntoro, che ben sperava di poter acquisire nuove anime per i desideri di conquista di quello che gli sembrava solo un giovane sciocco.
"No, non voglio la tua benedizione e nessuna guerra scoppierà nel nostro continente, voglio piuttosto che tu ti unisca alle mie schiere.", ordinò il monarca con fare altezzoso.
"Non ho interesse per le vite mortali e per i regni degli uomini, sono uno sciamano.", ribatté l’altro, "Sei un uomo avido di spiriti non tuoi, ecco cosa sei!", lo zittì il Re Leone, "Ed io ti sto offrendo di avere un esercito alle tue direttive, guidato dai due che i miei Generali hanno risparmiato, qui fuori, un esercito che avanzerà con il resto delle mie schiere durante la mia compagnia di conquista per il mondo.", spiegò infine.
"Devi essere folle, Re d’Africa, conquistare il mondo per unire il tuo continente, questo è il tuo progetto?", lo derise Ntoro, ma un ruggito d’energia lo gettò al suolo, prendendolo alla sprovvista e facendo scappare alcune delle anime che lo circondavano; non ebbe però il tempo di recriminare per questo il presunto sciamano, poiché l’emanazione cosmica del suo interlocutore lo schiacciava al suolo.
"Ascolta bene prima di dare del folle a chi hai davanti! Io sono Ogum, il Leone Nero, Sovrano dell’Esercito dei Savanas, colui che riunirà le genti di tutta l’Africa sotto un unico stendardo, il mio!
Non ho intenzione di conquistare il mondo per fare ciò, ma di liberarlo da ciò che, più di tutto, rende le genti fra loro differenti: le divinità. Imprigionando negli abissi le diverse entità divine del mondo tutti gli uomini diverranno fautori del proprio destino, non più mossi dalla volontà di esseri superiori e l’Africa, come il resto dei luoghi, sarà mondata di questi sovrani che usurpano i diritti alle umane genti!
Sono venuto qui da te poiché, dopo che ti avrò donato il modo e le vestigia adatte, tu dovrai conservare le anime di tutti quei guerrieri africani che cadranno durante questa lunga campagna di guerra, anime che dovrai liberare una volta tornati nella nostra terra natia, poiché non ad altrui paradisi siano condotti, ma a quelli delle loro case! Accetti dunque di ricoprire questo ruolo, o preferisci che qui, adesso, io ti strappi via la giugulare?", ruggì infine l’uomo attendendo una reazione da colui che lo guardava, adesso, dal basso verso l’alto.
Rimase in silenzio per qualche istante Ntoro: mai nessuno gli aveva proposto un modo per tenere molte anime con se per un lungo periodo, mai nessuno aveva nemmeno immaginato che lui fosse capace di farlo con un limitato numero e per brevi periodi, ciò che quel Sovrano gli stava offrendo era quanto più aveva mai desiderato! Non poteva rifiutare!
"Sia, ti seguirò, Re d’Africa, ma chiedo una cosa per me.", esordì poco dopo, "Cosa?", domandò pacatamente il Leone Nero, "Le anime di tutti i nemici che sconfiggeremo, che le possa per sempre tenere alle mie dipendenze.", rispose secco il mastodontico sciamano.
"Sia dunque, avrai per te quelle anime ed io avrò con me il Quinto Generale del mio esercito, custode della Testuggine Raggiata!", concordò il Sovrano, "Ora inginocchiati, come i miei fidati artigli, e mostrami la tua devozione.", ordinò infine.
In silenzio Ntoro osservò la strana posizione che avevano preso i due entrati prima del Re e la imitò, notando, nel frattempo, due sagome, anch’esse in nero, che s’inginocchiavano allo stesso modo, di certo i restanti Generali ipotizzò allora, prima di sentire gli altri quattro urlare all’unisono, unendosi loro: "Lode a Re Ogum!".
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Il racconto s’interruppe. Ntoro osservò i quattro nemici intorno a lui: s’erano tutti rialzati, seppur a fatica, sembravano pronti a riprendere la battaglia, "Poveri sciocchi, speravate forse che questo breve racconto vi fosse sufficiente per riprendere le forze, al contrario, mi ha dato giusto il tempo di assaporare le vostre deboli carni, pensavo di mostrarvi il più potente degli attacchi proveniente dalle isole filippine, ma basterà che richiami le vostre anime e loro verranno a me!", minacciò sicuro di se il Generale della Testuggine Raggiata.
"Costui è forte in battaglia.", sussurrò preoccupato Tawhiri, "Una forza rubata alle anime che non lascia riposare in pace, però, una forza che non merita.", sibilò rabbioso Vincent, "Forse non la merita, ma di certo è un’arma che sa ben usare: non vedo speranze, per noi, cavalieri.", affermò intimorito Rudmil.
"E per questo sbagli, Corona Borealis.", lo ammonì allora la sacerdotessa d’argento, "Se ci arrendessimo dinanzi al primo ostacolo, se i nostri predecessori si fossero arresi, anni fa, secoli fa durante l’ultima Guerra Sacra, cosa ne sarebbe ora di questo mondo? Il Regno degli Inferi vi dominerebbe, un luogo in cui le anime vagano disperate, un luogo simile al Guscio che costui tanto vanta di dominare.
No, cavalieri, non dobbiamo cedere il passo, né abbandonarci allo sconforto: abbiamo poca esperienza sul campo, sono la prima ad ammetterlo, finora quanti nemici abbiamo affrontato? Io personalmente solo due, ma in ambo gli scontri sono uscita vincitrice, grazie alle lezioni impartitemi dal mio maestro e, contro Nyame, grazie all’unione delle nostre forze, quindi non c’è motivo, né tempo per farsi prendere dallo sconforto qui: dobbiamo solo trovare un modo per superare le sue difese e poi vinceremo, poiché noi non combattiamo come costui per una perversa gioia nell’agonia nemica, ma per desiderio di Giustizia.
Ricordalo, discepolo dell’Acquario, se lo sconforto ti assale, se noi, che dobbiamo combattere per la Giustizia ci lasciamo sconfiggere, cosa potranno mai fare le normali genti? Come potranno vivere in un modo in cui, chi deve difenderli dai soprusi e dalle angherie dei malvagi si arrende per primo? Cosa ne sarà delle anime dannate a rimanere prigioniere di costui se noi abbassiamo il capo ed accettiamo di essere vinti?", domandò decisa l’allieva di Sion, pronta a continuare la lotta.
"Parli bene, sacerdotessa dell’Altare!", confermò Vincent di Scutum, affiancandola, "E ti chiedo, anzi, chiedo a tutti voi solo una supplica in questo momento: affidatevi al mio piano, poiché credo che vi sia un modo per vincere costui, ma ciò che serve è una potenza offensiva superiore persino a quella scaturita dall’attacco dell’Areoi poc’anzi, pensate di poterla generare?", chiese a bassa voce ai due parigrado, "Io non credo proprio, ma cercherò comunque di fare la mia parte.", osservò sconfortato Rudmil, "Dovrai tenerlo fermo, se riuscirai in questo, allora io potrò generare una potenza simile, almeno che le sue difese non si alzino attorno a lui.", s’intromise allora Iulia, che ricevette li sguardi d’assenso dei due compagni.
"Non temere, sacerdotessa, non solleverà le sue difese, non quando vi darò il segnale.", la rassicurò il discepolo di Degos, "Che cosa avete intenzione di fare, folli?", li interruppe Tawhiri, "Dovreste correre via, fuggire, come ogni pesce che si trova dinanzi ad un predatore troppo forte e grande per lui!", li ammonì, ricevendo uno sguardo stizzito del cavaliere di Scutum.
"Non conosco le vostre abitudini, Areoi, ma ti posso dire che noi non siamo pesci che pensano solo al loro bene personale, no, noi, come ha detto poc’anzi la sacerdotessa dell’Altare, siamo cavalieri della Giustizia, se ci facessimo indietro, se fuggissimo perché teniamo alle nostre vite, egoisticamente, non rinunceremmo solo al nostro onore, ma ad un ben più importante valore: la fede in Atena, che della giustizia è la personificazione, una fede che ci spinge a tentare l’impossibile, a compiere l’estremo sacrificio per un bene più grande, un bene che non riguarda noi soltanto, ma tutte le umane genti. Se vuoi vivere come un pesce, preoccupandoti solo del tuo piccolo branco, o di te stesso, fai pure, guerriero polinesiano, ma questo egoismo è per noi innaturale ed orrendo.", spiegò secco l’olandese, prima di volgersi verso i propri compagni e fare loro un cenno.
Dando fondo a tutte le proprie forze, il discepolo di Degos spiccò un salto verso l’alto, iniziando una veloce rotazione, "Tutto inutile, giovane sciocco.", sibilò Ntoro sollevando attorno a se la Carapace degli Spiriti; "Spiraal van het Schild!", urlò di rimando il cavaliere di Atena, lanciandosi comunque in una violenta picchiata, che lo fece pesantemente cozzare con la difesa assoluta del nemico, una difesa che bloccò il suo colpo, spingendolo indietro, ma il santo d’argento fu lesto nel compiere una capriola a mezz’aria ed afferrare la grossa corazza del nemico nella parte che sporgeva sulla schiena, iniziando a far brillare il proprio cosmo.
"Cosa vorresti fare, giovane sciocco? Portarmi con te fra le stelle del firmamento?", domandò divertito il Generale nero, "Non ne avrai il tempo, prima che il tuo cosmo possa raggiungere lo stato ultimo, l’anima ti sarà strappata dal corpo. Abisso del Guscio Infinito!", ruggì il Quinto Artiglio, prima che una zampa d’energia cosmica sfruttasse la brevissima distanza per iniziare a sottrarre lo spirito dalla materia.
"Ora, cavalieri!", urlò in preda al dolore il santo di Scutum, mentre già il cosmo di Rudmil s’espandeva verso lo specchio d’acqua in cui il nemico aveva i piedi, "Aurora Circle Avalanche!", invocò il giovane cavaliere, intrappolando gli arti inferiori del nemico nel ghiaccio, stringendo i denti dinanzi al sacrificio del compagno, quando già sottili lacrime scivolavano dalla maschera d’argento di Iulia, nel vedere il corpo di Vincent afflosciarsi al suolo ed il suo volto apparire fra le scaglie della nera armatura.
Così perse la vita Vincent dello Scudo, cavaliere d’argento di Atena.
Ntoro ruggì di gioia, "Ecco un nuovo ospite per l’abisso infinito, una nuova anima che mi delizierà delle sue agonie! E voi cos’avete concluso? Intrappolarmi le gambe?", domandò divertito, prima che il sorriso si spezzasse, nel vedere un bagliore arancio scivolare verso il dorato sulle sue vestigia, un bagliore generato da un singolo giglio a forma d’imbuto, "Bulbifera Solis!", sibilò soltanto Iulia dell’Altare, prima che un’esplosione d’inimmaginabile potenza frantumasse letteralmente la zona pettorale delle vestigia della Testuggine Raggiata, facendo barcollare il gigante bloccato al suolo dal ghiaccio, che, malgrado fosse illeso, era ora completamente scoperto e, soprattutto, vedeva alcune delle anime scivolare fuori dalla loro prigione attraverso quella via di fuga appena creata per loro.
"Non t’attardare a guardare le anime che ti sfuggono, Generale Nero, poiché ben presto le seguirai!", esclamò minaccioso Tawhiri, aprendo le braccia sopra di se, "Torpedine Selvaggia, onora il sacrificio di quel cavaliere!", urlò ancora, scagliando il devastante attacco, che trapassò da parte a parte la pelle del guerriero nero, scaricandovi l’elettricità all’interno, sollevandolo dal suolo e frantumando anche parte del dorsale della carapace, gettando Ntoro a terra, moribondo.
"Le mie anime … le mie anime …", sussurrava il gigante, annaspando con le mani nell’aria, nemmeno sentì due sottili parole pronunciate da Iulia: "Martagonae Mortis!"
Cinque bianchi gigli si svilupparono sulla carne ustionata del gigante nero, iniziando a fiorire, mentre lo privavano del cosmo con cui manteneva vicine a se le anime e per quanto disperatamente Ntoro provasse a riprenderle, riusciva solo a privarsi di ancora più forze, in punto di morte.
"Durante gli anni dell’addestramento, il mio maestro, Sommo Sacerdote di Atena, mi fece conoscere il cavaliere dei Pesci, Raphael di Pisces, un uomo di nobile aspetto, il cui tempio era adornato di molteplici rose, un uomo che restava in disparte, allontanandosi da tutti i propri compagni perché il suo cosmo era puro veleno per tutti, un uomo solo, che mi spiegò come i fiori, in battaglia, erano solo una manifestazione di ben più complessi poteri.
Per lui, il veleno, che trasmetteva con le sue rose, per me, la capacità di assorbire e manipolare a mio piacimento i cosmi altrui: proprio per questo le vestigia dell’Altare erano per me le più appropriate, uniche in grado di mantenere al loro interno, per lunghi periodi di tempo, considerevoli condensazioni d’energia cosmica, così come il maestro del mio maestro ed il di lui fratello avevano fatto, secoli prima.
Mi disprezzai, perché alla fine, ero una ladra di altrui poteri, ancor di più quando, l’ormai vecchio cavaliere dei Pesci, mi chiese di prendere per me le sue ultime forze, forze di certo inimmaginabili, come tu stesso hai potuto provare e da allora ho sempre usato come ultima alternativa la Martigona, ma con te, che ad altri rubavi l’anima, sarà un giusto contrappasso lasciarti morire, privandoti di ogni potere ed osservando gli spiriti liberarsi dalla tua prigionia.", con queste parole, la sacerdotessa d’argento osservò i gigli bianchi fiorire di un colore grigio e tetro, quasi sporco, che andò poi ad assorbire, mentre già, in un arcobaleno di colori, le diverse anime s’alzavano verso il cielo al di fuori dell’Avaiki, fuggendo verso la pace eterna ed il paradiso che avevano pienamente meritato, dopo quel lungo inferno.